La programmazione ministeriale annuale degli accessi ai corsi universitari si basa su un duplice profilo: da un lato, il potenziale formativo offerto dai singoli Atenei e, dall’altro, il fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo.
La pronuncia della Corte Costituzionale n. 383/1998 ha riconosciuto la piena legittimità costituzionale del numerus clausus quale criterio di accesso ai corsi universitari, lasciando alla discrezionalità politica del legislatore l’individuazione dei criteri di determinazione dei posti disponibili.
TAR Lazio, Roma, Sez. III-bis, 20 giugno 2016, n. 7099
Accesso ai corsi di laurea a numero chiuso-Programmazione ministeriale
N. 07099/2016 REG.PROV.COLL.
N. 10853/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10853 del 2010, proposto da Umberto Di [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, Via S. [#OMISSIS#] D’Aquino n. 47;
contro
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Università degli Studi di Foggia, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
[#OMISSIS#] Lanieri;
per l’annullamento
del D.M. M.I.U.R. del 2 luglio 2010 con il quale è stato fissato, per lo stesso anno accademico, il numero dei posti disponibili a livello nazionale, ripartendolo fra le Università, nella parte in cui limita il numero dei posti dell’Università intimata a n. 20 unità anche non ammettendo in sovrannumero i ricorrenti;
della rilevazione del Ministero della Salute non conosciuta citata dal D.M. M.I.U.R. 2 luglio 2010 con la quale, stante quanto si legge in tale D.M., si metterebbe “in luce il fabbisogno di professionalità a livello nazionale di molto inferiore alla potenzialità formativa del sistema universitario”;
del resoconto dei lavori del “gruppo tecnico ai fini della programmazione dei corsi universitari” delle determinazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in sede di accordo Stato e Regioni, non conosciute, nonché di tutti gli atti e le determinazioni sull’istruttoria richiesti e ancora non prodotti;
della deliberazione del Consiglio di Facoltà di Medicina e Chirurgia, con la quale è stato stabilito di ammettere, per le immatricolazioni “a.a. 2010/2011” al Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi dentaria, un numero di studenti pari a n. 20 oltre n. 1 posto per extracomunitari e n. 1 posto per gli studenti cinesi, nonché di tutti gli altri atti meglio nell’epigrafe del ricorso indicati e di ogni altro atto, connesso, presupposto e consequenziale;
e per l’accertamento del diritto del ricorrente di essere ammesso al Corso di Laurea in questione e di ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa del diniego dell’iscrizione opposto per la condanna delle Amministrazioni intimate all’adozione dei relativi provvedimenti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dell’Università degli Studi di Foggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 24 marzo 2016 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato ai soggetti in epigrafe indicati in data 15 novembre 2010 e depositato il successivo 6 dicembre 2010, il ricorrente espone di avere preso parte al test di ammissione ad Odontoiatria dell’Università degli Studi di Foggia e di avere conseguito il punteggio di n. 7,75 punti mentre l’ultimo ammesso presso quell’Ateneo ha il punteggio di n. 40,00 punti.
Espone ancora che, pur essendo laureato in medicina e svolgendo la professione di odontotecnico da molti anni (come da documentazione versata in atti) e volendo conseguire la laurea in odontoiatria, tuttavia si è trovato a dovere ripetere il test di ammissione, che non lo ha visto utilmente collocato nella graduatoria.
Avverso dunque la mancata ammissione il ricorrente deduce dieci doglianze.
Conclude con istanza istruttoria, con richiesta di risarcimento dei danni, con istanza cautelare e per l’accoglimento del ricorso.
Il M.I.U.R. e l’Università degli Studi di Foggia si sono costituiti in giudizio.
Alla Camera di Consiglio dell’11 gennaio 2011 l’istanza cautelare è stata rinviata al merito.
L’Amministrazione ha depositato documenti, quali la delibera della Facoltà di medicina e Chirurgia del 19 aprile 2010 relativa al potenziale formativo, il bando di concorso, i verbali n. 1 e 2 della Commissione di concorso, la comunicazione M.I.U.R. del 2 agosto 2010 relativa ai posti riservati agli stranieri e il riscontro alla richiesta di accesso agli atti del ricorrente.
Pervenuto il ricorso per la trattazione alla pubblica udienza del 26 marzo 2015, la difesa di parte ricorrente ha dichiarato che quest’ultima ha ancora interesse alla coltivazione del ricorso senza, tuttavia, specificare che cosa sia nelle more accaduto, essendo trascorsi quasi cinque anni dalla notifica del ricorso e avendo per di più rinviato la causa al merito alla Camera di Consiglio dell’11 gennaio 2011.
Alla camera di consiglio del 26 marzo 2015, con l’ordinanza n. 10619/2015, la Sezione ha disposto istruttoria con la quale ha chiesto all’Università degli Studi di Foggia di chiarire se per l’a.a. 2010/2011, cui si riferisce il test di ammissione effettuato dal ricorrente, vi siano stati scorrimenti e rinunce presso il corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria e fino a quale punteggio si siano fermati, fornendo risposta, anche se negativa, entro il termine di trenta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente ordinanza. Ha, inoltre, chiesto al ricorrente di confermare il proprio interesse alla coltivazione del gravame, entro la data di fissazione dell’udienza pubblica di rinvio della trattazione stabilita per il 24 marzo 2016, a seguito della esecuzione dell’istruttoria da parte dell’Università citata.
L’Università ha adempiuto all’incombente istruttorio con la relazione di cui al prot. n. 23593 del 25.9.2015 rilevando che il ricorrente si è posizionato al posto n. 488 della graduatoria e i posti disponibili erano n. 20 per cui noi aveva alcuna aspettativa giuridica di essere ripescato a seguito degli scorrimenti della graduatoria. L’ultimo chiamato per lo scorrimento è stato il candidato posizionatosi al n. 52 della graduatoria con il punteggio di n. 45,50 punti, laddove il ricorrente aveva ottenuto soltanto punti n. 7,75.
Inoltre, afferma l’Università che il posto riservato dal bando ai cittadini non comunitari residenti all’estero è stato occupato con l’immatricolazione della studentessa Guts [#OMISSIS#], partecipante al concorso e rientrante nella graduatoria degli stranieri. Il posto riservato ai candidati di nazionalità cinese non è stato coperto giacché nessun cinese ha partecipato al concorso, ma in proposito l’Università richiama la decisione del Consiglio di Stato n. 4556/2010 in base alla quale è stato affermato il principio per cui non è consentito destinare ai cittadini comunitari i posti riservati ai cittadini extra comunitari residenti all’estero i posti rimasti vacanti.
Parte ricorrente non ha comunicato alcunché in merito alla sua situazione dal 2010 ad oggi, così come richiesto dall’ordinanza istruttoria, per cui il ricorso, in data 24.3.2016, è stato spedito in decisione.
I. Con le prime tre censure il ricorrente si duole sostanzialmente del fatto che, pur essendo già un professionista che lavora nel campo dell’Odontoiatria, ha dovuto partecipare al test per essere ammesso al I anno del corso di laurea laddove avrebbe già potuto – asseritamente – iscriversi “quantomeno al terzo anno” (pag. 4 del ricorso). Ciò in violazione della legge n. 264/1999 e con eccesso di potere e irragionevolezza da parte dell’Università che avrebbe interpretato in modo illegittimo la previsione relativa alla subordinazione di tutti gli interessati (anche di coloro che già operano in settori affini, ortodonzia, igiene dentale etc…) al test di accesso.
I.I. Le doglianze sono destituite di fondamento.
L’art. 4, comma 1, della legge n. 264 del 1999 subordina l’ammissione ai corsi universitari ad accesso programmato al “previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore”. Il complesso normativo sulla specifica materia, non stabilisce alcunché in merito alla possibilità di non sottoporsi alla prova selettiva iniziale da parte di coloro che “possedendo una laurea o esperienze affini, dimostri implicitamente, la suddetta attitudine” (pag. 5 ricorso, carattere grassetto); inoltre, a tacer d’altro, “la dimostrazione implicita dell’attitudine” appare alquanto contraddittoria in quanto la dimostrazione di una capacità professionale non si può dare per acquisita solo con l’esperienza, ma occorre l’acquisizione di conoscenze teoriche a monte, acquisibili solo attraverso un articolato e completo percorso universitario.
Ai sensi dell’art. 3, comma l, lett. a), è stabilito che, con decreto del Ministero dell’Istruzione, viene determinato annualmente il numero dei posti disponibili, a livello nazionale, sulla base dell’offerta potenziale del sistema universitario, anche in relazione al fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo.
A tal fine l’intestato Ministero acquisisce da ogni Ateneo l’indicazione dell’offerta potenziale ovvero del numero di iscritti che l’Ateneo medesimo può accogliere compatibilmente con il proprio assetto organizzativo e logistico.
Con il medesimo D.M. l’Amministrazione centrale ripartisce i posti relativi ai corsi in questione tra le Università le quali procedono all’emanazione dei relativi bandi di concorso recependo le indicazioni contenute in apposito D.M., di cui all’art. 4 della 1. n. 264/1999, quanto alle date delle prove e ai contenuti delle stesse.
Il concorso de qua si configura quale concorso nazionale posto che il numero dei posti disponibili, i tempi concorsuali, i contenuti delle prove e i criteri di valutazione sono stabiliti da apposito D.M. rispetto al quale i bandi delle singole Università hanno soltanto carattere applicativo. Alla luce della chiara disposizione normativa sopra richiamata la determinazione del contingente di posti disponibili si basa su di un duplice criterio; da un lato, il potenziale formativo offerto dai singoli Atenei e, dall’altro, il fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo. Dal tenore della norma non è dato evincere alcuna graduazione tra i due criteri, i quali devono contemperarsi al fine di determinare, quale risultante, il quantum dei posti disponibili. L’equivalenza dei criteri di determinazione dei posti nei corsi di laurea a numero programmato, inoltre, è coerente con le esigenze effettive e reali del sistema formativo e professionale e, come tale, non pone un problema di illegittimità costituzionale, rientrando nella sfera della discrezionalità normativa del legislatore la cui sindacabilità da parte del giudice delle leggi incontra il limite nella manifesta illogicità non rinvenibile nella specie anche alla luce dei principi contenuti nella pronuncia n. 383/1998 della Corte Costituzionale (ed alle direttive comunitarie ivi richiamate) la quale ha riconosciuto la piena legittimità costituzionale del numerus clausus quale criterio di accesso ai corsi universitari, lasciando alla discrezionalità politica del legislatore l’individuazione dei criteri di determinazione dei posti disponibili.
La medesima Corte ha, altresì, sottolineato che “Le ricordate direttive prescrivono, in vista dell’analogia dei titoli universitari rilasciati nei diversi Paesi e del loro reciproco riconoscimento, standard di formazione minimi a garanzia che i titoli medesimi attestino il possesso effettivo delle conoscenze necessarie all’esercizio delle attività professionali corrispondenti. In tutti i casi cui le direttive si riferiscono, si prescrive che gli studi teorici si accompagnino necessariamente a esperienze pratiche, acquisite attraverso attività cliniche o, in genere, operative, svolte nel corso di periodi di formazione e di tirocinio aventi luogo in strutture idonee e dotate delle strumentazioni necessarie, sotto gli opportuni controlli. E ciò implica e presuppone che, tra la disponibilità di strutture e il numero di studenti, vi sia un rapporto di congruità in relazione alle specifiche modalità dell’apprendimento.”
Nelle sopra citate direttive comunitarie si rinviene, dunque, un preciso obbligo di risultato che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere predisponendo, per alcuni corsi universitari aventi particolari caratteristiche, misure adeguate a garantire le previste qualità, teoriche e pratiche, dell’apprendimento: ma non viene dettata alcuna disciplina riguardo alle predette misure. Queste sono, infatti, rimesse alle determinazioni nazionali e il legislatore italiano, come per lo più i suoi omologhi degli altri Paesi dell’Unione, ha previsto la possibilità di introdurre il numerus clausus per tali corsi.
Dalla lettura della sentenza della Corte Costituzionale, pertanto, si evince che il sistema del numero chiuso risulta pienamente legittimo, attesa la necessità di garantire adeguati spazi ed opportuni mezzi organizzativi ai fini di un’adeguata formazione degli studenti, caratterizzata sia da esperienze pratiche che da studi teorici.
A tal fine, nella sentenza della Corte Costituzionale in questione, viene affermata l’esigenza di un rapporto di congruità tra la disponibilità di strutture e il numero di studenti, esigenza che, ad avviso della Corte Costituzionale, ben può essere soddisfatta con l’introduzione del numero chiuso. Infatti, le direttive comunitarie, nel prescrivere standard di formazione prescrivono a garanzia che i titoli universitari rilasciati nei diversi Paesi attestino il possesso effettivo delle conoscenze necessarie all’ esercizio delle attività professionali corrispondenti, demandando la scelta degli strumenti più opportuni alle determinazioni nazionali.
In relazione, poi, alla pretesa violazione di norme di rango costituzionale, quali gli artt. 33 e 34 della Costituzione, e di principi internazionali e comunitari, si rileva che persino l’affermazione di principio contenuta nell’ art. 2 del protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – secondo la quale “il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno” – non può essere tradotta automaticamente, come più volte confermato dalla Corte Costituzionale e dalla Giurisprudenza amministrativa, nell’affermazione che il diritto allo studio appartenga a tutti i cittadini indiscriminatamente.
A tale proposito, la Corte Costituzionale e la giurisprudenza amministrativa hanno “ripetutamente affermato la conformità del sistema legislativo vigente rispetto al diritto allo studio, il quale non appartiene indiscriminatamente a tutti i cittadini, ma solo ai più capaci e meritevoli, e deve essere, secondo le direttive comunitarie che costituiscono fonti normative vincolanti all’interno del nostro Stato, contemperato con l’esigenza di evitare il sovraffollamento onde realizzare un preciso obbligo di risultato che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere, predisponendo misure adeguate a garanzia delle previste qualità teoriche e pratiche dell’apprendimento. Non è, pertanto, ravvisabile un contrasto tra le L. 2 agosto 1999, n. 264, che pone una limitazione all’accesso alle Università, e gli artt. 2, 3, 33 e 34 Cost., in quanto la previsione del c.d. numero chiuso non rappresenta una limitazione arbitraria del diritto allo studio, ma una garanzia di qualità dell’insegnamento, secondo standard europei. ” (T.A.R. Liguria – Genova, sez. II, 17 febbraio 2003, n. 184).
I.II. Parimenti infondate si appalesano le doglianze relative ad asserite illegittimità del procedimento di determinazione del numero di posti di odontoiatri per l’anno accademico 2010/2011.
Deve, in via preliminare, osservarsi che all’Ateneo in esame, nella specie, sono stati assegnati n. 20 posti ordinari mentre la parte ricorrente risulta classificata in n. 488 posizione, con la conseguenza che le prospettate doglianze sul difetto di istruttoria e motivazione si rivelano ex se inammissibili per difetto di interesse, considerato che la collocazione in graduatoria di parte ricorrente è tale che a nulla varrebbero valutazioni più “ampie” sulle risorse disponibili eventualmente fondate.
Peraltro il procedimento istruttorio risulta essersi conformato ai criteri indicati nella legge n. 264/1999, nel d.lgs. n. 502/1992 e del d.lgs. n. 299/1999.
E, invero, l’art. 3 della 1. n. 264/1999 determina i criteri a cui il Ministero deve attenersi nella programmazione degli accessi sulla base della capacità delle strutture, della disponibilità delle strutture e dei servizi, del numero dei docenti in funzione della qualità dell’ offerta didattica e del numero dei tirocini attivabili al fine di mantenere i livelli formativi ad uno standard che, ad un tempo, garantisca sia le prestazioni erogate ai fruitori del servizio sanitario sia il rispetto dei livelli minimi stabiliti dalla normativa comunitaria.
La programmazione degli accessi ai corsi universitari risponde, altresì, all’esigenza di pianificare il numero di professionisti da formare in funzione della domanda occupazionale, come previsto dall’ art. 6 ter del d.lgs n. 502/1992 e dall’art. 7 del d.lgs. n. 229/1999.
II. Con un ulteriore motivo di ricorso il ricorrente si duole della mancata attribuzione e del mancato scorrimento delle graduatorie per quanto concerne i posti riservati agli studenti extracomunitari e cinesi rimasti liberi.
II.I. Il motivo è infondato.
Il Collegio sul punto condivide l’indirizzo già affermato per le selezioni a numero chiuso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4556/2010 del 15.7.2010, a mezzo della quale è stato argomentato che “il Collegio, aderendo all’orientamento giurisprudenziale maggioritario (cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. VI, n. 7622/2005) deve rilevare che l’appellata non ha mai concorso sui posti riservati agli extracomunitari non residenti in Italia; posti che costituiscono quota non occupabile da parte degli studenti comunitari. Quanto invocato dall’appellata è stato consentito in via eccezionale (solo per l’a.a. 1999/2000) e solo in forza di legge (art. 1, comma 2, della l. 27 marzo 2001, n. 133). Inoltre, la possibilità di un trasferimento da una graduatoria all’altra deve essere esclusa in quanto quella riservata agli extracomunitari non residenti in Italia è finalizzata alla formazione di personale che, dopo il conseguimento del titolo di studio, è destinato a rientrare al proprio paese di origine, senza alcuna incidenza sulla situazione occupazionale italiana; la quale, invece, resta incisa dagli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno (in tal senso, questo Consiglio, sez. II, 7 giugno 2000, n. 735).
Tra l’altro, è vero che – ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della l. 2 agosto 1999, n. 264 – rileva la “valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario”, ma va tenuto anche conto del “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”; fabbisogno che, mentre tendenzialmente non è inciso dagli studenti extracomunitari non residenti in Italia, lo è, invece, da parte dei cittadini italiani e comunitari, nonché degli extracomunitari residenti in Italia.”
III. Con un ulteriore gruppo di censure parte ricorrente si duole dei test che sono stati sottoposti ai candidati, sia sotto il profilo della validità a supportare una prova di selezione, sia sotto quello della perdita di tempo media per la risoluzione dei quesiti contestati, sia sotto il profilo della mancanza di attestazione di validità da parte della Commissione.
III.I. Questo gruppo di censure deve essere dichiarato inammissibile sotto due distinti profili.
III.II. In primo luogo, è inammissibile poiché la prova di resistenza non risulta superata a priori in modo positivo. Infatti, come dichiarato nella memoria da ultimo depositata dell’amministrazione (non smentita sul punto da produzioni del ricorrente), il ricorrente si è collocato in una posizione in graduatoria che non gli consente comunque di superare la prova di resistenza, anche se si riconoscesse che taluno dei quesiti aveva una formulazione ambigua, erronea etc… per cui, anche in ipotesi di annullamento di questa tipologia di quiz, non sarebbe rientrato nella graduatoria degli ammessi neanche per mezzo degli scorrimenti.
III.III. In secondo luogo, il motivo è inammissibile in quanto come già rilevato in altri ricorsi su censure analoghe (questa stessa Sezione, sentenza n. 5857/2015), il motivo, così come proposto, impinge nel merito della discrezionalità amministrativa, non censurabile da parte del giudice amministrativo se non nei limiti della irragionevolezza, illogicità manifesta, mancanza evidente di proporzionalità.
In particolare, questa Sezione, nella richiamata sentenza, ha stabilito che: “con l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo che ha peraltro offerto una nuova veste alla consulenza tecnica di ufficio, l’onere probatorio si è fatto ancora più stringente, disponendo il legislatore che spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni e che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non contestati dalle parti costituite. (art. 64 commi 1 e 2 del c.p.a.).”.
E nel caso in esame ancorché il Ministero nulla opponga alla detta interpretazione delle domande fornita dalla perizia di parte ciò che si chiede al giudicante è una completa sovrapposizione all’operato di validazione della Commissione nazionale, ingerendosi nel merito delle valutazioni strettamente tecniche di quell’organo, senza peraltro riuscire a dimostrare la manifesta irragionevolezza o illogicità dello stesso, rientrandosi sovente nell’alveo delle conoscenze strettamente scientifiche e professionali tipiche della scienza medica nella scelta di una risposta piuttosto che di un’altra, con conseguente completa reiezione della censura (cfr. pag. 29 – 30 del ricorso dove si contestano le risposte alle domande 38 e 49). Tale principio è enunciato proprio in sede di ammissione della verificazione da parte della quarta sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza del 22 maggio 2014, n. 2639 laddove si avvisa che essa rappresenta pur sempre uno strumento del sindacato debole del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali dell’Amministrazione. E di conseguenza, ammesso che la perizia possa essere un valido strumento per compulsare i poteri istruttori del giudice, non è che una volta espletata la consulenza o la verificazione i risultati possono comportare la sostituzione del giudice amministrativo alle ridette valutazioni discrezionali in specie dove esse si basino su dati scientifici caratterizzati da un forte elemento di tecnicità.”
IV. Conseguentemente, alla luce della infondatezza dei motivi di ricorso, deve essere respinta la domanda di risarcimento del danno, peraltro posta in modo generico.
V. Le spese del giudizio sono poste ai sensi dell’art. 26 c.p.a. a carico della parte soccombente e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore dell’amministrazione, che sono liquidate in euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente FF
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Immacolata Pisano, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)