Il mobbing nel rapporto di impiego pubblico si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
TAR Toscana, Sez. IV, 18 marzo 2024, n. 303
Il mobbing nel rapporto di impiego pubblico
00303/2024 REG.PROV.COLL.
00771/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 771 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. OMISSIS in Firenze, via A. Lapini, 1;
contro
Università degli Studi di Siena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze, non costituito in giudizio;
Azienda Ospedaliero Universitaria Senese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere il risarcimento danni da lesioni alla propria integrità psico-fisica patiti in conseguenza di condotte discriminatorie e vessatorie subite in ambito lavorativo, integranti una fattispecie di cd. mobbing, sub species di danno biologico, danno morale, danno esistenziale e danno all’immagine professionale e per la condanna dell’Università degli Studi di Siena e/o dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese a corrispondere le somme spettanti a titolo di detto risarcimento del danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Siena e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Senese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2024 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso giunto in decisione il ricorrente ha chiesto l’accertamento del proprio diritto ad ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti, in ambito lavorativo, in conseguenza di condotte asseritamente discriminatorie e vessatorie poste in essere dalle parti resistenti, condotte, secondo il ricorrente, integranti una fattispecie di cd. mobbing.
Sulla base di tali presupposti, il ricorrente ha chiesto la condanna dell’Università degli Studi di Siena e/o dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria Senese al risarcimento del danno biologico, morale, esistenziale e all’immagine professionale.
Il ricorrente, in particolare, ha esposto di essere stato per oltre vent’anni un chirurgo universitario (sino al novembre 2021 quando è stato collocato in quiescenza) di elevate competenza e professionalità, riconosciute a livello nazionale ed internazionale, specializzato nelle operazioni chirurgiche di trapianto di rene che avrebbe effettuato in numero elevatissimo per l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Siena, rendendola una delle principali strutture italiane specializzate in materia.
Il medesimo ha altresì esposto di essere stato nominato, sin dal 2003, direttore della neocostituita Unità Operativa Complessa Chirurgia dei Trapianti, successivamente denominata Unità Operativa Complessa Chirurgia dei Trapianti del Rene, e poi ancora nominato, dal 1° novembre 2018 al 31 giugno 2019, Direttore facente funzione del Dipartimento Attività Integrate di Chirurgia Generale e Specialistiche. E infine di essere stato docente associato dell’Università di Siena e di aver conseguito, nel 2013, l’Abilitazione Scientifica Nazionale per le funzioni di professore universitario di prima fascia, funzioni tuttavia mai esercitate a causa dell’inspiegabile resistenza dell’Università di Siena nel procedere con la chiamata di professori di prima fascia nel settore scientifico disciplinare di suo interesse “Med 18 Chirurgia Generale”, nonostante la presenza, da una parte, di carenze di organico e, dall’altra, della disponibilità di bilancio.
Al riguardo il ricorrente sostiene in particolare che – pur avendo il Consiglio di Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze accertato, fin dal 2014, la necessità di procedere alla programmazione dei ruoli e all’assunzione di nuovo personale per lo svolgimento delle funzioni didattiche – l’istituzione di una cattedra di professore ordinario nel settore “MED 18 Chirurgia Generale” sarebbe stata rimandata nel tempo con l’unico scopo di impedirgli la partecipazione alla procedura selettiva.
Le resistenze dell’Università di Siena a bandire il concorso di professore universitario di prima fascia per la chirurgia generale dei trapianti si sarebbero protratte anche quando, nel 2015, i soli due professori di prima fascia nel settore MED 18 – caratterizzato da “un importante carico didattico-formativo” – sarebbero stati messi in quiescenza.
Tale comportamento dell’Ateneo, secondo il ricorrente, diretto esclusivamente ad impedirgli di divenire professore ordinario, comportamento dunque qualificato come intenzionalmente vessatorio e persecutorio, procrastinatosi sino al suo pensionamento avvenuto nel novembre 2021, gli avrebbe procurato gravi danni alla salute psico-fisica, con manifestazioni a partire dall’anno 2019, emergenti dalle certificazioni mediche, dalle perizie dermatologiche e dalla perizia psichiatrica.
Si è costituita l’Azienda ospedaliero-universitaria Senese eccependo la propria completa estraneità ai fatti oggetto dell’odierno giudizio che riguarderebbero, sul lato passivo, solo l’Università degli Studi di Siena della quale il ricorrente era stato dipendente, avendo egli invece lavorato in regime di convenzione con l’Azienda ospedaliero-universitaria Senese in virtù della disciplina di cui al d.lgs. n. 517 del 1999. Nel merito, l’Azienda, a dimostrazione del fatto di aver sempre premiato la indubbia capacità professionale dell’odierno ricorrente, ha evidenziato di avergli conferito la Direzione della U.O.C. Chirurgia dei Trapianti, di cui era stato ininterrottamente titolare sino al suo collocamento in quiescenza, cioè la direzione di una unità operativa complessa che rappresenterebbe il massimo conferimento di incarico e la massima previsione di carriera anche per i professori ordinari di prima fascia in regime di convenzione con il SSN, e ciò anche da un punto di vista retributivo. Inoltre, nel 2018, l’Azienda aveva conferito al ricorrente l’incarico di Direttore F.F. del D.A.I. Chirurgia Generale e Specialistica.
Si è anche costituita l’Università di Siena contestando la fondatezza in fatto e in diritto del ricorso, ed eccependo, fra l’altro, la mancata allegazione e prova di comportamenti mobbizzanti tenuti ai danni del ricorrente e idonei a giustificare l’azione risarcitoria. L’Università ha fra l’altro evidenziato di aver, nel luglio del 2016, provveduto a bandire un concorso per il SSD MED18 al quale tuttavia il ricorrente non avrebbe partecipato, pur essendo in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale sin dal 2013. Inoltre, l’Università ha eccepito di aver attraversato in quegli anni una grave crisi finanziaria che le avrebbe imposto il blocco delle assunzioni del personale docente e non docente.
In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie conclusive e di replica.
All’udienza del 14 marzo 2024, all’esito della discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Va premesso, in via teorica e generale, che in relazione alla fattispecie del mobbinginvocata dal ricorrente, fattispecie priva di definizione normativa, sono stati elaborati dalla giurisprudenza alcuni principi, con specifica attinenza al rapporto di pubblico impiego, per delinearne gli elementi costitutivi.
Il mobbing nel rapporto di impiego pubblico si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (da ultimo, Cons. Stato sez. II 13 gennaio 2023 n. 467; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12 marzo 2015, n.1282; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III 2 luglio 2018, n. 1643).
In particolare, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati:
a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (cfr. Cons. Stato, sez. III, 1 agosto 2014, n. 4105; sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4135; sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1388).
Dunque, la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito, che è imprescindibile ai fini della concretizzazione del mobbing (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14 maggio 2015, n. 2412).
Conseguentemente, un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16 aprile 2015, n. 1945).
Sul piano processuale la condotta che dà luogo a mobbing deve essere allegata nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi davanti al giudice a dolersi genericamente di essere vittima di un illecito, ovvero ad allegare l’esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice, eventualmente, anche attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti, di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione.
2. Alla luce di tali premesse è evidente come nel caso di specie difetti l’allegazione e la prova degli elementi costitutivi che consentono di ravvisare, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, la fattispecie di mobbing, come delineata dalla giurisprudenza.
3. In particolare, il ricorrente accusa in primo luogo l’Università di Siena di aver dilazionato il più possibile la chiamata di professori ordinari nel settore in cui sarebbe stato gioco forza nominare il medesimo ricorrente, impedendogli di raggiungere la posizione di vertice cui legittimamente aspirava.
4. Dunque, anzitutto si imputa all’Università, non un complesso preordinato di azioni, ma un comportamento di tipo omissivo – consistente nella mancata istituzione di una cattedra di professore ordinario di Chirurgia Generale – che nulla può aver tolto ai riconoscimenti professionali oggettivamente conseguiti dal ricorrente nel corso della sua brillante carriera, ma che gli avrebbe solo impedito di raggiungere la sua massima aspirazione professionale. Un comportamento, peraltro, al quale l’Università non era obbligata, trattandosi di una scelta discrezionale nell’ ane nel quando e condizionata da varie circostanze tra le quali i vincoli di bilancio. Né, corrispettivamente, il ricorrente poteva vantare alcun diritto a conseguire tale avanzamento di carriera, comunque subordinato al superamento di una procedura selettiva.
5. Peraltro, non risulta che i comportamenti contestati alla parte resistente esorbitino dall’ordinaria gestione del rapporto di lavoro in ambito universitario, potendo la medesima situazione del tutto fisiologica di delusione di un’aspettativa di carriera aver interessato altri aspiranti alla medesima o ad altre cattedre, ed essersi verificata innumerevoli volte, in qualsiasi tempo, in altre Università.
6. Dunque non si comprende in che modo tali eventi possano essere inseriti nell’ambito di un “sovrastante ed unitario disegno vessatorio e persecutorio” posto in essere dall’Università esclusivamente e intenzionalmente a danno del ricorrente. Né da quali elementi dovrebbe evincersi la finalità punitiva o persecutoria che avrebbe indotto l’Università a non procedere con la chiamata di professori di prima fascia, nel settore scientifico disciplinare Med 18 Chirurgia Generale, al solo fine di soffocare le aspirazioni di carriera del ricorrente; la cui competenza, al contrario, è stata sempre riconosciuta e premiata anche con l’affidamento dell’incarico di direzione di una U.O.C. .
7. Né peraltro risulta dagli atti di causa che il ricorrente abbia al tempo apertamente e convintamente protestato (se non con un’unica missiva dai toni sommessi) per il comportamento dilatorio dell’Università, attivando tutti gli strumenti giuridici possibili per il superamento della situazione di stallo, o abbia manifestato agli organi della stessa il suo turbamento e la sua estrema afflizione per il mancato riconoscimento del “meritato upgradedi carriera”.
8. Pertanto, nel caso di specie non risulta assolto l’onere probatorio da parte del ricorrente in relazione all’esistenza di una condotta illecita addebitabile all’Università o all’Azienda Ospedaliera e inquadrabile, in base agli elementi distintivi sopra descritti, nell’ambito della fattispecie di mobbing.
9. In ogni caso, non risulta neppure addebitabile all’Università o all’Azienda Ospedaliera un comportamento violativo delle clausole generali della correttezza e della buona fede, non emergendo che la parte resistente abbia potuto in qualche modo ingenerare nel ricorrente un qualsiasi tipo di ragionevole affidamento sul conseguimento da parte sua del posto di ordinario; trattandosi di una circostanza che ovviamente non poteva divenire neppure latamente oggetto di promessa da parte dell’Università. Né comunque la parte pubblica poteva ritenersi vincolata e condizionata nella propria azione da obblighi di attenzione verso la particolare condizione di sensibilità psico-fisica dell’odierno ricorrente e quindi di protezione delle sue aspettative di carriera, perdendo di vista il complessivo e articolato quadro degli interessi pubblici.
10. In conclusione, per le sopra esposte ragioni, il ricorso è manifestamente infondato e perciò deve essere integralmente respinto.
11. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna il ricorrente a rimborsare alle parti resistenti le spese di lite, che si liquidano per ciascuna di esse in complessivi € 1.500,00, oltre oneri accessori se ed in quanto dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute del ricorrente.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:
Omissis, Presidente
Omissis, Consigliere
Omissis, Consigliere, Estensore
L’Estensore OMISSIS
Il Presidente OMISSIS
Pubblicato il 18 marzo 2024