TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 12 giugno 2023, n. 1447

Procedimento disciplinare - Sospensione - Condotta nei rapporti privati dei professori - Reputazione e immagine dell'Ateneo - Condivisione di un meme offensivo del genere femminile su Facebook

Data Documento: 2023-06-13
Autorità Emanante: TAR Lombardia
Area: Giurisprudenza
Massima

A fronte dell’impugnazione della sanzione disciplinare inflitta da un Ateneo a un docente che aveva condiviso un post offensivo del genere femminilae su Facebook, occorre accertare, innanzitutto, se il fatto storico sia imputabile al docente e quale sia la carica offensiva del neme.

La “condivisione” che si fa sulla propria pagina di Facebook o di altro social di un post realizzato da altri, anche sotto forma di neme, che non sia accompagnato da espresse cautele o da prese di distanza dal contenuto del documento che si rende pubblico anche nella cerchia delle proprie conoscenze, equivale, secondo l’id quod plerumque accidit, ad “approvazione” del contenuto di quel documento. Secondo il comune agire l’aver acquisito con una prima azione informatica un documento di altri e aver poi postato, con una seconda azione informatica, quel documento nell’ambito di un social di cui si ha la gestione equivale a porre in essere una condotta di approvazione di quel contenuto. Per evitare di sconfinare in supposizioni o arbitri, l’offensività di post o di una pubblicazione sociale non va valutata in senso soggettivo, bensì oggettivo, ossia verificando quale sia il significato da attribuirsi secondo il senso comune. Il contenuto intrinseco della pubblicazione di specie, non accompagnata da alcuna precisazione o da altri elementi di contrario avviso, è sicuramente offensivo del genere femminile, in quanto il neme pubblicato veicola senza dubbio la convinzione, che la società e la morale comune non approva, dell’opportunità di strumentalizzare i rapporti intimi per raggiungere scopi diversi da quelli che li caratterizzano e di fatto asseconda una determinata categoria di persone a tenere simili comportamenti. Il docente al contrario, inserendo un simile messaggio offensivo nella propria pagina social e condividendo con la cerchia di persone che si relazionano con la sua pagina social, ha di fatto approvato quel contenuto offensivo.

Il docente universitario è titolare, oltre che di obblighi informativi, di doveri formativi nei confronti dei discenti. Se indica nei propri canali social il ruolo istituzionale ricoperto nell’Ateneo, evidentemente interagisce con persone interessate alle idee della persona anche in virtù del ruolo del docente. Ne deriva che l’esporre pubblicamente il proprio ruolo comporta ragionevolmente il coinvolgimento dell’istituzione di cui si fa parte nelle conseguenze, positive e negative, derivanti dalle proprie condotte. L’approvazione da parte di un docente del contenuto offensivo di un post, tramite “condivisione” nella propria pagina social in cui dà evidenza del ruolo accademico ricoperto nell’Ateneo, e che è quindi frequentata anche da chi intende relazionarsi con il docente in funzione del ruolo questi assunto e reso pubblico, contrastano con il ruolo e la funzione del docente universitario chiamato ad assolvere un importante compito formativo ed educativo verso i discenti e ledono, quindi, la dignità della stessa professione svolta.

La condotta tenuta dal docente, benché il neme sia stato rimosso dopo poco tempo, ha avuto un notevole risalto nei media ed è stata oggetto di forte critiche e proteste da parte degli organi stampa, del mondo accademico dell’Ateneo e della società civile, che, sentendosi lesi nei rispettivi ruoli e vedendo incrinata la fiducia nell’istituzione universitaria, hanno chiesto all’Università di sanzionare simili comportamenti anche a tutela della reputazione e dell’immagine della stessa Università. L’Università a cui appartiene il docente che si è vista imputata, tramite il docente, una condotta offensiva che, benché non voluta o approvato, le ha creato discredito nei fruitori, diretti o indiretti, del servizio universitario.

L’Università, non approvando il contenuto del neme, ha ritenuto che un simile comportamento, per le modalità in cui si è esplicata nel social facente capo a quest’ultimo e per le reazioni sociali che ne sono scaturite, lede non solo il decoro dell’attività professionale del decente ma altresì la propria la reputazione e l’immagine, incrinando così il patto di fiducia stretto tra l’istituzione universitaria e cittadini/utenti.

Inoltre, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, l’Università ha correttamente individuato, oltre alla fonte del potere disciplinare, quale sia la norma di condotta violata e la sanzione inflitta.

Dunque, il ricorso non è fondato e va pertanto respinto.

Contenuto sentenza
  1. 01447/2023 REG.PROV.COLL.
  2. 01178/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1178 del 2021, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via Freguglia, 1;
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

per l’annullamento

del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Milano del 14/5/2021, con il quale è stata inflitta al prof. -OMISSIS- -OMISSIS- la sanzione disciplinare della sospensione, per il periodo di un mese, a decorrere dall’1/6/2021 e fino al 30/6/2021, dallo svolgimento delle funzioni di professore universitario e da ogni altro incarico comunque assegnatogli in ambito accademico, con privazione della retribuzione per il medesimo periodo e corresponsione di un assegno alimentare in misura non superiore a metà dello stipendio;

della nota del Rettore dell’Università degli Studi di Milano del 14/5/2021 con la quale è stato comunicato al Prof. -OMISSIS- -OMISSIS- che il Consiglio di Amministrazione, [#OMISSIS#] seduta straordinaria del 14/5/2021, in conformità al parere espresso dal Collegio di disciplina, ha comminato al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione, per il periodo di un mese, a decorrere dall’1/6/2021 e fino al 30/6/2021, dallo svolgimento delle funzioni di professore universitario e da ogni altro incarico comunque assegnatogli in ambito accademico, con privazione della retribuzione per il medesimo periodo;

della deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Milano del 14/5/2021 (e del relativo verbale), con la quale è stata comminata al Prof. -OMISSIS- -OMISSIS- la sanzione disciplinare della sospensione, per il periodo di un mese, a decorrere dall’1/6/2021 e fino al 30/6/2021, dallo svolgimento delle funzioni di professore universitario e da ogni altro incarico comunque assegnatogli in ambito accademico, con privazione della retribuzione per il medesimo periodo;

del parere del Collegio di disciplina dell’Università degli Studi di Milano che ha proposto di comminare al Prof. -OMISSIS- -OMISSIS- la sanzione disciplinare della sospensione, per il periodo di un mese, a decorrere dall’1/6/2021 e fino al 30/6/2021, dallo svolgimento delle funzioni di professore universitario e da ogni altro incarico comunque assegnatogli in ambito accademico, con privazione della retribuzione per il medesimo periodo;

della nota del 22.12.2020 con la quale il Rettore dell’Università degli Studi di Milano ha informato il Collegio di disciplina della medesima Università degli addebiti disciplinari contestati al Prof -OMISSIS- -OMISSIS- e lo ha sollecitato ad esprimere parere per comminare al docente la sanzione della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per almeno un mese;

della nota del Rettore dell’Università degli studi di Milano, inviata tramite raccomandata a.r. il 16/11/2020, con la quale il Rettore dell’Università degli Studi di Milano ha contestato formalmente, ai sensi dell’articolo 33 dello Statuto, gli addebiti disciplinari al prof. -OMISSIS- -OMISSIS-;

ove occorra, del Codice del comportamento dei dipendenti dell’Università di Milano;

ove occorra, del Codice etico dell’Università di Milano.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 giugno 2023 il dott. [#OMISSIS#] Iera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il professor -OMISSIS- -OMISSIS- è ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano.

In data 8.11.2020 ha condiviso sulla propria pagina Facebook un [#OMISSIS#], l’equivalente di una vignetta, creata da altri in cui vi era un’immagine raffigurante il Vice [#OMISSIS#] degli Stati Uniti d’[#OMISSIS#], Kamala Harris, allora appena eletta, accompagnata dal testo “She will be an inspiration to young girls by showing that if you sleep with the right powerfully connected men the you too can play second fiddle to a man whit dementia. It’s basically a Cinderella story” (“Sarà una fonte di ispirazione per le giovani ragazze giacché ha dimostrato che se vai a letto con gli uomini giusti e potenti anche tu puoi diventare il secondo violino di un uomo affetto da demenza. Essenzialmente è la storia di Cenerentola”), senza aggiungere alcun commento o considerazione.

Dopo la pubblicazione sulla propria bacheca del [#OMISSIS#], il professor -OMISSIS- ha ricevuto alcuni commenti da altri utenti Facebook e ha intrapreso alcuni dibattiti, sempre sul social, a seguito dei quali in data 13.11.2020 ha deciso di rimuovere “la condivisione”, accompagnando la cancellazione qualche giorno dopo il seguente messaggio di chiarimento sulla propria pagina Facebook “Ho condiviso imprudentemente un [#OMISSIS#] che ritenevo un semplice sberleffo politico. Mi sono poi reso conto che era di cattivo gusto e quindi l’ho tolto. Mi sta arrivando addosso di tutto. Se qualcuno c’è rimasto male me ne dispiaccio. Per il resto non so che dire…Non posterò davvero più [#OMISSIS#] che non siano pensieri miei. Se proprio devo essere coperto di fango, che ciò accada su parole mie”.

A seguito di quanto accaduto l’Università degli Studi di Milano decise di avviare un procedimento disciplinare.

Con nota del 16.11.2020 il Rettore dell’Università degli Studi di Milano provvedeva a contestare l’addebito ai sensi dell’art. 33 dello Statuto universitario ritenendo il post dal “contenuto sessiste e altamente offensivo” della diretta interessa e del genere femminile, evidenziando come tale comportamento sia in contrasto con il “ruolo di docente” e le “responsabilità di formatore” oltre aver compromesso “significativamente l’immagine” dell’Università in quanto il post era stato pubblico sul profilo sociale dove l’interessato si presentava come Docente di Storia delle Dottrine Politiche dell’Università.

Il professor -OMISSIS- presentava le sue controdeduzioni in cui prendeva le distanze da ideologie discriminatorie ed evidenziava l’infondatezza dei rilievi mossi, affermando la riconducibilità della vicenda alla [#OMISSIS#] manifestazione del [#OMISSIS#].

Il Rettore con nota del 22.12.2020, ritenendo le giustificazioni prodotte non sufficienti ad attenuare la gravità della condotta, ha valutato il comportamento del docente violativo del Codice di comportamento dell’Università degli Studi di Milano e delle norme di buona condotta che, ai sensi di legge, un docente universitario è tenuto ad osservare sia nel diretto esercizio delle proprie funzioni sia nei rapporti privati che abbiano rilevanza pubblica. Pertanto, affermando che la condotta avesse recato danno all’immagine ed alla reputazione dell’Università, proponeva al Collegio di disciplina dell’Ateneo che la condotta del docente venisse sanzionata con la sospensione di almeno un mese da ogni attività, con i conseguenti effetti economici.

Prendeva avvio il procedimento dinnanzi al Collegio di disciplina nel contraddittorio con l’interessato.

Con nota del 6.5.2021 il Collegio di disciplina riteneva la condotta del docente “in palese contrasto rispetto al suo ruolo di docente ed alle responsabilità educative che gli sono connaturate, tanto più se si considera che le affermazioni da lui condivise sono state riportate anche da mezzi di stampa di livello locale e nazionale, in cui la notizia è stata diffusa, sottolineando sempre la qualifica dell’autore come docente dell’Università degli Studi di Milano e così recando un danno all’immagine ed alla reputazione dell’Università stessa”. Rilevava come il docente avesse “violato il Codice di comportamento dell’Università degli Studi di Milano e le norme di buona condotta che, ai sensi di legge, un docente universitario è tenuto ad osservare sia nel diretto esercizio delle proprie funzioni sia nei rapporti privati di rilevanza pubblica e che rappresenti una violazione di particolare gravità nei confronti della sua funzione docente”. Pertanto, valutando che la condotta contestata integrasse “responsabilità disciplinare”, confermava la “sanzione disciplinare proposta dal Magnifico Rettore” consistente [#OMISSIS#] sospensione dallo svolgimento della funzione di professore universitario e da ogni altro incarico comunque assegnatogli in ambito accademico, limitando la durata di tale sospensione ad un mese, con privazione della retribuzione per il medesimo periodo e corresponsione di un assegno alimentare in misura non superiore a metà dello stipendio.

Con decreto del 14.5.2021 il Rettore dell’Università degli Studi di Milano ha quindi adottato il provvedimento disciplinare nei termini indicato dal Collegio di disciplina.

Il professor -OMISSIS- ha impugnato il decreto del 14.5.2021 affidando il gravame ad un unico articolato motivo.

Con un primo ordine di censure rubricato “1. Il contenuto del [#OMISSIS#]” il ricorrente contesta l’offensività in sé del contenuto della pubblicazione rilevando che: i) con la “condivisione” il docente avrebbe effettuato un “mero inoltro informatico” del neme realizzato da altri e la “condivisione” sulla propria pagina di Facebook non equivale ad “approvazione” del contenuto del neme; ii) il contenuto intrinseco della pubblicazione non sarebbe offensivo del genere femminile, né lesivo dell’immagine dell’Università di Milano, in quanto “allude a una condotta di molti anni or sono, attribuita dalla stampa americana alla Vice [#OMISSIS#] degli Stati Uniti d’[#OMISSIS#] e a una condizione mentale del [#OMISSIS#] Biden”; iii) il contenuto della pubblicazione non rappresenterebbe comunque una critica all’Università nè attribuisce comportamenti illeciti, illegittimi o disdicevoli a organi dell’Ateneo.

Con un secondo ordine di censure, rubricato “2. Le norme che regolano l’esercizio del potere disciplinare”, il ricorrente denuncia l’illegittimità l’esercizio del potere disciplinare esercitato e la sanzione inflitta: i) evidenziando “come i provvedimenti impugnati non indicano in alcun modo le norme del codice di comportamento e le norme di legge che sarebbero state violate e che, con particolare riguardo a queste ultime, imporrebbero regole di buona condotta”; il docente avrebbe comunque posto in essere una “condotta privata” che si [#OMISSIS#] al di fuori delle sue funzioni di docente, priva di interesse per l’Ateneo, e quindi in tanto tale non sanzionabile disciplinarmente; ii) affermando che non ricorrono i presupposto per applicare sia le disposizioni sul potere disciplinare dei pubblici dipendenti (artt. 78 e ss del d.p.r. n. 3/1957) sia quelle relativa al Codice di comportamento dell’Ateneo diretto a disciplinare le condotte del docente “nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche” e non l’immagine o la reputazione dell’Ateneo (art. 54, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001 e art. 9 del Codice di comportamento); iii) denunciando la violazione dell’art. 8, comma 5, del Codice etico dell’Università, che regolamenta l’utilizzo dei mezzi di comunicazione e dei social media facendo “[#OMISSIS#] il legittimo esercizio della [#OMISSIS#] manifestazione del [#OMISSIS#] e della libertà di critica”; in virtù del principio di specialità sarebbe questa l’unica disposizione applicabile, sicchè la condotta del docente non assumerebbe rilievo disciplinare in quanto rappresenta “il legittimo esercizio della manifestazione del [#OMISSIS#] su tematiche generali che interessano il dibattito pubblico internazionale”; ad ogni modo, la violazione del Codice etico non prevede la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio (art. 46 del Codice); iv) sarebbero violate anche le disposizioni che garantiscono la [#OMISSIS#] manifestazione del [#OMISSIS#] (che [#OMISSIS#] specie non incita alla violazione né esprime odio), sancite a livello costituzionale (artt. 2 e 21 Cost.) e sovra-nazionale (artt. 8 e 10 della CEDU, art. 11 della Carta di [#OMISSIS#]); v) sussisterebbe infine violazione del principio di proporzionalità fra la grave sanzione inflitta – che colpisce “il diritto al lavoro, la retribuzione necessaria a condurre una [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e dignitosa (art. 36 Cost) e la manifestazione del [#OMISSIS#]” – e il comportamento tenuto, la violazione del principio parità di trattamento con quello riservato ad un docente in un [#OMISSIS#] (2019) ben più grave in cui un docente dell’Ateneo aveva manifestato pubblicamente solidarietà ad un post Facebook del “gruppo Sinistra Universitaria – UdU Statale” senza elevare alcuna sanzione verso quel docente.

Nel costituirsi in giudizio la difesa dell’Università ha replicato alle censure sollevate. Con riferimento alla esatta individuazione della condotta contestata oggetto del potere disciplinare si è rilevato che “la mancanza di una più dettagliata indicazione delle norme violate” sarebbe irrilevante in quanto era chiaro quale fosse la materialità del fatto addebitato e la sua rilevanza disciplinare, attesa la “specificità dell’addebito disciplinare” emersa nel corso del procedimento, sicchè il dipendente era in grado di difendersi consapevolmente. Inoltre, si precisa che l’illecito disciplinare è stato “valutato e sanzionato” ai sensi dell’art. 10 della legge n. 240/2010 e dell’art. 33 dello Statuto, mentre con riguardo alla sanzione inflitta si richiama la disciplina del r.d. 1592/1933 che attribuisce [#OMISSIS#] organi competenti il potere di irrogare quattro misure disciplinari tipiche di cui negli art. da 87 a 89.

La parti si sono scambiate memorie difensive.

All’udienza del 7 giugno 2023, dopo la discussione di rito, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il quadro normativo del potere disciplinare dell’Ateneo verso i propri docenti è costituito dal r.d. n. 1592/1933, dalla legge n. 240/2010, dallo Statuto di Ateneo, nonché dal d.lgs. n. 165/2001, dal Codice di comportamento nazionale approvato con d.p.r. n. 62/2013 e di Codice di comportamento di Ateneo.

Occorre distinguere tra regole di comportamento che sono oggetto di sanzione disciplinare e regole del procedimento volte a disciplinare la procedura attraverso cui si perviene a comminare la sanzione e le sanzioni applicabili.

Alle regole di comportamento sono dedicate le disposizioni dell’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 e il Codice di comportamento nazionale e quello di Ateneo, mentre alle regole procedimentali sono dedicate le disposizioni del r.d. n. 1592/1933, della legge n. 240/2010 e lo Statuto di Ateneo.

Con riferimento alle regole di comportamento, occorre evidenziare come l’art. 54, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, istituisca il Codice di comportamento nazionale della pubblica amministrazione “al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico”; il codice “contiene, altresì, una sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione”.

Al comma 3 dell’art. 54 cit. si prevede che “La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare …”.

Il comma 5 dell’art. 54 cit. demanda poi a ciascuna amministrazione la definizione “un proprio codice di comportamento “che integra e specifica il Codice di comportamento nazionale a cui “si applicano le disposizioni del comma 3” sulla responsabilità disciplinare.

Il Codice di comportamento nazionale è stato adottato con D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62.

L’Università degli Studi di Milano ha adottato ai sensi dell’art. 54, comma 5, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il proprio Codice di comportamento che integra e specifica le previsioni di cui al Regolamento recante il Codice di Comportamento nazionale.

In particolare, l’art. 9 del Codice di comportamento di Ateneo disciplina la condotta del docente “nei rapporti privati” precisando che “Il dipendente nei rapporti privati, anche con pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, non usa in modo improprio la posizione che ricopre nell’Ateneo e non assume alcun comportamento che possa recare danno all’immagine e alla reputazione dell’Università, al fine di preservare la fiducia dei cittadini/utenti”.

Il successivo art. 15 del Codice prevede che la violazione degli obblighi previsti dal Codice di Comportamento nazionale e di quello di Ateneo “… integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio e determina responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni, secondo quanto previsto dalla legge e dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, ove applicabili”.

Il successivo art. 16 del Codice chiarisce nelle “norme finali” che “… qualora da uno stesso comportamento derivi la violazione disciplinare e la violazione del Codice Etico, si procede solo in via disciplinare”.

Con riferimento alle regole procedimentali (regole di procedura e sanzioni applicabili), l’art. 10, comma 2, della legge n. 240/2010, sancisce che “L’avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’articolo 87 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta”.

L’art. 33, comma 2, dello Statuto dell’Ateneo, con cui si si dà attuazione all’art. 10 della legge n. 240/2010, stabilisce che “per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura fra quelle previste dall’articolo 87 del TU delle leggi sull’Istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, il Rettore invia al Collegio di disciplina una proposta motivata di sanzione”; il successivo comma 5 precisa che “Il Collegio di disciplina propone e il Consiglio di amministrazione infligge le sanzioni previste dall’articolo 87 e seguenti del Testo Unico delle leggi sull’Istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 come confermate dall’articolo 12 della legge 18 marzo 1958, n. 311”.

L’art. 87 del r.d. n. 1592/1933 prevede invece le sanzioni applicabili ai comportamenti disciplinarmente rilevanti indicando che “Ai professori di ruolo possono essere inflitte, secondo la gravità delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari: 1) la censura; 2) la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio ad un anno; 3) la revocazione; 4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni; 5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni”.

Il successivo art. 89 cit. specifica che la sanzione di cui al n. 2 dell’art. 87 (“la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio ad un anno”) si applica “secondo i casi e le circostanze, per le seguenti mancanze: a) grave insubordinazione; b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; c) abituale irregolarità di condotta; d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore. La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti, l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse …”.

Dall’esame degli atti del procedimento emerge che l’Università nell’esercitare il potere disciplinare si è mossa nell’ambito del quadro normativo avendo fatto espressa applicazione della disciplina recata dall’art. 10 della legge n. 240/2010, dall’art. 33 dello Statuto di Ateneo e dal Codice di comportamento interno.

La [#OMISSIS#] attributiva del potere subordina la produzione degli effetti giuridici da essa previsti (sanzione disciplinare) alla sussistenza del requisito della lesione del decoro o dell’onere della funzione di docente, nonché quella della lesione dell’immagine o della reputazione dell’istituzione universitaria e ancora del pregiudizio infero al rapporto di fiducia tra l’istituzione universitaria e i cittadini/utenti (art. 9 del Codice di comportamento di Ateneo). La valutazione sui comportamenti disciplinarmente rilevanti è quindi espressione di ampia discrezionalità in quanto spetta all’amministrazione l’apprezzamento di concetti giuridici indeterminati quali la lesione del decoro, dell’onere, dell’immagine, della reputazione, del pregiudizio al rapporto di fiducia tra l’istituzione universitaria e i cittadini/utenti.

La discrezionalità si riferisce quindi al momento conoscitivo del fatto e implica una valutazione che di esso effettua l’amministrazione alla stregua di un concetto giuridico indeterminato che è preso in considerazione dalla [#OMISSIS#] attributiva del potere non [#OMISSIS#] dimensione oggettiva di “fatto storico” che, benché complesso, può essere accertato dal [#OMISSIS#], bensì quale “fatto mediato” dalla valutazione riservata all’amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez.VI, 15.7.2019, n. 4990). Per questa ragione il sindacato del [#OMISSIS#] va condotto entro i limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale, limiti che “impongono al [#OMISSIS#] una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione” (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 28.8.2020, n. 16).

Il sindacato di legittimità sull’esercizio del potere disciplinare dipende allora dalla conformazione del potere ad opere della [#OMISSIS#] attributiva che garantisce all’amministrazione la gestione dell’interesse pubblico affidato in cura. Il limite del sindacato non significa però assicurare all’amministrazione sacche di gestione del potere prive di controllo giurisdizionale, bensì vuol dire rispetto del principio costituzionale di divisione dei poteri per come conformato dal legislatore.

Secondo l’orientamento della giurisprudenza in materia di procedimento disciplinare il sindacato giurisdizionale deve potersi estendere alla verifica della legittimità dell’esercizio del potere “dal punto di vista dell’adeguatezza dell’iter procedimentale seguito, segnatamente per quanto attiene alla istruttoria procedimentale, e del rispetto del principio di proporzionalità tra accadimenti come effettivamente accertati e punizione comminata” o in [#OMISSIS#] di “manifesta illogicità e irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento dei fatti” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.5.2023, n. 4554).

A questi fini bisogna allora distinguere tra accertamento del fatto storico posto a fondamento della valutazione discrezionale dell’amministrazione e valutazione discrezionale che di quel fatto ha compiuto l’amministrazione.

Il [#OMISSIS#] amministrativo ha cognizione sia sul fatto che sulla sua valutazione, ma in termini distinti tra loro. Il fatto storico è pienamente accessibile e sindacabile, mentre il sindacato sulla valutazione di quel fatto incontra i limiti del controllo sulla discrezionalità.

Entro i descritti confini del sindacato giurisdizionale, occorre verificare se il potere disciplinare è stato correttamente esercitato in concreto.

Ad avviso del Collegio il gruppo di censure formulate dal ricorrente, e racchiuse nel paragrafo “1. Il contenuto del [#OMISSIS#]”, non sono fondate.

In primo luogo bisogna accertare se il fatto storico sia imputabile al docente e quale sia la carica offensiva del neme.

La “condivisione” che si fa sulla propria pagina di Facebook o di altro social di un post realizzato da altri, anche sotto forma di neme, che non sia accompagnato da espresse cautele o da prese di distanza dal contenuto del documento che si rende pubblico anche [#OMISSIS#] cerchia delle proprie conoscenze, equivale secondo l’id quod plerumque accidit ad “approvazione” del contenuto di quel documento.

Secondo il comune agire l’aver acquisito con una prima azione informatica un documento di altri e aver poi postato, con una seconda azione informatica, quel documento nell’ambito di un social di cui si ha la gestione equivale a porre in essere una condotta di approvazione di quel contenuto.

Per evitare di sconfinare in supposizioni o arbitri, l’offensività di post o di una pubblicazione sociale non và valutata in senso soggettivo bensì oggettivo ossia verificando quale sia il significato da attribuirsi secondo il senso comune.

Il contenuto intrinseco della pubblicazione di specie, non accompagnata da alcuna precisazione o da altri elementi di contrario avviso, è sicuramente offensivo del genere femminile in quanto il neme pubblicato veicola senza dubbio la convinzione, che la società e la morale comune non approva, dell’opportunità di strumentalizzare i rapporti intimi per raggiungere scopi diversi da quelli che li caratterizzano e di fatto asseconda una determinata categoria di persone a tenere simili comportamenti.

Il docente al contrario, inserendo un simile messaggio offensivo [#OMISSIS#] propria pagina social e condividendo con la cerchia di persone che si relazionano con la sua pagina social, ha di fatto approvato quel contenuto offensivo.

Il docente universitario è titolare, oltre che di obblighi informativi, di doveri formativi nei confronti dei discenti. Se indica nei propri canali social il ruolo istituzionale ricoperto nell’Ateneo evidentemente interagisce con persone interessate alle idee della persona anche in virtù del ruolo del docente. Ne deriva che l’esporre pubblicamente il proprio ruolo comporta ragionevolmente il coinvolgimento dell’istituzione di cui si fa parte nelle conseguenze, positive e negative, derivanti dalle proprie condotte.

L’approvazione da parte di un docente del contenuto offensivo di un post, tramite “condivisione” [#OMISSIS#] propria pagina social in cui dà evidenza del ruolo accademico ricoperto nell’Ateneo e che è quindi frequentata anche da chi intende relazionarsi con il docente in funzione del ruolo questi assunto e reso pubblico, contrastano con il ruolo e la funzione del docente universitario chiamato ad assolvere un importante compito formativo ed educativo verso i discenti e ledono quindi la dignità della stessa professione svolta.

La condotta tenuta dal docente, benché il neme sia stato rimosso dopo poco tempo, ha avuto un notevole risalto nei media ed è stata oggetto di [#OMISSIS#] critiche e proteste da parte degli organi stampa, del mondo accademico dell’Ateneo e della società civile (come emerge dalla documentazione versata in giudizio) che, sentendosi lesi nei rispettivi ruoli e vedendo incrinata la fiducia nell’istituzione universitaria, hanno chiesto all’Università di sanzionare simili comportamenti anche a tutela della reputazione e dell’immagine della stessa Università.

L’Università a cui appartiene il docente che si è vista imputata, tramite il docente, una condotta offensiva che, benché non voluta o approvato, le ha creato discredito nei fruitori, diretti o indiretti, del servizio universitario.

L’Università, non approvando il contenuto del neme, ha ritenuto che un simile comportamento, per le modalità in cui si è esplicata nel social facente capo a quest’[#OMISSIS#] e per le reazioni sociali che ne sono scaturite, lede non solo il decoro dell’attività professionale del decente ma altresì la propria la reputazione e l’immagine, incrinando così il patto di fiducia stretto tra l’istituzione universitaria e cittadini/utenti.

Una volta accertato che il fatto storico ha una carica lesiva ed è imputabile al docente, va ora esaminato il secondo gruppo di censure, sollevate sotto il paragrafo rubricato “2. Le norme che regolano l’esercizio del potere disciplinare”, con cui si lamenta la mancata individuazione delle norme di legge che sarebbero state violate e che imporrebbero regole di buona condotta.

Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, l’Università ha correttamente individuato, oltre alla fonte del potere disciplinare, quale sia la [#OMISSIS#] di condotta violata e la sanzione inflitta.

Nel [#OMISSIS#] di specie il provvedimento impugnato indica che la [#OMISSIS#] attributiva del potere nell’art. 10 della legge n. 240/2010 e nell’art. 33 dello Statuto di Ateneo, sopra richiamati.

La [#OMISSIS#] di condotta che è stata violata emerge chiaramente dagli atti istruttori del procedimento disciplinare (cfr. nota del Rettore del 16.11.2020 e del 22.12.2020; parere del Collegio di disciplina del 6.5.2020) in cui si rileva come “il comportamento del prof. -OMISSIS- abbia violato il Codice di comportamento dell’Università degli Studi di Milano e le norme di buona condotta che, ai sensi di legge, un docente universitario è tenuto ad osservare … nei rapporti privati di rilevanza pubblica e che rappresenti una violazione di particolare gravità nei confronti della sua funzione docente”.

È evidente il richiamo che si intende fare all’art. 9 del Codice di comportamento dell’Ateneo che prende in considerazione appunto i comportamenti “nei rapporti privati” stabilendo che il docente “nei rapporti privati … non usa in modo improprio la posizione che ricopre nell’Ateneo e non assume alcun comportamento che possa recare danno all’immagine e alla reputazione dell’Università, al fine di preservare la fiducia dei cittadini/utenti”.

La [#OMISSIS#] di comportamento violata è quindi quella sancita nell’art. 9 del Codice di comportamento interno avendo il docente assunto nell’ambito di rapporti privati, intrattenuti in via telematica (via social) una condotta offensiva che ha arrecato pregiudizio all’immagine e alla reputazione dell’Università, incrinando il patto di fiducia che i cittadini hanno con l’istituzione universitaria, laddove quel patto doveva essere preservato e difeso dallo stesso docente.

Come detto, la violazione dell’art. 9 del Codice di comportamento interno è sanzionata sotto il profilo disciplinare ai sensi del combinato disposto dell’art. 15 dello stesso Codice e dell’art. 54, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001.

Va da sé che non trovano rilievo le censure sollevate con riferimento alla violazione dei principi sulla [#OMISSIS#] manifestazione del [#OMISSIS#], tutelata a livello costituzionale ed europeo, in quanto il [#OMISSIS#] di specie non coinvolge i limiti alla [#OMISSIS#] manifestazione del [#OMISSIS#], bensì il contenuto del [#OMISSIS#] espresso liberamente che è stato ritenuto lesivo della reputazione e dell’immagine dell’Università e pertanto oggetto di sanzione disciplinare.

Né invero una simile condotta poteva essere sanzionata in base al Codice etico dell’Ateneo poiché a tanto si oppone il principio del ne bis in idem e di preferenza verso il canale disciplinare espresso nell’art. 16, comma 2, del Codice di comportamento interno, secondo cui “qualora da uno stesso comportamento derivi la violazione disciplinare e la violazione del Codice Etico, si procede solo in via disciplinare”.

[#OMISSIS#] infine esaminate le censure di violazione del principio di parità di trattamento e di proporzionalità della sanzione.

In via generale, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento o di mancata omogeneità nel trattamento riservato alla valutazione dei comportamenti degli interessati soggetti a procedimento disciplinare è configurabile in [#OMISSIS#] di identità di situazioni di fatto e di conseguente irragionevole diversità del trattamento che viene ad esse riservato. La disparità di trattamento peraltro non può essere dedotta ove la posizione giuridica che riguarda altri soggetti, invocata per ricevere il medesimo trattamento favorevole (tertium comparationis), sia stata conseguita contra legem in quanto frutto di una procedura non corretta, in quanto l’ordinamento non offre tutela a posizioni giuridiche che invocano in proprio favore rapporti sorti illegittimamente; in questo [#OMISSIS#], il destinatario di un provvedimento sfavorevole non può invocare, come sintomo di eccesso di potere, il trattamento riservato a chi si trova, in ipotesi, in un’analoga situazione (cfr. Tar [#OMISSIS#], Catanzaro, Sez. I, 11 aprile 2023, n. 575).

Dall’esame della condotta del docente indicata dal ricorrente come tertium comparationis, non risulta che il collega abbia posto un comportamento analogo a quello censurato dall’Università con il provvedimento impugnato, né del resto questi ha fornito dimostrazione del contrario come era suo onere. In presenza di tali circostanze, viene meno il [#OMISSIS#] di paragone sulla cui base si fonda la censura di disparità di trattamento.

Ne consegue che la denunciata disparità non si risolve nell’illegittimità dell’operato dell’amministrazione che, nel [#OMISSIS#] in esame, ha posto in essere, in relazione alla posizione del ricorrente, una condotta secudum legem.

Del pari infondata è la censura sulla violazione del principio di proporzionalità della sanzione.

L’art. 33, comma 2, dello Statuto di Ateneo, prevede che “ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura fra quelle previste dall’articolo 87 del TU delle leggi sull’Istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, il Rettore invia al Collegio di disciplina una proposta motivata di sanzione”; quindi, “il Collegio di disciplina esprime parere motivato e vincolante sulla proposta avanzata dal Rettore, con riferimento sia alla rilevanza dei fatti sia alla sanzione, e lo trasmette al Consiglio di amministrazione”.

In [#OMISSIS#] di sanzione disciplinare superiore alla “censura” l’art. 33 cit. prevede una motivazione aggravata a carico sia del Rettore che propone la sanzione che del Collegi di disciplina che deve valutare la proposta in quanto in entrambi gli Organi dell’Università, nell’ambito dei rispettivi ruoli e poteri istruttori, deve motivare la scelta della sanzione più grave.

Come si è ricordato gli artt. 87 e 89 del r.d. n. 1592/1933 prevedono per la condotta consistente in “atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore” quattro tipologie di sanzioni disciplinari secondo “la gravità delle mancanze”, “i casi e le circostanze” ossia: “1) la censura; 2) la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio ad un anno; 3) la revocazione; 4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni; 5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni”.

In relazione alla condotta contestata al ricorrente l’unica sanzione applicabile era quella proposta dal Rettore e poi confermata dal Collegio in quanto il ravvisato comportamento in “contrasto rispetto al suo ruolo di docente ed alle responsabilità educative che gli sono connaturate” rientra [#OMISSIS#] fattispecie costituita da “atti in genere, che comunque ledono la dignità o l’onore del professore”.

Né invero occorreva motivare il perché si era scelta quella sanzione pur in presenza di altre sanzioni più gravi in quanto la scelta della sanzione ha rilievo soltanto quando, dopo aver accertato la non applicabilità della censura, si intende scegliere la sanzione più grave in luogo di quella meno grave.

Nel [#OMISSIS#] di specie, la proposta formulata dal Rettore e confermata dal Collegio di disciplina ha riguardo la sanzione che, secondo l’ordine di gravità sopra esposto, viene subito dopo la censura. Ne deriva che l’amministrazione non era tenuta a valutare quale tra le varie sanzioni potesse quella proporzionata al [#OMISSIS#] di specie poiché la scelta è avvenuta nei confronti della sanzione meno afflittiva per l’interessato.

In conclusione, il ricorso non è fondato e va pertanto respinto.

La condanna al pagamento delle spese di giudizio segue il principio della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Università degli Studi Milano che liquida nell’importo di Euro 2.000,00, olre [#OMISSIS#], cpa e spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Milano [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 7 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] Iera, Referendario, Estensore