00010/2024 REG.PROV.COLL.
01274/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1274 del 2019, proposto da
[#OMISSIS#] Sambo, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Scuola Superiore Sant'[#OMISSIS#] di Studi Universitari e di Perfezionamento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliataria ex lege in Firenze, via degli Arazzieri, 4;
per l’accertamento del diritto del ricorrente ad essere assunto a tempo indeterminato come ricercatore e ad essere sottoposto alla procedura di valutazione di cui all’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Scuola Superiore Sant'[#OMISSIS#] di Studi Universitari e di Perfezionamento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2023 il dott. Giovanni [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il dottor [#OMISSIS#] Sambo, in qualità di ricercatore a tempo determinato presso l’Istituto Tecnologie della Comunicazione, dell’Informazione e della Percezione della Scuola Superiore Sant’[#OMISSIS#] di Pisa, ha proposto un’azione di accertamento del diritto ad essere assunto a tempo indeterminato come ricercatore e, ciò, in applicazione della disciplina relativa alla stabilizzazione dei dipendenti pubblici di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017.
In particolare si sostiene l’esistenza dei seguenti vizi:
1. la violazione del diritto europeo e dell’art. 117, comma 1, cost., in quanto la disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori universitari e, in particolare dei ricercatori di tipo A, si porrebbe in contrasto con gli obblighi derivanti dalla direttiva n. 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, nella parte in cui impone agli Stati membri di adottare politiche volte a limitare l’uso dei contratti a tempo determinato;
2. l’incostituzionalità dell’art. 24, comma 3, della Legge n. 240 del 2010 per violazione degli artt. 3, 9, comma 1, 33, comma 1, cost., in quanto la disciplina di cui all’art. 24 della c.d. Legge [#OMISSIS#] sarebbe irrazionale nel momento in cui prevede il ricorso al contratto a tempo determinato per la figura del ricercatore universitario;
3. l’incostituzionalità, sotto altri profili, dell’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010, nella parte in cui non prevede la possibilità per i ricercatori di tipo A) che abbiano ottenuto l’abilitazione ad essere valutati ai fini della chiamata nel ruolo dei professori associati.
Si è costituita la Scuola Superiore Sant'[#OMISSIS#] di Studi Universitari e di Perfezionamento contestando le argomentazioni proposte e chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza del 21 dicembre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 Sono da respingere, in particolare, i primi due motivi con i quali si sostiene il contrasto tra, la disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori universitari (con particolare riferimento ai ricercatori di tipo A)), con gli obblighi derivanti dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
1.2 È necessario premettere che la Legge n. 240/2010 ha distinto tra ricercatori di cui alla “lettera A”, con contratti triennali prorogabili per ulteriori 2 anni e ricercatori di cui alla “lettera B”, con contratti triennali non rinnovabili, ma che danno diritto alla valutazione per la chiamata come professori associati in caso di ottenimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale.
1.3 L’esclusione di entrambe dette categorie dalla disciplina propria dei dipendenti pubblici è espressamente contenuta nell’art. 3 del d.lgs. 165/01, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato, resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione.
1.4 Proprio in conseguenza del regime di autonomia applicabile alle Università e dell’esistenza di specifiche disposizioni (ad esempio l’art. 29, d.lgs. n. 81/2015) previste per i ricercatori a tempo determinato, non risultando estensibili a detta categoria le disposizioni sul contratto a tempo determinato, così come quelle contenute nell’art. 1 del d.lgs. n. 328 del 2001, né quelle di cui al decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, poiché espressamente escluse nel caso di contratti a termine stipulati ai sensi della legge n. 240/10.
1.5 L’assunzione del ricercatore è strettamente correlata all’esecuzione di uno o più specifici progetti, le cui caratteristiche vengono rese evidenti nel bando di concorso e, ciò, anche con la conseguenza che la realizzazione delle attività di progetto costituisce la ragione oggettiva che giustifica il rinnovo dei contratti a termine e legittima la condotta della Scuola.
I regolamenti di Ateneo individuano poi le circostanze in base alle quali una proroga è legittima e, ciò, sulla base di criteri oggettivi diretti a verificare che il rinnovo di siffatti contratti corrisponda ad un’esigenza reale dell’Università.
1.6 È allora evidente la disciplina dell’Università costituisce l’unica fonte normativa in materia di inquadramento contrattuale del ricercatore a termine, con espressa esclusione dell’applicabilità dei principi di privatizzazione e contrattualizzazione del d.lgs. n.165/2001.
1.7 Si consideri peraltro che, a seguito della rimessione da parte del TAR Lazio ai sensi dell’art 267 TFUE, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è già pronunciata (in questo senso è l’ordinanza n. 4336/2019) rilevando l’inesistenza di un contrasto tra la normativa nazionale e il diritto dell’Unione.
La compatibilità tra la normativa interna che delinea lo status dei ricercatori e i principi vincolanti espressi dalla suddetta direttiva trova fondamento nel principio, indicato dal punto 7 dei considerando della direttiva 1999/70/CE, secondo cui “l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi” e, ancora, dal tenore della clausola n. 5 dell’accordo quadro, laddove si prevede l’individuazione di specifici criteri per procedere al rinnovo dei contratti di cui si tratta (T.A.R. Lazio Roma Sez. III, del 23 maggio 2022, n. 6593).
1.8 Ne consegue che, l’art. 20 del D.lgs. 75/2017 e in materia di stabilizzazione dei dipendenti pubblici, non si applica nei confronti dei ricercatori universitari e, ciò, in assenza di una specifica disposizione diretta ad includere anche detta particolare categoria a, sua volta, disciplinata com’è in funzione dei principi di autonomia di cui godono le Università.
1.9 Precedenti pronunce hanno già avuto modo di rilevare come l’art. 20 del D.lgs. n. 75 del 2017 rappresenta una procedura eccezionale, finalizzata, anche allo scopo di riallineare il nostro ordinamento in materia di pubblico impiego ai principi europei, al riassorbimento del precariato rivolta a coloro che, negli anni, sono stati titolari di contratti a tempo determinato con pubbliche amministrazioni (Cons. Stato Sez. VII, del 28 agosto 2023, n. 8011).
Si è affermato, infatti, che “la disciplina dettata da tale norma, dichiaratamente volta al superamento del precariato del ceto impiegatizio nelle pubbliche amministrazioni ….. risulta ontologicamente incompatibile con l’applicazione di una misura di tipo sostanzialmente emergenziale, indirizzata alla stabilizzazione del personale precario alle dipendenze dell’amministrazione in regime di diritto pubblico contrattualizzato” (T.A.R. Lazio Roma Sez. III, del 23 maggio 2022, n. 6593).
2. Altrettanto da respingere è la terza censura con la quale si sostiene l’incostituzionalità dell’art. 24, comma 3, della l. n. 240 del 2010, nella parte in cui non prevede la possibilità per i ricercatori di tipo A), che abbiano ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale di prima o seconda fascia, di essere valutati ai fini della chiamata nel ruolo dei professori associati.
2.1 Sul punto è dirimente constatare la sostanziale diversità di disciplina (e di funzioni) tra le due categorie di ricercatore.
2.2 I contratti da ricercatore di tipo A) sono configurati come primo livello di ingresso nella categoria, circostanza quest’ultima che è dimostrata dalla mancata predeterminazione da parte del Legislatore di specifici requisiti di accesso, oltre al possesso del dottorato di ricerca (o titolo equivalente) e del diploma di specializzazione medica comuni alla categoria dei ricercatori.
2.3 Diversamente, il contratto da ricercatore di tipo B) rappresenta il secondo livello contrattuale riservato a candidati che hanno già usufruito di alcune tipologie contrattuali individuate dalla legge quali i contratti da ricercatore di tipo A) e la titolarità per almeno 3 anni di assegni di ricerca (ai sensi dell’art. 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997) e, ancora, la titolarità per almeno 3 anni di borse di dottorato o post dottorato di cui all’art. 4 della legge n. 398 del 1989.
2.4 Un ulteriore elemento di differenziazione è dato dalla disciplina del trattamento economico che consente ai contratti di tipo B) di risultare incrementati fino ad un importo pari al 30% (art. 24, comma 7 attuato alla Scuola prevedendo l’incremento del 20% – art. 13 del Regolamento ricercatori Scuola).
2.5 Ne consegue come risultino dimostrate le ragioni che giustificano la differenziazione nel trattamento delle diverse categorie e dunque, sulla base dei soprarichiamati orientamenti della giurisprudenza costituzionale, la questione di costituzionalità può essere considerata manifestamente infondata.
2.6 In conclusione l’infondatezza di tutte le censure proposte, consente di respingere il ricorso, mentre le spese possono essere compensate in considerazione della particolarità della fattispecie esaminata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese tra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
Giovanni [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Fenicia, Consigliere