I meccanismi di adeguamento retributivo per i docenti universitari, bloccati nel periodo 2011-2015, non danno luogo a successivi recuperi con riguardo né all’effetto temporaneo del congelamento né all’effetto permanente dell’espunzione degli emolumenti non corrisposti dal calcolo degli avanzamenti successivi al blocco. Ciò vale ancor più a seguito della riforma dell’art. 81 della Costituzione da parte della legge costituzionale n. 1/2012, che ha introdotto nel nuovo testo il concetto di equilibrio di bilancio, clausola generale orientata al controllo della spesa pubblica e alla solidarietà intergenerazionale.
TAR Lazio, Sez. III Stralcio, 24 settembre 2024, n. 16579
Gli aumenti stipendiali non riconosciuti ai docenti universitari a causa del blocco stipendiale non possono rientrare all’interno della base retributiva per il calcolo degli scatti successivi alla cessazione del blocco stesso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1519 del 2020, proposto da OMISSIS et al., rappresentati e difesi dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in OMISSIS;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero dell’Università e della Ricerca, Università degli Studi Roma La Sapienza, Università degli Studi Roma Tre, Università degli Studi Roma Tor Vergata, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Università degli Studi della Tuscia, non costituita in giudizio;
per l’accertamento e la declaratoria
del diritto dei ricorrenti all’ottenimento e al riconoscimento delle classi di carriera aventi natura esclusivamente giuridica che gli stessi avrebbero maturato medio tempore, ove non sottoposti al blocco stipendiale nel quinquennio compreso tra il gennaio 2011 ed il dicembre 2015 e, conseguentemente, del diritto dei ricorrenti al riconoscimento ed all’ottenimento delle classi stipendiali specificate in ricorso
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero dell’Università e della Ricerca, dell’Università degli Studi Roma La Sapienza, dell’Università degli Studi Roma Tre, dell’Università degli Studi Roma Tor Vergata;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 luglio 2024 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti sono docenti e ricercatori universitari in servizio presso vari Atenei ed in tale dedotta qualità hanno agito in giudizio per ottenere l’accertamento del loro diritto di ottenere il riconoscimento delle classi di carriera aventi natura esclusivamente giuridica che gli stessi avrebbero maturato medio tempore, ove non sottoposti al blocco stipendiale nel quinquennio ricompreso nel periodo dal 2011 al 2015.
Si sono costituiti a mezzo dell’Avvocatura dello Stato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dell’Università e della Ricerca, l’Università degli Studi Roma La Sapienza, l’Università degli Studi Roma Tre, l’Università degli Studi Roma Tor Vergata, depositando successivamente relazione di quest’ultima amministrazione e memoria difensiva.
In data 15.3.2024 i ricorrenti hanno dichiarato la permanenza dell’interesse alla decisione.
All’udienza di merito straordinario del 19 luglio 2024 la causa è stata introitata per la decisione.
2. Si può prescindere dall’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Difesa Erariale, perché il ricorso è infondato nel merito e, pertanto, va respinto.
2.1. Premette il Collegio che l’articolo 9, comma 21, del DL n. 78/2010 ha disposto che “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”.
Tale norma è quindi intervenuta sulla materia stabilendo il blocco delle retribuzioni per il triennio 2011-2013 (poi prorogato fino al 2015) e la stessa, come è noto, è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, la quale ha sancito la legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo del DL n. 78/2010 con la sentenza n. 310/2013.
2.2. In particolare, con la predetta sentenza la Corte Costituzionale ha affermato che “…la scelta del legislatore è stata quella di realizzare una economia di spesa e non un semplice rinvio della stessa, come si verificherebbe se i tagli fossero recuperabili. Ed al riguardo è opportuno ricordare che l’esclusione della possibilità di recupero è stata prevista anche per il blocco delle procedure previste per il personale contrattualizzato, stabilito dal comma 17 del medesimo art. 9 del d.l. n. 78 del 2010. Peraltro il quarto periodo del comma 21 stabilisce che «Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Rileva, quindi, anche nel caso in esame, quanto affermato dalla Corte con la sentenza n. 189 del 2012, laddove si è individuata la ratio legis dell’art. 9, comma 17, nella necessità di evitare che il risparmio della spesa pubblica derivante dal temporaneo divieto di contrattazione possa essere vanificato da una successiva procedura contrattuale o negoziale che abbia ad oggetto il trattamento economico relativo proprio a quello stesso triennio 2010-2012, trasformandosi così in un mero rinvio della spesa. A maggior ragione valgono tali considerazioni, circa la razionalità del sistema, per la misura incidente sulle classi e sugli scatti, poiché le disposizioni censurate non modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco” (Corte Costituzionale. n. 310/03, punto n. 13.3 della parte motivazionale).
E ancora: “Con particolare riferimento poi alla ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure, non ci si può esimere dal considerare l’evoluzione che è intervenuta nel complessivo quadro, giuridico-economico, nazionale ed europeo. La recente riforma dell’art. 81 Cost, a cui ha dato attuazione la legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), con l’introduzione, tra l’altro, di regole sulla spesa, e dell’art. 97, primo comma, Cost., rispettivamente ad opera degli artt. 1 e 2 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), ma ancor prima il nuovo primo comma dell’art. 119 Cost., pongono l’accento sul rispetto dell’equilibrio dei bilanci da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo” (Corte Costituzionale cit., punto n. 13.4 della parte motivazionale).
Infine: ”Le norme impugnate, dunque, superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono – e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio” (Corte Costituzionale cit., punto n. 13.5 della parte motivazionale).
2.3. Va, inoltre, ricordato che nella sopra citata sentenza la Corte Costituzionale ha, altresì, affermato che:
– le questioni relative alla ipotizzata violazione degli articoli 9, 33, 34 e 97 Costituzione sono infondate in quanto detti parametri non sono conferenti al trattamento economico dei docenti universitari, posto che l’autonomia garantita dall’articolo 33 Costituzione non attiene allo stato giuridico dei professori universitari, i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge statale ritiene di adottare;
– è infondato il motivo con cui si era chiesta l’estensione in favore dei docenti universitari della pronuncia di cui alla sentenza n. 223 del 2012, riguardante il personale di magistratura, in considerazione delle specificità di detto personale (specificità non sussistenti nella fattispecie in esame) e del particolare statuto costituzionale di autonomia riconosciuto ai magistrati e non anche ai docenti universitari (ovvero alle altre categorie di dipendenti pubblici cc.dd. non contrattualizzati i quali non rappresentano, ai fini che qui rilevano, una platea omogenea);
I passi sopra riportati della sentenza della Corte Costituzionale n. 310/2013 sono, dunque, chiari nello stabilire la legittimità costituzionale del blocco relativamente agli anni 2011-2013.
2.4. Ciò premesso, va rilevato che parte ricorrente non ignora la sopra menzionata sentenza della Corte Costituzionale, ma sostiene che «il sacrificio normativamente imposto alla categoria dei docenti universitari può ritenersi compatibile coi principi costituzionali solo in quanto straordinario e transeunte poiché la normativa mira a soddisfare l’interesse collettivo di tutela della stabilità economica del paese. Ed invero – muovendosi sulla linea argomentativa tracciata dalla sentenza della Consulta 310/2013 – si può pur ammettere che le retribuzioni dovute vengano per un periodo limitato decurtate dell’importo relativo agli “adeguamenti retributivi”. Tuttavia, essendo tale limitato periodo venuto a cessare il 1 gennaio 2016, occorre che il “piede di partenza” dei trattamenti stipendiali, venga reintegrato mediante il ricalcolo degli importi decurtati, con un conseguente beneficio positivo su tutti i futuri sviluppi economici e non del rapporto di lavoro».
Secondo parte ricorrente, dunque, la base di calcolo (o “piede di ripartenza”) su cui calcolare gli incrementi stipendiali dall’anno 2016 in poi non dovrebbe essere lo stipendio del 2011 (ossia quello “bloccato”), ma dovrebbe coincidere con il più alto stipendio che avrebbero avuto i ricorrenti nel 2015 se non vi fosse stato il blocco nel quinquennio 2011-2015.
2.5. La tesi è infondata.
Il Collegio osserva, sul punto, che le sopra menzionate considerazioni della Corte Costituzionale nella citata pronuncia n. 310/2013 sono sintetizzabili nel senso che: “… la scelta del legislatore è stata quella di realizzare una economia di spesa e non un semplice rinvio della stessa, come si verificherebbe se i tagli fossero recuperabili” (punto n. 13.3 della parte motivazionale).
Tale passaggio è fondamentale ai fini in esame, in quanto consente di ritenere immune dalle prospettate questioni di illegittimità costituzionale un sistema – quello del blocco stipendiale – che non si è limitato a “congelare” scatti retributivi, in attesa di tempi economicamente più floridi (come sarebbe se si fosse trattato di mero rinvio della spesa), ma che ha invece “sterilizzato”, ai fini economici, un intero periodo temporale, realizzando, appunto, un risparmio di spesa.
2.6. Da quanto sopra esposto consegue che la tesi dei ricorrenti – secondo cui occorrerebbe computare gli scatti perduti durante tale periodo temporale, riconoscendo ai docenti universitari «una progressione di carriera avente natura esclusivamente ai fini giuridici maturata nel corso del periodo del c.d. “blocco” e pari a 2,5 classi» (p. 8 ricorso) – urta con il cuore dell’impianto motivazionale posto a base della citata pronuncia n. 310/13, trasformando un risparmio di spesa in un mero rinvio della stessa, in contrasto con il citato dictum del giudice delle leggi.
E che ciò sia vero emerge, altresì, dall’ulteriore considerazione che nessuna delle citate disposizioni normative di blocco stipendiale (art. 9, comma 21, DL n. 78/2010, nonché le successive disposizioni di proroga) riconosce al personale del pubblico impiego il diritto di percepire arretrati.
In altri termini, la citata normativa ha comportato la privazione di uno specifico bene giuridico (gli incrementi retributivi), che per gli anni 2011-2015 non è entrato in alcun modo nel patrimonio del personale del pubblico impiego. E non essendo entrato, non si vede come si possa parlare di “piede di ripartenza”, essendo sin troppo chiaro che il “piede” in esame non ha giammai toccato – per il periodo citato (2011-2015) – alcuno scatto stipendiale, sicché una volta venuta meno la legislazione emergenziale esso non può che appoggiarsi al punto da cui partiva, vale a dire alla situazione esistente al 31.12.2010, l’ultima espressamente riconosciuta dall’ordinamento.
2.7. Destituito di fondamento è poi l’ulteriore argomento secondo cui la posizione dei docenti universitari verrebbe a essere ulteriormente penalizzata dalla decisione della Corte Costituzionale n. 178 del 2015 con cui è stata dichiarata la parziale illegittimità costituzionale del blocco applicato al comparto del pubblico impiego contrattualizzato.
A tal riguardo, il Collegio osserva che proprio in detta pronunzia (capo 9.2), infatti, si è affermato che la disciplina impugnata “…persegue l’obiettivo di un risparmio di spesa, che “opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono” (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5)”.
2.8. In definitiva, i meccanismi di adeguamento retributivo, bloccati nel periodo 2011-2015, non danno luogo a successivi recuperi con riguardo né all’effetto temporaneo del congelamento né all’effetto permanente dell’espunzione degli emolumenti non corrisposti dal calcolo degli avanzamenti successivi al blocco.
3. L’intento del legislatore è stato quello di evitare che il risparmio della spesa pubblica derivante dal blocco temporaneo potesse essere vanificato in futuro computando gli elementi retributivi, che sarebbero spettati nel quinquennio, nel trattamento economico successivo (cfr. TAR Toscana, sez. I, n. 526/2018).
3.1. Peraltro, la prospettiva di contenimento della spesa pubblica ricavabile dall’art. 9 ha superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale ha escluso ogni profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico (TAR Calabria, Catanzaro, I, n. 2138/2017).
3.2. In tale contesto, l’economia di spesa non può essere valutata in modo statico e formale, ma deve essere letta in un’ottica dinamica e sostanziale di programmazione.
3.3. Ciò vale ancor più a seguito della riforma dell’art. 81 della Costituzione da parte della legge costituzionale n. 1/2012, che ha introdotto nel nuovo testo il concetto di equilibrio di bilancio, clausola generale orientata al controllo della spesa pubblica e alla solidarietà intergenerazionale; l’effettività dell’impatto delle misure di contenimento e della loro incidenza sul bilancio dello Stato può realizzarsi solo in una prospettiva pluriennale, alla quale è informato l’art. 9 del D.L. 78/2010.
4. Alla luce delle considerazioni svolte, gli aumenti stipendiali non riconosciuti a causa del blocco stipendiale non possono rientrare de jure condito all’interno della base retributiva per il calcolo degli scatti successivi alla cessazione del blocco stesso (Cons. Stato, sez. VII, n. 2819/2023; n. 7593/2022; 7435/2022; TAR Basilicata, sez. I, n. 650/2018; TAR Toscana, sez. I, n. 526/2018; TAR Calabria, Catanzaro, n. 2138/2017).
5. Inoltre, ed è dato rilevante nella complessiva valutazione di infondatezza del denunciato difetto di disparità di trattamento, occorre tenere conto di quanto previsto dal sopravvenuto art. 1, comma n. 629, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017, sopra menzionato, che ha previsto la corresponsione di un importo una tantum proporzionato all’entità del blocco stipendiale subito, statuendo che ”A titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015 dall’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e che lo erano alla data del 1° gennaio 2011, o che hanno preso servizio tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2015, è attribuito una tantum un importo ad personam in relazione alla classe stipendiale che avrebbero potuto maturare nel predetto quinquennio e in proporzione all’entità del blocco stipendiale che hanno subìto, calcolato, nei limiti delle risorse di cui al presente comma, sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
6. Per tutto quanto sopra sinteticamente illustrato, dunque, il ricorso è infondato nel merito e va respinto.
7. Nondimeno, considerata la peculiarità delle questioni trattata, sussistono i presupposti di legge per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio fra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente FF
OMISSIS, Primo Referendario, Estensore
OMISSIS, Referendario