È inammissibile, per difetto di motivazione in punto di non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, nella parte in cui non consente ai docenti universitari delle università statali lo svolgimento di incarichi anche in società a scopo di lucro.
Corte cost., 8 gennaio 2024, n. 3
Inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 10, Legge 240/2010
SENTENZA N. 3
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: OMISSIS Giudici: OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), promosso dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, Trento, nel procedimento vertente tra OMISSIS e l’Università degli studi di Trento, con ordinanza del 20 marzo 2023, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023 il Giudice relatore OMISSIS;
deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 20 marzo 2023, iscritta al n. 64 reg. ord. 2023, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, Trento, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 33 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), nella parte in cui non consente ai docenti delle università statali di ricoprire l’incarico di amministratore indipendente presso società aventi scopo di lucro.
1.1.– Il giudice a quo espone di essere stato investito del ricorso proposto da OMISSIS, professore ordinario a tempo pieno presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi di Trento, per l’annullamento del provvedimento del rettore dell’ateneo del 1° luglio 2022 di diniego dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extra-istituzionale di amministratore indipendente, senza funzioni o deleghe gestionali, del Consiglio di amministrazione della società di assicurazione e riassicurazione sulla vita ITAS Vita spa (d’ora in poi: Itas Vita), facente parte del gruppo mutualistico ITAS (ITAS Mutua), nonché per l’annullamento degli artt. 2 e 8 del regolamento per l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi extra-istituzionali del personale docente e ricercatore, di cui al decreto del rettore del medesimo ateneo del 31 marzo 2021, n. 268, se interpretato nel senso di impedire al personale docente di svolgere funzioni di consigliere indipendente in società a scopo di lucro. Il ricorso – prosegue il rimettente – era fondato su tre motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lettera c), del citato regolamento, per aver travisato la reale natura della Itas Vita, da ritenersi solo formalmente una società di capitali, come tale avente scopo di lucro, ma nella sostanza da qualificarsi quale persona giuridica a carattere mutualistico e, pertanto, priva della finalità lucrativa; 2) violazione di legge e travisamento dei fatti, per non aver adeguatamente considerato le caratteristiche del ruolo dell’amministratore indipendente, privo di finalità esecutive e gestionali; 3) violazione di legge per difetto di motivazione e violazione del divieto di aggravamento del procedimento, per avere acquisito il parere dell’Avvocatura distrettuale dello Stato ed avere a esso aderito acriticamente nel senso del rigetto dell’autorizzazione.
Ad avviso del giudice a quo, il censurato art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010, impedendo ai docenti delle università statali di ricoprire l’incarico di amministratore indipendente in società aventi scopo di lucro, creerebbe una irragionevole disparità di trattamento con il personale docente nelle università non statali, ai quali sarebbe invece permesso ricoprire tali cariche.
Chiarisce il TRGA rimettente che nessuna interpretazione conforme a Costituzione sarebbe possibile, in quanto l’auspicata interpretazione adeguatrice della censurata disposizione alla luce dell’art. 3 Cost. andrebbe a collidere con il principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego (ex art. 98, primo comma, Cost.) e con il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (ex art. 97 Cost.), comportando, dunque, una sostituzione del giudice nell’apprezzamento discrezionale del legislatore.
In punto di rilevanza, il rimettente assume la diretta e attuale incidenza della censurata disposizione nella definizione del giudizio. E ciò in quanto all’accertamento della sua illegittimità costituzionale conseguirebbe l’illegittimità degli artt. 2 e 8 del regolamento dell’Università di Trento in tema di autorizzazione allo svolgimento di incarichi extra-istituzionali e, in definitiva, dell’impugnato diniego opposto dal rettore.
Il giudice a quo espone, inoltre, l’impossibilità di accogliere gli altri motivi di ricorso.
In particolare, con riferimento al primo motivo, evidenzia che non sarebbe possibile una riqualificazione della Itas Vita quale società avente scopo mutualistico – come prospettato dal ricorrente, sul presupposto della partecipazione della ITAS Mutua quale socio unico della Itas Vita – sia perché nessuna previsione legislativa consentirebbe tale riqualificazione, sia perché lo statuto stesso della Itas Vita prevedrebbe espressamente la possibilità di distribuire i dividendi. Con riferimento al secondo motivo, sostiene l’assorbente rilevanza ostativa dello scopo di lucro perseguito dalla persona giuridica cui afferisce l’incarico, non assumendo, quindi, rilievo il carattere non esecutivo dell’incarico medesimo. Con riferimento al terzo motivo, infine, esclude la configurabilità del dedotto aggravamento del procedimento, non ritenendo che l’università abbia disposto mezzi istruttori superflui.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente censura la disparità di trattamento tra i docenti delle università statali, a cui sarebbe preclusa, ai sensi del predetto art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010, l’assunzione di incarichi in società aventi scopo di lucro, e i docenti delle università non statali, i quali sarebbero invece legittimati a svolgerli.
Tale disparità di trattamento violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in combinato disposto con la libertà di insegnamento di cui all’art. 33 Cost., in quanto situazioni eguali verrebbero trattate in modo diverso, anche a scapito della libertà di insegnamento, così risultando «irragionevole e contraddittoria [la] discriminazione arbitrariamente determinatasi tra docenti».
2.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 6 giugno 2023, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.
2.1.– Viene innanzitutto eccepita l’inammissibilità della questione in quanto il giudice rimettente non avrebbe compiuto un adeguato sforzo interpretativo della norma censurata in modo conforme a Costituzione.
Nel merito, l’interveniente premette che la perimetrazione degli incarichi extra-istituzionali accessibili ai docenti universitari a tempo pieno non potrebbe ritenersi lesiva degli artt. 3 e 33 Cost., in quanto, per un verso, sarebbe bilanciata dal [#OMISSIS#] trattamento retributivo ad essi riservato e, per altro verso, sarebbe imposta dalla qualifica di pubblici dipendenti, i cui profili di imparzialità e spessore etico sarebbero funzionali al perseguimento dei principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost.
Tanto premesso, viene affermato che l’art. 6 della legge n. 240 del 2010 rubricato «[s]tato giuridico dei professori e dei ricercatori universitari» troverebbe applicazione «con riferimento alla generalità dei docenti universitari, siano essi in servizio presso gli atenei statali o presso gli atenei non statali legalmente riconosciuti o legittimati a rilasciare titoli aventi valore legale».
La legge n. 240 del 2010 detterebbe, infatti, un regime giuridico valido per tutti i docenti delle
università, sia statali che non statali, anche perché vigerebbe una riserva di legge sul regime giuridico dei professori, sottratto espressamente all’autonomia degli istituti universitari non statali, in virtù della normativa susseguitasi nel tempo, e in particolare del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), della legge 9 maggio 1989, n. 168 (Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica), della legge 2 luglio 1991, n. 243 (Università non statali legalmente riconosciute), nonché della legge n. 240 del 2010 in esame.
Alla luce del comune regime giuridico dei professori universitari statali e non statali, viene quindi sostenuta la non fondatezza della questione.
Sotto altro profilo, l’Avvocatura, sostiene, poi, che le caratteristiche proprie del ruolo di amministratore indipendente e la natura pubblicistica degli interessi sottesi alla regolamentazione del settore assicurativo consentirebbero di ritenere ricompresa l’attività di amministratore indipendente in seno ai consigli di amministrazione delle società assicurative, nell’alveo delle attività che possono essere svolte liberamente dai docenti universitari a tempo definito e, previa autorizzazione del rettore, da parte dei docenti a tempo pieno, purché non si determino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, e lo svolgimento dell’incarico non vada a detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate.
3.– In data 29 agosto 2023, è stata depositata dal giudice rimettente l’istanza presentata dal ricorrente nel giudizio a quo per la declaratoria di cessazione della materia del contendere o di sopravvenuta carenza di interesse, alla luce dell’avvenuto accoglimento da parte del rettore dell’Università di Trento (in data 12 luglio 2023) di nuova (medesima) richiesta di autorizzazione allo svolgimento del suddetto incarico extra-istituzionale, inoltrata a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, Trento, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., in combinato disposto con l’art. 33 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010, nella parte in cui non consente ai docenti delle università statali di ricoprire l’incarico di amministratore indipendente presso società aventi scopo di lucro.
2.– La legge n. 240 del 2010 è intervenuta sulla disciplina in materia di organizzazione delle università nonché di stato giuridico e reclutamento del personale accademico e ha delegato il Governo ad intervenire per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario.
Con particolare riferimento ai regimi di incompatibilità previsti per i docenti universitari, ha distinto, rispettivamente, tra attività totalmente incompatibili, attività liberamente esercitabili e attività consentite previa autorizzazione del rettore. Più precisamente ha operato la seguente distinzione:
1) attività extra-istituzionali incompatibili con la carriera universitaria: «esercizio del commercio e dell’industria fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitari, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297, anche assumendo in tale ambito responsabilità formali, nei limiti temporali e secondo la disciplina in materia dell’ateneo di appartenenza, nel rispetto dei criteri definiti con regolamento adottato con decreto del Ministro ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400» (art. 6, comma 9, primo periodo);
2) attività che i professori e i ricercatori a tempo pieno: a) non possono svolgere: «esercizio di attività libero-professionale […] fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, fatto salvo quanto stabilito dalle convenzioni adottate ai sensi del comma 13 del presente articolo» (art. 6, comma 9, secondo periodo); b) possono svolgere liberamente «anche con retribuzione» senza necessità di autorizzazione: «attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali» (art. 6, comma 10, primo periodo); c) possono svolgere previa autorizzazione del rettore: «funzioni di didattica e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza» (art. 6, comma 10, secondo periodo).
Su tale normativa il legislatore è intervenuto recentemente con il d.l. n. 44 del 2023, come convertito, incidendo sulla disciplina degli incarichi esterni dei professori e ricercatori universitari in regime di tempo pieno.
In particolare, con il comma 2-bis dell’art. 9 del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, è stato aggiunto, all’art. 6 della legge n. 240 del 2010, il comma 10-bis, con il quale si prevede la possibilità per i professori e i ricercatori a tempo pieno di svolgere, «previa autorizzazione del rettore, incarichi senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici o privati anche a scopo di lucro, purché siano svolti in regime di indipendenza» e purché sussistano talune specifiche condizioni negative (assenza di esercizio di poteri esecutivi individuali, di situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza e di detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali dalla stessa affidate).
Con il successivo comma 2-ter, poi, è stata introdotta una disposizione di interpretazione autentica avente ad oggetto il comma 10 dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010, a norma della quale «Il primo periodo del comma 10 dell’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, con specifico riferimento alle attività di consulenza, si interpreta nel senso che ai professori e ai ricercatori a tempo pieno è consentito lo svolgimento di attività extra-istituzionali realizzate in favore di privati o enti pubblici ovvero per motivi di giustizia, purché prestate senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e di
persone preordinata al loro svolgimento, fermo restando quanto previsto dall’articolo 23-ter del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214».
3.– Alla luce del quadro normativo sinteticamente ricostruito va dunque esaminata la questione di legittimità costituzionale sollevata.
Il giudice rimettente sostiene la violazione degli evocati parametri costituzionali –art. 3, in combinato disposto con l’art. 33 – in quanto l’art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010, non consentendo ai docenti delle università statali di ricoprire l’incarico di amministratore indipendente presso società aventi scopo di lucro, creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento con il personale docente nelle università non statali, al quale sarebbe, invece, permesso ricoprire tali cariche.
4.– La questione è inammissibile.
Va, infatti, considerato che la legge n. 240 del 2010 – che detta «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario» – ha ad oggetto il sistema universitario nel suo complesso, comprensivo dunque delle università statali e non statali. Solamente specifiche disposizioni riguardano espressamente le università statali – quali, ad esempio, l’art. 2, relativo all’organizzazione dell’università,
l’art. 11, avente ad oggetto gli interventi perequativi per le università statali, o, ancora, l’art. 18, commi 2 e 4, relativo a profili finanziari – o le università non statali, quali, in particolare, l’art. 12, che disciplina, per le università legalmente riconosciute (ad eccezione delle università telematiche diverse da quelle già inserite tra le università non statali legalmente riconosciute, subordinatamente al mantenimento dei requisiti previsti
dalla legge), una nuova ripartizione di una quota dei contributi statali previsti dalla legge n. 243 del 1991.
Alla luce di tale quadro normativo, la premessa interpretativa posta a fondamento dei dubbi di
legittimità costituzionale – ovverosia la mancata applicazione della disposizione censurata ai docenti delle università non statali, i quali sarebbero pregiudicati dalla dedotta disparità di trattamento – avrebbe richiesto una più adeguata motivazione, dovendo, il giudice a quo, spiegare perché riteneva che la disposizione in esame, che non fa riferimento alcuno a una data tipologia di università, diversamente da altre contenute nella stessa legge n. 240 del 2010, trovasse applicazione unicamente per i docenti delle università statali, contribuendo a delineare lo stato giuridico e il regime delle incompatibilità solo per questi ultimi.
5.– Tale inadeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza determina, pertanto,
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata, in linea con il [#OMISSIS#] orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui l’ordinanza di rimessione deve contenere una sufficiente illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe la violazione del parametro costituzionale evocato (ex plurimis, sentenze n. 186 e n. 108 del 2023).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 33 Cost., dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, Trento, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023.
F.to:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Redattore
OMISSIS, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l’8 gennaio 2024