TAR Veneto, Sez. IV, 3 dicembre 2024, n. 2883

Sussiste l'elemento della colpa quando l'Ateneo ha operato con modalità non previste dalla legge

Data Documento: 2024-12-03
Autorità Emanante: TAR Veneto
Area: Giurisprudenza
Massima

Sussiste l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2043 c.c., quando l’Ateneo ha operato con modalità non previste dalla legge, senza fornire adeguata motivazione delle scelte effettuate e sulla base di un’inversione logica e procedimentale tra la decisione di rigetto della proposta di nomina del candidato e la rinuncia al posto messo a concorso.

Contenuto sentenza

02883/2024 REG.PROV.COLL.

01259/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1259 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, Santa Croce 466/G;

contro

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, non costituito in giudizio;
Università degli Studi di Verona, in persona del Rettore in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco,63;

per l’annullamento

1) annullamento dell’atto dell’Università di Verona di assunzione del ricorrente quale professore associato di seconda fascia presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università stessa, non partecipato e non conosciuto, nella parte in cui ne ha stabilito la decorrenza giuridica dal 1.9.19 e non dal 24.4.17, ovvero condanna dell’Università di Verona al risarcimento del danno derivato dalla erronea attribuzione della predetta decorrenza giuridica dell’inquadramento;

2) condanna dell’Università di Verona al risarcimento del danno derivato dalla ritardata assunzione nel posto di professore associato di seconda fascia presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Verona;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 10 settembre 2024 la dott.ssa OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Deduce parte ricorrente che con decreto n. 1849/16 del 9.12.16 il Rettore dell’Università di Verona indiceva le procedure selettive per la copertura di tre posti di professore associato di seconda fascia da coprire mediante chiamata ai sensi dell’art. 18 comma 1 L. 30.12.10 n. 240 e, tra questi, un posto presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere, Settore Concorsuale Lingua Letteratura e Cultura Francese Settore Scientifico Disciplinare Letteratura Francese.

Alla procedura partecipavano ammessi il ricorrente e la dott.ssa OMISSIS.

All’esito la Commissione riteneva idonei entrambi i candidati, attribuendo al ricorrente il giudizio complessivo sul curriculum e sulle pubblicazioni di “ottimo” e il giudizio complessivo sull’attività didattica e sulla prova didattica parimenti di “ottimo”, mentre alla controinteressata attribuiva il giudizio complessivo sul curriculum e sulle pubblicazioni di “discreto” e il giudizio complessivo sull’attività didattica e sulla prova didattica di “sufficiente”.

In pari data la Commissione formulava quindi una relazione riassuntiva richiamando le operazioni svolte, e il tutto veniva portato all’attenzione del Consiglio di Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere.

Il Consiglio di Dipartimento, raggiunto il numero legale e a scrutinio segreto, sulla proposta del Direttore procedere alla chiamata del ricorrente che aveva riportato la miglior valutazione da parte della Commissione, (con 4 voti favorevoli, 2 voti contrari e 10 voti astenuti), deliberava il non accoglimento della proposta di chiamata del ricorrente, senza però procedere neppure alla chiamata dell’altra candidata.

Il ricorrente quindi con ricorso avanti l’intestato Tribunale RG 1033/17 impugnava la deliberazione del Consiglio di Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere del 24.5.17 se ritenuta conclusiva del procedimento di selezione attraverso il rigetto della proposta di chiamata ovvero, per il caso in cui la citata deliberazione non dovesse essere ritenuta conclusiva del procedimento, chiedeva l’accertamento dell’obbligo dell’Università di concludere il procedimento per la chiamata del ricorrente a ricoprire il ruolo di professore di seconda fascia e la condanna della stessa alla adozione del relativo provvedimento.

Con sentenza n. 364 del 22.3.19 questo Tribunale accoglieva il ricorso rilevando che:

– la proposta di chiamata non poteva essere oggetto di votazione segreta;

– i provvedimenti erano carenti di motivazione in ordine alla mancata chiamata;

– illogicamente era stata disposta la “rinuncia” al posto dopo aver deliberato il mancato accoglimento della proposta di chiamata;

– la rinuncia al posto non era stata approvata nel rispetto del procedimento previsto;

– non erano stati adeguatamente verificati i presupposti dedotti per disporre la soppressione del posto;

– la retroattività dell’annullamento dei provvedimenti imponeva la rinnovazione del procedimento a decorrere dall’ultimo atto valido.

La sentenza veniva trasmessa anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Verona per le valutazioni di competenza.

Con nota 14.5.19 il ricorrente invitava l’Università a dare esecuzione alla sentenza, rinnovando il procedimento dall’ultimo atto valido. L’Università ne disponeva l’assunzione con decorrenza giuridica ed economica a far data dal 1.9.2019.

Con nota 2.10.2019 il ricorrente chiedeva all’Università il risarcimento del danno connesso al mancato conseguimento del trattamento economico e contributivo per il periodo intercorso dalla conclusione del procedimento di selezione e la data di assunzione, quantificato in base alle differenze retributive tra gli importi ad esso spettanti in qualità di professore di II fascia e quanto percepito con gli assegni di ricerca dallo stesso conseguiti.

Con nota 23.10.19 il Rettore respingeva la domanda, da cui il ricorrente afferma di aver avuto notizia per la prima volta che la sua assunzione era stata disposta con decorrenza anche giuridica dal 1.9.2019, e non dalla data in cui l’Università avrebbe dovuto provvedere.

Con il ricorso in trattazione, parte ricorrente chiede conseguentemente:

– l’annullamento dell’atto di assunzione nella parte in cui il prof. -OMISSIS- è stato inquadrato con decorrenza giuridica dal 1.8.2019 e non dalla scadenza del termine dato al Consiglio di Dipartimento per rendere il parere sulla nomina, ossia dal 24.4.2017, data di scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento da parte del Consiglio di Dipartimento degli esiti della valutazione della Commissione;

– in via subordinata, la condanna dell’Università al risarcimento dei danni derivati dalla ritardata assunzione, da calcolare secondo i seguenti criteri: differenze retributive tra la retribuzione spettante quale professore di II fascia e assegni di ricerca percepiti, da calcolare nel periodo compreso tra il 24.4.17 (data di scadenza del termine per il Consiglio di Dipartimento per provvedere alla nomina) e il momento della assunzione (avvenuta il 31.8.2019). La retribuzione spettante quale professore di II fascia è quantificata in € 119.595,00 (pari a 28 mesi e 7 giorni dello stipendio annuo di € 50.831,42, € 4.235,95 mensili), da maggiorare della quota di TFR e degli oneri contributivi. Mentre a titolo di assegni di ricerca il ricorrente ha percepito l’importo netto di € 26.069,29, oltre agli oneri contributivi. In alternativa, chiede che la quantificazione del danno avvenga in via equitativa assumendo come base i predetti importi, dai quali dovrebbe essere detratta una quota forfettaria in considerazione del fatto che il ricorrente medesimo non ha svolto l’attività lavorativa come professore di II fascia. Chiede, inoltre, il risarcimento del danno non patrimoniale, per lo stress subito a causa del mancato soddisfacimento dell’aspettativa (o meglio del diritto) di essere assunto.

Si è costituita l’Università degli Studi di Verona eccependo preliminarmente la irricevibilità della domanda di annullamento dell’atto di nomina nella parte in cui dispone che gli effetti giuridici decorrano dalla data di presa di servizio. Afferma la difesa erariale che la piena conoscenza del provvedimento è stata conseguita dal ricorrente certamente a far data dal 23 luglio 2019 giorno in cui il provvedimento gli è stato notificato. Il ricorso, notificato il 12 novembre 2019, è quindi tardivo.

Ha controdedotto nel merito della domanda risarcitoria, affermando che non sussistono i presupposti per la condanna, non potendosi configurare come colposa la condotta dell’amministrazione. Ha controdedotto, in via subordinata, anche con riguardo alla commisurazione del danno.

Dopo lo scambio di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica del 10.9.2024, dedicata alla riduzione dell’arretrato la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di irricevibilità della domanda di annullamento dell’atto di nomina per la parte in cui ha stabilito la decorrenza degli effetti giuridici a partire dal 1.9.2019. Il petitum sostanziale della domanda, infatti, benchè proposta nelle forme del giudizio impugnatorio, ha consistenza di diritto soggettivo, concernendo questioni, successive all’espletamento della procedura comparativa, riguardanti gli effetti dell’atto di nomina.

Dunque, il fatto che la nomina sia stata impugnata oltre il termine decadenziale previsto per le azioni di annullamento non vale a determinarne l’irricevibilità, poiché la situazione giuridica soggettiva azionata ha consistenza di diritto soggettivo.

2. La domanda di annullamento dell’atto di nomina per la parte in cui ha fissato la decorrenza giuridica solo a partire dal 1.9.2019 e non dal 24.4.2017 (data in cui è scaduto il termine generale di trenta giorni dato al Consiglio di Dipartimento per provvedere alla proposta di nomina del ricorrente a seguito della prima ricezione degli atti da parte della Commissione) è infondata.

La tesi di parte ricorrente muove dal presupposto che, dall’accoglimento del ricorso allibrato al n. 1033/2017, al cui esito è stata emessa la sentenza di questo T.A.R. n. 364 del 22.3.2019, derivasse un obbligo puntuale per l’Amministrazione di procedere alla nomina del ricorrente.

La tesi non è condivisibile. I vizi accertati nella sentenza de qua attengono a difetti motivazionali (approvazione degli esiti della procedura con voto segreto), di istruttoria (difetto di accertamento sulla necessità di sopprimere il posto messo a concorso) e di eccesso di potere per illogicità della scelta operata in concreto (sub specie di inversione procedimentale e logica tra la delibera di non procedere alla nomina del ricorrente e la soppressione del posto per cui concorreva il ricorrente). La sentenza si conclude con l’affermazione dell’obbligo dell’Università di rinnovare il procedimento emendandolo dai vizi dedotti (“Dalla acclarata illegittimità delle deliberazioni avversate, secondo quanto detto supra, e dunque, dalla statuizione di annullamento delle stesse, discende la rinnovazione del procedimento emendata dai vizi riscontrati: in altri termini, l’effetto retroattivo naturalmente connaturato all’annullamento in sede giurisdizionale, comporta, sul piano sostanziale, che l’Amministrazione rinnovi il procedimento a partire dal momento segnato dalla statuizione demolitoria.”), senza ulteriori vincoli in relazione alla nomina del ricorrente, dovendo, piuttosto l’Università procedere a motivare in modo palese le proprie scelte, approfondire le necessità didattiche sottese alla chiamata, determinarsi in modo logico rispetto a tali necessità.

Il giudicato, dunque, non prevedeva un obbligo puntuale di procedere alla nomina del ricorrente, in coerenza con natura discrezionale e tecnico-discrezionale del potere esercitato con la procedura in questione (“le procedure di chiamata dei professori universitari sono scevre da automatismi di sorta, connotandosi per una sequenza procedimentale complessa, che contempla l’apporto necessario del contributo di una serie di organi diversi (commissione, Consiglio di dipartimento, Consiglio di amministrazione, Rettore e Direttore generale), contributo connotato in gran parte da discrezionalità.”, così Consiglio di Stato, Sez. VII, 23 febbraio 2023, n. 1900), residuando in capo all’Amministrazione, all’esito della rinnovazione del procedimento, margini di discrezionalità rispetto alle scelte.

Pertanto la nomina del prof. -OMISSIS- non può esser fatta retroagire al momento della scadenza del termine imposto al Consiglio di Dipartimento per provvedere, poichè lo stadio di sviluppo della procedura, anche a seguito della sentenza di annullamento, si è arrestato in un momento in cui ancora residuavano margini di discrezionalità che avrebbero potuto condurre ad esiti diversi dalla sua nomina. Dunque è solo all’esito del rinnovato procedimento che i presupposti per la nomina del ricorrente sono maturati.

3. Va, dunque, esaminata la domanda subordinata di risarcimento del danno da ritardo nella chiamata, che è fondata.

Per costante indirizzo giurisprudenziale: “Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della Pubblica Amministrazione. Infatti, per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico.” (Consiglio di Stato sez. VII, 20/09/2024, n.7703).

Ad avviso del Collegio, i vizi di legittimità che hanno caratterizzato il segmento di procedura svoltosi innanzi al Consiglio di Dipartimento hanno impedito al ricorrente di instaurare il rapporto con l’Università in qualità di professore di II fascia fin dal 2017 e di godere del relativo trattamento economico quantomeno in termini di elevata probabilità.

Benchè le procedure comparative volte alla chiamata dei professori di seconda fascia siano connotate da discrezionalità tecnica e amministrativa, nelle distinte fasi in cui si articolano, lo stadio delle valutazioni al quale l’Amministrazione era giunta allorché ha deciso di respingere la proposta di nomina del prof. -OMISSIS-, in una con le verifiche successivamente espletate in esecuzione della sentenza di questo T.A.R. n. 364/2019 lasciano emergere con elevata probabilità che, in mancanza dei vizi accertati, il ricorrente avrebbe ottenuto subito la chiamata. Il ricorrente aveva ottenuto dalla commissione giudizi complessivi più lusinghieri rispetto alla controinteressata. Le ragioni del rifiuto di chiamata espressi dai docenti che avevano preso parte alla discussione nel procedimento originario, risiedevano esclusivamente nella critica delle valutazioni tecniche operate dalla commissione, che, tuttavia, non era compito del Consiglio di Dipartimento evocare. L’unica valutazione di tipo ostativo alla chiamata dal ricorrente concretamente argomentata nel corso dell’istruttoria compiuta dal Consiglio del Dipartimento nell’ambito del procedimento originario era da rinvenirsi nel verificarsi delle condizioni – rivelatesi poi inesistenti – per procedere alla soppressione del posto messo a concorso, ossia che per due anni accademici successivi si fossero riscontrate meno di due verbalizzazioni di esami. Nella sentenza n. 364/2019 di questo T.A.R. è stato accertato sia il vizio di eccesso di potere per essere stata operata un’inversione logica tra soppressione del posto e diniego della proposta di chiamata, sia per non essere stati sufficientemente approfonditi i dati numerici relativi agli esami svolti per la disciplina in questione ai fini della verifica dei presupposti per procedere alla soppressione del posto. All’esito della rinnovazione del giudizio espletata in esecuzione del giudicato, è emerso che i dati relativi alle verbalizzazioni degli esami dei corsi di letterature francofone, Littérature francaise 1LM e Littérature francaise 2 LM, per gli anni accademici dal 2014/2015 al 2016/2017 non evidenziavano i presupposti per la soppressione del posto messo a concorso (nel verbale del Consiglio del Dipartimento del 19 giugno 2019, si afferma infatti che: “Si evidenzia che il numero delle verbalizzazioni era tale, a prescindere dalle minime discrepanze registrate, da non implicare la soppressione di alcun insegnamento (prevista su delibera di Ateneo per insegnamenti che registrano meno di tre verbalizzazioni all’anno per due anni consecutivi).”).

Il presupposto dell’antigiuridicità del danno emerge dal giudicato formatosi sulla sentenza di questo T.A.R. n. 364 del 23.2.2019 con cui è stato accolto il ricorso del prof. -OMISSIS- avverso la delibera del Consiglio di Dipartimento con cui è stata respinta la proposta di chiamata dello stesso a ricoprire il posto di professore di seconda fascia.

Sussiste anche l’elemento soggettivo, avendo l’Ateneo operato con modalità non previste dalla legge, senza fornire adeguata motivazione delle scelte effettuate e sulla base di un’inversione logica e procedimentale tra la decisione di rigetto della proposta di nomina del ricorrente e la rinuncia al posto messo a concorso, a sua volta decisa sulla base di dati incompleti e necessitanti di ulteriori verifiche, circostanze tutte inidonee ad esonerare da colpa l’Amministrazione, non essendo riconducibili alle possibili esimenti enucleate dalla costante giurisprudenza: contrasti giudiziari, l’incertezza del quadro normativo di riferimento o complessità della situazione di fatto (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 31 dicembre 2021, n. 8762; id., 4 marzo 2019, n. 1500).

4. Accertata la sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 2043 c.c. (pregiudizio patrimoniale, condotta colpevole dell’amministrazione e nesso di causalità tra l’uno e l’altra) e relativamente al quantum debeatur, non possono che richiamarsi i principi ormai consolidati in giurisprudenza, tali per cui “per quanto concerne le voci di danno correlate alla mancata prestazione di lavoro a causa della ritardata instaurazione del relativo rapporto di servizio, il diritto alla retribuzione presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio; ne consegue che, in caso di mancata assunzione, non possono considerarsi dovute le spettanze economiche, sulla base del parallelismo tra la decorrenza dell’assunzione ai fini giuridici e la decorrenza ai fini economici, ma spetta all’interessato il risarcimento ex art. 2043 c.c. ove ricorrano i presupposti richiesti dalla norma (TAR Lazio, II bis, 30.5.2023, n. 9162; Cons. Stato n. 5128/22; Cass. n. 16665/2020).

In relazione alla quantificazione, poi, il danno non può corrispondere direttamente alle retribuzioni mancate, poiché tale voce di natura economica presuppone, in ogni caso, che il ricorrente abbia effettivamente espletato la prestazione lavorativa, trattandosi di emolumenti che, sinallagmaticamente, prevedono l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio; ai fini della quantificazione del danno risarcibile, quindi, l’entità della mancata percezione della retribuzione in capo ricorrente costituisce solo uno, per quanto il principale, dei criteri di determinazione.” (così, ex multis, T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, 12/03/2024, n.4990).

5. Occorre, dunque, procedere anzitutto alla quantificazione delle retribuzioni nette dovute nel periodo in considerazione per poi applicare ad esso la percentuale di abbattimento che il Collegio ritiene di commisurare in misura non inferiore al 50%, tenuto conto della circostanza che il ricorrente nel periodo in questione, non essendo impegnato nell’attività lavorativa presso l’Università, ha potuto dirigere altrove la propria capacità di lavoro (“la quantificazione per equivalente del danno risarcibile nel caso di omessa o ritardata assunzione di un pubblico dipendente, non si identifica in astratto nella mancata corresponsione della retribuzione per intero, giacché nel periodo di mancata assunzione il soggetto interessato non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative nell’interesse esclusivo dell’Amministrazione, ma ha potuto rivolgerle alla cura di ogni altro interesse; – la reintegrazione piena del patrimonio è ammissibile soltanto se si verifica una interruzione illegittima di un rapporto di lavoro già in essere, ma non anche nel caso di ritardo illegittimo nella costituzione del rapporto di impiego medesimo”. Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 febbraio 2018, n. 1061/18). Da tale importo andrà poi detratto quanto risulti percepito dal ricorrente per l’espletamento di altre prestazioni lavorative.

(“Con riferimento al danno patrimoniale derivante dalla mancata corresponsione della retribuzione, il cd. lucro cessante da mancata assunzione non può corrispondere all’intero importo degli stipendi non percepiti, in quanto ciò si tradurrebbe in un vantaggio eccessivo per l’interessato, il quale nel periodo di mancata assunzione non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative in quell’impiego, potendo rivolgerle alla cura di ogni altro proprio interesse, sia sul piano lavorativo che del perfezionamento culturale e professionale per potere accedere ad altro impiego;

– […] in ogni caso, la reintegrazione patrimoniale deve essere diminuita del cd. aliunde perceptum, cioè di quanto percepito altrove, vale a dire di guadagni per retribuzioni corrisposte da altri o per attività comunque lucrative, in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno (v. C.d.S., Sez. IV, 29 dicembre 2011, n. 6987; Sez. V, 10 maggio 2010, n. 2750; per l’applicazione del principio nel caso della restitutio in integrum, v. C.d.S., Sez. III, n. 616/2018, cit.)”, così Cons. Stato Sez. VII, Sent., (ud. 12/07/2022) 15-07-2022, n. 6038).

Ciò posto, nel caso di specie, il ricorrente ha quantificato il danno patrimoniale nella differenza tra la retribuzione cui avrebbe avuto diritto come professore di II fascia dal 24.2.17, e sino al momento della assunzione, e cioè sino al 31.8.19 (pari all’importo lordo annuo di € 50.831,42, pari a mensili € 4.235,95 per 28 mesi e 7 giorni = € 119.595,00, chiedendo che tale somma sia maggiorata della quota di TFR maturata nel periodo e degli oneri contributivi che l’Università avrebbe dovuto versare) e quanto percepito dal ricorrente dalla stessa Università nel medesimo periodo a titolo di assegni di ricerca pari a netti € 26.069,29, oltre agli oneri contributivi.

Ha chiesto, altresì, la liquidazione del danno non patrimoniale.

L’Università ha contestato la quantificazione avversaria evidenziando che il calcolo delle retribuzioni asseritamente perdute dovrebbe decorrere dal 1.10.2017, data di inizio dell’anno accademico, prima della quale non sarebbe comunque mai stata disposta l’immissione in ruolo. Ha rilevato, altresì, che dal curriculum vitae risulta che nel periodo 24 aprile 2017 – 31 agosto 2019 il ricorrente ha svolto attività lavorative presso altri datori di lavoro, conseguendo emolumenti che pure andrebbero decurtati dal quantum debeatur.

Perviene, in conclusione, ad un importo complessivo di € 22.644,16 derivante dall’importo delle retribuzioni non percepite come professore di II fascia nel periodo 1.10.2017 – 1.9.2019 pari a € 97.426,85 (pari a 4.235,95 x 23 mesi periodo 1.10.2017 – 1.9.2019), decurtato del 50% (= € 48.713,45), nonché delle retribuzioni percepite dall’Università pari a € 26.069,29.

Ha, inoltre, affermato che l’importo debba essere ulteriormente ridotto tenendo conto della concorrente colpa del ricorrente nella causazione del danno, atteso che le scelte processuali espletate nel precedente giudizio hanno contribuito ad allungare il corso del processo e, di conseguenza, l’emanazione del provvedimento con il quale è stata poi disposta la sua assunzione, avendo il difensore di parte ricorrente rinunciato all’istanza cautelare chiedendo il rinvio al merito.

Ha, infine, contestato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per l’assenza di prova del medesimo.

Dalle contrapposte posizioni delle parti, ai fini della quantificazione del danno, il Collegio ritiene, in assenza di opposizione delle parti di procedere alla determinazione dei criteri in base ai quali l’Università dovrà formulare e proporre al ricorrente, entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente sentenza, una proposta di risarcimento del danno patrimoniale subito dal ricorrente. Ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. Amm., infatti, “4. In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti.”.

Incontestati tra le parti l’importo della retribuzione lorda spettante all’epoca ai professori di II fascia e delle somme percepite dal ricorrente a titolo di assegni di ricerca dall’Università, il Collegio ritiene di fornire i seguenti criteri di calcolo del risarcimento:

– il periodo da considerare ai fini del calcolo dell’importo delle retribuzioni nette spettanti alle quale parametrare il danno, tenuto conto anche della natura equitativa del danno, decorre dal 1.09.2017, essendo ragionevole ritenere – in assenza di argomentazioni contrarie da parte del ricorrente – che l’avvio dell’attività lavorativa avrebbe potuto non coincidere con il termine della procedura, mentre sarebbe stata certamente prossima all’inizio delle attività didattiche;

– all’importo delle retribuzioni sarà aggiunto il T.F.R. maturato nel suddetto periodo trattandosi di voce retributiva

– non dovrà, invece, essere computata la contribuzione pensionistica, trattandosi di voce non avente natura retributiva ed essendo correlata all’espletamento dell’attività lavorativa;

– nessuna decurtazione è a disporsi per il comportamento processuale tenuto dalla parte ricorrente nel precedente giudizio, avendo egli proposto la domanda cautelare e deciso di rinunciarvi per ragioni non contestate dall’Amministrazione;

– l’importo così determinato andrà ridotto del 50% e ulteriormente decurtato – oltre che della retribuzione netta percepita dal ricorrente per gli assegni di ricerca conferiti dall’Università resistente – della somma che risulterà essere stata percepita dal ricorrente in relazione allo svolgimento degli incarichi di professore a contratto svolti dal 1.9.2017 alla data dell’assunzione presso la Fondazione UniverMantova, come da curriculum depositato in atti e indicati di seguito;

1) Periodo: 9/10/2017 – 31/12/2017. Professore a contratto di Cultura e Letteratura francese (a.a. 2017/2018, anno II, crediti 6, primo semestre) (L12 Mediazione Linguistica per Traduttori; ssd. L-LIN/03) presso la Fondazione UniverMantova;

2) Periodo: 01/03/2018 (durata di n. 30 giorni effettivi non consecutivi). Professore a contratto di Cultura e Letteratura francese (a.a. 2017/2018, anno II, crediti 6, primo semestre) (L12 Mediazione Linguistica per Traduttori; ssd. L-LIN/03) presso Fondazione UniverMantova;

3) Periodo: 08/10/2018-31/08/2019. Professore a contratto di Cultura e Letteratura francese (a.a. 2018/2019, anno II, crediti 6, primo semestre) (L12 Mediazione Linguistica per Traduttori; ssd. L-LIN/03) presso la Fondazione UniverMantova;

la somma sarà comprovata da parte ricorrente all’Università mediante esibizione dei relativi contratti o altra documentazione idonea a provare l’importo del compenso pattuito, che il ricorrente non ha dichiarato in giudizio, né provato di non aver svolto a titolo gratuito;

– sulle somme così quantificate dovranno essere computati sia la rivalutazione che gli interessi legali “L’obbligazione di risarcimento, infatti, ha natura di debito di valore, sicché la somma a tali fini liquidata deve essere ragguagliata, secondo gli indici Istat, ai valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale. Gli interessi legali vanno computati non già sulla complessiva somma rivalutata bensì su quella originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria (Cass. n. 3894/16).”. (TAR Lazio, II bis, n. 9162/2023).

6. Il danno non patrimoniale lamentato, invece, difetta di sufficiente allegazione e di prova quanto al nesso di riconducibilità causale dello stesso alle vicende dedotte in giudizio e al danno subito. Per costante giurisprudenza, infatti,“Il danno non patrimoniale è risarcibile solo ove sussista da parte del richiedente l’allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio subito: tale onere di allegazione va compiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche, posto che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesioni di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa. Il ristoro del danno non patrimoniale determinato dal comportamento ostruzionistico del datore di lavoro può dunque essere accordato al lavoratore purché sia allegata e provata la concreta lesione in termini di violazione dell’integrità psico -fisica ovvero di nocumento delle generali condizioni di vita personali e sociali e a tal fine non è sufficiente il generico riferimento allo stress conseguente alla suddetta condotta, posto che esso si risolve nell’affermazione del danno in re ipsa.”(Cassazione civile sez. lav., 18/01/2017, n.1185).

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto:

– condanna l’Università degli Studi di Verona a risarcire il danno subito da parte ricorrente per la ritardata assunzione, che sarà liquidato, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., sulla base dei criteri indicati in motivazione;

– dispone che l’Università formuli, sulla base dei detti criteri, la proposta di quantificazione delle somme dovute entro 60 giorni dalla comunicazione, ovvero notificazione, se anteriore, della presente sentenza.

Condanna l’Università degli Studi di Verona al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 2.000,00, oltre accessori se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE OMISSIS

IL PRESIDENTE OMISSIS

Pubblicato il 3 dicembre 2024