I termini di legge che scandiscono i tempi e le fasi del procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari – sia quelli relativi all’avvio della procedura, che quelli riferibili al tempo in cui deve intervenire il parere del Collegio di disciplina, rispettivamente dettati dal comma 2 e dal comma 3 dell’art.10 della L. n.240 del 2010 – hanno tutti natura ordinatoria.
Cons. Stato, Sez. VII, 10 febbraio 2025, 1090
I termini del procedimento disciplinare hanno natura ordinatoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale OMISSIS, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati OMISSIS, con domicilio eletto presso lo studio OMISSIS in OMISSIS;
contro
Università OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Collegio di Disciplina – Sezione per i Professori Associati dell’Università di OMISSIS, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale OMISSIS n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Università OMISSIS;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2024 il Cons. OMISSISi e uditi per le parti gli avvocati.
Viste le conclusioni della parte appellante e dell’Università appellata, come da verbale.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante per l’annullamento del Decreto Rettorale prot. -OMISSIS- che ha eseguito nei suoi confronti la sanzione della destituzione in conseguenza del procedimento disciplinare alla quale è stata sottoposta, oltre a tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti.
A supporto del gravame, la parte espone le seguenti circostanze:
– il procedimento disciplinare di cui si tratta, formalmente iniziato il 19 settembre del 2014, è tornato di recente all’attenzione degli organi dell’Università OMISSIS;
– detto procedimento aveva avuto, all’epoca, un’eco mediatica rilevante, tale da indurre l’interessato, destinatario di una misura cautelare interdittiva di sessanta giorni, a chiedere il giudizio abbreviato;
– il processo penale, conclusosi in unica udienza il 5 maggio del 2015, aveva consentito una rapida conclusione, provocando un sostanziale ridimensionamento della vicenda; tuttavia esso aveva privato l’interessato della più rassicurante tutela offerto dal giudizio penale ordinario, infatti i fatti contestati erano stati esaminati dal giudice nei limiti offerti dalla scelta del rito;
– la parte appellante, conclusosi il periodo di sospensione cautelare, aveva però potuto riprendere la sua attività didattica, di ricerca ed assistenziale, presso il Policlinico convenzionato con il SSN, Dipartimento di -OMISSIS-;
– il rettore non aveva infatti sospeso, in via cautelare, come pure avrebbe potuto, il docente, non avendo riscontrato, nei fatti, i gravi motivi previsti dalla norma (artt.91 e 92 T.U. Imp. Civili dello Stato e art.14 Reg. Ateneo), connessi alla natura del reato contestato ed alla sua particolare gravità, per disporre in tal senso;
– la contestazione di addebiti del 19 settembre del 2014, in cui era sfociata l’attività istruttoria risalente al 13 novembre del 2013, aveva fatto proprio il contenuto della suddetta misura cautelare interdittiva, facendo leva su due capi di imputazione, il primo, per aver effettuato atti contrari alla dignità e all’onore del professore universitario, con riferimento all’uso eccessivo di alcool ed all’offerta di presunte sostanze stupefacenti – non in ambiente universitario, ma nel corso di serate conviviali con colleghi e specializzandi – fatti accertati in sei episodi nel corso di tre anni;
– il secondo fatto era invece contestato per l’irregolare condotta e per la mancanza ai doveri di ufficio, con riferimento allo svolgimento di un contratto di consulenza stipulato con l’azienda farmaceutica -OMISSIS-, svolta dal prefato docente in violazione dell’autorizzazione rilasciata dall’ATENEO;
– la sentenza di primo grado -OMISSIS-, pur ridimensionando il primo capo d’imputazione e ritenendo di lieve entità l’attività criminosa commessa, condannava l’imputato per un delitto dequalificato rispetto al primo capo d’imputazione, ritenendolo invece responsabile dei fatti di cui al secondo capo d’imputazione; in ogni caso gli riconosceva il beneficio della sospensione condizionale della pena, condannandolo al contempo a risarcire il danno cagionato all’Università, determinato nella complessiva somma di euro 50.000,00;
– la sentenza della Corte d’Appello -OMISSIS- dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui al primo capo d’imputazione e confermava la condanna per il secondo capo, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione;
– la Corte di Cassazione annullava senza rinvio la sentenza agli effetti penali, perché anche il secondo reato si era nelle more estinto per prescrizione e rigettava invece il ricorso agli effetti civili, confermando la condanna al risarcimento del danno per euro 50.000,00
– di questi ultimi, euro 22.000,00 corrispondono al compenso ricevuto dalla parte appellante sul presupposto che sarebbero spettati all’Università se l’incarico fosse stato conferito alla stessa, invece euro 28.000,00 erano liquidati all’ente danneggiato per ristorare il danno all’immagine ad esso cagionato, derivante dalla risonanza mediatica dell’aver coinvolto nei fatti contestati specializzandi che a lui facevano riferimento e malgrado – aggiunge l’esponente – non fosse mai stato dimostrato che gli eventi contestati avessero effettivamente prodotto danni all’ordinario svolgimento del percorso formativo che questi ultimi avevano svolto sotto il suo coordinamento;
– in ogni caso, accanto alla sregolatezza dei comportamenti tenuti in un certo periodo della sua vita, oramai del tutto abbandonati, alla parte premeva evidenziare la sua figura di studioso di chiara fama, come dimostrato dal fatto che il suo nome è incluso nella lista Higly Cited Researchers e che le ricerche condotte hanno un notevole indice di impatto, pari a H=96;
– conoscendo l’autonomia esistente tra il giudicato penale e la procedura disciplinare, la parte appellante aveva confidato, nella prima memoria del procedimento riavviato dopo la conclusione del processo penale, nella riapertura di un’istruttoria che si preannunciava prevedibilmente complessa, anche tenendo conto che numerosi soggetti coinvolti non erano stati sentiti nel corso del procedimento penale e si erano invece già espressi in senso favorevole alla sua professionalità di docente e di studioso;
– al contrario, il rettore, con atto del 6 aprile del 2023, ha modificato la contestazione di addebiti, risalente al 9 dicembre del 2013, oppure al 19 settembre del 2014, integrata con atto del 12 novembre del 2019, in addebito di violazione dei doveri di ufficio di estrema gravità, tali da incrinare il vincolo di fiducia posto a fondamento del rapporto di lavoro con l’Ateneo, il che gli ha consentito di aggravare la sanzione richiesta;
– sicché, modificata la proposta di sanzione dell’allora rettore p.t., espressa nel corso dell’udienza disciplinare del 13 novembre del 2014, che aveva chiesto la sospensione del docente dal servizio e dalla retribuzione, il rettore, diversa persona fisica, chiedeva applicarsi, ad un Collegio di Disciplina peraltro composto da tre professori associati, la sanzione della destituzione senza pregiudizio del diritto alla pensione ed agli assegni alimentari;
– proposta che il Collegio di disciplina riteneva proporzionata rispetto al fatto commesso;
– il Consiglio di Amministrazione – malgrado l’eccezione della parte appellante che aveva dedotto l’estinzione del procedimento disciplinare per violazione del termine perentorio di trenta giorni dalla conoscenza dei fatti da parte del rettore – infliggeva la sanzione della destituzione, non considerando che, il rettore, sebbene rappresentato da una diversa persona fisica, avesse, in un primo momento, ritenuto meritevole il fatto commesso di una sanzione di media gravità, come la sospensione temporanea dal servizio, e malgrado tutti i docenti e i ricercatori del Reparto di -OMISSIS- avessero attestato al rettore, il 22 maggio del 2023, che ritenevano che il comportamento tenuto dall’appellante nell’adempimento dei suoi doveri, fosse stato sempre adeguato al contesto, nonché rigoroso nello svolgimento dei suoi compiti.
Non valutando tutte queste circostanze, la sentenza gravata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante per l’annullamento del provvedimento di destituzione e di tutti gli atti connessi e conseguenti.
Avverso la decisione, sono dedotti i seguenti motivi d’appello:
PRIMO MOTIVO: ESTINZIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE PER VIOLAZIONE DEL TERMINE PERENTORIO DI CUI ALL’ART. 10, COMMA 2 DELLA LEGGE 30.12.2010 N. 240. ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI IN TEMA DI PROCEDIMENTO DISCIPLINARE, PER ILLOGICITÀ E CONTRADDITTORIETÀ.
SECONDO MOTIVO: INVALIDITÀ DELL’ART. 10, COMMA 3 DEL REGOLAMENTO D’ATENEO SUL COLLEGIO DI DISCIPLINA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 10, COMMA 2 DELLA LEGGE 30.12.2010 N. 240.
TERZO MOTIVO: VIOLAZIONE DELL’ART. 10, COMMA 5 DELLA LEGGE 30.12.2010 N. 240. INVALIDITÀ DELL’ART. 10, COMMA 4 DEL REGOLAMENTO D’ATENEO SUL COLLEGIO DI DISCIPLINA PER VIOLAZIONE DELLA SUDDETTA NORMA DI LEGGE.
2. Si è costituita in giudizio l’Università OMISSIS, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.
DIRITTO
3. I tre motivi di appello possono essere unitariamente trattati in quanto, anche se da prospettive, e con finalità, parzialmente diverse, mirano tutti a contestare le modalità e soprattutto i tempi nei quali è stato gestito il procedimento disciplinare celebratosi nei confronti della parte appellante.
3.1. Il primo motivo deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata, il titolare dell’azione disciplinare, ossia il rettore dell’ateneo bolognese, aveva avuto precisa contezza dei fatti poi confluiti nell’addebito disciplinare, ben prima della data del 25 settembre del 2024, data in cui decise di avviare formalmente il procedimento disciplinare nei confronti della parte appellante.
3.1.1. Quest’ultima sostiene, in particolare, che sin dal 13 novembre del 2013 l’organo apicale era venuto a conoscenza, in modo circostanziato, dei fatti, il che avrebbe dovuto indurlo all’avvio del relativo procedimento da quel momento; il non averlo fatto avrebbe indebitamente danneggiato l’incolpato
In quella data, infatti, dopo aver già precedentemente ricevuto una segnalazione da parte della Direttrice p.t. della Scuola di Specializzazione di -OMISSIS- dell’Ateneo, il rettore era stato destinatario, sia di un esposto a firma di venticinque specializzandi, che di una nota del nuovo Direttore della scuola di specializzazione che contenevano entrambi una precisa ricostruzione delle condotte addebitate al professor -OMISSIS-; prova ne sia che i fatti, per come ivi riferiti, rifluirono pressoché tal quali, sia nell’imputazione penale di cui all’ordinanza interdittiva emessa dal GIP presso il Tribunale ordinario di Bologna nei confronti del prevenuto circa sette mesi dopo, che nella stessa contestazione di cui all’avvio del procedimento.
Ciò nonostante, il procedimento disciplinare venne formalmente aperto solo il successivo 19 settembre del 2014, ossia quasi un anno dopo che il rettore aveva avuto notizia dei fatti; dunque certamente – assume la parte – ciò sarebbe avvenuto in violazione del termine perentorio di trenta giorni di cui al comma 2 dell’art.10 della L. n.240 del 2010.
3.1.2. A tutto concedere, aggiunge la doglianza in esame, il ridetto termine di trenta giorni sarebbe iniziato a decorrere dal 13 febbraio del 2014.
In quella data, infatti, il rettore – con ciò dimostrando di avere tutti gli elementi a disposizione per avviare il procedimento disciplinare – aveva trasmesso la documentazione acquisita nel corso dell’istruttoria da lui svolta fino a quel momento al Comando Legione Carabinieri Reparto Operativo di Bologna, documentazione dalla quale, in modo ancor più nitido, emergevano i fatti contestati alla parte appellante.
3.1.3. Il sub-motivo al primo motivo d’appello contesta, inoltre, che anche a non ritenere quello di cui al citato comma 2 dell’art.10 L. 240/2010, un termine perentorio, la scelta dell’organo requirente disciplinare di contestare gli addebiti a così lunga distanza dal primo accertamento dei fatti, sarebbe comunque illogica e contraddittoria, per intempestività; infatti, trattandosi di fatti noti che avevano anche avuto risalto mediatico, esigenze di tutela della difesa e di garanzie di speditezza nelle relative verifiche, oltre che di opportunità, secondo l’appellante avrebbero imposto al rettore tempi ben più rapidi di quelli prescelti per l’esercizio del relativo potere.
3.2. Il secondo motivo d’appello lamenta l’illegittimità della sospensione del termine del procedimento disciplinare e, con essa, dell’art.10 del Regolamento di Ateneo per il funzionamento del Collegio di disciplina che la prevede, disposta dal rettore, per il periodo feriale dal 10 al 31 agosto del 2014, per contrasto con i commi 2 e 3 dell’art.10 della L. n.240 del 2010.
Queste ultime disposizioni – prevedendo per l’appunto un termine perentorio di trenta giorni, sia per l’esercizio dell’azione, che per l’emissione del parere da parte del Collegio di disciplina, dopo che quest’ultimo riceve la proposta del requirente – non consentirebbero in nessun caso all’autorità procedente la possibilità di sospendere il procedimento disciplinare, evidentemente a garanzia del diritto dell’incolpato a vedere definita la sua posizione in un tempo ragionevole, e comunque prevedibile.
3.3. Il terzo motivo d’appello, infine – dopo avere ricordato le circostanze sopra-ricordate, che avrebbero dovuto indurre il rettore ad avviare il procedimento disciplinare il 9 dicembre del 2013, o al più tardi, il 13 febbraio del 2014 – chiede dichiararsi l’estinzione del processo per essere vanamente decorso il termine massimo di centottanta giorni, di cui al comma 5 dell’art.10 della L n.240 del 2010, senza che fosse sopraggiunta, in tempo utile, la decisione definitiva in ordine alla sanzione da infliggere, di competenza del Consiglio di amministrazione.
Il che – in tesi, secondo la parte appellante- avrebbe anche impedito all’amministrazione di riavviare, come fece, il procedimento disciplinare – una volta conclusosi quello penale, il 20 marzo del 2023, dopo che, con la sentenza -OMISSIS-, la Cassazione aveva definito la posizione processuale dell’incolpato – per essersi lo stesso estinto ben prima di questi eventi.
4. Tutti e tre i motivi sono infondati.
4.1. La ragione per la quale essi vanno disattesi risiede, prima di tutto, nel convincimento del Collegio che i termini di legge che scandiscono i tempi e le fasi del procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari – sia quelli relativi all’avvio della procedura, che quelli riferibili al tempo in cui deve intervenire il parere del Collegio di disciplina, rispettivamente dettati dal comma 2 e dal comma 3 dell’art.10 della L. n.240 del 2010 – abbiano natura ordinatoria.
4.1.2. Tale convinzione si basa almeno su quattro ragioni, prima delle quali è rappresentata dalla diversa struttura testuale che i citati commi 2 e 3 presentano, rispetto al comma 5 del medesimo articolo 10 L. 240 del 2010, che prevede il termine di centottanta giorni per l’emanazione della decisione disciplinare di competenza del Consiglio di amministrazione. Quest’ultima disposizione, infatti, diversamente dalle prime due, “tipizza” i casi in cui è possibile sospendere il ridetto termine, lasciando così intendere, in via deduttiva, che la relativa previsione ha natura tassativa.
Nessuna delle altre due norme, per contro, contiene previsioni analoghe, il che, in applicazione del criterio interpretativo dell’”ubi lex voluit, dixit” fa propendere per la natura ordinatoria delle indicazioni contenute, sia nel comma 2 che nel comma 3, del ridetto articolo 10.
4.1.3. La suddetta interpretazione, peraltro, in entrambi i casi, trova altresì rispondenza in una considerazione logico-sistematica, evincibile dalla complessiva ratio dell’ordito normativo in esame; infatti sia al momento della decisione dell’organo apicale in ordine al se avviare l’azione disciplinare (comma 2 art.10 citato), che in quello consimile che riguarda la determinazione del collegio di disciplina (comma 3 art.10 citato), potrebbero verosimilmente ricorrere (meglio: il più delle volte ricorrono) ragioni, legate alla necessità di più attente valutazioni, suscettibili di indurre gli organi procedenti a ulteriori approfondimenti. Pertanto, in questo contesto, ritenere che i termini per l’esercizio delle relative facoltà e poteri siano perentori, nuocerebbe senz’altro alla completezza degli accertamenti, con conseguente danno, sia dell’interesse pubblico che di quello dello stesso incolpato, anch’egli titolare di una pretesa giuridicamente rilevante ad ottenere un accertamento quanto più possibile esaustivo e definito.
Quest’ultima considerazione trova un’indiretta conferma – a parere del Collegio – proprio nella vicenda qui controversa dove il rettore, che pure incontestatamente aveva già ricevuto notizia dei fatti illeciti riguardanti la parte appellante, ha preferito attendere gli esiti delle indagini penali, da lui stesso propiziate con la trasmissione degli atti alla competente A.G., prima di elevare formale contestazione nei confronti del medesimo.
Oltre ad essere comprensibile, la suddetta scelta si rivela anche ragionevole, perché – anche se i due giudizi non collidono perfettamente e sono diversi quanto a funzione ed a tecniche di accertamento – sono dati di esperienza comune i seguenti: 1. che i più penetranti poteri di cui dispone il magistrato penale, oltre che le più specialistiche competenze che questi possiede in tema di ricostruzione dei fatti illeciti commessi in danno della P.A., consentono, nel giudizio penale, di ottenere una ricostruzione del fatto storico per cui entrambe procedono, più adeguata rispetto a quella acquisibile nel giudizio disciplinare; 2. che di questa migliore funzionalità, evidentemente, può utilmente giovarsi la seconda – pur nel rispetto del principio del contraddittorio e delle altre garanzie a tutela dell’incolpato – la quale ultima può, nel caso, attendere gli esiti delle indagini, prima di dare ulteriore corso alla procedura connessa al rapporto di servizio, senza che questo si configuri come un improprio rallentamento dell’attività.
Se così non fosse, del resto, non si giustificherebbe la regola della cd. “pregiudizialità penale” che l’organo disciplinare ha rispettato, anche dopo, nella vicenda che ci occupa, con scelta che non è stata contestata dalla parte appellante.
In definitiva, ritiene il Collegio che l’opzione prescelta dal rettore di attendere l’emersione di un quadro indiziario più nitido – che prevedibilmente si sarebbe avuta con lo sviluppo delle preliminari indagini e che egli ha in effetti ottenuto solo dopo l’applicazione della misura interdittiva nei confronti della parte appellante – prima di avviare il procedimento disciplinare, non solo non sia stata illegittima, ma non possa dirsi neppure impropria, essendo fondata, come appena osservato, su considerazioni ragionevoli e basate su massime di comune esperienza.
4.1.4. Aggiungasi, e vale quale terza ragione a suffragio della tesi della natura ordinatoria dei termini de quibus, che l’interesse pubblico all’accertamento dei fatti, a tutela del prestigio dell’amministrazione di appartenenza dell’incolpato, rappresenta la causa attributiva del potere disciplinare, oltre ad essere la finalità da ultimo perseguita da quest’ultimo, rispetto alla quale, a determinate condizioni, l’interesse del dipendente ad ottenere una rapida definizione del processo può anche essere ritenuto recessivo.
4.1.5. Infine, la quarta ragione per la quale i ridetti termini vanno ritenuti ordinatori si trae dalla giurisprudenza maggioritaria di questo plesso giurisdizionale, alla quale ha prestato recentemente adesione anche questa sezione, dai cui approdi non vi è motivo di discostarsi e che ha affermato, per l’appunto, che i termini previsti dalla normativa della legge n.240/2010 in tema di procedimento disciplinare sono tutti di natura ordinatoria, eccezion fatta per quello di centottanta giorni dalla data di avvio del procedimento di cui al comma 5 dell’art.10, e cioè del termine, entro il quale il procedimento disciplinare, a pena di decadenza, deve essere concluso.
In tal senso, vale ricordare la sentenza del Consiglio di Stato n. 2379/2019 della VI Sezione e la sentenza n.1426/2023 della VII sezione secondo le quali: “ [ad eccezione dei termini di cui al comma V NdR] tutti gli altri termini stabiliti dalle norme di settore, nella specie l’art. 10, comma 3, l 240/2010, con riferimento alla fase (istruttoria) precedente al momento di avvio del procedimento disciplinare, coincidente con la comunicazione della contestazione degli addebiti, debbono considerarsi ordinatori, tenuto conto che il legislatore espressamente non li qualifica come perentori e che la fase pre-procedimentale non può giuridicamente equipararsi a quella realmente procedimentale»
4.2. Le considerazioni che precedono sarebbero, per vero, già sufficienti a palesare l’infondatezza sia del primo che del secondo motivo d’appello, dal momento che entrambi presuppongono, come visto, la natura perentoria, e non ordinatoria, del termine di trenta giorni previsto per l’avvio del procedimento disciplinare.
Ciò non di meno, per completezza, converrà aggiungere – alla luce delle considerazioni appena rassegnate in ordine alla legittimità della scelta del rettore di procedere alla formale contestazione degli addebiti al prevenuto, solo dopo avere avuto formale conoscenza del contenuto dell’ordinanza interdittiva – che in ogni caso il suddetto termine di trenta giorni per l’avvio del procedimento disciplinare risulta essere stato rispettato nel caso di specie.
E’ vero, infatti, che grazie soprattutto all’esposto presentato dai venticinque specializzandi, il titolare dell’azione disciplinare aveva avuto contezza dei fatti dal novembre del 2013, come del resto è confermato dalla circostanza che, nel febbraio dell’anno successivo, trasmise ai Carabinieri del Reparto operativo, con una nota di accompagnamento, gli esiti dell’istruttoria fino a quel momento condotta, tuttavia gli elementi di giudizio a disposizione del rettore erano ancora, in quel momento, indiziari e grezzi, potendo a quel momento essere legittimamente prospettati dei dubbi quanto alla attendibilità degli esponenti, a maggior ragione tenendo conto della incondizionata fama positiva di cui, come da lei stessa ribadito, godeva la parte appellante nell’ambito universitario, che si è anche doluta del fatto che l’amministrazione aveva omesso di valutare, e/o di assumere a sommarie informazioni, le attestazioni di stima nei suoi confronti, che tutti i docenti del dipartimento avevano manifestato e sottoscritto.
Perciò la scelta dell’organo apicale di attendere gli esiti degli ulteriori accertamenti giudiziari – che, ripetesi, si avvalgono di più incisivi metodi di verificazione rispetto a quelli condotti in sede amministrativa – prima di decidere l’apertura del procedimento disciplinare, era ispirata da ragioni di prudenza, che non possono ritenersi illegittime, né tanto meno inopportune. E tanto dicasi, in particolare, della decisione di formalizzare l’avvio del procedimento solo dopo aver conosciuto il contenuto dell’ordinanza interdittiva da parte del GIP, notificata all’Università il 29 luglio del 2014, evento che consentì finalmente all’organo requirente/proponente della procedura disciplinare di avere piena contezza, e dei fatti specifici addebitabili all’incolpato, e della (verificata) attendibilità degli elementi di prova a suo carico.
E poiché la relativa decisione è intervenuta, come detto, il 19 settembre del 2014, il termine di trenta giorni, decorrenti dal precedente 29 luglio, tenendo conto della sospensione del procedimento nel periodo dal 10 al 31 agosto del 2014, disposta dal rettore a norma dell’art.10 del regolamento di Ateneo, è stato pienamente rispettato.
4.3. Invero, la ricordata natura ordinatoria del termine – unita alla considerazione, obiettiva, che né il comma 2 né il comma 3 dell’art.10 della L n.240 del 2010 contengono espressi divieti in tal senso – consentiva implicitamente all’università, in sede di esercizio della propria autonomia, di prevedere, in via generale ed astratta, anche la possibilità di sospendere i termini del procedimento disciplinare. E peraltro, la scelta di congelarne il decorso, allorquando la loro decorrenza coincida in parte con periodi feriali, non pare né irragionevole né inopportuna.
A tal proposito, infatti, va ancora una volta ribadito che l’interesse pubblico sotteso all’esercizio del potere disciplinare è primariamente finalizzato a tutelare il prestigio ed il buon andamento dell’amministrazione cui appartiene il dipendente incolpato, elementi rispetto ai quali l’interesse di quest’ultimo ad un celere accertamento dei fatti può ritenersi, almeno di regola, recessivo.
Tanto premesso, le considerazioni che precedono dequotano, anche sotto questa ulteriore prospettiva, il secondo motivo di appello.
4.4. Anche il terzo motivo d’appello è infondato.
Ed infatti, come appena osservato, correttamente il primo giudice ha individuato come data di avvio del procedimento disciplinare, quella del 19 settembre del 2014. Dopo di che, il 23 dicembre successivo, il procedimento – a seguito della comunicazione inoltrata all’Ateneo dalla Procura della repubblica di Bologna ai sensi dell’art.129 disp att. c.p.p., di avere esercitato l’azione penale – veniva sospeso, per riprendere definitivamente solo il 20 marzo del 2023, in seguito alla comunicazione con cui l’Avvocatura dello Stato informava del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Cassazione -OMISSIS-.
A seguito della riapertura, dando ulteriore corso agli atti, entro i successivi trenta giorni, e cioè il 6 aprile del 2023, il rettore formulava la propria proposta di sanzione al Collegio di disciplina, allora in carica, che, il 31 maggio successivo, emetteva il parere vincolante richiesto.
Infine, il 27 giugno del 2023 – ossia largamente in anticipo rispetto ai centottanta giorni dall’avvio (rectius: riavvio) del procedimento, previsti dal comma 5 dell’art.10 della legge n.240 del 2010 quale termine massimo per la emanazione della decisione – il Consiglio di amministrazione infliggeva all’incolpato la sanzione della destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni.
In definitiva, anche in questo caso il suddetto termine di centottanta giorni risulta rispettato, con conseguente dequotazione della doglianza in esame.
5. Queste sono le considerazioni che inducono a rigettare l’appello.
Tenuto conto della peculiarità della vicenda e delle incertezze giurisprudenziali sulla natura dei termini del procedimento sussistono i presupposti per compensare le spese del giudizio di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere, Estensore