TAR Sicilia (Catania), Sez. I, 11 marzo 2024, n. 938

I crediti di lavoro dei professori universitari soggiacciono alla prescrizione quinquennale ex art. 2 Legge n. 428/1985

Data Documento: 2024-03-11
Autorità Emanante: TAR Sicilia
Area: Giurisprudenza
Massima

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 della legge 7 agosto 1985 n. 428, che ha elevato da due a cinque anni il termine prescrizionale delle rate di stipendio e delle differenze arretrate dei dipendenti pubblici, e ha quindi equiparato il regime dei loro crediti alla disciplina generale sui crediti di lavoro di cui all’art. 2948 n. 4 c.c., tutti gli emolumenti corrisposti ai pubblici dipendenti in funzione dell’esercizio dell’attività lavorativa sono soggetti alla prescrizione quinquennale, senza alcuna distinzione per l’ipotesi che il credito retributivo sia contestato, o comunque richieda un formale atto di accertamento da parte dell’Amministrazione, e non assumendo più alcun valore neppure la distinzione giurisprudenziale fondata sulla natura del presupposto (legislativo, normativo o provvedimentale) che aveva costituito, in precedenza, il discrimine tra l’applicazione del termine quinquennale e quello decennale.

Contenuto sentenza

00938/2024 REG.PROV.COLL.

01552/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1552 del 2019, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi di Messina, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, Via Vecchia Ognina, 149;

per la condanna

al pagamento della retribuzione per gli incarichi di docenza universitaria;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Messina;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 febbraio 2024 la dott.ssa OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato in data 19 settembre 2019 e depositato l’8 ottobre 2019, il sig. OMISSIS ha adito questo Tribunale al fine di ottenere la condanna dell’Università degli Studi di Messina al pagamento della retribuzione per gli incarichi di docenza svolti negli anni dal 2004 al 2008 per il corso di laurea in chimica industriale, curriculum c, presso la sede del Consorzio Universitario Megara-Ibleo di Priolo.

Il ricorrente espone di essere professore ordinario di fisica sperimentale presso il Dipartimento di scienze matematiche e informatiche, scienze fisiche e scienze della terra dell’Università degli Studi di Messina.

In seguito ad una convenzione tra l’Università di Messina e il Consorzio Universitario Megara Ibleo, è stato istituito il corso di laurea in chimica industriale in Priolo Gargallo, con personale docente individuato dall’Ateneo.

In virtù di tale convenzione, il ricorrente ha svolto la propria attività didattica per il corso di laurea in chimica industriale, curriculum c, presso la sede del Consorzio Universitario Megara-Ibleo di Priolo negli anni accademici 2004/2005, 2005/2006, 2006/2007 e 2007/2008.

In particolare, nei quattro anni di insegnamento, il ricorrente afferma di aver svolto, per ciascun anno, le seguenti attività: n. 72 ore di lezioni; n. 7 appelli d’esame; n. 24 missioni per anno, n. 2 riunioni. Pertanto, in base al piano economico finanziario, approvato contestualmente alla convenzione, avrebbe dovuto ricevere le seguenti somme: € 123,65, a titolo di costo orario per lo svolgimento degli insegnamenti; € 90,00, a titolo di indennità di missione e rimborso spese; € 154,94 a titolo di indennità esami.

Di conseguenza, per l’attività didattica svolta, l’Ateneo avrebbe dovuto corrispondere al ricorrente la somma complessiva di € 55.381,52. L’Università, invece, avrebbe versato al ricorrente solo € 3.500,00, quale rimborso della diaria relativamente all’anno accademico 2004/2005.

Tanto premesso, il ricorrente chiede l’accertamento e la dichiarazione di esistenza del credito nei confronti dell’Università degli Studi di Messina quantificato nella misura di € 51.881,52 e la conseguente condanna dell’Università al pagamento della predetta somma, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali.

Con memoria del 10 ottobre 2019, si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Messina, eccependo preliminarmente l’intervenuta prescrizione del credito azionato e contestando l’an e il quantum delle somme richieste.

Alla pubblica udienza straordinaria del 19 febbraio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell’art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

In particolare, il Collegio ritiene meritevole di accoglimento l’eccezione di prescrizione formulata dall’Amministrazione resistente.

Invero, “dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 della legge 7 agosto 1985 n. 428, che ha elevato da due a cinque anni il termine prescrizionale delle rate di stipendio e delle differenze arretrate dei dipendenti pubblici, e ha quindi equiparato il regime dei loro crediti alla disciplina generale sui crediti di lavoro di cui all’art. 2948 n. 4 c.c., tutti gli emolumenti corrisposti ai pubblici dipendenti in funzione dell’esercizio dell’attività lavorativa sono soggetti alla prescrizione quinquennale, senza alcuna distinzione per l’ipotesi che il credito retributivo sia contestato, o comunque richieda un formale atto di accertamento da parte dell’Amministrazione, e non assumendo più alcun valore neppure la distinzione giurisprudenziale fondata sulla natura del presupposto (legislativo, normativo o provvedimentale) che aveva costituito, in precedenza, il discrimine tra l’applicazione del termine quinquennale e quello decennale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 febbraio 2015, n. 558; 27 dicembre 2006 n. 7880; III, 14 gennaio 2013, n. 141; V, 8 settembre 2008, n. 4251; 21 giugno 2007 n. 3390; 20 ottobre 2004 n. 6794; VI, 17 gennaio 2008, n. 90).

E infatti, come ha chiarito la giurisprudenza, non rileva la circostanza che il credito della dipendente richieda un atto di accertamento ovvero un calcolo particolare ai fini del decorso del termine di prescrizione, atteso che i crediti retributivi dei pubblici dipendenti soggiacciono alla prescrizione quinquennale senza distinzione tra crediti contestati o meno (cfr. Cons. Giustizia Amministrativa R.S. 31 gennaio 2018, n. 39)” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. I, 7 agosto 2018, n. 5221).

Nel caso di specie, i crediti retributivi oggetto della domanda del ricorrente si riferiscono agli anni 2004/2005, 2005/2006, 2006/2007 e 2007/2008.

Parte ricorrente ha allegato al ricorso le diffide di pagamento notificate all’Università in data 2 luglio 2008, 13 novembre 2008, 24 agosto 2011 e 12 dicembre 2017.

Dalla diffida notificata il 24 agosto 2011 è trascorso il termine quinquennale di prescrizione senza che sia stato notificato alcun atto interruttivo della stessa. Il successivo atto di messa in mora, infatti, è stato notificato solo in data 12 dicembre 2017, quando la prescrizione era già maturata.

A tal riguardo, il Collegio tiene a precisare che nessuna efficacia interruttiva del termine prescrizionale può essere riconosciuto alle note di cui agli allegati 7, 8 e 9 del fascicolo dell’Amministrazione resistente, che parte ricorrente sostiene abbiano valore di riconoscimento del debito.

Sull’argomento, la Corte di Cassazione ha, infatti, chiarito che “la ricognizione di debito, di cui all’art. 1988 c.c., ha natura di atto unilaterale recettizio che può essere effettuato solo da chi abbia la disponibilità del negozio giuridico o dell’atto cui si riferisce il riconoscimento.

Inoltre, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell’art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il solo destinatario della ricognizione è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e che, oltre ad essere preesistente, può anche nascere contemporaneamente alla dichiarazione (o trovarsi in itinere al momento di questa), ma della cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento.

4.2. Ove l’atto ricognitivo del debito provenga da una Pubblica Amministrazione lo stesso richiede la forma scritta ad substantiam e la prova della sua esistenza e del suo contenuto non può essere fornita né attraverso la confessione, né mediante la testimonianza (Cass. n. 25435 del 2007).

Vi e’, inoltre, necessità di un’idonea manifestazione di volontà ricognitiva del debito adottata nelle forme di legge, potendo l’Amministrazione obbligarsi solo nelle forme consentite e con assoggettamento dell’atto al riscontro di legittimità della Corte dei conti (Cass. n. 1834 del 1974), ciò perché la disciplina civilistica dettata dall’art. 1988, c.c., è applicabile agli atti della P.A. nel concorso dei requisiti formali e procedimentali che ne condizionano la validità e l’efficacia (Cass. n. 8643 del 2003; Cass. n. 25435 del 2007).

4.3. Il riconoscimento di debito può essere configurato solo a fronte di atti che siano diretti al creditore della prestazione e che provengano dall’organo capace di impegnare all’esterno l’ente.

Non hanno [#OMISSIS#] ricognitiva gli atti interni, quelli adottati al di fuori delle procedure di imputazione e liquidazione delle spese, quelli che provengano da organi privi del potere di rappresentanza (cfr., sia pure con riferimento ad altri contesti, Cass. n. 24710 del 2015 e Cass. n. 16576 del 2008)” (Cassazione civile sez. lav., 31 luglio 2023, n. 23155).

Nel caso in esame, tali condizioni non ricorrono, essendo le note allegate dei meri atti di interlocuzione tra l’Università, il Consorzio Universitario Megara Ibleo e i propri uffici, attraverso le quali l’Amministrazione ha cercato di ricostruire in via preliminare l’an della sua esposizione debitoria nei confronti dei docenti in servizio (e, peraltro, senza riscontri oggettivi, essendo gli stessi uffici interpellati ad escludere l’attendibilità delle informazioni rese, in quanto oggetto di contestazione da parte dei docenti interessati).

Si consideri, inoltre, come già accennato, che “la ricognizione di debito e la promessa di pagamento, pur non avendo natura giuridica di confessione, consistendo la prima in una dichiarazione di scienza e la seconda in una dichiarazione di volontà, devono comunque provenire da soggetto legittimato dal punto di vista sostanziale a disporre del patrimonio su cui incide l’obbligazione dichiarata; ne consegue che, con riferimento ad un ente collettivo, non può aversi una promessa unilaterale (o una ricognizione) proveniente da persona non munita dei relativi poteri rappresentativi (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21336 del 13/08/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 23198 del 27/09/2018; Sez. 2, Sentenza n. 6473 del 24/04/2012; Sez. 3, Sentenza n. 1438 del 28/02/1984; Sez. 1, Sentenza n. 1834 del 21/06/1974)” (Cassazione civile sez. II, 25 ottobre 2023, n. 29614).

Nel caso di specie, non si potrebbe quindi riconoscere alcuna [#OMISSIS#] a dichiarazioni rese da soggetti non muniti dei necessari poteri rappresentativi.

Quanto alla nota prot. n. 0106955 del 4 novembre 2019, di cui all’allegato n. 13, è poi lo stesso ricorrente ad affermare che si tratti di una mera “comunicazione interna” dell’Università in cui si discute in merito all’odierno giudizio, senza che si prenda mai posizione chiara sull’asserita posizione creditoria del ricorrente ed anzi rinviandosi in chiusura “all’Articolazione competente, che si saprà meglio esprimere sulla situazione contabile e sullo stato dei pagamenti”.

Parte ricorrente si limita, infine, a dedurre labialmente circa la proposizione di un ricorso per decreto ingiuntivo dinnanzi a questo Tribunale, senza tuttavia specificare, nemmeno attraverso adeguata produzione documentale, quali pretese siano state fatte valere in quella sede e la loro afferenza all’odierno giudizio.

Destituita di fondamento è la tesi di parte ricorrente secondo cui l’eccezione di prescrizione sarebbe stata formulata tardivamente dall’Amministrazione resistente, dovendo essere formulata ai sensi dell’art. 167, comma 2, c.p.c., ossia in occasione della prima memoria di costituzione.

La pronuncia del Consiglio di Stato del 13 settembre 2023, n. 8301, richiamata dal ricorrente a sostegno della propria tesi, precisa, infatti, che l’applicazione dell’art. 167, comma 2, c.p.c. – con il necessario “adattamento” di tale norma alla scansione temporale del processo amministrativo – si impone anche nel giudizio amministrativo al fine di consentire alla parte ricorrente “di esercitare il proprio diritto di difesa e di contraddittorio mediante la produzione di documenti nel termine di cui all’art. 73 c.p.a.”, potendo in questa prospettiva il Giudice anche acconsentire “alla richiesta della ricorrente di fissazione di nuova udienza di discussione, con conseguente assegnazione di nuovi termini, per il deposito dei documenti in replica e dei nuovi scritti conclusivi, così da consentire il più ampio contraddittorio fra le parti (principio inderogabile di qualsiasi processo, ordinario, arbitrale o amministrativo, ai sensi dell’art. 111 Cost. che lo richiama espressamente)”.

Ritiene, quindi, il Collegio che la pronuncia richiamata, lungi dal precludere la formulazione dell’eccezione di prescrizione nei termini di cui all’art. 73 c.p.a., esclude soltanto che possano essere compromesse le attività difensive di parte ricorrente.

Nel caso in esame, il diritto di difesa e il contraddittorio tra le parti è stato integralmente assicurato, essendo la memoria dell’Amministrazione resistente depositata nei termini di cui all’art. 73 c.p.a. in data 13 dicembre 2023 ed avendo, quindi, parte ricorrente avuto modo di prendere posizione sull’eccezione formulata. Ed è quanto effettivamente parte ricorrente ha fatto, sia depositando memoria – peraltro tardiva – in data 16 febbraio 2024, sia durante l’udienza pubblica.

Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato, essendo il credito retributivo oggetto della domanda di parte ricorrente prescritto.

Le spese di lite possono essere compensate tenuto conto delle peculiarità della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Omissis, Presidente

Omissis, Primo Referendario

Omissis, Estensore

L’Estensore OMISSIS

Il Presidente OMISSIS

Pubblicato giorno 11 marzo 2024