Cons. Stato 12 giugno 2024, n. 5268

Il tempo definito del docente universitario è causa di incompatibilità ma non di incandidabilità a Direttore di dipartimento

Data Documento: 2024-06-12
Autorità Emanante: Consiglio di Stato
Area: Giurisprudenza
Massima

Ai sensi dell’art. 6, comma 12, della l. n. 240/2010 anche il docente a tempo definito può candidarsi alle elezioni per la carica di Direttore del dipartimento, non costituendo ciò causa di incandidabilità o condizione di ineleggibilità. Ciò si desume inequivocabilmente dall’art. 6, comma 12, nella misura in cui qualifica unicamente come “incompatibile” la condizione di professore a tempo definito con l’esercizio di cariche accademiche.

A tal fine, quindi, l’impegno del docente di optare per il c.d. tempo pieno nell’ipotesi di successo elettorale è idoneo a eliminare l’incompatibilità delle funzioni, non trovando applicazione l’art. 6, comma 6 della l. 240/2010 che impone di optare per il regime a tempo pieno o per quello a tempo definito entro il termine perentorio di sei mesi dall’inizio dell’anno accademico.

Contenuto sentenza

N. 05268/2024REG.PROV.COLL.

N. 08072/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8072 del 2023, proposto dalla prof.ssa
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. OIMISSIS e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in OMISSIS5;

contro

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli Uffici di questa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

prof. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. OMISSIS e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in OMISSIS;

per l’annullamento,

previa adozione di idonea misura cautelare,

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Terza Ter, n. -OMISSIS del 9 ottobre 2023, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso R.G. n. -OMISSIS.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, presentata in via incidentale dall’appellante;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e del prof. -OMISSIS-;

Viste la relazione e la documentazione depositate dalla difesa erariale;

Vista la memoria del prof. -OMISSIS-;

Vista l’ordinanza n. -OMISSIS-/2023 del 25 ottobre 2023, con cui è stata respinta l’istanza cautelare;

Viste le ulteriori memorie e le repliche delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 marzo 2024 il Cons. OMISSIS e uditi per le parti l’avv. OMISSIS, su delega dichiarata dell’avv. OMISSIS, e l’OMISSIS;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in epigrafe la prof.ssa -OMISSIS- impugna la sentenza “breve” del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, n. -OMISSIS- del OMISSIS, chiedendone l’annullamento, previa adozione di idonea misura cautelare.

1.1. La sentenza appellata ha respinto il ricorso proposto dalla prof.ssa -OMISSIS- avverso il decreto della Rettrice dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” del 25 luglio 2023, recante la nomina del prof. -OMISSIS- alla carica di direttore del Dipartimento di Organi di Senso della Facoltà di Medicina e Odontoiatria della medesima Università per il triennio accademico 2023/2026, nonché avverso gli atti presupposti e connessi.

1.2. In fatto, la ricorrente partecipava alle elezioni per la citata carica di direttore del Dipartimento di Organi di Senso, svoltesi il 12 giugno 2023, all’esito delle quali risultava vincitore il prof. -OMISSIS-, che su un totale di n. 44 votanti riportava n. 34 voti contro n. 5 voti ottenuti dalla prof.ssa -OMISSIS- (n. 5 schede sono risultate nulle).

1.3. La ricorrente contestava l’esito elettorale innanzi alla Commissione Elettorale del Dipartimento, che però convalidava le elezioni sulla base di un parere dell’Area “Affari Generali” dell’Ateneo. Ella quindi impugnava la decisione della predetta Commissione innanzi al Senato Accademico, il quale, tuttavia, respingeva il ricorso. Di seguito, con decreto rettorale del 25 luglio 2023 il prof. -OMISSIS-, frattanto posto a domanda in regime di impegno a tempo pieno a far data dal 1’ novembre 2023, era nominato direttore del Dipartimento.

1.4. La ricorrente impugnava innanzi al T.A.R. Lazio il predetto decreto rettorale e gli atti presupposti e connessi, lamentando, in sintesi, che: I) il prof. -OMISSIS-, in quanto docente a tempo definito, non avrebbe potuto candidarsi, trattandosi di causa di ineleggibilità; II) comunque, egli avrebbe assunto l’impegno di optare per il regime a tempo pieno l’8 giugno 2023, cioè il giorno successivo a quello indicato come termine per la presentazione delle candidature; III) il controinteressato, infine, avrebbe presentato l’istanza di passaggio al c.d. tempo pieno senza osservare il termine anticipatorio di sei mesi rispetto alla data di inizio dell’anno accademico 2023/2024 previsto dall’art. 6, comma 6, della l. n. 240/2010.

1.5. Con la sentenza oggetto di gravame l’adito Tribunale ha respinto la doglianza I), richiamando la normativa di settore (art. 6, comma 12, della l. n. 240/2010; art. 32 dello Statuto dell’Università “La Sapienza”; regolamento-tipo dei Dipartimenti, approvato con D.R. n. 2699/2019 dell’11 settembre 2019; art. 4 del regolamento del Dipartimento di Organi di Senso), da cui emerge che il regime c.d. a tempo definito è correlato a una condizione non di ineleggibilità, ma di incompatibilità. Se ne desume che il prof. -OMISSIS- poteva superare l’impedimento connesso a detta condizione esercitando, all’atto della nomina, l’opzione per il tempo pieno, com’è in effetti avvenuto.

1.6. Il T.A.R. ha poi disatteso la doglianza di violazione dell’art. 6, comma 6, della l. n. 240/2010, il quale richiede la presentazione della domanda di passaggio al tempo pieno almeno sei mesi prima dell’inizio dell’anno accademico, non essendo detta previsione applicabile nel caso di specie, relativo alle cause di incompatibilità, per la cui disciplina lo stesso art. 6, al comma 12, rinvia agli statuti di ateneo. Nota la sentenza sul punto che una diversa interpretazione, favorevole all’applicazione di tale termine, comprimerebbe la possibilità per i professori a tempo definito di partecipare alle elezioni a cariche accademiche ogni qual volta queste siano indette a ridosso dell’inizio dell’anno accademico o comunque in data inferiore al predetto intervallo di sei mesi.

1.7. Da ultimo il primo giudice ha ritenuto, stante la genericità dei motivi di ricorso, di non doversi pronunciare sulla questione delle modalità e dei termini entro cui esercitare l’opzione per il tempo pieno, né sulla tempestività della dichiarazione resa al riguardo dal prof. -OMISSIS-, “in mancanza di uno specifico motivo in tal senso”,

2. Nel gravame l’appellante ha dedotto molteplici censure avverso la sentenza di prime cure, senza rubricarle in formali motivi di appello.

2.1. In sintesi (e salvo quanto si dirà oltre), l’appellante ha contestato anzitutto il richiamo, ad opera della sentenza, all’art. 6, comma 12, della l. n. 240/2010 e all’art. 32 dello Statuto dell’Università “La Sapienza”. Ha poi sostenuto che il regolamento-tipo dei Dipartimenti avrebbe previsto due distinte fattispecie di ineleggibilità (e così pure il regolamento del Dipartimento di Organi di Senso). Lo status attuale di professore a tempo pieno sarebbe condizione di eleggibilità, mentre il prof. -OMISSIS-, in quanto docente a tempo definito, non sarebbe stato eleggibile e neppure candidabile (v. infra, parag. 2.3).

2.2. L’appellante lamenta poi che il controinteressato avrebbe trasmesso la dichiarazione di optare per il regime a tempo pieno solo l’8 giugno 2023, mentre avrebbe dovuto semmai farlo, ai sensi del Regolamento generale per le elezioni telematiche on line degli organi centrali, entro la scadenza del termine per la presentazione delle candidature (7 giugno 2023). Invoca, inoltre, il comma 6 dell’art. 6 della l. n. 240 cit., in base al quale la domanda del prof. -OMISSIS- di opzione per il regime a tempo pieno diventerebbe efficace solo dal 1° novembre 2024 (in virtù del termine di sei mesi dall’inizio dell’anno accademico, previsto dal suddetto comma 6).

2.3. Ancora, l’appellante ha lamentato che il T.A.R. non avrebbe esaminato il motivo con cui ella ha contestato il rigetto del suo reclamo da parte del Senato Accademico, poiché tale organo non avrebbe considerato che il professore che intenda farsi eleggere alla carica di direttore di Dipartimento deve rivestire lo status di docente a tempo pieno e detta condizione deve sussistere, ai sensi dell’art. 32, comma 2, dello Statuto dell’Università, al momento dell’indizione dell’elezione: ne seguirebbe che il prof. -OMISSIS- avrebbe dovuto trovarsi nel regime di tempo pieno già alla data (31 maggio 2023) del decreto di indizione delle elezioni.

2.4. Da ultimo la prof.ssa -OMISSIS- ha criticato la motivazione della sentenza circa l’inapplicabilità alla fattispecie del termine anticipatorio di sei mesi ex art. 6, comma 6, della l. n. 240/2010, poiché, alla luce della disciplina sull’indizione delle elezioni per il direttore del Dipartimento di Organi di Senso, un professore a tempo definito che volesse candidarsi a dette elezioni potrebbe calcolare facilmente con quale anticipo chiedere il mutamento di regime.

3. Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, versando in atti una relazione difensiva e documentazione sui fatti di causa ed eccependo: l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 40 c.p.a.; l’infondatezza nel merito dell’appello.

3.1. Si è altresì costituito in giudizio il prof. -OMISSIS-, depositando memoria con cui ha eccepito: a) in rito, l’inammissibilità dell’appello per violazione dei principi di specificità e chiarezza dei motivi ex artt. 3, 40 e 101 c.p.a., essendo arduo per le controparti comprendere quale sia il preciso contenuto dei motivi di appello e di quelli riproposti in giudizio; b) nel merito, l’infondatezza delle censure dell’appellante. Ha concluso, pertanto, per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso, previa reiezione dell’istanza cautelare.

3.2. Con ordinanza n. -OMISSIS-/2023 del 25 ottobre 2023 il Collegio ha respinto la domanda cautelare in quanto non assistita dal periculum in mora, anche in ragione delle indicazioni fornite dall’Università sul quorum strutturale e su quello funzionale dell’elezione contestata, fissando per la discussione del merito l’udienza pubblica del 12 marzo 2024.

3.3. In vista dell’udienza di merito le parti hanno depositato memorie e repliche.

3.3.1. In particolare, l’appellante ha controdedotto alle eccezioni di rito e di merito delle controparti, insistendo per l’accoglimento del gravame.

3.3.2. L’Università ha insistito nell’articolare le eccezioni di rito e di merito già sollevate e lo stesso ha fatto il controinteressato, il quale ha posto l’accento, tra l’altro, sull’impossibilità per la prof.ssa -OMISSIS- di ottenere un effetto ulteriore a quello dell’indizione di nuove elezioni: ciò, in quanto i voti da lei ottenuti (cinque) non basterebbero a raggiungere né il quorum funzionale necessario nella prima (e unica) votazione, né a maggior ragione il quorum strutturale.

3.4. All’udienza pubblica del 12 marzo 2024 il Collegio, sentiti i difensori comparsi dell’appellante e del controinteressato, ha trattenuto la causa in decisione.

4. In via preliminare occorre delibare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione del principio di specificità dei motivi ex art. 101 c.p.a. sollevata sia dall’Ateneo, sia dal controinteressato. Quest’ultimo, in particolare, lamenta che sarebbe arduo per le controparti comprendere il contenuto preciso dei motivi di appello, anche perché il riassunto dei motivi del ricorso di primo grado che si legge a pagg. 4-5 dell’atto di appello non corrisponderebbe al loro reale contenuto e inoltre i motivi di appello si differenzierebbero, a propria volta, sia dal contenuto originale dei motivi di ricorso (che pure vorrebbero riproporre), sia dal suddetto contenuto per come riformulato nelle premesse in diritto dello stesso atto di appello: di tal ché, ne deduce il Collegio, sussisterebbe eventualmente anche un problema di violazione del divieto dei “nova” (art. 104 c.p.a.).

4.1. L’eccezione non può essere condivisa.

4.2. Vero è che l’appellante ha formulato censure senza rubricarle, né formalizzarle dal punto di vista grafico in motivi di appello, ma tale circostanza non integra di per sé alcuna violazione del principio di specificità dei motivi di appello stabilito dall’art. 101, comma 1, c.p.a..

4.2.1. Invero, il principio di specificità dei motivi di impugnazione dispone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non bastando la riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo e ciò, in quanto il giudizio di appello innanzi al giudice amministrativo ha natura di revisio prioris instantiae, i cui limiti oggettivi risultano segnati dai motivi di impugnazione (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 22 giugno 2023, n. 6147; id., 9 maggio 2023, n. 4680; Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1619; id., 30 novembre 2021, n. 7988; id., 8 aprile 2021, n. 2843; Sez. II, 2 febbraio 2022, n. 717; Sez. IV, 24 febbraio 2020, n. 1355). Pertanto, l’appello deve censurare le motivazioni della sentenza impugnata ed esporre le ragioni per le quali questa sarebbe erronea e da riformare (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. II, 12 marzo 2021, n. 2152; id., 21 maggio 2019, n. 3253; Sez. V, 4 aprile 2017, n. 1543; Sez. III, 3 aprile 2017, n. 1529; Sez. IV, 26 settembre 2016, n. 3936; Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 158). È stato precisato che non è necessario che i motivi di gravame siano rubricati in modo puntuale, né espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, rilevando invece che gli stessi vengano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale (cfr. C.d.S., Sez. V, 27 settembre 2022, n. 8321) e che, in ogni caso, la specificità si articola in relazione alla natura delle controversie (C.d.S., Sez. VI, 9 luglio 2012, n. 4006).

4.2.2. Tanto premesso, nel caso di specie il precetto dell’art. 101, comma 1, c.p.a. risulta rispettato, in quanto la prof.ssa -OMISSIS- ha mosso critiche sufficientemente specifiche e puntuali alla sentenza di prime cure (in disparte la fondatezza delle stesse), individuando con bastante chiarezza le ragioni per le quali, suo avviso, la sentenza sarebbe errata e da riformare, tant’è che sia l’Università, sia il prof. -OMISSIS- hanno controdedotto analiticamente rispetto alle stesse.

4.3. Non si può sostenere, dunque, che i motivi di appello fossero affetti da genericità, né è fondata l’eccezione che attraverso gli stessi sia stato allargato il thema decidendum della controversia, poiché, al di là di aspetti puramente terminologici, nel gravame l’appellante ripropone censure già dedotte in primo grado, criticando la sentenza appellata per non averle accolte.

4.3.1. Per quanto riguarda, in specie, la questione dell’asserita tardività della dichiarazione del prof. -OMISSIS- di impegnarsi ad optare per il regime c.d. a tempo pieno, trattasi di doglianza che è presente nel ricorso di primo grado (v. pagg. 5, 7-8, 10) – diversamente da quanto opinato sul punto dal T.A.R. (v. infra) – e che l’appellante ripropone in sede di appello, arricchendola di ulteriori argomentazioni, senza, però, mutarne la sostanza. Il Collegio non ravvisa, quindi, una violazione del divieto di “nova ex art. 104, comma 1 c.p.a. (che non osta a che l’appellante confuti tutte le argomentazioni poste a base della sentenza appellata: C.d.S., Sez. IV, 5 novembre 2018, n. 6251), non essendo individuabile una mutatio libelli. Questa, infatti, presuppone che sia avanzata una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum differente e più ampio, oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e, in particolare, su un fatto costitutivo radicalmente differente (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 28 ottobre 2022, n. 9330; Sez. IV, 7 gennaio 2020, n. 115; id., n. 6251/2018, cit.; id., 2 marzo 2011, n. 1357; Sez. V, 31 agosto 2017, n. 4126; id., 20 febbraio 2012, n. 903): nel caso di specie, al contrario, la doglianza non è mutata, trattandosi pur sempre della pretesa tardività della dichiarazione del candidato di impegno ad optare per il c.d. tempo pieno, perché tale impegno – secondo la tesi di parte ricorrente – avrebbe dovuto assunto al più tardi entro la scadenza del termine di presentazione della candidatura.

4.4. Neppure coglie nel segno l’eccezione avente a oggetto il mancato raggiungimento del quorum da parte della prof.ssa -OMISSIS-, se intesa nel senso che tale circostanza, precludendole la possibilità di essere eletta alla carica, la priverebbe dell’interesse a ricorrere.

4.4.1. Al riguardo occorre richiamare le indicazioni fornite dall’Università nella relazione versata in atti il 20 ottobre 2023, dov’è evidenziato come la disciplina regolamentare per l’elezione alla carica di direttore di Dipartimento abbia previsto, quale quorum strutturale necessario per la validità delle votazioni, la partecipazione a queste di almeno il 30% degli aventi diritto (qui i membri del Consiglio di Dipartimento) e quale quorum funzionale, necessario per essere eletti, la maggioranza assoluta dei votanti nella prima votazione e la maggioranza semplice nelle successive (cfr. art. 4, comma 6, del regolamento del Dipartimento di Organi di senso, doc. 13 dell’Università). Orbene, nel caso in esame alla prima e unica votazione svolta hanno partecipato n. 44 aventi diritto al voto su un totale di n. 48, cosicché il quorumstrutturale è stato raggiunto; di n. 44 votanti, n. 34 si sono espressi in favore del controinteressato, mentre la prof.ssa -OMISSIS- ha ottenuto n. 5 voti, cioè molto meno della maggioranza assoluta (pari a 23 su 44) richiesta per detta votazione.

4.5. Muovendo da tale premessa fattuale, il prof. -OMISSIS- eccepisce nei suoi scritti che l’appellante non potrebbe ottenere, dall’eventuale accoglimento del ricorso, altro che l’indizione di nuove elezioni ma che si tratterebbe di un annullamento per vizi formali (la denegata tardività della dichiarazione di opzione per il tempo pieno), in contrasto sia con i principi di favor participationis e di strumentalità delle forme tipici della materia elettorale, sia con il principio del buon andamento della P.A., vista la preferenza inequivoca espressa dal corpo elettorale in favore dello stesso prof. -OMISSIS-: l’indizione di nuove elezioni, perciò, si tradurrebbe in un inutile dispendio di tempo e risorse.

4.6. L’eccezione è, però, del tutto priva di pregio, non potendosi negare la sussistenza di un interesse almeno strumentale della candidata alla ripetizione del procedimento elettorale, con l’aspirazione a un esito diverso dello stesso. Invero, in sede elettorale il candidato non eletto è legittimato far valere in giudizio non solo l’interesse finale alla correzione in suo favore del risultato elettorale, ma anche quello strumentale all’annullamento delle operazioni elettorali, in vista della loro rinnovazione (cfr. C.d.S., Sez. V, 27 giugno 2011, n. 3829; id. 15 giugno 2000, n. 3337; id., 1° giugno 1992, n. 499): di qui l’indubbia esistenza di un interesse ad agire in capo alla ricorrente.

5. Venendo al merito del gravame, il Collegio osserva che non può essere condivisa la prima censura ivi contenuta, mediante cui l’appellante insiste nel configurare la posizione del prof. -OMISSIS- come docente a tempo definito quale causa di ineleggibilità e/o incandidabilità alle elezioni per la carica di direttore di Dipartimento e non di mera incompatibilità con tale carica.

5.1. Al riguardo, infatti, il T.A.R. ha richiamato in modo convincente le disposizioni normative dalle quali si evince che quella in esame è una causa di incompatibilità. In particolare, l’art. 6, comma 12, della l. n. 240/2010 dispone espressamente al secondo periodo che “la condizione di professore a tempo definito è incompatibile con l’esercizio di cariche accademiche” e una disposizione di tenore del tutto identico si rinviene nell’art. 32, comma 6, secondo periodo, dello Statuto dell’Università “La Sapienza” (all. 10 depositato dal controinteressato in primo grado). Altrettanto inequivoco è l’art. 11, quarto comma, del d.P.R. n. 382/1980, ai sensi del quale “il regime d’impegno a tempo definito: a) è incompatibile con le funzioni di rettore, preside, membro elettivo del consiglio di amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di dottorato di ricerca […]”.

5.2. Di fronte a tali previsioni, il cui tenore letterale non lascia spazio a dubbi, si mostra specioso il tentativo dell’appellante di sostenere che l’art. 6, comma 12, cit., nel riferirsi all’“esercizio” di cariche accademiche, riguarderebbe lo svolgimento a regime di tali cariche e non le condizioni di accesso ad esse, cosicché nulla direbbe circa i requisiti per l’elezione alle cariche stesse. Che il regime a tempo pieno costituisca requisito di eleggibilità alla carica di direttore di Dipartimento – insiste l’appellante – emergerebbe dall’art. 11, comma 3, lett. b), dello Statuto dell’Ateneo, a norma del quale il predetto direttore “è eletto dai membri del Consiglio di Dipartimento tra i professori di ruolo a tempo pieno e dura in carica tre anni”.

5.3. In contrario, tuttavia, è necessario osservare che non è verosimile che l’appartenenza del docente universitario al regime a tempo definito possa essere al tempo stesso condizione di ineleggibilità (e/o incandidabilità) alla carica di direttore di Dipartimento, ex art. 11, comma 3, lett. b), dello Statuto, e di incompatibilità all’esercizio della carica ai sensi dell’art. 6, comma 12, della l. n. 240/2010: infatti, se il candidato non fosse eleggibile e neppure candidabile, un problema di incompatibilità, a rigore, non dovrebbe neppure porsi, con il ché, però, l’art. 6, comma 12, cit. risulterebbe inutiliter datum e lo stesso dovrebbe dirsi anche per l’art. 11, quarto comma, lett. a), del d.P.R. n. 382/1980. Ma “tra un’esegesi che esclude qualsiasi precettività a una disposizione e quella che garantisce l’immissione nell’ordinamento di una regola iuris ragionevole è senz’altro da preferire quest’ultima” (C.d.S., Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3695; nello stesso senso cfr. C.d.S., Sez. II, 14 marzo 2022, n. 1789; Sez. IV, 16 maggio 2019, n. 3157; id., 25 marzo 2014, n. 1458; Sez. III, 3 luglio 2018, n. 4062; Sez. V, 31 agosto 2015, n. 4041; Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 42), atteso che il principio di conservazione degli atti e dei valori giuridici impone di considerare gli atti nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, alla luce del brocardo “actus interpretandus est potius ut valeat quam ut pereat” (C.d.S., Sez. IV, 21 aprile 2021, n. 3229).

5.4. Non va nemmeno trascurato che l’art. 11, quarto comma, lett. a), del d.P.R. n. 382/1980 parla di incompatibilità del c.d. tempo pieno “con le funzioni” di rettore, preside, direttore di Dipartimento, ecc. e pertanto utilizza una terminologia che si riferisce non solo all’esercizio, ma anche all’accesso alla carica. Quanto all’art. 11, comma 3, lett. b), dello Statuto dell’Ateneo – che comunque va letto e interpretato in armonia con le sovraordinate previsioni di legge –, esso ad avviso del Collegio non può ostare alla candidabilità ed eleggibilità di un docente a tempo definito che abbia assunto formale impegno ad optare per il regime a tempo pieno: ad opinare diversamente, infatti, si introdurrebbe tra le due categorie di docenti (a tempo pieno e a tempo definito) una distinzione che, di fronte al formale impegno appena citato, non avrebbe più ragion d’essere e si tradurrebbe, quindi, in un’ingiustificata discriminazione.

5.5. In conclusione, perciò, la doglianza ora esaminata è infondata: come osservato dal T.A.R., infatti, poiché la condizione di docente a tempo definito in cui si trovava il controinteressato costituiva una causa di incompatibilità, egli aveva la possibilità di rimuovere l’impedimento esercitando l’opzione per il regime di impegno a tempo pieno, come risulta nella specie avvenuto in conseguenza della sua dichiarazione sottoscritta il 5 giugno 2023 e trasmessa il successivo 8 giugno, e del decreto rettorale n. -OMISSIS- del 5 luglio 2023, che ha collocato il controinteressato stesso nel cd. tempo pieno a decorrere dal 1° novembre 2023.

6. Parimenti infondata è poi l’ultima censura formulata dall’appellante, con cui la sentenza impugnata viene contestata per aver disatteso la doglianza di violazione del termine di sei mesi ex art. 6, comma 6, della l. n. 240/2010 (a tenor del quale l’opzione per il regime a tempo pieno o a tempo definito è esercitata “nel caso di passaggio dall’uno all’altro regime, con domanda da presentare al rettore almeno sei mesi prima dell’inizio dell’anno accademico dal quale far decorrere l’opzione”). Nel caso de quo – lamenta l’appellante – il prof. -OMISSIS- non ha esercitato l’opzione per il c.d. tempo pieno, ma (più limitatamente) assunto l’impegno a farlo nell’ipotesi di successo elettorale, con dichiarazione trasmessa l’8 giugno 2023, ossia meno di sei mesi prima dell’inizio dell’anno accademico dal quale far decorrere l’opzione stessa (il 1° novembre 2023): ciò farebbe sì, da un lato, che l’opzione possa valere solo dall’anno successivo (cioè dal 1° novembre 2024), dall’altro, che poiché l’inizio dell’anno accademico coincide con l’immissione nelle funzioni di direttore di Dipartimento, il prof. -OMISSIS- non potrebbe neppure insediarsi.

6.1. Le argomentazioni dell’appellante, però, non scalfiscono il solido apparato motivazionale della sentenza di prime cure, che ha sottolineato come l’art. 6, comma 6, della l. n. 240/2010 non possa trovare applicazione nella vicenda in esame, relativa alle cause di incompatibilità: infatti, una diversa interpretazione, che portasse alla necessità di rispettare il termine di sei mesi di cui all’ora visto art. 6, comma 6, “comprimerebbe […] la possibilità per i professori a tempo definito di partecipare alle elezioni per le diverse cariche accademiche tutte le volte in cui queste vengano indette a ridosso dell’inizio dell’anno accademico o comunque in una data tale da non consentire un intervallo di tempo di almeno sei mesi per l’esercizio dell’opzione”.

6.2. Sul punto l’appellante obietta che in realtà non vi sarebbe nessuna compressione per i professori a tempo definito, poiché il mandato del direttore dura tre anni e l’art. 4, comma 11, del regolamento del Dipartimento di Organi di Senso stabilisce che il Decano indice le elezioni per un nuovo direttore “tra i sei mesi ed un mese dalla scadenza naturale del mandato”. Dunque, il professore in regime di tempo definito che intenda candidarsi alle elezioni per la carica di direttore del Dipartimento potrebbe agevolmente calcolare con quale anticipo chiedere il cambio di regime. Diversamente opinando – la prof.ssa -OMISSIS- lamenta ancora – si introdurrebbe un trattamento privilegiato per i professori a tempo definito, a cui sarebbe consentito di decidere di mutare regime il giorno dell’indizione delle elezioni o, al più tardi, quello di scadenza del termine per la presentazione delle candidature, con una grave discriminazione per i professori in regime a tempo pieno, che hanno deciso di dedicare la totalità del proprio servizio alla didattica ed alla ricerca.

6.3. La suesposta obiezione non convince, visto l’ampio margine temporale (da sei mesi a un mese dalla scadenza naturale del mandato) entro cui possono essere indette le elezioni a nuovo direttore di Dipartimento: da un lato, ciò comporta che il docente a tempo definito che intenda candidarsi alla carica verrebbe costretto a calcoli probabilistici e meramente eventuali sulla data entro cui effettuare l’opzione, senza nessuna certezza che quest’ultima risulti poi rispettosa del termine di sei mesi ex art. 6, comma 6, della l. n. 240 cit.; dall’altro lato, c’è il rischio che la data delle nuove elezioni sia fissata in modo da “tagliare fuori” il professore a tempo definito, rendendo intempestiva (e quindi inutile) la sua opzione: il rischio, cioè, di una strumentalizzazione della disciplina dell’art. 6, comma 6, cit., al fine di “tagliare fuori” candidati sgraditi e/o scomodi.

6.3.1. Sul punto basta considerare quanto accaduto nella fattispecie in esame, in cui le elezioni sono state indette il 31 maggio 2023, ossia in una data tale da non contemplare un intervallo di almeno sei mesi rispetto alla decorrenza del nuovo accademico (1° novembre 2023), di tal ché, a voler accedere alla prospettazione dell’appellante, il suo avversario avrebbe dovuto formulare l’opzione per il tempo pieno ampiamente prima della stessa indizione delle elezioni.

6.4. Da ultimo, non si comprende in cosa consisterebbero la discriminazione a danno dei professori a tempo pieno e il privilegio accordato ai professori a tempo definito: gli e gli altri, infatti, per ricoprire la carica di direttore di Dipartimento e svolgerne le funzioni, devono comunque trovarsi in regime di tempo pieno, i primi mantenendo il regime già prescelto e i secondi effettuando in concreto l’opzione per il c.d. tempo pieno.

6.5. Da quanto detto emerge, perciò, l’integrale infondatezza della doglianza ora analizzata.

7. A questo punto occorre affrontare congiuntamente le censure con cui l’appellante si duole della tardività della dichiarazione tramite la quale il prof. -OMISSIS- si è impegnato a optare per il regime c.d. a tempo pieno, sotto due distinti profili: a) perché il predetto candidato avrebbe dovuto trovarsi in regime di tempo pieno già alla data del decreto del Decano di indizione delle elezioni (31 maggio 2023), mentre è pacifico che la dichiarazione è posteriore a tale data; b) perché detta dichiarazione è stata presentata l’8 giugno 2023, cioè dopo lo spirare del termine di presentazione delle candidature, che è scaduto il giorno precedente (7 giugno).

7.1. La prima censura è palesemente infondata alla luce di quanto detto sopra circa la configurazione del rapporto c.d. a tempo definito quale causa di incompatibilità all’esercizio della carica e non quale causa di ineleggibilità del candidato.

7.1.1. Invero, l’appellante richiama l’art. 32, comma 2, dello Statuto dell’Università “La Sapienza”, ai sensi del quale “il requisito di eleggibilità, quando previsto, deve essere posseduto al momento dell’indizione dell’elezione”, nonché l’art. 4, comma 6, del regolamento tipo dei Dipartimenti (D.R. n. 2699/2019 dell’11 settembre 2019) e l’omologo art. 4, comma 6, del regolamento del Dipartimento di Organi di Senso, a tenor dei quali “i requisiti di elettorato passivo devono essere posseduti all’atto dell’indizione dell’elezione”: poiché l’art. 11, comma 3, lett. b), dello Statuto avrebbe previsto, come condizione di eleggibilità alla carica di direttore di Dipartimento, l’essere il professore in regime di tempo pieno, il prof. -OMISSIS- – conclude l’appellante – avrebbe dovuto trovarsi in tale condizione già alla data dell’indizione delle elezioni, ossia al 31 maggio 2023. È evidente, però, che l’erroneità del presupposto (l’appartenenza al regime a tempo definito quale causa di ineleggibilità alla carica) – sopra ampiamente dimostrata – fa cadere tutto il conseguente ragionamento svolto dall’appellante, che si rivela fallace, senza che occorra aggiungere sul punto ulteriori elementi.

7.2. In ordine, poi all’altro profilo sotto cui è dedotta la censura di tardività della dichiarazione di (impegno all’) opzione per il tempo pieno, il Collegio osserva preliminarmente che non può essere condivisa la motivazione contenuta sul punto nella sentenza appellata, la quale ha affermato di non poter esaminare la censura del termine entro cui esercitare l’opzione e della tempestività della relativa dichiarazione “in mancanza di [uno] specifico motivo in tal senso” dedotto nel ricorso: ciò, in quanto il giudice non può “supplire alla censura individuando le disposizioni eventualmente violate”. Ma in contrario deve rilevarsi che, come già accennato più sopra (v. parag. 4.3.1), la censura in questione è contenuta nel ricorso introduttivo (alle pagg. 5, 7-18 e 10), dove sono elencate anche le disposizioni di cui la ricorrente lamenta la violazione, ossia gli artt. 18, comma 2, 27, comma 2, e 50, comma 1, lett. b), del Regolamento generale per le elezioni telematiche online degli organi centrali dell’Ateneo (D.R. n. 1962/2022, prot. n. 56046 del 15 luglio 2022, cfr. all. 15 dell’Università). Per questo verso, dunque, la motivazione della sentenza appellata è errata e da correggere.

7.3. Nel merito, tuttavia, la doglianza dell’appellante è infondata in fatto, in quanto la dichiarazione del prof. -OMISSIS- “di optare, in caso di elezione a Direttore del Dipartimento di Organi di Senso per il triennio 2023-2026, per il regime di tempo pieno”, versata in atti (all. 10 dell’Ateneo), reca la data del 5 giugno 2023, dunque è anteriore alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, fissato per il successivo 7 giugno.

7.4. L’appellante enfatizza la circostanza che la suddetta dichiarazione sia stata inviata e assunta al protocollo dell’Università l’8 giugno 2023 ed assume che, trattandosi di atto recettizio (perché recante la rinuncia allo status di professore a tempo definito), la dichiarazione sarebbe tardiva, in quanto non avrebbe prodotto effetti se non una volta entrata nella sfera di conoscibilità della P.A., appunto in data 8 giugno 2023. In contrario, tuttavia, il Collegio condivide i contenuti della delibera del Senato Accademico n. -OMISSIS-/2023 dell’11 luglio 2023 che, nel respingere il ricorso della prof.ssa -OMISSIS- contro la pronuncia della Commissione Elettorale di Dipartimento che aveva confermato l’esito elettorale, ha recepito la relazione dell’Area Affari Generali dell’Università, secondo cui la trasmissione della dichiarazione del prof. -OMISSIS- di impegno per il regime a tempo pieno oltre la scadenza del termine di presentazione delle candidature, costituisce un elemento di mera irregolarità, e non di illegittimità, del procedimento elettorale.

7.5. A tale conclusione si perviene sulla base dei seguenti elementi:

I) nella P.E.C. di trasmissione della dichiarazione del prof. -OMISSIS- si legge che quest’ultimo ha dichiarato all’atto della candidatura (presentata il 5 giugno 2023) al Decano, al direttore uscente del Dipartimento e al “RAD” (Responsabile Amministrativo Delegato) il suo impegno di optare per il regime a tempo pieno in caso di elezione e non vi è motivo di dubitare della veridicità di una simile affermazione, contenuta in una P.E.C. trasmessa a quegli stessi organi (il Decano, il “RAD”) i quali avrebbero potuto agevolmente smentirla, ove non veritiera. La dichiarazione, come si è visto, è stata formalizzata sempre in data 5 giugno 2023;

II) nelle disposizioni invocate dall’appellante (artt. 18, comma 2, 27, comma 2, e 50, comma 1, lett. b), del Regolamento generale per le elezioni telematiche online degli organi centrali dell’Ateneo) non si rinviene la prescrizione di particolari modalità per la formulazione della dichiarazione de qua, né la comminatoria di decadenze in caso di inosservanza delle modalità stesse;

III) nell’interpretare la normativa di riferimento, va tenuto conto della ratio di questa, evidenziata dal parere dell’Area Affari Generali dell’Università riportato nel verbale della Commissione Elettorale del Dipartimento di Organi di Senso del 9 giugno 2023, che ha respinto il ricorso della prof.ssa -OMISSIS-. Si legge, infatti, nel parere, per come riportato dal citato verbale, che “la condizione di tempo pieno è strettamente funzionale e necessaria per la copertura della carica”, di tal ché “non risponderebbe alla ratio della norma stessa la pretesa di richiedere tale condizione ancora in corso di procedimento elettorale”. A tale stregua, dunque, ciò che rileva davvero, sul piano sostanziale, è che con decreto della Rettrice n. -OMISSIS-/2023, prot. n. -OMISSIS- del 5 luglio 2023, il prof. -OMISSIS- sia stato collocato in regime di impegno a tempo pieno con decorrenza dal 1° novembre 2023.

8. In conclusione, l’appello è nel suo complesso infondato, attesa l’infondatezza di tutte le doglianze con esso dedotte, e deve perciò essere respinto.

8.1. La sentenza appellata va quindi confermata, pur con la correzione in punto di motivazione che si è vista poc’anzi al parag. 7.2.

9. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello, attesa la novità della questione affrontata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, disponendo la correzione della motivazione della sentenza appellata secondo quanto indicato nella parte motiva.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (ed agli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti e della dignità degli interessati, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a consentire l’identificazione delle persone fisiche menzionate in sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2024, con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere, Estensore

Pubblicato il 12/06/2024