La vocazione “generale” della regolamentazione in materia di incarichi istituzionali dei pubblici dipendenti di cui al T.U. sul pubblico impiego è limitata da un’espressa clausola di esclusione, che ne impedisce in toto l’applicabilità a talune categorie di soggetti, tra cui quella dei docenti universitari a tempo definito.
TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 5 giugno 2024, n. 203
La regolamentazione in materia di incarichi istituzionali di cui al T.U. sul pubblico impiego non si applica ai docenti universitari a tempo definito
00203/2024 REG.PROV.COLL.
00033/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 33 del 2024, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi Trieste, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza Dalmazia, 3;
per l’annullamento
previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di costituzionalità dell”art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 165/2001,
1. del provvedimento, trasmesso in data 11.12.2023, a firma del Direttore Generale dell”Università degli studi di Trieste avente ad oggetto “Richiesta di versamento, ai sensi dell”art. 53, commi 7 e 7 bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dei compensi indebitamente percepiti a fronte dello svolgimento di attività extraistituzionali senza la preventiva autorizzazione per il periodo dal 1° novembre 2015 al 31 ottobre 2022 e riscontro all”istanza di accesso agli atti”;
2. del provvedimento dd. 16.11.2023 a firma del Direttore Generale dell”Università degli studi di Trieste avente ad oggetto “Riscontro alle note prot. di Ateneo n. 153562 del 3 ottobre 2023 e n. 162256 del 18 ottobre 2023 – Concessione proroga”;
3. dell’art. 21, commi 2 e 3, del Regolamento per la disciplina del procedimento di rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento di incarichi extraistituzionali da parte dei professori e dei ricercatori dell”Università degli Studi di Trieste, approvato con decreto rettorale n. 540/2020 e da ultimo modificato con decreto rettorale n. 907/2023 e rettificato con decreto rettorale n. 920/2023, per quanto occorrer possa e nei limiti di interesse del ricorrente;
4. di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non conosciuto.
nonché per l”accertamento
dell”insussistenza dell”obbligo del ricorrente di riversare all”Università degli studi di Trieste l”importo di € 515.416,03 da questa richiesto ovvero, in subordine, per la sua riduzione, anche in via equitativa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Trieste;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, già professore ordinario di Chimica organica presso il Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutiche dell’Università degli Studi di Trieste, in quiescenza dal 1° novembre 2023, domanda l’annullamento del provvedimento con cui l’Università ha richiesto il versamento dei compensi percepiti per lo svolgimento di attività extraistituzionali non preventivamente autorizzate, ai sensi dell’art. 53, commi 7 e 7-bisdel d.lgs. 165/2001, per complessivi € 515.416,03.
1.1. Egli Impugna, contestualmente, l’art. 21, commi 2 e 3, del Regolamento per la disciplina del procedimento di rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento di incarichi extraistituzionali, laddove interpretato nel senso di ampliare il perimetro applicativo dell’art. 53, commi 7 e 7-bis del d.lgs. 165/2001.
1.2. Oggetto del provvedimento sanzionatorio contestato è l’attività svolta dal ricorrente tra il 1° novembre 2015 e il 31 ottobre 2022 a favore del “Center for Cooperative Research in Biomaterials (CIC BiomaGUNE)”, organizzazione no-profit di ricerca di diritto spagnolo, con sede a San Sebastian.
1.3. Il ricorrente rappresenta, in particolare:
– che l’instaurazione della collaborazione con il CIC BiomaGUNE era stata preceduta da una richiesta di passaggio al tempo definito, ottenuto a partire dal 1° novembre 2015;
– che lo svolgimento di tale attività era noto, fin dal principio, all’Università di Trieste, la quale aveva dato indicazioni circa la non necessità di una specifica autorizzazione;
– che ciononostante, nel 2022, l’Università ha invitato il ricorrente a inoltrare richiesta di autorizzazione, poi concessa con decreto rettorale del 28 novembre 2022;
– che, successivamente, l’Università ha avviato un procedimento finalizzato ad accertare l’eventuale violazione della normativa in materia di incarichi extraistituzionali, con riferimento alle precedenti annualità della collaborazione;
– che, all’esito di tali accertamenti, è stata irrogata al ricorrente una sanzione disciplinare (contestata con autonomo ricorso) ed è stato adottato l’impugnato provvedimento di recupero dei compensi percepiti, oggetto del presente giudizio.
2. Avverso il provvedimento, il ricorrente ha proposto i seguenti motivi:
I. “(Inapplicabilità della normativa richiamata dall’Ateneo). Violazione di legge: art. 53, commi 6, 7 e 7-bis, d.lgs. 165/2001. Eccesso di potere per difetto di presupposti e istruttoria. Eccesso di potere per violazione dell’art. 21, comma 2, “Regolamento per la disciplina del procedimento di rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento di incarichi extraistituzionali da parte dei professori e dei ricercatori dell’Università degli Studi di Trieste” ovvero illegittimità in via derivata per nullità e/o annullabilità dell’art. 21, commi 2 e 3, Regolamento citato per difetto assoluto di attribuzione, incompetenza, violazione del principio di tipicità e legalità e violazione dell’art. 53, commi 6, 7 e 7-bis, d.lgs. 165/2001 nonché per eccesso di potere per difetto di proporzionalità e irragionevolezza”;
II. “(Liceità della condotta e non assoggettamento ad autorizzazione). Violazione dell’art. 60 D.P.R. 3/1957, dell’art. 15 D.P.R. 382/1980, dell’art. 53 d.lgs. 165/2001 e dell’art. 6 legge 240/2010. Eccesso di potere per violazione degli artt. 11, 12 e 20 del Regolamento di Ateneo in materia di autorizzazioni al personale docente. Eccesso di potere per carenza di presupposti nonché per difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione art. 53, commi 6, 7 e 7-bis, d.lgs. 165/2001”;
III. “Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione”;
IV. “Motivo (Presenza di autorizzazione implicita e intervenuta autorizzazione). Eccesso di potere per contraddittorietà e carenza di presupposti. Violazione art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 165/2001 e art. 21, comma 2, Regolamento di Ateneo in materia di autorizzazioni”;
V. “(Esclusione dell’obbligo di riversamento e/o riduzione dell’importo dovuto). Violazione del principio dell’affidamento e buona fede. Violazione del principio di proporzionalità tra illecito e sua conseguenza. Violazione artt. 1227 e 1384 c.c.. Eccesso di potere per carenza di presupposti e di istruttoria. Ingiustizia manifesta e irragionevolezza. Violazione art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 165/2001”;
VI. “Violazione art. 53, commi 7 e 7-bis d.lgs. 165/2001. Violazione art. 2697 c.c.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e motivazione nonché contraddittorietà”.
2.1. Il ricorrente domanda, in subordine, l’accertamento in via equitativa di un minor importo che tenga conto di una serie di circostanze idonee ad attenuare i profili di responsabilità del ricorrente, nonché la rimessione alla Corte costituzionale di una questione di legittimità avente ad oggetto le disposizioni di legge applicate, per violazione degli artt. 3, 36, 53, 76, 97 e 98 Costituzione.
3. Con memoria del 31 gennaio 2024, l’Università ha argomentato per il rigetto del ricorso.
4. All’udienza in camera di consiglio del 7 febbraio 2024, il ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare proposta con il ricorso.
5. Alla successiva udienza pubblica del 23 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
6. Con il primo motivo, il ricorrente contesta l’applicabilità a sé della disciplina di cui all’art. 53, comma 7 e 7-bisdel d.lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego) e, quindi, della misura del recupero dei compensi percepiti per le prestazioni non autorizzate, adottata dall’Università. Il comma 6 del medesimo articolo 53, infatti, esclude espressamente dal perimetro applicativo dei successivi commi 7-13 la categoria soggettiva dei “docenti universitari a tempo definito”.
6.1. L’Università ritiene, invece, che le norme recate dall’art. 53 del d.lgs. 165/2001 debbano interpretarsi congiuntamente all’art. 6, comma 12, della l. 240/2010. Quest’ultima disposizione, di carattere speciale, disciplina le attività consentite ai docenti universitari a tempo definito, permettendo loro di svolgere “attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri” solo “previa autorizzazione del rettore che valuta la compatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali”. La misura del recupero dei compensi prevista dall’art. 53, comma 7 del d.lgs. 165/2001, sanzionando in generale lo svolgimento di attività extraistituzionali non autorizzate da parte del pubblico dipendente, sarebbe quindi applicabile anche con riguardo alla violazione del regime “speciale” di autorizzazione previsto per i docenti a tempo definito di cui all’art. 6, comma 12.
7. Il motivo di ricorso è fondato.
7.1. Gli incarichi extraistituzionali dei docenti universitari a tempo definito, categoria cui apparteneva il ricorrente all’epoca dei fatti contestati, sono oggetto di una disciplina dettata sia dal T.U. del Pubblico impiego (d.lgs. 165/2001) che dalla legge sull’ordinamento universitario, c.d. “legge Gelmini” (l. 240 del 2010). In particolare:
– l’art. 53, comma 6 del d.lgs. 165/2001 detta per tale categoria una regolamentazione “in negativo”, escludendo che ai “docenti universitari a tempo definito” si applichino “i commi da 7 a 13 del presente articolo” e quindi, per quanto qui rileva, sia il divieto – previsto per la generalità dei dipendenti pubblici – di svolgere “incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza”, sia la specifica conseguenza per il caso di sua inosservanza (“il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente”);
– l’art. 6, comma 12 della l. 240/2010 prevede invece – “in positivo” – che tale categoria possa “svolgere, anche con rapporto di lavoro subordinato, attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri, previa autorizzazione del rettore che valuta la compatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali”.
7.2. Le due regolamentazioni risultano tra loro complementari e perfettamente armonizzabili, senza necessità di ricorrere ad una interpretazione “sistematica” della prima alla luce della seconda, che ne stravolgerebbe la portata, confliggendo con la ratio e, ancor prima, con il tenore letterale delle disposizioni di legge.
7.3. La vocazione “generale” della regolamentazione in materia di incarichi istituzionali dei pubblici dipendenti di cui al T.U. sul pubblico impiego è limitata, infatti, da un’espressa clausola di esclusione, che ne impedisce in toto l’applicabilità a talune categorie di soggetti, tra cui quella dei “docenti universitari a tempo definito” (art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001).
7.4. A tale proposito, non si condivide la lettura della disposizione fatta propria dall’Università, secondo cui il riferimento alle “altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali” dovrebbe orientare l’interpretazione di tutte le ipotesi di esclusione, compresa quella prevista a favore dei “docenti universitari a tempo definito”. Sostiene, pertanto, l’amministrazione, che la portata derogatoria della clausola andrebbe limitata all’ipotesi – diversa da quella di cui è causa – di attività libero-professionale che non richieda autorizzazione in base alla disciplina speciale.
7.4.1. Il rilievo non persuade. Sul piano testuale, il riferimento alla “disposizioni speciali” riguarda solo le “altre categorie di dipendenti pubblici”, con funzione delimitativa di una classe “residuale” di soggetti, di portata altrimenti eccessivamente ampia e indefinita, mentre l’estensione alle precedenti categorie, di per sé già esattamente determinate, renderebbe inutile la loro specifica menzione. Il richiamo, in ogni caso, non individua, sul piano oggettivo, un tipo di attività, ma una categoria soggettiva (i dipendenti pubblici ai quali è consentito lo svolgimento di attività libero-professionale), sicché appare del tutto incongruo e irragionevole farne derivare, per una categoria già previamente contemplata, una limitazione della portata della deroga.
7.4.2. Ancora, il richiamo a quanto previsto da “disposizioni speciali”, se in astratto riferibile anche a docenti a tempo definito (stante la specialità dell’ordinamento universitario), non sembra poter analogamente interessare l’altra categoria menzionata della clausola di esclusione, cioè i “dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno” (rispetto ai quali, peraltro, l’inapplicabilità della disciplina di cui trattasi è stata di recente ribadita da Cass. civ., sez. lav., 18 luglio 2022, n. 22497), il che porta ad escluderne il valore di criterio ispiratore dell’intero precetto derogatorio.
7.5. Così ricostruita, sul piano soggettivo, la portata della deroga, si rileva che per la categoria dei “professori (e ricercatori) a tempo definito”, è dettata, nell’ambito dello specifico ordinamento universitario, una particolare regolamentazione delle attività extraistituzionali esercitabili (art. 6, comma 12, l. 240/2010) e del relativo regime autorizzatorio. Tra la disciplina del d.lgs. 165/2001 e quella della l. 240/2010 non è dato individuare alcuna antinomia, né un effettivo concorso, ma un rapporto di specialità (e, quindi, un concorso apparente di norme), che rende applicabile ai docenti a tempo definito la sola disposizione speciale della c.d. “legge Gelmini”.
7.6. La portata dell’esclusione sancita dall’art. 53 comma 6 del d.lgs. 165/2001 abbraccia, inoltre, l’intera disciplina degli incarichi extraistituzionali recata dal T.U. sul pubblico impiego – ossia “i commi da 7 a 13 del presente articolo” – comprensiva, oltre che del “presupposto” costituito dal generale obbligo di preventiva autorizzazione delle attività, della correlata sanzione del versamento dei compensi percepiti per le attività non autorizzate (prevista dal comma 7). A fronte dell’espressa deroga ad un intero impianto normativo, inequivocabilmente individuato attraverso il richiamo agli specifici commi che lo prevedono, l’operazione interpretativa compiuta dall’amministrazione – nel “recuperare”, dall’art. 53, d.lgs. 165/2001 la sola norma sanzionatoria, al fine di applicarla alle violazioni del regime “speciale” di cui alla l. 240/2010 – risulta non solo priva di base legale, ma in aperto e insanabile conflitto con la clausola escludente di cui si è detto (comma 6), che tale sanzione evidentemente ricomprende.
7.7. Non è quindi corretto affermare – pag. 6 della memoria dell’Università – che “l’azione di recupero dei compensi nei confronti dei docenti a tempo definito può escludersi soltanto nei casi in cui non è previsto, per i medesimi, un obbligo di autorizzazione, e proprio perché in questi casi mancherebbe il presupposto del recupero stesso, ossia lo svolgimento di attività extraistituzionali in difetto della prescritta autorizzazione”. Non è, infatti, solo il “presupposto del recupero” a mancare, quanto la sua stessa base normativa, né tantomeno al verificarsi di una fattispecie analoga (o anche corrispondente) a quella contemplata dall’art. 53, comma 7 del d.lgs. 165/2001 potrebbe conseguire la corrispondente sanzione, essendo entrambe indistintamente rese inapplicabili dal precedente comma 6.
8. Ad un simile esito non può giungersi nemmeno in forza di considerazioni sistematiche o “di opportunità” (quale quella della paventata “discriminazione al contrario” che si determinerebbe in favore dei docenti a tempo definito), stante, innanzitutto, la prevalenza logica e normativa del criterio di interpretazione letterale (cfr. art. 12 preleggi al Codice civile).
8.1. Sul piano sistematico, non si riscontrano comunque esigenze di stretta armonizzazione tra una disciplina a vocazione “generale”, qual è quella recata dal T.U. sul pubblico impiego (d.lgs. 165/2001), e la disciplina di un ordinamento “settoriale” (l. 240/2010), espressione di un’autonomia organizzativa e normativa costituzionalmente tutelata (art. 33, comma 7 Cost.). Del resto, anche per i “professori universitari a tempo pieno” (non contemplati dalla clausola di esclusione di cui all’art. 53 comma 6) il d.lgs. 165/2001 prevede che la regolamentazione degli incarichi extraistituzionali sia rimessa agli specifici ordinamenti (cfr. art. 53, comma 7: “con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto”), risultandone un regime alquanto variegato e a “geometria variabile”.
8.2. Al contempo, sul piano della ragionevolezza delle differenti discipline, non appare incongruo che lo svolgimento non autorizzato di incarichi extraistituzionali sia sanzionato meno severamente laddove coinvolga docenti universitari a tempo definito i quali, oltre a svolgere un’attività di carattere didattico e scientifico (per sua natura meno soggetta a condizionamenti esterni), prestano un servizio “part time” (per complessive 750 ore annue, cfr. art. 6, comma 1, della l. 240/2010), non incompatibile con altre concorrenti occupazioni.
8.3. Infine, nemmeno può dirsi che la violazione della procedura autorizzatoria di cui all’art. 6, comma 12 sia destinata, per i docenti a tempo definito, a rimanere priva di ogni conseguenza – il che la renderebbe oggetto di una c.d. “norma imperfetta”, fenomeno giuridico comunque non abnorme, né patologico – potendo essa trovare sanzione nell’ambito dello specifico universitario e chiamare in causa la responsabilità disciplinare del dipendente, come peraltro avvenuto nel caso di specie.
9. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento dell’11 dicembre 2023, avente ad oggetto la richiesta di versamento dei compensi percepiti nell’ambito dell’attività extraistituzionale svolta dal ricorrente.
9.1. Il carattere preliminare della censura accolta porta ad assorbire gli ulteriori motivi, che logicamente presuppongono l’applicabilità della disciplina di cui al Testo unico.
9.2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna l’Università a rifondere al ricorrente le spese di giudizio, che si liquidano nella somma di € 3.000,00, oltre spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Primo Referendario, Estensore
OMISSIS, Primo Referendario
L’Estensore OMISSIS
Il Presidente OMISSIS
Pubblicato il 5 giugno 2024