Il D.M. 1154/2021 non ha introdotto alcuna parificazione fra università tradizionali e telematiche in relazione sia al numero minimo di docenti che alle modalità di computo del numero di studenti.
Cons. Stato, Sez. VII, 5 febbraio 2024, n. 1157
Legittimità del D.M. 1154/2021
01157/2024 REG.PROV.COLL.
00890/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 890 del 2023, proposto da
Università Telematica Internazionale Uninettuno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio OMISSIS in Roma, via dei Tre Orologi, 14/A;
contro
Ministero dell’Università e della Ricerca, ANVUR – Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, Università degli Studi Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, non costituito in giudizio;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 09563/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Università e della Ricerca, dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca – ANVUR, e dell’Università degli Studi Roma La Sapienza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2023 il Cons. OMISSIS e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS e l’avvocato dello Stato OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Avanti il giudice di prime cure, l’originaria ricorrente, odierna appellante, ha chiesto l’annullamento:
– del decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca del 14 ottobre 2021, n. 1154, avente per oggetto “Decreto autovalutazione, valutazione e accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio”, nella parte in cui definisce i nuovi indicatori di accreditamento dei corsi relativamente ai requisiti di docenza ed alla numerosità massima degli studenti, applicabili alle università telematiche;
– di tutti gli atti presupposti e connessi, ancorché non conosciuti, ivi inclusi, ove occorrer possa, il decreto ministeriale 25 marzo 2021, n. 289 (recante “Linee generali d’indirizzo della programmazione 2021-2023”; l’Allegato 1 alla delibera dell’ Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca – A.N.V.U.R. n. 166 del 27 luglio 2021 (recante “proposta di revisione del decreto ministeriale n. 6 del 7 gennaio 2019”), nonché il decreto direttoriale del Ministero dell’Università e della Ricerca – MUR del 22 novembre 2021, n. 2711.
– di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
Il TAR ha respinto il ricorso.
Col ricorso in primo grado, la parte ricorrente, Università telematica non statale, idonea alla erogazione della didattica a distanza, ha impugnato in parte qua il citato decreto del Ministero dell’Università e della ricerca n. 1154/2021, con cui sono state dettate le disposizioni applicabili all’autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari, nonché alla valutazione periodica delle Università, con riferimento alle Università statali e non statali legalmente riconosciute, ivi comprese le Università telematiche.
Come indicato all’art. 10, comma 1, del predetto decreto ministeriale, le nuove disposizioni sostituiscono quelle previste dal d.m. n. 6/2019, e successive modificazioni e integrazioni, a decorrere dall’offerta formativa dell’anno accademico 2022/2023.
Si evince dagli atti di causa, come ampiamente richiamato dalla sentenza impugnata, che il citato decreto ministeriale n. 6/2019 aveva previsto, per le sole Università telematiche, uno specifico moltiplicatore per il calcolo della numerosità massima di studenti partecipanti ai corsi universitari, da considerare ai fini del computo del correlato numero minimo di docenti, necessario per il rispetto dei requisiti di idoneità dell’offerta di docenza.
In caso di superamento delle numerosità massime indicate nell’allegato D del medesimo decreto, il numero di docenti di riferimento, comprendente anche i docenti a contratto e quello delle figure specialistiche aggiuntive, avrebbe dovuto essere incrementato in misura proporzionale al superamento delle soglie, secondo un’apposita formula, mantenendo la quota minima prevista per i professori a tempo indeterminato nell’ambito dei docenti di riferimento.
Il nuovo decreto ministeriale impugnato, che ha sostituito al termine del triennio la disciplina introdotta nel 2019, ha eliminato il suddetto moltiplicatore e previsto, al contempo, un proporzionale aumento del numero dei docenti a tempo indeterminato per il caso di superamento della numerosità massima degli studenti.
Il ricorso pone l’accento su tale circostanza, evidenziando che le disposizioni ministeriali penalizzano le attività delle Università telematiche, comportando un rilevante e ingiustificato aumento dei costi.
Premessa un’analitica, ampia e puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento, la sentenza impugnata ha respinto il primo motivo di ricorso, concernente, in primo luogo, l’omesso coinvolgimento delle Università telematiche in sede di emanazione del decreto ministeriale gravato, in asserita violazione di quanto previsto dal d.m. n. 196/2018 e, in secondo luogo, dell’illegittima adozione del medesimo in forma di decreto, anziché con regolamento ministeriale, in conformità alla disciplina procedimentale di cui all’art. 17 della legge n. 400/1988..
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente dal TAR, concernenti l’asserita illegittimità delle previsioni relative alla composizione del corpo docenti e la numerosità degli studenti, sono stati pure rigettati dal TAR.
Con il quarto motivo, anch’esso respinto, la ricorrente ha impugnato l’art. 10, comma 3, del decreto n. 1154/2021, sostenendo che, con tale disposizione, si realizza un’illegittima anticipazione del termine per l’adeguamento ai nuovi requisiti, irragionevole e priva di motivazione.
Il TAR adito ha infine respinto anche il quinto e il sesto motivo di ricorso, a mezzo dei quali è stata dedotta la violazione di principi costituzionali ed eurounitari.
In sede di appello, parte appellante, articolando plurimi motivi che ripropongono, in critica alla sentenza del TAR, i motivi dedotti in primo grado, ha chiesto di accogliere il ricorso e, per l’effetto, riformare la sentenza impugnata e annullare i provvedimenti ministeriali impugnati.
Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Università e della Ricerca, – l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca – ANVUR, e l’Università degli Studi Roma La Sapienza.
In data 21 ottobre 2023 ha depositato memoria l’Avvocatura dello Stato per le parti appellate.
Nell’udienza pubblica del 28 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In sede di appello l’Università ha dedotto i motivi di seguito riassunti.
Con il primo motivo (Violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 5, della L.n. 289/2002; dell’art. 1, co. 148, l. n. 286/2006; del DM n. 196/2018; del DM n. 6/2019. Avverso la sentenza appellata: difetto di motivazione), l’appellante deduce che i provvedimenti impugnati in prime cure sono palesemente viziati ed è parimenti errata la motivazione di rigetto espressa dal TAR.
In particolare, per l’appellante, le disposizioni del d.m. n. 1154/2021 non tengono conto della specificità dei corsi integralmente a distanza e sviliscono totalmente l’autonomia organizzativa e finanziaria della ricorrente.
In primo luogo, si lamenta al riguardo il mancato rispetto del contraddittorio con le istituzioni universitarie destinatarie del provvedimento e delle altre forme e misure previste dal d.m. n. 196/2018, tenuto conto che:
– non risulta istituito il tavolo tecnico, composto dagli esperti e da un rappresentante delle università telematiche;
– non risultano espletate le audizioni degli esperti della formazione a distanza e delle tecnologie e-learning;
– non risultano elaborati gli appositi e specifici criteri di sostenibilità dei corsi;
– non risulta acquisito il concerto con il Ministero dello sviluppo tecnologico e della innovazione, il cui coinvolgimento è richiesto da due norme di legge (art. 26, comma 5, della L. 289/2002; art. 2, comma 148, l. n. 262 del 2006).
In secondo luogo, si lamenta l’inosservanza delle disposizioni normative che prevederebbero l’adozione di un regolamento ex art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988, in luogo di un decreto ministeriale, come adottato nel caso di specie.
Si contesta, pertanto, la motivazione resa dalla sentenza impugnata sui punti richiamati, deducendone l’insufficienza, la carenza e la supposta elusione del regime normativo speciale delle Università telematiche.
Ne consegue, per l’appellante, la dedotta carenza in capo al Ministero appellato del potere di intervenire nella materia, con implicazioni sul piano della illegittimità del d.m. n. 1154/2021 e della erroneità delle statuizioni del giudice di prime cure.
Con il secondo motivo di ricorso (Violazione delle norme sopra indicate, sotto altro profilo. Eccesso di potere per manifesta illogicità. Violazione art. 5, co. 2-3, e 6, co. 2-4, del d.lgs. 27 gennaio 2012, n. 19. Manifesta contraddittorietà. Difetto di motivazione. Violazione dello Statuto di Uninettuno. Avverso la sentenza appellata: omesso esame di motivi di ricorso), l’appellante deduce che l’impugnato d.m. n. 1154/2021 non tiene in alcuna considerazione le caratteristiche che la legge ha stabilito a presidio della specificità e flessibilità dell’organizzazione delle Università telematiche, evidenziando profili di illogicità e contraddittorietà anche rispetto al precedente d.m. n. 6/2019.
Ciò avuto riguardo alle caratteristiche dei docenti di riferimento, ai requisiti di docenza e alle limitazioni nel loro utilizzo, con i conseguenti riflessi sull’organizzazione e sulle risorse.
Inoltre, quanto alla questione della c.d. numerosità, cioè il rapporto tra studenti e docenti, si contesta che, a differenza della disciplina dettata con il d. m. n. 6/2019, con il decreto ministeriale impugnato risultano eliminate tutte le misure ad hoc, con una sostanziale equiparazione tra corsi a distanza e corsi in presenza, con conseguenze in termini di organizzazione e risorse e, nella sostanza, sotto il profilo economico-finanziario, in assenza di una concreta valutazione circa la peculiarità delle Università telematiche che si valuta pesantissimo ed immediato.
Tenuto conto che il d.m. impugnato sembra ignorare le diverse disposizioni normative che disciplinano specificamente le Università telematiche, mentre nelle premesse del d.m. n. 1154/2021 sono richiamate tutte le disposizioni relative alle Università statali, pare emergere all’appellante una implicita errata assimilazione tra Università convenzionali e Università telematiche sotto tale aspetto.
Evidenzia poi l’appellante la carenza di istruttoria specifica con riferimento all’attività della ricorrente, mentre ribadisce che in modo erroneo la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che il d. m. impugnato mantenga elementi di differenziazione fra Università tradizionali e telematiche, come si evincerebbe dal mancato esame dei motivi prospettati in primo grado.
Con il terzo motivo di appello (Manifesta illogicità e contraddittorietà. Difetto di motivazione e di istruttoria. Sviamento di potere. Violazione del DM n. 289/2021. Violazione del principio di affidamento. Disparità di trattamento. Avverso la sentenza appellata: difetto di motivazione e omesso esame dei motivi di ricorso), l’appellante rileva un difetto di motivazione afferente il terzo motivo dedotto avanti il TAR.
L’appellante premette, al riguardo, che il d.m. impugnato avrebbe dovuto tenere in considerazione:
– l’inesistente finanziamento destinato alle Università telematiche nella programmazione finanziaria statale 2021-2023, che scarica sulle stesse in modo integrale il maggior onere finanziario che invece non avranno le Università statali;
– che dall’ultimo rapporto ANVUR – 2015 sull’accreditamento periodico, risulta per la ricorrente un giudizio “pienamente soddisfacente”, con approvazione degli indicatori relativi al reclutamento, alle risorse, alla quantità e qualità dei docenti, ragione per cui le odierne valutazioni del MUR non trovano neppure corrispondenza nei risultati e nelle evidenze dell’attività di vigilanza;
– l’assenza di contestazioni da parte del Ministero, anzi la valutazione più che positiva, che confermano la sproporzione e l’irragionevolezza rispetto al precedente parametro regolatorio, di cui si ribadisce in ogni caso la carenza sotto il profilo motivazionale.
Secondo l’appellante, la soluzione di continuità presentata dal d.m. n. 1154/2021 rispetto alla precedente disciplina è animata solo dall’intento di impedire agli Atenei telematici di attivare i propri corsi e, quindi, di ridurre sensibilmente nei prossimi anni la possibilità per gli studenti di accedere a corsi a distanza.
Il d.m. impugnato finisce per ricadere, ad avviso dell’appellante, nel vizio di sviamento di potere, perseguendo obiettivi ultronei rispetto a quelli fissati dalla legge nell’individuazione dell’oggetto e delle finalità del sistema di accreditamento periodico delle telematiche.
Con il quarto motivo di appello (Con specifico riguardo all’art. 10 del DM 1154/2021 e al D.D. 22/11/2021: violazione delle norme di legge dianzi indicate e dell’art. 21 bis l.n. 241/90. Manifesta ingiustizia. Violazione del principio di proporzionalità e del legittimo affidamento), l’appellante deduce che l’art. 10 del d. m. n. 1154/2021 contiene due norme derogatorie transitorie particolarmente penalizzanti.
Queste riguardano i piani di raggiungimento dei requisiti secondo le modalità indicate dall’articolo 4 del decreto, ed inoltre, la verifica ex post dei requisiti di docenza con riferimento ai corsi accreditati e attivati nell’a.a. 2021/2022 viene avviata entro il 25 novembre 2021 e conclusa entro il 15 dicembre 2021.
Secondo l’appellante, l’effetto delle due disposizioni è manifestamente illegittimo, in quanto nuovi ed obbligatori requisiti di docenza mortificano in perpetuo il bilancio dell’università privata, anticipando e imponendo la sottoscrizione di un “piano di raggiungimento” per il caso in cui la verifica “ex post” non fosse di segno positivo.
Ad avviso dell’appellante, dette previsioni sono del tutto illegittime, per plurime ragioni:
– violazione delle norme di legge che regolano l’attività delle telematiche, bloccandone l’autonomia e la flessibilità dell’offerta formativa;
– manifesta illogicità, recando termini strettissimi che, per forza di cose, non possono che preludere ad una verifica negativa del requisito docenza per l’anno in corso, dal momento che il precedente d.m. n. 6/2019 aveva stabilito un diverso e più favorevole regime per il triennio 2019-2021, a partire dall’a.a. 2019-2020;
– difetto assoluto di motivazione, non essendo per nulla evidente la giustificazione della norma transitoria e l’applicazione delle nuove e più penalizzanti disposizioni sin dall’a.a. in corso, con relativa violazione anche del principio di affidamento e di proporzionalità.
Sul punto, la sentenza impugnata non avrebbe colto il senso della censura, in quanto la facoltà di sottoscrivere piani di raggiungimento si traduce per l’appellante in obblighi con relative sanzioni. Con il quinto motivo di appello (Violazione e falsa applicazione degli articoli 33, 34, 41, 76 e 97 Costituzione. Violazione dell’art. 26, comma 5, della L. 289/2002; dell’art. 2, comma 148 del D.L. 262/2006; Violazione dello Statuto della ricorrente) esaminato in primo grado unitamente al sesto, l’appellante lamenta che il d.m. impugnato pretende di imporre una misura eccessiva e sproporzionata, con l’effetto di comprimere senza alcuna giustificazione libertà e diritti protetti dalla stessa Costituzione, in particolare gli articoli 33 e 34.
L’appellante deduce che ogni misura idonea a limitare sia l’autonomia organizzativa interna delle istituzioni universitarie, sia, a maggior ragione, gli aspetti funzionali che coinvolgono i diritti di accesso alle prestazioni, debba essere adottata con legge dello Stato.
In tal senso il d. m. impugnato violerebbe puntualmente i principi contenuti nelle norme costituzionali richiamate, posto che l’attività delle Università telematiche è regolata in modo specifico da due norme di legge (l’art. 26, comma 5, della L. 289/2002 e l’art. 2, comma 148 del D.L. 262/2006) che confermano l’impianto costituzionale della autonomia universitaria.
Sul punto, l’appellante contesta la posizione del TAR che rinviene nella copertura legislativa del d. m. impugnato, alla luce del d. lgs. n. 19/2012, il fondamento di legittimità, ritenendo che l’atto amministrativo, in caso di pluralità di norme applicabili, deve rispettarle tutte.
La questione prospettata riguarda anche gli oneri economici, secondo il primo giudice non idonei a concretizzare un profilo di illegittimità.
Con il sesto motivo di appello (Violazione dell’art. 117 Costituzione. Violazione dell’art. 165 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”). Violazione della Decisione 2318/2003/CE. Violazione e falsa applicazione degli articoli 49 e 56 TFUE. Violazione dei principi comunitari a tutela della concorrenza, della libertà di stabilimento, della libera erogazione di servizi. Disparità di trattamento) l’appellante rileva che il d.m. n. 1154/2021 presenta profili di incompatibilità con l’ordinamento eurounitario, in particolare avuto riguardo all’art. 165 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che prevede espressamente che l’azione dell’Unione nell’ambito dell’istruzione e formazione sia tesa, tra le altre cose, a incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione a distanza, finalità che ha trovato estrinsecazione in numerosi successivi atti, anche vincolanti.
Tuttavia, secondo l’appellante, il d. m. n.1154/2021 e il d.d.. del 22/11/2021 si pongono in contrasto con l’architettura valoriale e giuridica dell’Unione Europea in tema di accesso all’istruzione universitaria a distanza.
Ulteriore profilo di contrasto con la normativa eurounitaria sarebbe, per l’appellante, da rinvenire nella circostanza che il d. m. n. 1154/2021 di fatto introduce in un mercato concorrenziale, quale è quello dell’offerta di corsi di formazione superiore, una forte limitazione al libero esercizio dell’attività economica da parte della ricorrente.
Tale limitazione sarebbe manifestamente illegittima e comunque sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti, ponendosi in contrasto con gli artt. 49 e 56 del TFUE (rispettivamente, i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi) e con la tutela europea della concorrenza.
L’appello è infondato, in relazione a tutte le censure in cui esso si articola.
Osserva il Collegio, preliminarmente, che l’esame degli atti di causa, a fronte delle ampie e puntuali motivazioni della sentenza di prime cure e dell’articolata ricostruzione del quadro normativo da parte del primo giudice, non rechi argomenti tali da revocare in dubbio quanto argomentato in sentenza sui singoli motivi di ricorso, che va condiviso con specifico riferimento alla rilevata infondatezza dei principali argomenti che fondano i motivi di appello, sostanzialmente ripropositivi delle censure dedotte in primo grado.
In linea generale, il collegio è pienamente consapevole della complessità della disciplina dell’offerta formativa proposta dalle Università telematiche, anche in considerazione della rapida evoluzione tecnologica e delle mutevoli esigenze di studio e di ricerca presenti nella società contemporanea.
In tale contesto, spetta al legislatore, in coerenza con i principi espressi dall’ordinamento europeo, definire un quadro normativo idoneo a contemperare gli interessi in rilievo, riconoscendo il ruolo assunto dalle Università telematiche e predisponendo adeguati e ragionevoli metodi di verifica e di valutazione delle loro attività.
Le scelte assunte responsabilmente dal legislatore e, in sede attuativa, dalle competenti amministrazioni, peraltro, devono basarsi su una accurata e completa istruttoria, che tenga conto delle posizioni espresse dalle istituzioni universitarie coinvolte.
Va anche premesso, nell’ottica di un ampio inquadramento della situazione di fatto che, da un lato, il D.D. n. 2711/2021, recante indicazioni operative per l’applicazione del d.m. n. 1154/2021 impugnato, ha previsto un periodo di adeguamento ai nuovi requisiti, mediante appositi piani di raggiungimento; dall’altro, che è operativo un tavolo tecnico di confronto con le Università telematiche, istituito con decreto del 23 febbraio 2022, sulle tematiche di specifico interesse, al fine di concertare eventuali modifiche alla disciplina introdotta con il d.m. impugnato.
È dunque prevedibile che una parte consistente delle questioni oggi proposte dalla ricorrente sarà oggetto di nuovi ponderati interventi dall’autorità politica e dell’amministrazione, che terranno conto delle conseguenze economiche delle innovazioni proposte e dell’impatto sulle strutture universitarie telematiche che hanno già consolidato i rispettivi assetti organizzativi, alla luce dei previgenti criteri.
Ciò posto, la Sezione ritiene che gli atti impugnati dall’appellante siano immuni dai prospettati vizi di legittimità, sia per i profili riguardanti l’iter procedimentale che ha condotto alla loro adozione, sia con riferimento alla ragionevolezza degli indicatori adottati e alla loro conformità ai principi di derivazione eurounitaria.
Tanto premesso, quanto al primo motivo, va condiviso quanto statuito dal primo giudice sulla circostanza che la normativa vigente non impone né la forma regolamentare né la previa consultazione delle Università telematiche, rinvenendosi la fonte primaria alla cui luce il decreto è stato adottato nell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo n. 19/2012.
Detta disposizione stabilisce che “L’ANVUR, entro centoventi giorni dalla data di emanazione del presente decreto, definisce gli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari e li comunica al Ministero. Gli indicatori sono adottati con decreto del Ministro entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.”
Il collegio osserva, al proposito che l’identificazione degli atti governativi a contenuto normativo, soggetti alla disciplina procedimentale contenuta nell’art. 17 della legge n. 400/1988 va condotta attraverso un criterio di carattere sostanziale, pur non potendosi trascurare che la qualificazione operata dal legislatore assuma sempre un rilievo interpretativo apprezzabile.
Ora, nell’ipotesi in esame, la disposizione legislativa fa riferimento ai “criteri” che orientano la valutazione circa l’accreditamento delle Università telematiche.
Non è dubitabile quindi, che la natura giuridica del decreto ministeriale sia quella di un atto generale non normativo, estraneo alle regole di formazione dei regolamenti ministeriali di cui all’art. 17 della legge n. 400/1988.
Quanto dedotto nell’atto di appello al riguardo, pertanto, non può essere accolto.
Risulta evidente, inoltre, che la disciplina dettata nel 2012, oltre ad essere successiva alle disposizioni richiamate nel motivo di appello, si ponga in superamento delle previgenti disposizioni, tenuto conto della mancata adozione della normativa regolamentare pure prevista dalle stesse disposizioni richiamate (legge n. 289/2002; d.l. n. 262/2006; d.m. n, 196/2018).
Sul punto, pertanto, la sentenza di primo grado va qui condivisa.
Resta ferma, però, l’argomentazione posta alla base della censura articolata dall’appellante, secondo cui anche la fissazione dei criteri di valutazione dei corsi universitari presenta un’incidenza particolarmente significativa sulle modalità di svolgimento dell’attività delle Università telematiche, con la conseguenza che potrebbe ravvisarsi l’opportunità, de iure condendo, di disciplinare con atti normativi primari e secondari la funzione di verifica assegnata alle amministrazioni.
Quanto al secondo motivo, non persuade in via generale il Collegio quanto argomentato dall’appellante circa le conseguenze, rilevanti sul piano della dedotta illegittimità, dell’introduzione del d.m. n. 1154/2021.
Il tema di fondo delle proposte doglianze concerne l’asserita eliminazione, da parte del citato decreto ministeriale, senza alcuna istruttoria, della differenziazione tra Atenei convenzionali e Atenei telematici, già introdotta con il d.m. n. 6/2019, con il fine peculiare di tenere conto della specificità di queste ultime.
Ciò si sarebbe tradotto in un chiaro peggioramento, per le Università telematiche, delle regole previgenti, e in una sostanziale violazione dell’autonomia delle stesse.
In particolare, tali circostanze peggiorative emergerebbero dalla diversa modalità del computo della numerosità massima degli studenti, rispetto al d. m. n. 6/2019, con conseguente necessità di aumento del numero dei docenti a tempo indeterminato, circostanze che avrebbero determinato effetti sostanzialmente sperequativi in danno delle Università telematiche.
Si rammenta al riguardo che, come richiamato in fatto e puntualmente rilevato nella sentenza impugnata in punto di ricostruzione del pertinente quadro normativo, il c.d. moltiplicatore, previsto dal d,m, n. 6/2019 per le sole Università telematiche, consisteva in una formula di calcolo volta a stabilire una relazione predeterminata tra il numero minimo di docenti necessari – comprendente anche i docenti a contratto ex art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e quello delle figure specialistiche aggiuntive – e le numerosità massime di studenti indicate nell’allegato D del medesimo decreto, incrementata in misura proporzionale al superamento delle soglie e mantenendo tuttavia la quota minima prevista per i professori a tempo indeterminato.
Il nuovo decreto ha invece eliminato il suddetto moltiplicatore e previsto invece un proporzionale aumento del numero dei professori a tempo indeterminato per il caso di superamento della numerosità massima degli studenti.
Rileva il Collegio che l’eliminazione del già previsto moltiplicatore, lungi dal rappresentare una sostanziale innovazione, ripristina invero una metodologia già consolidata nella normativa precedente al 2019, e può dunque essere valutata come un intervento di manutenzione normativa teso a ripristinare, sulla base delle valutazioni dell’ANVUR, in verità già espresse in prossimità dell’adozione del d.m. n. 6/2019, criteri già sperimentati e adeguate garanzie sugli standard qualitativi dell’offerta formativa.
Ciò attraverso procedure del tutto coerenti con il principio di revisione periodica che assiste la normativa di settore, evidentemente finalizzata a monitorare, nell’ottica di garantirne l’efficienza e il livello qualitativo, un sistema in rapida evoluzione.
Va comunque osservato come la soglia minima di docenza di cui all’allegato A) del d.m. impugnato non risulti modificata rispetto a quella prevista dal d.m. n. 6/2019.
L’insieme di tali argomenti depone per l’insussistenza dei lamentati profili sostanzialmente sperequativi che in tesi deriverebbero dalla marcata attenuazione dei profili di differenziazione tra Atenei convenzionali e Atenei telematici, tenuto anche conto del fatto che il principio di differenziazione sia da considerarsi ormai strutturato nelle diverse disposizioni normative susseguitesi nel tempo e sia stato mantenuto anche nel decreto ministeriale impugnato, che ha conservato, pur modificando alcuni aspetti della previgente normativa, profili di chiara differenziazione tra gli Atenei telematici e quelli convenzionali.
Anche su tale profilo, tuttavia, il Collegio ritiene che l’assenza di profili di evidente irragionevolezza non preclude alla ricorrente di sollecitare il Ministero dell’università e della ricerca a considerare con la massima attenzione tutte le peculiarità che caratterizzano l’effettuazione di corsi universitari con modalità telematiche.
Quanto al terzo motivo di appello, risulta al Collegio pacifico che uno degli obiettivi della revisione periodica prevista con cadenza triennale in capo all’ANVUR dall’art. 6 del d.lgs. n. 19/2012 sia proprio la valutazione dell’adeguatezza delle misure in atto che ben possono tradursi in una modifica periodica della disciplina amministrativa.
Non risulta provato, al riguardo, che l’introduzione dei citati indicatori sia avvenuta in assenza di un’adeguata istruttoria e comunque senza tenere in adeguata considerazione il rapporto tra studenti e docenti rispetto al livello di qualità della didattica offerta, né, come paventato dall’appellante, con l’indimostrato intento di ridimensionare la possibilità di accesso alle Università telematiche.
Le richiamate considerazioni escludono la sussistenza delle condizioni dedotte che determinerebbero, in tesi, profili di illegittimità sotto il profilo, tra l’altro, dello sviamento di potere.
Relativamente al quarto motivo e al quinto motivo di appello, l’appellante deduce da un lato gli effetti sostanzialmente sanzionatori del mancato completamento dei piani di raggiungimento e, più in generale, l’immotivato superamento della più favorevole normativa del 2019, con la conseguenza di un effetto di sproporzione dei provvedimenti impugnati e di violazione del principio di affidamento.
Inoltre, tali censure riguarderebbero anche profili formali di violazione di norme costituzionali e del principio di regolazione, per legge primaria, delle Università telematiche.
Al riguardo, nel richiamare quanto detto a proposito del terzo motivo di appello, il Collegio ritiene infondata la lamentata sproporzione delle misure introdotte con il decreto ministeriale impugnato, che non pare violare – né evidenziare elementi di contraddittorietà – la pregressa normativa, né la specificità dei corsi a distanza, per la già richiamata circostanza che il sistema opportunamente prevede, quale regola di corretto funzionamento di un sistema non statico, bensì in [#OMISSIS#] evoluzione, nel quadro delle valutazioni circa l’interesse pubblico che competono all’amministrazione, la revisione periodica degli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio.
Le circostanze descritte escludono non solo la lamentata e indimostrata carenza istruttoria, bensì la dedotta violazione del principio dell’affidamento, proprio in ragione del fisiologico adeguamento del sistema, attraverso i meccanismi normativi e amministrativi previsti, al mutamento delle condizioni di fatto, nell’ottica di cura dell’interesse pubblico volto, nel caso di specie, a garantire la qualità degli standard formativi.
Quanto al sesto motivo di appello, quanto detto finora in merito all’assenza nella normativa impugnata di profili sperequativi o discriminatori esclude la violazione di regole eurounitarie, peraltro prospettata in termini generali, senza riferimento a puntuali norme comunitarie riferiti alla materia della formazione universitaria.
Va condivisa, anche su questo punto, la sentenza di prime cure che non ravvisa nel dedotto profilo di potenziale aggravio economico od organizzativo un motivo sufficiente a configurare le dedotte violazioni.
Tale considerazioni rilevano anche avuto riguardo al dedotto contrasto con gli indirizzi europei di favore verso la docenza a distanza, nonché sotto il profilo dell’asserito vulnus al principio di libera concorrenza e di sostenibilità economico-finanziaria.
Neppure tale ultima censura può essere accolta.
Il Collegio è dell’avviso, sul punto, che il criterio da ultimo richiamato rilevi in sede di elaborazione iniziale degli indicatori, non già in sede di revisione, tanto che la voce “sostenibilità” si rinviene nel d.m. impugnato nel solo allegato B, relativo ai requisiti di accreditamento iniziale delle sedi.
L’appello, pertanto, va respinto.
Sussistono nondimeno peculiari motivi, anche per la novità delle questioni trattate, per la compensazione tra le parti del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Omissis, Presidente
Omissis, Consigliere
Omissis, Consigliere
Omissis, Consigliere
Omissis, Consigliere, Estensore
L’Estensore OMISSIS
Il Presidente OMISSIS
Pubblicato il 5 febbraio 2024