In ambito universitario, nel regime di cui all’art. 1, co. 32, della L. n. 549 del 1995 e poi del D.M. n. 22 del 1998 e dell’art. 23 della L. n. 240 del 2010, le docenze a contratto sono tipici rapporti di lavoro autonomo, coordinato ed eventualmente continuativo, anche quando gli incarichi didattici, che possono comprendere non solo l’insegnamento, ma anche le normali attività accessorie (esami, assistenza alle tesi di laurea; partecipazioni a riunioni di Ateneo; tutoraggi inerenti alla materia), sono conferiti per l’insegnamento di discipline “ufficiali””.
Cass. civ., sez. lav, 9 agosto 2024, n. 22603
Le docenze a contratto sono tipici rapporti di lavoro autonomo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta da
Dott. OMISSIS – Presidente
Dott. OMISSIS – Consigliere
Dott. OMISSIS – Consigliere-Relatore
Dott. OMISSIS – Consigliere
Dott. OMISSIS – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21898/2019 R.G. proposto da OMISSIS, rappresentata e difesa dall’Avv. OMISSIS presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Prati degli Strozzi 22;
– ricorrente –
contro
Università degli Studi di Bari Aldo Moro in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti OMISSIS e OMISSIS, presso i quali è domiciliata come da pec registri di giustizia;
– controricorrente-
avverso la sentenza n. 970/2019 della Corte d’Appello di Bari, depositata il 15.4.2019, N.R.G. 641/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.5.2024 dal Consigliere dott. OMISSIS;
Fatto
RILEVATO CHE
1.
OMISSIS, già docente di ruolo della scuola secondaria superiore, ha agito in giudizio nei confronti dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro esponendo di avere prestato la propria attività di docenza presso quest’ultima fin dal 1993/1994 e poi, anche dopo il prepensionamento dal servizio scolastico ottenuto nel 1995, interrottamente fino all’anno accademico 2006/2007, dapprima (1993 – 1995) nell’insegnamento di Metodologia e determinazioni quantitative d’azienda per il Diploma Universitario in gestione dei servizi turistici da tenersi presso la sede di Foggia, quindi (1995 – 1997), nella materia di Ragioneria Generale ed Applicata I e infine (1997-2007) nel corso di Analisi e Contabilità dei Costi;
la ricorrente, ritenendo la natura subordinata dell’attività svolta, ha agito per ottenere il riconoscimento delle corrispondenti differenze retributive rispetto ai docenti di ruolo, in misura di Euro 299.729,09 o di Euro 229.891,44, e, in subordine, per l’indennizzo rispetto all’arricchimento senza causa;
la domanda è stata accolta dal Tribunale di Bari, nella misura di Euro 299.729,09, ma la sentenza è stata poi riformata, con rigetto delle pretese, dalla Corte d’Appello della stessa città; quest’ultima ha ritenuto in sostanza che:
– fino al 1996/1997 era mancata qualsivoglia attività istruttoria;
– per gli anni successivi, i primi decreti rettoriali si erano fondati sulla facoltà riconosciuta dall’art. 100 del D.P.R. n. 382 del 1980 di coprire in tal modo anche insegnamenti “ufficiali” e poi sul disposto del D.M. 242/1998, secondo cui lo svolgimento di attività di didattica “a contratto” era divenuta forma utilizzabile, a determinate condizioni, sia per le attività didattiche integrative, sia per i corsi ufficiali;
– in ogni caso, già l’art. 1, co. 32, della L. n. 549/1995 aveva consentito di ricorrere ai rapporti a contratto per i corsi ufficiali non fondamentali o caratterizzanti;
– le docenze a contratto non potevano essere assimilate alla docenza universitaria “di ruolo”, perché mancavano i tratti specialistici di quest’ultima, sotto il profilo della ricerca e dell’esclusività, non bastando la sola attività di docenza a riportare in ambito di subordinazione;
– l’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c. non poteva trovare accoglimento, perché le attività asseritamente estranee ed ulteriori rispetto a quelle proprie di un contratto di collaborazione risultavano solo parzialmente provate e comunque erano ricomprese nei contratti di collaborazione d’opera sottoscritti, aggiungendosi che, rispetto ad eventuali attività “ulteriori” non remunerate, l’azione avrebbe dovuto essere quella tipica di cui all’art. 2225 c.c. e non quella residuale di cui all’art. 2041 c.c.;
2.
OMISSIS ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, resistiti da controricorso dell’Università; sono in atti memorie di entrambe le parti;
Diritto
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo adduce la violazione degli artt. 1,2 e del D.M. 242/1998, dell’art. 1, co. 32, della legge n. 559 del 1995, degli artt. 25 e 123 del D.P.R. 382/1980, nonché degli artt. 2094 e 2126 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) con esso si fa rilevare come, secondo la giurisprudenza di questa S.C., nel regime di cui al D.P.R. n. 382 del 1980, il professore a contratto può assumere la posizione di lavoratore subordinato, allorché lo strumento negoziale venga eccezionalmente utilizzato per il conferimento, nei casi previsti, di un insegnamento ufficiale (Cass. S.U., 24 novembre 1993 n. 11609 e Cass, S.U., 12 marzo 2001 n. 98);
su tale premessa, la ricorrente sottolinea come, quanto meno per i primi anni dedotti in giudizio, non sussistesse alcuna normativa che consentisse di opinare diversamente;
quanto alla disciplina dell’art. 1, co. 32, della legge n. 559 del 1995, la ricorrente sottolineava come la docenza a contratto poteva essere attribuita in forme di lavoro autonomo solo in relazione ad insegnamenti “non fondamentali o caratterizzanti” mentre l’insegnamento di Ragioneria Generale e Applicata I (1995-1997) era “fondamentale” e quello di Analisi e contabilità dei Costi era “caratterizzante”;
quanto al D.M. n. 242/1998, la ricorrente evidenziava come esso comportasse la disapplicazione degli artt.25 e 100 del D.P.R. n. 382/1980, ma solo dalla data di entrata in vigore del corrispondente Regolamento di Ateneo che peraltro, se anche fosse stato emanato all’indomani della emanazione del citato D.M., comunque non avrebbe giustificato la stipula di contratti in forma autonoma per gli anni universitari dal 1995 al 1998; il secondo motivo adduce l’omesso esame di fatti decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.) e sottolinea come, a partire dall’anno accademico 1998/1999, fosse stata chiamata a svolgere l’attività senza formali contratti o atti di affidamento degli incarichi, solo successivamente ratificati dopo che la prestazione aveva trovato esecuzione; oltre a ciò, la ricorrente segnala come fossero state sempre svolte attività di ricevimento studenti, tenuta sessioni di esame anche in insegnamenti diversi, assistenza alle redazioni delle tesi di laurea, tutoraggi e guide per attività esterne e partecipazione al Consiglio dei Docenti oltre all’attività di ricerca, trasfusa nelle pubblicazioni allegate;
2.
i due motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro connessione;
3.
sul piano giuridico va preso atto che il D.P.R. n. 382 del 1980 è stato inteso, almeno fino a quando non sono intervenute le modifiche normative di cui si dirà, da Cass. S.U.,24 novembre 1993 n. 11609 e poi confermato da Cass, S.U., gennaio 2001 n. 98, nel senso che il rapporto “a contratto” è di natura subordinata allorché lo strumento contrattuale venga eccezionalmente usato per il conferimento dell’incarico di un insegnamento ufficiale, nei previsti casi di università non statali (art. 6, terzo comma, legge n. 28 del 1980) o di nuova istituzione di facoltà o corsi di laurea (art. 100, primo comma, lettera d, D.P.R. 382/80) o di attivazione di corsi vacanti, in attesa della prima tornata dei giudizi di idoneità per professore associato (art. 116 dello stesso D.P.R. 382/80);
3.1
la normativa tuttavia avuto un’evoluzione, in quanto con l’art. 1 co. 32 della L. n. 549 del 1995 in vigore dal 1.1.1996, si è intanto previsto che “i contratti con studiosi od esperti di alta qualificazione scientifica o professionale previsti dall’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, possono, nei limiti delle disponibilità di bilancio delle università e per sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche, essere stipulati anche per l’attivazione di corsi ufficiali non fondamentali o caratterizzanti, nei casi e nei limiti stabiliti dallo statuto”;
il senso innovativo della norma è quello per cui il conferimento di incarichi di docenza ai sensi dell’art. 25 non riguardava più la sola didattica integrativa o i casi eccezionali di cui alla citata giurisprudenza, ma in generale anche corsi “ufficiali”, purché non fondamentali o caratterizzanti;
il che, ampliando il novero dei casi in cui è ammesso ricorrere a docenza a contratto rispetto ad insegnamenti “ufficiali” ed anzi generalizzandone la possibilità sebbene con il limite dei corsi non fondamentali o caratterizzanti, sposta definitivamente il rilievo da attribuire alla caratteristica dell’insegnamento, se ufficiale o meno, da elemento qualificante del rapporto con il docente a misura organizzativa;
come è normale che sia, in quanto dal punto di vista giuridico è evidentemente la coerenza del rapporto con la struttura tipica della figura di riferimento a consentire di concludere per la corrispondenza tra l’incarico “a contratto” e quello del professore o docente universitario di ruolo, comportando così la necessità di un pari trattamento;
d’altra parte, trova così risoluzione quella difficoltà di conciliazione che già Cass., S.U, 11609 cit. – pur poi concludendo diversamente per la normativa dell’epoca – per certi versi riconosceva esservi tra la subordinazione ed il “tipo contrattuale” della docenza a contratto, di cui agli artt. 6,1 comma, L. 28/80 e 25 D.P.R. n. 382 del 1980;
ciò con la conseguenza che, se anche sia attribuito l’insegnamento “a contratto” per un corso “ufficiale”, ma in ipotesi fondamentale o caratterizzante, non è da tale dato che si possa desumere il mutamento del tipo contrattuale, che resta una docenza non di ruolo e di carattere autonomo;
3.2
il percorso evolutivo si è poi ulteriormente attuato con il D.M. n. 242 del 1998, che ha superato, con effetto dall’adozione dei Regolamenti di Ateneo, il disposto degli artt. 25 e 100 cit., non ritrovandosi più a quel punto nel sistema normativo una limitazione alla possibilità di ricorrere a quelle docenze per gli insegnamenti su corsi “ufficiali”;
come rileva anche la giurisprudenza amministrativa è divenuta quindi “irrilevante ai fini qualificatori la distinzione tra insegnamenti ufficiali e integrativi: trattasi di differenziazione pure valorizzata dall’art. 25 D.P.R. n. 382 del 1980, che, tuttavia, non era più presente già nell’art. 1 D.M. n. 242 del 1998, che legittimava l’utilizzo del contratto d’insegnamento anche in relazione ai corsi di diploma universitario, di laurea e di specializzazione e non solo per lo svolgimento delle attività didattiche integrative, senza che ciò potesse determinare la qualificazione di un rapporto di lavoro subordinato” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 novembre 2022, n. 9872);
3.3
proseguendo nella disamina normativa, nulla sposta nel sistema l’art. 1, co. 10, della legge n. 30 del 2005 (poi abrogato dalla legge n. 240 del 2010, di cui si dirà), che consentiva l’attribuzione di incarichi di insegnamento gratuiti o retribuiti, anche pluriennali a soggetti muniti di adeguati titoli o esperienza di ricerca; così come nulla muta il co. 14, del medesimo art. 1 (anch’esso poi abrogato dalla legge n. 240 cit.), che ha riconosciuto la possibilità di attribuire incarichi di didattica integrativa, con il trattamento del ricercatore confermato;
3.4
venendo infine per completezza alla disciplina della L. n. 240, del 2010 (norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitari), questa S.C. ha già precisato (Cass. 17 luglio 2023, n. 20504) come essa, “all’art. 23, destinato ai contratti per attività di insegnamento, fa riferimento non solo ad esigenze didattiche “integrative”, ma a vere e proprie attività di insegnamento, ove il regime autonomo e soltanto coordinato del rapporto di lavoro, per queste ultime, seppure destinate anche a materie “ufficiali”, trova fondamento nell’ alta qualificazione” degli esperti (co. 1) o nella “chiara fama” dei docenti, studiosi o professionisti stranieri (co.3), destinate inevitabilmente a manifestarsi in forme di docenza non riferibili in alcun modo ad una subordinazione rispetto al datore di lavoro”;
in quella sede si è parimenti aggiunto che “nel caso (co.2) di attività didattiche “anche” integrative il tratto diversificante sta nella loro “specificità”, da porre in nesso diretto con la qualificazione scientifica e professionale che giustifica l’attribuzione di incarichi di docenza, previa selezione con “pubblicità degli atti”, in forme munite di autonomia e differenziate rispetto ai compiti propri di un insegnante di ruolo”;
per concluderne, in coerenza con la già menzionata precedente evoluzione del sistema, che “la formulazione della norma evidenzia che si può ricorrere a quest’ultima forma per attività soltanto integrative delle esigenze didattiche (ad es. un seminario), ma al contempo quell’ “anche” consente altresì il ricorso alle forme così regolate per insegnamenti “ufficiali”” senza che ciò muti “la qualificazione giuridica della posizione del professore “a contratto”, anche perché non vi sarebbe ragione che ciò avvenisse, visto che il comma 1 già consente l’attribuzione di docenze su materie “ufficiali” nelle forme del rapporto autonomo”; ciò è stato del resto affermato, con ampiezza di argomenti che qui non è necessario ripercorrere in dettaglio, anche dalla pronuncia in sede di giurisdizione amministrativa già citata, ove si è in definitiva evidenziato come la funzione tipicamente svolta da tali contratti di insegnamento non sia quella di assicurare stabilmente e con forte regime di esclusività la copertura, sotto il contestuale profilo della ricerca e della didattica, di una certa materia di studio, in quanto piuttosto l’impianto della disciplina risulta finalizzato – attraverso se del caso (v. art. 23 co. 2 cit.) selezioni pubbliche e comparative definite dal giudice amministrativo come di carattere “prevalentemente idoneativo su base curriculare”, di tipo ben diverso da quelle per i professori di ruolo – ad “acquisire l’opera di professionalità esterne all’Amministrazione che, in virtù dell’attività già svolta (in via autonoma, secondo modalità imprenditoriali o alle dipendenze di altri soggetti) e, comunque, dell’esperienza pregressa, sono in condizione di fornire il proprio qualificato apporto, utilmente valorizzabile ai fini didattici” (così Cons. Stato, 9872/2013 cit.);
3.5
le pronunce di questa S.C. indicate nel motivo di ricorso sono dunque maturate in un diverso ambito, in cui effettivamente la distinzione tra subordinazione ed autonomia correva secondo il diritto vivente lungo il crinale della veste “ufficiale” o meno dell’insegnamento, ma la disciplina successiva si è evoluto diversamente ed è strutturalmente diversa, realizzando una collocazione del professore “a contratto” più coerente con la natura social-tipica del rapporto – in una logica di valorizzazione del ruolo di cui l’autonomia è espressione e non già svilimento; ciò senza le connotazioni che sono viceversa caratterizzanti della docenza universitaria, quale l’obbligo di ricerca (v. oltre a Consiglio di Stato 9872/2013 cit., anche Consiglio di Stato, sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4947), con anche facoltà di congedi a ciò finalizzati, i c.d. anni “sabbatici” (cfr. art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 382 del 1980 e art. 10 della L. n. 311 del 1958) ed un più rigoroso regime di incompatibilità con attività esterne (art. 6, co. 10, L. n. 240 cit.); la dizione di contratti “di diritto privato” sta dunque proprio a distinguere per legge la figura del professore autonomo “a contratto” sia da forme di lavoro in regime “privatizzato” (come i CEL, che però svolgono attività di collaborazione didattica e non di docenza nella sua pienezza), sia da assimilazioni ai docenti e ricercatori di ruolo in senso stretto, senza che rilevi la destinazione ad insegnamenti anche “ufficiali”;
4.
i rapporti a contratto, se non siano svolti con modalità anomale che comportino il trasmodare in un ambito di reale subordinazione, da accertare in concreto ove si realizzi la perdita di ogni autonomia normalmente propria di quelle docenze, sono dunque prestazioni d’opera intellettuale, eventualmente coordinate e continuative; a determinare la natura di lavoro dipendente non valgono poi di regola le attività meramente integrative dell’insegnamento come la partecipazione agli esami, i tutoraggi o anche la partecipazione Consigli in ambito universitario (v. anche l’art. 2, co. 2, del D.M. n. 242 del 1998 che implicitamente ammette la partecipazione agli organi accademici, escludendola rispetto alle deliberazioni riguardanti posti di ruolo o alla stipula dei rapporti a contratto), trattandosi di mere conseguenze dell’attività di docenza;
5.
venendo su tali basi al caso di specie, va evidenziato come la Corte territoriale, per il periodo fino all’anno accademico 1996/1997 abbia rimarcato la mancanza di qualsivoglia istruttoria circa le concrete modalità di svolgimento degli incarichi, il che rende impossibile anche apprezzare il rientrare di essi in un regime di “ufficialità” o meno o affermare che la sentenza sia errata;
5.1
quanto agli anni successivi ed al corso di Analisi e Contabilità dei Costi, essi rientrano nel diverso assetto della docenza a contratto già delineato dalla L. n. 549 del 1995, rispetto al quale anche l’ipotetica violazione dei parametri di conferibilità degli incarichi non ha rilievo rispetto alla natura del rapporto, che resta autonomo se non conferito a professore di ruolo e non svolto con le caratteristiche proprie del lavoro di quest’ultimo; si è anche detto dell’irrilevanza delle attività accessorie di esami, tutoraggio e partecipazione a Commissioni di Ateneo, salvo per le attività in ipotesi “ulteriori” di cui si dirà rispetto al terzo e quarto motivo;
per quanto riguarda l’attività di ricerca – essa come si è detto effettivamente qualificante – non è decisivo quanto segnalato con il secondo motivo, che contiene un’elencazione di pubblicazioni, di cui una del 1996 in tema di indicatori di prezzi in azienda, una serie -tra il 1993 ed il 1996 – riguardanti valutazioni di borsa e tematiche valutarie e di cambi – una del 1996 riguardante le sofferenze creditorie ed infine una del 2004/2005 riguardante le metodologie di controllo direzionale delle piccole e medie imprese; la ricerca che rileva per un’ipotetica parificazione con i professori universitari non è infatti integrata da una qualsiasi attività di studio o di pubblicazione, dovendosi trattare (v. già anche art. 18 del D.P.R. n. 382/1980) di attività che è certamente libera, ma deve risultare istituzionale e coordinata con l’incarico universitario, profili tutti che restano ignoti nella loro effettiva connotazione in tal senso nel caso di specie, sicché resta insondabile la decisività dei fatti di cui si assume l’omesso esame;
quanto all’esclusività del rapporto, le deduzioni rispetto ad essa su cui fa leva il motivo (pag. 24) sarebbero state svolte in grado di appello e dunque essere sarebbero tardive ed inidonee ad attivare la dinamica processuale di cui all’art. 416, co. 3, c.p.c., senza contare che l’esclusività è un regime giuridico e non certo una situazione di fatto in ipotesi verificatasi in ragione – si può pensare – della condizione di pensionamento della ricorrente; è infine del tutto irrilevante che, per diversi anni, i rapporti si siano svolti senza previa formalizzazione e solo sulla base di ratifica ex post di quanto svolto, in quanto ciò non può certamente mutare la natura dell’attività che non è riportabile a quella di un docente di ruolo;
6.
il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la nullità della sentenza per assenza della motivazione (art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c.);
quanto al difetto di motivazione, il motivo lo ravvisa nell’avere la Corte di merito affermato che le attività “ulteriori” sarebbero state solo parzialmente provate, senza precisare quali sarebbero state dimostrate e quali no;
quanto all’omesso esame di fatti, la censura sottolinea la partecipazione della ricorrente a sessioni di esami di altre materie, ai tirocini esterni ed alla redazione delle tesi di laurea;
il quarto motivo adduce invece la violazione dell’art. 25 del D.P.R. n. 382 del 1980, anche in relazione all’art. 2041 c.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2225 c.c.;
la censura è sviluppata sostenendo che le attività accessorie, con particolare riferimento alle sessioni di esame di altri insegnamenti o ai tirocini esterni, non rientrerebbero nel contratto di docenza di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 382 del 1980 e che dunque sarebbe errata la ricomprensione di esse nel rapporto di docenza a contratto operata dalla Corte di merito, tanto più a fronte dell’impegno sistematico e continuativo rispetto ad esse che giustificava l’azione ex art. 2041 c.c.;
6.1
i motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione e vanno disattesi;
già si è detto come le attività accessorie (esami, tesi di laurea, tirocini riguardanti la materia) rientrino nell’ambito del contratto di docenza;
rispetto ad eventuali attività ulteriori ed eccedenti la docenza (tra cui ad es., secondo la ricorrente, l’assistenza ad esami di altre materie), ammesso e non concesso che la collaborazione reciproca tra le diverse cattedre di insegnamento non rientri nell’ambito della docenza a contratto, la Corte territoriale sviluppa plurime ed autonome rationes decidendi, consistenti nella solo parziale prova, nel rientrare di esse nel rapporto di docenza a contratto e comunque nel fatto che, semmai, per le attività realmente “ulteriori”, sussisteva l’azione di adempimento contrattuale ai sensi dell’art. 2225 c.c. e non quella di arricchimento; quest’ultima argomentazione – tale per cui lo svolgimento di attività ulteriori comporterebbe il sorgere di diritti a titolo di lavoro autonomo da azionare in via di adempimento contrattuale – è in sé corretta e, data l’autonomia ed autosufficienza di essa come ratio decidendi, la stessa risulta assorbente rispetto ad entrambi i motivi in esame;
non può infatti dirsi che una domanda nel senso appena detto rientri nell’ambito della più ampia pretesa alla generale parificazione al professore universitario, necessitando, una tale pretesa, non solo l’identificazione esatta delle singole attività eccedenti, ma anche la richiesta di loro specifico ed autonomo pagamento, il che identifica una domanda munita di una sua autonomia che la Corte territoriale ha ritenuto non proposta; del resto, rispetto a tale ratio decidendi, i motivi non contengono una reale replica, perché nulla è detto in proposito di specifico, se non che in ragione di quelle attività era errato il rigetto della domanda ex art. 2041 c.c., come poi esplicitato proprio in tali termini nel principio di diritto proposto in chiusura del quarto motivo;
quest’ultimo rilievo non è però condivisibile;
infatti, se era possibile svolgere azione contrattuale allo specifico titolo di quelle singole attività eccedenti, non poteva esservi, data la sussidiarietà sancita dall’art. 2042 c.c., azione ex art. 2041 c.c.; null’altro i motivi dicono di decisivo su tale ratio decidendi della Corte territoriale e ciò è assorbente e sufficiente al rigetto della pretesa in parte qua;
7.
il ricorso va dunque integralmente rigettato;
8.
va infine espresso, a completamento di quanto statuito da Cass. 20504/2023 ed in sostanziale convergenza con la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il seguente principio di diritto: “In ambito universitario, nel regime di cui all’art. 1, co. 32, della L. n. 549 del 1995 e poi del D.M n. 22 del 1998 e dell’art. 23 della L. n. 240 del 2010, le docenze a contratto sono tipici rapporti di lavoro autonomo, coordinato ed eventualmente continuativo, anche quando gli incarichi didattici, che possono comprendere non solo l’insegnamento, ma anche le normali attività accessorie (esami, assistenza alle tesi di laurea; partecipazioni a riunioni di Ateneo; tutoraggi inerenti alla materia), sono conferiti per l’insegnamento di discipline “ufficiali””.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre alle spese generali in misura del 15 % ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 21 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2024.