N. 08510/2024REG.PROV.COLL.
N. 00474/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio -OMISSIS-, -OMISSIS-;
contro
-OMISSIS-, in persona del -OMISSIS- pro tempore, rappresentata e difesa dall’-OMISSIS-, domiciliata in -OMISSIS-;
per la riforma
della sentenza del -OMISSIS- (-OMISSIS-) n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’-OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2024 il Cons. OMISSIS e uditi per le parti l’avvocato -OMISSIS- e l’avvocato dello Stato -OMISSIS-;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’appellante, professore associato in regime di tempo pieno presso il -OMISSIS- dell’-OMISSIS- degli Studi di -OMISSIS-, ha impugnato la sanzione della destituzione dal servizio senza perdita del diritto a pensioni ed assegni comminatagli dal -OMISSIS- con provvedimento del -OMISSIS-, su parere vincolante espresso dal -OMISSIS-.
La destituzione era fondata sull’addebito di due distinti illeciti disciplinari ovvero l’assunzione del ruolo di professore associato presso l’-OMISSIS- e lo svolgimento di attività libero professionale incompatibile con la posizione di professore associato a tempo pieno ricoperta presso l’-OMISSIS- di -OMISSIS-.
Con la sentenza impugnata il -OMISSIS- per l’-OMISSIS- respingeva il ricorso sul rilievo che fosse provato lo svolgimento da parte del ricorrente, presso l’-OMISSIS- nel periodo -OMISSIS-, dell’attività di docente (-OMISSIS-) non autorizzata né formalizzata in specifica convenzione con l’-OMISSIS- ai sensi dell’art. 6 c. 11 legge 240 del 2010, concretantesi in attività di ricerca e didattica così come la percezione per tale attività di retribuzione pari a 2.644,00 euro mensili e l’esercizio dell’attività libero-professionale in forma societaria o associata, incompatibile con il ruolo di professore a tempo pieno e che la sanzione disciplinare era proporzionata alla condotta.
Appellata ritualmente la sentenza resisteva l’-OMISSIS- degli studi di -OMISSIS-.
All’udienza del 15 ottobre 2024 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1.Con il complesso motivo di appello l’appellante deduce: errores in iudicando per la violazione degli artt. 25, 95, 97 e 111 Cost., per la violazione dell’art. 6 CEDU, per la violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e degli artt. 1, 3, 6 e 7 della l. n. 241/1990 nonché per la sussistenza del vizio dell’eccesso di potere per difetto e/o carenze istruttorie, per erronea valutazione e/o travisamento dei fatti, per ingiustizia manifesta, per illogicità e irragionevolezza.
1.1.a. L’appellante lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto sussistere la lesione del diritto di difesa per la mancata audizione dinnanzi alla Commissione per il servizio ispettivo.
La censura non è fondata.
Il -OMISSIS- sul punto ha così motivato… prive di pregio sono le doglianze di carattere formale – procedimentale di cui ai primi due motivi di gravame. Posto che il procedimento ispettivo è stato avviato l’-OMISSIS- ed ha durata complessiva di 90 giorni ex art. 6 c. 1 del Regolamento, il prof. -OMISSIS- ha chiesto di essere sentito solamente il -OMISSIS- (ovvero ben 83 giorni dopo) indicando la Commissione la data del -OMISSIS- come indifferibile stante l’incombenza del termine di chiusura del procedimento (-OMISSIS-). Il mancato differimento da parte della Commissione delle date dell’audizione nelle proposte date del -OMISSIS- (quest’ultima peraltro successiva al termine perentorio) non appare dunque lesivo del diritto di difesa, avendo lo stesso ricorrente con la propria condotta dilatoria reso difficoltosa l’audizione.
Ed invero la Commissione per il servizio ispettivo dell’Ateneo ferrarese, con nota rep. n. 9/-OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, avviava il procedimento ispettivo nei confronti dell’odierno appellante; il Prof. -OMISSIS- provvedeva a trasmettere i chiarimenti richiesti dalla detta Commissione mediante l’invio di una memoria a cui faceva poi seguito apposita integrazione documentale.
Il ricorrente chiedeva di essere udito dalla Commissione stessa in ordine alle presunte circostanze contestate il -OMISSIS- e l’audizione veniva disposta per il giorno -OMISSIS- -OMISSIS-.
Il Prof. -OMISSIS- chiedeva, tuttavia, un differimento al fine di poter conferire ed essere assistito dai propri difensori indicando delle date, ovvero quelle del -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- o -OMISSIS- -OMISSIS-. Con e-mail in data -OMISSIS- -OMISSIS- la -OMISSIS- comunicava la propria impossibilità a riunirsi in data diversa rispetto a quella indicata in ragione dell’ormai imminente scadenza del termine legale per la chiusura del procedimento tenuto conto degli adempimenti successivi all’audizione e preliminari a detta chiusura.
In sintesi l’appellante ha chiesto l’audizione 83 giorni dopo l’avvio del procedimento ispettivo e dalla data in cui gli era stato comunicato che avrebbe potuto chiedere di essere udito e una settimana prima della scadenza del termine perentorio per la conclusione del procedimento.
Nonostante ciò è stata disposta la sua audizione per il -OMISSIS- ma il ricorrente non si è reso disponile a causa della allegata indisponibilità del suo difensore.
La Commissione per il -OMISSIS-, riunitasi in data -OMISSIS- -OMISSIS- verificava ancora una volta l’impossibilità di accogliere le date proposte dal Prof. -OMISSIS-, una delle quali addirittura successiva al termine perentorio di conclusione del procedimento ispettiv, prendeva atto della decisione dell’interessato di non comparire alla seduta di audizione prevista per il giorno stesso.
La Commissione proseguiva quindi con la disamina degli atti relativi alla posizione del Prof. -OMISSIS- e, alla luce della documentazione trasmessa e delle verifiche effettuate, disponeva di procedere con la segnalazione al -OMISSIS- -OMISSIS- ed al -OMISSIS- per l’adozione degli eventuali conseguenti provvedimenti, deliberando pertanto la chiusura del procedimento ispettivo.
Il procedimento ispettivo e quello disciplinare attivati dalla -OMISSIS- di -OMISSIS- sono due distinti procedimenti. Il primo ha una finalità prettamente investigativa e serve, attraverso una indagine amministrativa, a verificare, se una notizia di un fatto – che potrebbe avere rilievo disciplinare – abbia un fondamento tale da giustificare l’avvio di un eventuale procedimento disciplinare che inizia solo con una contestazione di addebito. Si tratta, proprio per tali ragioni, di due procedimenti gestiti da organismi diversi (la -OMISSIS- l’uno, il -OMISSIS- l’altro), aventi diverse finalità (di accertamento e controllo l’uno e sanzionatorio l’altro), disciplinati da diverse normative (art. 1 comma 62 16 della legge 662/1996 e Regolamento per il funzionamento del servizio ispettivo l’uno, RD 1592/1933, Legge 240/2010, -OMISSIS- l’altro) e aventi ognuno uno specifico procedimento ed una propria conclusione (segnalazione di irregolarità al -OMISSIS- e -OMISSIS- l’uno, parere vincolante in merito alla sanzione con conseguente delibera del Consiglio di Amministrazione l’altro).
Ne consegue che non può ipotizzarsi in tesi nessuna lesione del diritto di difesa prima del procedimento disciplinare e prima che si sia formulato un addebito o una incolpazione.
La circostanza, poi, che, durante le indagini amministrative, non abbia avuto luogo la audizione personale del Prof. -OMISSIS- per fatto, peraltro, ascrivibile al ricorrente, è circostanza del tutto inidonea a configurare la lamentata lesione del diritto di difesa; d’altra parte che in quella fase nessuna norma la rendesse obbligatoria emerge anche dal tenore della comunicazione di avvio del procedimento ispettivo che informava della facoltà e non dell’obbligo della Commissione di ascoltare il soggetto che ne avesse fatto richiesta.
1.1.b L’appellante censura, in relazione alla violazione del diritto di difesa anche un’ulteriore affermazione della sentenza impugnata: “… il -OMISSIS- (non sarebbe) tenuto a compiere ulteriore attività istruttoria risultando del tutto vincolato al parere del -OMISSIS-”, evidenziando che il -OMISSIS- non aveva svolto alcuna attività istruttoria funzionale ad avanzare la propria proposta di sanzione, tenuto conto che questa deve essere motivata.
La censura è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi.
La proposta di sanzione formulata dal -OMISSIS- si fonda sulla documentazione e sul materiale istruttorio prodotto all’esito del procedimento ispettivo, che fa parte integrante degli atti a disposizione.
L’attività istruttoria relativa al procedimento disciplinare (audizione, trasmissione di documentazione, ecc.) spetta esclusivamente al Collegio il quale peraltro può liberamente discostarsi dalla proposta formulata dal -OMISSIS- qualora, in esito all’istruttoria medesima, ritenga che il comportamento segnalato non sia meritevole di sanzione o sia tale da richiedere l’applicazione di una sanzione inferiore a quella proposta.
Nella specie la proposta di sanzione formulata dal -OMISSIS- ha determinato l’apertura del procedimento disciplinare di fronte al Collegio il quale ha garantito un completo e regolare contraddittorio, consentendo all’appellato di presentare memorie a difesa e di essere udito alla presenza dei propri legali, come ampiamente dimostrato dalla documentazione agli atti.
Il -OMISSIS- ha infatti correttamente osservato che Diversamente da quanto poi argomentato in ricorso il contraddittorio è stato garantito, oltre che nella suddetta fase ispettiva, dal -OMISSIS- anche nella fase disciplinare, in cui il prof. -OMISSIS- ha presentato memorie a difesa ed è stato ascoltato alla presenza dei propri legali, come documentato negli atti depositati in giudizio, non essendo il -OMISSIS- tenuto a compiere ulteriore attività istruttoria risultando del tutto vincolato al parere del -OMISSIS-.
1.1.c. Con ulteriore censura il ricorrente deduce che il Giudice amministrativo di primo grado, aveva affermato erroneamente nella sentenza impugnata che “come visto la destituzione è stata motivata dalla asserita commissione di due distinti concorrenti illeciti disciplinari ovvero lo svolgimento dell’attività di professore associato presso l’-OMISSIS- nel periodo -OMISSIS- e lo svolgimento dal -OMISSIS- al -OMISSIS- di attività libero professionale incompatibile con la posizione di professore associato a tempo pieno ricoperta presso l’-OMISSIS- di -OMISSIS-”, mentre aveva semmai svolto attività di assistant professor, e non già di associate professor, figura che al più potrebbe eventualmente corrispondere, nell’ordinamento italiano, a quella del ricercatore a tempo determinato.
Quanto all’attività libero professionale evidenziava di avere meramente svolto attività consulenziale ammessa dalla stessa l. n. 240/2010 anche per i docenti universitari a tempo pieno, purché si tratti di attività occasionali e non continuative.
Le censure non sono fondate.
L’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001 recita “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti“.
L’art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010 dispone che “I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza“.
La successiva norma di interpretazione autentica di cui all’art. 9, comma 2-ter, del d.l. n. 44/2023 ha previsto che “Il primo periodo del comma 10 dell’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, con specifico riferimento alle attività di consulenza, si interpreta nel senso che ai professori e ai ricercatori a tempo pieno è consentito lo svolgimento di attività extra-istituzionali realizzate in favore di privati o enti pubblici ovvero per motivi di giustizia, purché prestate senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento, fermo restando quanto previsto dall’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214“.
Il regolamento di Ateneo è conforme alla legge di rango primario, prevedendo anch’esso la previa instaurazione del procedimento autorizzatorio rispetto allo svolgimento dell’incarico.
Anche la legge 30 dicembre 2010, n. 240, recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario” (cd. Legge Gelmini), nel disciplinare lo stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo (art. 6), prescrive il previo esperimento della procedura di autorizzazione.
Nello specifico, il comma 10 prevede che “I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza“.
1.1. c.1.Con riferimento alla collaborazione del Prof. -OMISSIS- con l’-OMISSIS- l’appellante evidenzia che le attività consistevano nello sviluppo di attività di ricerca e di scambio scientifico, nello svolgimento di interventi e lezioni di taglio seminariale e nel supporto specialistico per l’elaborazione di tesi, anche dottorali, il tutto sempre su tematiche di interesse scientifico comune.
La collaborazione, tra l’altro, era sempre stata evidenziata dal Prof. -OMISSIS- all’-OMISSIS- di -OMISSIS-, al punto che è stata indicata persino nella propria pagina web istituzionale.
Come già evidenziato l’art. 6 comma 11 delle legge 240/2010 prevede: I professori e i ricercatori a tempo pieno possono svolgere attività didattica e di ricerca anche presso un altro ateneo, sulla base di una convenzione tra i due atenei finalizzata al conseguimento di obiettivi di comune interesse. La convenzione stabilisce altresì, con l’accordo dell’interessato, le modalità di ripartizione tra i due atenei dell’impegno annuo dell’interessato, dei relativi oneri stipendiali e delle modalità di valutazione di cui al comma 7. Per un periodo complessivamente non superiore a cinque anni l’impegno può essere totalmente svolto presso il secondo ateneo, che provvede alla corresponsione degli oneri stipendiali. In tal caso, l’interessato esercita il diritto di elettorato attivo e passivo presso il secondo ateneo. Ai fini della valutazione delle attività di ricerca e delle politiche di reclutamento degli atenei, l’apporto dell’interessato è ripartito in proporzione alla durata e alla quantità dell’impegno in ciascuno di essi. Con decreto del -OMISSIS-, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri per l’attivazione delle convenzioni.
Sulla base del tenore della norma è irrilevante che la collaborazione non fosse una vera e propria libera docenza. Nella specie, infatti. non esiste una convenzione tra l’-OMISSIS- di -OMISSIS- e la TU. Di Delf né la collaborazione era stata in alcun modo autorizzata.
A fronte della posizione rivestita presso l’-OMISSIS- di -OMISSIS-, l’appellante riceveva un compenso mensile di € 2.644,00 cioè una vera e propria retribuzione.
In ogni caso, anche qualora fosse stata posta in essere la convenzione tra i due Atenei, il che non è stato, ciò comunque non avrebbe portato a legittimare una doppia retribuzione, come emerge con chiarezza dall’art. 6 comma 11 della Legge n. 240/2010 ai sensi del quale “La convenzione stabilisce altresì, con l’accordo dell’interessato, le modalità di ripartizione tra i due atenei dell’impegno annuo dell’interessato, dei relativi oneri stipendiali e delle modalità di valutazione”.
Correttamente, dunque, il -OMISSIS- ha ritenuto che Tale attività in quanto non debitamente autorizzata costituisce dunque sicuramente fatto illecito disciplinare connotato da abitualità e gravità ed è passibile di sanzione ai sensi dell’art. 89 R.D. 1592/1933.
11.c.2. Con riferimento all’attività libero professionale, il -OMISSIS- ha osservato che l’atto costitutivo dell’associazione professionale (-OMISSIS- A+U) di cui il ricorrente è socio fondatore richiede che gli associati debbano svolgere l’attività libero professionale esclusiva.
Risulta documentato che l’appellante ha ridotto la propria partecipazione detenuta nello studio -OMISSIS- A+U dal 50% all’1%; tuttavia tale riduzione è stata disposta con atto notarile del 2-OMISSIS- -OMISSIS-, quindi successivamente alla data di chiusura del procedimento ispettivo. Le dichiarazioni dei redditi presentate dal -OMISSIS- al -OMISSIS- dimostrano la percezione di redditi da lavoro autonomo, quale titolare di partita IVA. In più di un’occasione il prof. -OMISSIS- mediante dichiarazioni sostitutive, per altro in un caso rivolte alla stessa -OMISSIS- di -OMISSIS-, ha dichiarato lo svolgimento abituale di attività libero professionale. È vero che, come rilevato in sede ispettiva, il prof. -OMISSIS- non firmava formalmente i progetti, svolgendo attività di supervisione, ma il rilevante ruolo svolto nell’associazione di professionisti unitamente alla percezione nel corso del tempo di redditi di lavoro autonomo è indice sufficiente a comprovare l’esercizio dell’attività libero-professionale in forma societaria o associata. Tale attività libero professionale svolta in forma societaria appare sicuramente incompatibile con il ruolo di professore a tempo pieno, indipendentemente invero dall’entità dei compensi percepiti nell’attività medesima.
Si osservi che il procedimento disciplinare muove le mosse da un esposto, pervenuto al -OMISSIS- dell’-OMISSIS- di -OMISSIS- ealla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- nei confronti del Prof. -OMISSIS- nel quale veniva segnalato che il docente, nominato quale componente della Commissione giudicatrice di una procedura aperta bandita dal Comune di -OMISSIS-, al fine di assumere tale incarico aveva presentato al Comune medesimo in data -OMISSIS- una dichiarazione nella quale affermava di “svolgere abitualmente attività professionale” e di essere in possesso di partita IVA. La prova dello svolgimento abituale di attività libera professionale proviene dunque da una stessa affermazione confessoria dell’appellante in un’autodichiarazione ex D.P.R. 445/2000, con cui il dichiarante riferisce di sue caratteristiche/status personali assumendosi la responsabilità della veridicità di quanto dichiarato.
Nello stesso senso depongono i numerosi progetti indicati all’interno del Curriculum Vitae presentato nell’ambito della “Procedura di selezione per la copertura di n. 1 posto di Professore universitario di prima fascia ai sensi dell’art. 18, comma 1 della Legge 240/2010, Settore Concorsuale 08/D1 – Progettazione architettonica, Settore Scientifico-Disciplinare ICAR/14 – Composizione architettonica e urbana, -OMISSIS-”.
In ogni caso ciò che è vietato dalla legge, per i docenti universitari a tempo pieno, è lo svolgimento di attività libero professionale indipendentemente dai compensi percepiti nell’attività medesima e a prescindere dalle modalità- forma individuale o associata- dell’attività.
Non costituisce una giustificazione la circostanza che la dichiarazione confessoria sia stata resa all’interno di un “modulo “prestampato” che il Comune richiederebbe di compilare esclusivamente allo scopo di inquadrare correttamente la posizione dell’incaricato a fini fiscali e contabili e che “mancando nel detto modulo la casistica specifica “Prof a tempo pieno con partita iva” il Prof. -OMISSIS- aveva semplicemente spuntato l’opzione “con partita iva”, in quanto è onere di chi rilascia una dichiarazione fare in modo che la stessa sia pienamente conforme al vero: anche i moduli prestampati possono essere corretti ed adattati alla situazione reale qualora nessuna delle voci presenti sia adeguata.
Nemmeno rileva il provvedimento di archiviazione emanato dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti all’esito del procedimento disciplinare avviato da tale organo.
Vero che tale provvedimento statuisce che “l’architetto -OMISSIS- non ha esercitato attività libero professionale” Tuttavia dalla lettura integrale del provvedimento stesso emerge che l’”istruttoria” condotta dal Consiglio riguarda unicamente le “delucidazioni in riferimento alla compilazione del modulo prestampato relativo alla procedura di nomina a componente di giuria” (che il Comune di -OMISSIS- richiedeva di compilare al fine di inquadrare la posizione del dichiarante a fini fiscali e contabili) e la violazione dell’obbligo di comunicazione al proprio ordine professionale dell’assunzione di incarichi di giurato ex art. 16 I comma del Codice Deontologico, sicché non appare determinante nell’ambito del presente procedimento.
E’ altresì vero che il Pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione del procedimento aperto per il reato previsto dall’art. 316-ter c.p.,, poi definitivamente disposta dal Giudice per le indagini preliminari con decreto dell’8.04.2024, tuttavia la richiesta di archiviazione del PM non costituisce esercizio dell’azione penale, ma è ad essa alternativa, nel senso che il PM chiede l’archiviazione quando ritiene di non poter promuovere l’azione penale, non disponendo di elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio.
Il decreto di archiviazione di cui agli artt. 409 e 554 c.p.p. non ha carattere giurisdizionale, ma chiude la fase delle indagini preliminari al processo ed impedisce l’avvio del procedimento, nei casi in cui manchino elementi sufficienti a condurlo. A differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata.
2.Con il secondo motivo l’appellante deduce la violazione degli artt. 25, 95, 97 e 111 Cost.; violazione dell’art. 6 CEDU; violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; violazione degli artt. 87 e 89 del r.d. n. 1592/1933 e degli artt. 1, 3, 6, 7, 9 e 10 della l. n. 241/1990; violazione degli artt. 53 e seguenti del d. lgs. n. 165/2001. Violazione del principio di proporzionalità. Irragionevolezza. Eccesso di potere per carenze istruttorie, contraddittorietà, illogicità.
Evidenzia che le sanzioni espulsive della “revocazione” e della “destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni” sono applicabili con esclusivo riguardo a quelle fattispecie che si caratterizzano “ontologicamente” per una marcata gravità della condotta imputabile al soggetto sanzionato, nella specie non sussistente.
3.Con il terzo motivo l’appellante deduce errores in iudicando per la violazione degli artt. 25, 95, 97 e 111 Cost. la violazione dell’art. 6 CEDU, per la violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per la violazione degli artt, 1, 3 e 6 della legge n. 241/1990, per la violazione dell’art. 15 del d.P.R. n. 28/1980, nonché per eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e irragionevolezza.
Le censure suscettibili di trattazione congiunta sono parzialmente fondate, nei limiti che si vanno a precisare.
3.1. Il procedimento disciplinare dei professori universitari trova la sua disciplina prima di tutto nell’art. 10 della Legge 240/2010 che ne fissa nel dettaglio termini e regole procedurali, assegnando la conduzione del procedimento medesimo ad un -OMISSIS- composto secondo modalità definite dallo statuto (v. -OMISSIS-), competente a svolgere la fase istruttoria dei procedimenti disciplinari e ad esprimere in merito parere conclusivo.
Al personale docente universitario si continua ad applicare, in virtù del rinvio operato dall’art. 10, comma 2, legge n. 240/2010, il catalogo delle sanzioni previste dall’art. 87 del T.U. del 1933.
Pertanto, per effetto del rinvio, da intendersi esteso per ragioni sistematiche anche agli artt. 88 e 89 dello stesso T.U. si applicano ai docenti, secondo la gravità delle mancanze, le sanzioni: a) della censura; b) della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno, c) della revocazione; d) della destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni.
Inoltre, occorre fare riferimento al Codice di Comportamento dell’-OMISSIS- di -OMISSIS- che, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 54 comma 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, detta regole di comportamento valide per tutti coloro che intrattengono rapporti con l’Ateneo. L’art. 16 di tale Codice espressamente dispone che “Ai sensi di quanto previsto dall’art. 16 del Codice di comportamento nazionale, la violazione degli obblighi in esso previsti, di quelli previsti dal presente Codice nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal codice nazionale e dal Piano triennale di prevenzione della corruzione, integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio e determina responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare”.
L’art. 89 del Regio Decreto n. 1592/1933 individua espressamente quattro situazioni che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari nei confronti dei docenti, e nello specifico: “a) grave insubordinazione; b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; c) abituale irregolarità di condotta; d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore”. Si tratta di quattro addebiti distinti, l’esistenza di uno solo dei quali è sufficiente per poter giustificare l’applicazione di una sanzione disciplinare.
Nel caso di specie, come risulta espressamente dal verbale del -OMISSIS- del -OMISSIS- -OMISSIS- e dalla delibera del CdA di irrogazione della sanzione, il -OMISSIS- ha riscontrato nel comportamento del Prof. -OMISSIS- la “abituale irregolarità di condotta” derivata dal fatto che il docente, per anni, ha esercitato attività incompatibili con il suo ruolo come docente dell’Ateneo.
Non si tratta pertanto di una censura su atti che ledano la dignità o l’onore del professore.
Né può sostenersi che nella specie potrebbe, al più, rinvenirsi in capo al ricorrente una mera carenza “formale”, consistente nella circostanza per cui questi non abbia previamente richiesto l’autorizzazione a svolgere attività didattica e di ricerca presso l’Ateneo estero.
L’irregolarità ascrivibile in questo ambito al Prof. -OMISSIS- riguarda non solo l’assenza di autorizzazione, ma soprattutto la mancata stipula di una convenzione che consentisse l’attività didattica e di ricerca presso un Ateneo estero; in ogni caso il Ricorrente ha intrattenuto un secondo rapporto di lavoro retribuito e quindi non si tratta di mere irregolarità formali.
Resterebbe comunque lo svolgimento dell’attività libero professionale che ai docenti a tempo pieno è radicalmente vietata, a prescindere da qualsivoglia atto autorizzatorio.
3.2. Passando alla congruità della sanzione, la giurisprudenza di questo Consiglio si è più volte espressa nel senso che la determinazione relativa all’entità della sanzione disciplinare costituisce manifestazione di una tipica “valutazione discrezionale della pubblica amministrazione datrice di lavoro, insindacabile di per sé dal giudice amministrativo – tranne nei casi in cui essa appaia manifestamente anomala o sproporzionata o particolarmente severa” (Cons. Stato, n. 2378/2019 cit.).
Con particolare riferimento al sindacato sulla congruità della sanzione della destituzione, è stato precisato che “il giudice può verificare che l’atto sia sorretto da motivazione adeguata e basata su fatti manifestamente gravi e tali da indurla a considerare i fatti commessi incompatibili con la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego; che il provvedimento punitivo è illegittimo se manca una sufficiente connessione logico-giuridica tra le responsabilità effettivamente accertate, la motivazione dell’atto e la sanzione adottata” (Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 449, richiamata nell’ambito della menzionata sentenza n. 2378/2019).
A proposito della congruità della motivazione di siffatto provvedimento, il Consiglio di Stato ha chiarito che il giudice, pur non potendo sostituire la propria valutazione a quella della p.a. che esercita il potere disciplinare, può verificare che l’atto sia sorretto da motivazione adeguata e basata su fatti manifestamente gravi e tali da indurla a considerare i fatti commessi incompatibili con la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego e che il provvedimento punitivo è illegittimo se manca una sufficiente connessione logico giuridica tra le responsabilità effettivamente accertate, la motivazione dell’atto e la sanzione adottata, che, quando le mancanze disciplinari possono dar luogo all’irrogazione di diverse sanzioni, la pubblica amministrazione datrice di lavoro deve specificare adeguatamente le ragioni in virtù delle quali ritiene d’irrogarne una, piuttosto che l’altra, previo esame di tutti gli elementi, che, quindi, l’ordinamento impone che vi sia adeguatezza tra illecito ed irroganda sanzione (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2002 n. 449).
Nel caso di specie, il provvedimento del CdA n. -OMISSIS-/-OMISSIS- del 27/07/-OMISSIS- che irroga la sanzione, contiene una dettagliata motivazione in merito agli addebiti contestati al Prof. -OMISSIS-, ed è corredato dal verbale n. 5/-OMISSIS- relativo alla seduta del -OMISSIS- -OMISSIS- del -OMISSIS- che riporta l’iter fattuale a sostegno dell’irrogazione della destituzione.
Tuttavia il parere reso dal Consiglio di disciplina, non motiva se non genericamente sulle ragioni in base alle quali è stata scelta la sanzione massima espulsiva.
Il parere si limita ad evidenziare “Alla luce di tutti gli elementi emersi che portano ad affermare che la condotta del prof. -OMISSIS- non è rispettosa degli obblighi normativi sopra dettagliati, in applicazione del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 della Legge 30 dicembre 2010, n. 240, nonché dell’art. 87 del Regio Decreto 31 agosto 1933 n. 1592, il presente Collegio esprime il proprio parere proponendo di applicare al Prof. -OMISSIS-, Professore Associato, afferente al -OMISSIS- la sanzione disciplinare della “destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni”.
Il provvedimento non contiene alcuna motivazione circa l’adeguatezza tra illecito ed irroganda sanzione e perché si imponesse la sanzione massima espulsiva e perché non fosse sufficiente una sanzione disciplinare minore.
In questo limitato ambito l’appello deve essere accolto e la sentenza riformata, con parziale accoglimento del ricorso di primo grado, fatti salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
In considerazione della particolarità della questione trattata, sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto accoglie l’originario ricorso, fatti salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere, Estensore
OMISSIS, Consigliere