Con sentenza n. 9314 del 26 novembre 2025, il Consiglio di Stato ha accolto integralmente il ricorso in appello proposto da un’università telematica e, per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR Veneto n. 2020/2024, ha annullato la delibera del consiglio di amministrazione dell’Università degli Studi di Padova n. 10 del 26 settembre 2023, nella parte in cui stabiliva che l’assunzione di incarichi di insegnamento (anche gratuiti) presso gli atenei a distanza costituisce sempre un’attività concorrenziale con l’Università di Padova (come tale vietata).
I Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che il provvedimento impugnato risulti inficiato, in particolare, da un vizio di violazione di legge (art. 6 Legge n. 240/2010), osservando che la delibera impugnata offre una lettura del concetto di conflitto di interesse che contrasta con la nozione adottata dal legislatore.
Secondo il Collegio, nel contesto delineato dalla Legge n. 240/2010 ciò che non può mancare ai fini della delineazione del conflitto di interesse è il detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali dell’università di appartenenza: pertanto, la fattispecie di conflitto di interesse non può mai essere disgiunta dalle sue concrete esternalità negative.
La delibera dell’Università di Padova entra in frizione con questo assetto deontico voluto dal legislatore, poiché stabilisce ex ante – a prescindere da qualsiasi concreta valutazione (caso per caso) sull’effettivo nocumento procurato all’attività didattica – che l’attività di insegnamento svolta per le università telematiche è sempre e comunque in conflitto di interessi. In breve, il provvedimento gravato adotta una nozione di conflitto di interesse di tipo potenziale che contrasta con la nozione di tipo attuale assunta invece dal legislatore.
I Giudici di Palazzo Spada hanno sottolineano inoltre come non sia stato dimostrato che la concorrenza delle università telematiche stia attualmente cagionando alle università pubbliche tradizionali (e, nello specifico, alla parte appellata) un concreto pregiudizio su larga scala che giustifichi il divieto impugnato. Difatti, in senso diametralmente opposto a quanto statuito dal TAR del Veneto, secondo il Consiglio di Stato “i dati acquisiti in sede istruttoria attestano che […] la popolazione studentesca delle università telematiche è prevalentemente composta da studenti-lavoratori, sicché il target di studenti delle due tipologie di università (tradizionali e telematiche) è radicalmente diverso”.
Il Collegio ha concluso rilevando l’assenza di una pericolosa dinamica concorrenziale in atto, aggiungendo però che, anche laddove tale circostanza dovesse innescarsi in futuro, “è evidente che il regime autorizzatorio (basato su atti di nulla osta rilasciati di volta in volta in considerazione delle peculiarità del caso concreto) è perfettamente idoneo a governare e presidiare eventuali fenomeni di free riding”.

