La disciplina prevista nell’art. 2 , comma 1, della legge 13 agosto 1984, n. 476 (come da ultimo modificato dall’art. 5, comma 1, lett.a, del D. Lgs 18 luglio 2011, n. 119), impone all’Amministrazione pubblica il sacrificio del pagamento della corresponsione del trattamento economico e previdenziale al lavoratore ammesso ai corsi di dottorato di ricerca, in assenza di controprestazione lavorativa, ritenendo che il dipendente possa mettere a frutto i suoi studi e la sua formazione non solo a proprio beneficio, in termini di arricchimento professionale, ma anche a beneficio dell’Amministrazione di appartenenza. Si tratta quindi di una norma che deroga al principio generale che lega gli emolumenti all’attività lavorativa effettivamente prestata dal dipendente. Peraltro, il congedo straordinario per motivi di studio disciplinato dalla norma in esame (che prevede un innegabile vantaggio per il dipendente), non spetta incondizionatamente a tutti i richiedenti, potendo l’Amministrazione negare il congedo, se non compatibile con le sue esigenze. Va pertanto operato, di volta in volta, un contemperamento del diritto allo studio del pubblico dipendente con le esigenze della pubblica amministrazione (cfr. Cassazione civile, Sez. lav., 1 febbraio .2013, n. 2422)
E’ legittima e fondata la pretesa dell’Amministrazione di ripetere le somme erogate al dipendente in congedo sia nel caso in cui la cessazione volontaria del rapporto di lavoro avvenga dopo il conseguimento del titolo di dottore in ricerca, sia nel caso in cui avvenga prima, sia, infine, nel caso in cui, una volta rientrato in servizio, il dipendente non vi permanga per almeno due anni.
TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 7 aprile 2014, n. 92
Dottorato di ricerca-criteri erogazione borsa di studio-Dipendente pubblico
N. 00092/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00169/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa
sezione autonoma di Bolzano
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 169 del 2013, proposto da:
Hristidis Michail, rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] Dagostin, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bolzano, via Roma, n. 7;
contro
Ministero dell’Interno, Polizia di Stato – Compartimento di Polizia Ferroviaria per Verona ed il Trentino Alto Adige, in persona del Ministro pt, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura dello Stato di Trento, domiciliata in Trento, Largo Porta Nuova, 9;
per l’annullamento
della richiesta di restituzione di emolumenti asseritamente indebitamente percepiti, nella misura di Euro 29.028,47, di cui alla determinazione dd. 8.4.2012 (rectius: 2013), prot. n. 2.2/1904 del dirigente del Compartimento di Polizia ferroviaria (Verona e Trentino Alto Adige) della Polizia di Stato, ricevuta dal ricorrente a mezzo raccomandata A.R. in data 17.4.2013 unitamente a prospetto dd. 5.4.2013;
nonchè della nota n. 333-D/49822 dd. 28.6.2012, richiamata dalla detta determinazione, ed inoltre, per quanto dovesse essere ritenuto di ragione, di ogni altro atto connesso e/o presupposto, emesso dalla resistente o da altra amministrazione, anche se non noto al ricorrente;
e per l’accertamento che nulla è dovuto dal ricorrente all’Amministrazione a titolo di ripetizione di somme percepite in corso di aspettativa per dottorato di ricerca;
nonché per la condanna dell’Amministrazione al versamento in favore del ricorrente della tredicesima mensilità per l’anno 2012, indebitamente trattenuta, oltre ad interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, Polizia di Stato – Compartimento di Polizia Ferroviaria per Verona ed il Trentino Alto Adige;
Vista la memoria con domanda riconvenzionale depositata dall’Amministrazione resistente il 20 settembre 2013;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice designata nell’udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2014 la Consigliere [#OMISSIS#] Pantozzi Lerjefors e udito, per la parte ricorrente, l’avv. F. Dagostin;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è stato dipendente della Polizia di Stato, in qualità di assistente di Polizia, sino a cessazione del servizio, su domanda, con decorrenza 30 giugno 2012 (ultima sede di servizio presso la Sezione Polfer di Bolzano).
Durante il rapporto di lavoro, il ricorrente è stato ammesso, senza borsa di studio, ad un dottorato di ricerca presso l’istituto di Integrazione Europea e Scienze politiche dell’università della Repubblica Moldava, con durata quadriennale, a partire dal 1° novembre 2010 (doc. 4 del ricorrente).
In data 5 agosto 2010 il ricorrente presentava all’Amministrazione di appartenenza istanza per la concessione di aspettativa retribuita per dottorato di ricerca, ai sensi dell’art. 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476.
Con decreto del Reggente del Compartimento Polfer del 30 ottobre 2010 il ricorrente veniva collocato in aspettativa dal 1° novembre 2010, per la durata del corso di studi, sino al 31 ottobre 2014, con conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento (doc. 5 del ricorrente).
In data 7 maggio 2012 il ricorrente (dovendo valutare, per ragioni personali, se recedere dal rapporto di lavoro), chiedeva all’Amministrazione se, in caso di cessazione del rapporto, fosse tenuto a restituire gli importi percepiti durante il periodo di aspettativa a titolo di trattamento economico, previdenziale e di quiescenza (doc. 6 del ricorrente).
La Direzione Centrale per le Risorse Umane, in data 28 giugno 2012, esprimeva il parere che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima del conseguimento del titolo di studio accademico, il lavoratore è tenuto a restituire gli importi percepiti dall’Amministrazione, richiamando un parere dell’Avvocatura Generale dello Stato del 2011 (doc. 7 del ricorrente).
In data 17 aprile 2013 il ricorrente riceveva dall’Amministrazione il CUD 2013. Nella lettera accompagnatoria, l’Amministrazione gli chiedeva il pagamento dell’importo di Euro 29.028,47, facendo riferimento alla sopra citata nota della Direzione Centrale per le Risorse Umane, che era stata notificata al ricorrente il 3 settembre 2012. La nota specificava anche che “questo Ufficio ha provveduto ad incamerare, al netto, la somma Euro 686,79 (lordo Euro 1064,18 – RAP Euro 123,37 – imponibile IRPEF Euro 940,81), relativa alla tredicesima mensilità anno 2012” (doc. 1 del ricorrente).
A fondamento del ricorso il signor Hristidis Michail ha dedotto i seguenti motivi:
1. “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 della L. 476/1984”;
2. “Violazione dell’art. 12 delle preleggi (codice civile, disposizione sulla legge in generale);
3. “Violazione dell’art. 14 delle preleggi (codice civile, disposizioni sulla legge in generale);
4. “Violazione dell’art. 9 della Costituzione”;
5. “Violazione dell’art. 3 della Costituzione”;
6. “Eccesso di potere per sviamento”;
7. “Eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti”;
8. “Eccesso di potere per difetto di motivazione”;
9. “Eccesso di potere per disparità di trattamento”.
Il ricorrente ha chiesto, inoltre, che sia accertato che nulla è dovuto da parte sua all’Amministrazione a titolo di ripetizione di somme percepite in corso di aspettativa per dottorato di ricerca e che l’Amministrazione sia condannata a versare la tredicesima mensilità per l’anno 2012, indebitamente trattenuta dall’Amministrazione, oltre ad interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso, siccome infondato.
All’udienza in camera di consiglio del 23 luglio 2013, su richiesta della parte ricorrente, la discussione dell’istanza cautelare è stata rinviata al merito.
Con separata memoria, notificata al ricorrente l’11 settembre 2013 e depositata il 20 settembre 2013, l’Amministrazione ha chiesto, in via riconvenzionale, che sia accertato il suo diritto alla ripetizione dell’indebito per cui è causa, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento dell’importo di Euro 29.028,47 o di quello maggiore o minore che risulterà di giustizia, oltre agli interessi legali.
Nei termini di [#OMISSIS#] le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive difese. All’udienza pubblica del 19 febbraio 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Con ordinanza n. 25/14, depositata il 19 febbraio 2014, il Collegio ha rigettato l’istanza cautelare presentata in via incidentale dal ricorrente.
DIRITTO
1. Il ricorso principale è infondato.
E’ opportuno precisare, anzitutto, che la controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di “rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico” (art. 133, comma 1, lett. i, cpa), avendo per oggetto la pretesa di restituzione di somme, che l’Amministrazione ritiene indebitamente percepite da parte di un ex dipendente delle Forze di Polizia. Ne consegue che la cognizione del giudice investe direttamente il rapporto tra le parti, la spettanza del bene della vita controverso.
Ciò chiarito, va richiamato il testo dell’art. 2, comma 1, della legge 13 agosto 1984, n. 476 (come da ultimo modificato dall’art. 5, comma 1, lett.a, del D. Lgs 18 luglio 2011, n. 119), posto dall’Amministrazione a fondamento della richiesta di ripetizione: “Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, cessi il rapporto di lavoro o di impiego con qualsiasi amministrazione pubblica per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. Non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, nè i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo. I congedi straordinari e i connessi benefici in godimento alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono mantenuti”.
Il ricorrente afferma che, in base alla diposizione sopra richiamata, l’Amministrazione sarebbe legittimata a chiedere la ripetizione delle somme erogate a titolo di trattamento economico, previdenziale e di quiescenza solo quando il rapporto di lavoro cessi dopo il conseguimento del dottorato di ricerca (nel caso esaminato, le somme erogate non sarebbero invece ripetibili, in quanto il rapporto di lavoro è cessato prima del conseguimento del dottorato).
Il Collegio ritiene che, al di là del suo tenore letterale, la norma non possa non essere interpretata in modo logico – sistematico, tenendo conto delle finalità perseguite dal legislatore.
Ebbene, la norma impone all’Amministrazione pubblica il sacrificio del pagamento della corresponsione del trattamento economico e previdenziale al lavoratore ammesso ai corsi di dottorato di ricerca, in assenza di controprestazione lavorativa, ritenendo che il dipendente possa mettere a frutto i suoi studi e la sua formazione non solo a proprio beneficio, in termini di arricchimento professionale, ma anche a beneficio dell’Amministrazione di appartenenza. Si tratta quindi di una norma che deroga al principio generale che lega gli emolumenti all’attività lavorativa effettivamente prestata dal dipendente.
Peraltro, il congedo straordinario per motivi di studio disciplinato dalla norma in esame (che prevede un innegabile vantaggio per il dipendente), non spetta incondizionatamente a tutti i richiedenti, potendo l’Amministrazione negare il congedo, se non compatibile con le sue esigenze.
Va pertanto operato, di volta in volta, un contemperamento del diritto allo studio del pubblico dipendente con le esigenze della pubblica amministrazione (cfr. Cassazione civile, Sez. lav., 1.2.2013, n. 2422)
Ad avviso del Collegio, la cessazione del rapporto di lavoro dopo l’avvenuto conseguimento del dottorato deve ritenersi solo un’ipotesi estrema, che tuttavia non esclude il diritto alla ripetizione in altre ipotesi, in cui, diversamente da quella espressamente indicata dalla norma, l’Amministrazione non sia posta nelle condizioni di poter trarre un beneficio, ancorché futuro ed indiretto, come controprestazione del pagamento del trattamento economico e previdenziale erogato in assenza della prestazione lavorativa del dipendente.
Appare dunque legittima e fondata la pretesa dell’Amministrazione di ripetere le somme erogate al dipendente in congedo sia nel caso in cui la cessazione volontaria del rapporto di lavoro avvenga dopo il conseguimento del titolo di dottore in ricerca, sia nel caso in cui avvenga prima, sia, infine, nel caso in cui, una volta rientrato in servizio, il dipendente non vi permanga per almeno due anni.
Il diritto dell’Amministrazione alla ripetizione degli importi erogati andrebbe comunque riconosciuto, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 2033 cc, in base al quale “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”, anche a prescindere dalla norma espressamente richiamata negli atti e posta a fondamento della pretesa da parte dell’Amministrazione.
2. La domanda riconvenzionale, proposta dall’Amministrazione resistente nei termini di cui all’art. 42 cpa, volta ad accertare il proprio diritto alla ripetizione dell’indebito e ad ottenere la condanna del ricorrente al pagamento del relativo importo, è fondata.
Nel caso di specie ci troviamo indubbiamente di fronte ad una fattispecie di indebito oggettivo, posto che i pagamenti a suo tempo effettuati dall’Amministrazione a titolo di trattamento economico e previdenziale durante il periodo del congedo straordinario per dottorato di ricerca sono successivamente divenuti privi di causa, a seguito della sopravvenuta cessazione volontaria del rapporto di lavoro da parte del ricorrente, per i motivi già ampiamente dedotti sub 1.
Per tutti i motivi esposti, il ricorso principale va rigettato. La domanda riconvenzionale proposta dall’Amministrazione va accolta, con conseguente accertamento del diritto dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente percepite e condanna del ricorrente al pagamento di Euro 29.028,47 (tenuto conto di quanto già incamerato dall’Amministrazione, al netto, a titolo di tredicesima mensilità per l’anno 2012), oltre agli interessi legali.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate dal seguente dispositivo. Il contributo unificato relativo al ricorso principale rimane a carico del ricorrente. Il contributo unificato relativo alla domanda riconvenzionale va posto a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– rigetta il ricorso principale;
– accoglie la domanda riconvenzionale proposta dall’Amministrazione, accerta il diritto dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente percepite e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 29.028,47 (tenuto conto di quanto già incamerato dall’Amministrazione, al netto, a titolo di tredicesima mensilità per l’anno 2012), oltre agli interessi legali.
Il contributo unificato relativo alla domanda riconvenzionale va posto a carico del ricorrente soccombente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bolzano nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Falk [#OMISSIS#], Presidente FF
[#OMISSIS#] Mosna, Consigliere
[#OMISSIS#] Pantozzi Lerjefors, Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Michaeler, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)