Cons. Stato, Sez. VII, 4 ottobre 2024, n. 8007

Obbligatoria la predeterminazione dei criteri di valutazione prima di conoscere i nominativi dei candidati

Data Documento: 2024-10-04
Autorità Emanante: Consiglio di Stato
Area: Giurisprudenza
Massima

Non si può seriamente dubitare dell’applicazione anche ai concorsi per posti da ricercatore o da professore universitario della regola che prescrive di determinare i criteri di valutazione prima di conoscere i nominativi dei candidati, trattandosi di una regola che è espressione dei principi di trasparenza e par condicio che governano tutte le procedure di chiamata del personale docente universitario. Non vale sostenere in contrario che essa non sarebbe esplicitamente prevista dall’art. 4 del d.P.R. n. 117/2000, poiché tale regola mira a porre i candidati in possesso dei relativi requisiti in condizione di partecipare alla procedura di reclutamento in posizione di parità, tant’è vero che si applica anche alle procedure di chiamata riservate a candidati interni ex art. 24, comma 6, della l. n. 240/2010.

Contenuto sentenza

08007/2024REG.PROV.COLL.

09999/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9999 del 2023, proposto dalla
Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti e dal Ministero dell’Università e della Ricerca, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

1. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. OMISSIS e con domicilio digitale come da P.E.C.da Registri di Giustizia;

dr.ssa -OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per la riforma,

previa sospensione dell’efficacia,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, -OMISSIS- n. –OMISSIS- del -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso R.G. n. –OMISSIS-.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, presentata in via incidentale dalle Amministrazioni appellanti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del dr. -OMISSIS-;

Viste la memoria e la documentazione depositate dall’appellato;

Vista l’ordinanza n. –OMISSIS- del -OMISSIS-, con cui è stata accolta l’istanza cautelare;

Visti il ricorso incidentale del dr. -OMISSIS- e i relativi allegati;

Visti la memoria e i documenti depositati dalla difesa erariale;

Viste l’ulteriore documentazione, la memoria e la replica dell’appellato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2024 il Cons. OMISSIS e udito per la parte appellata l’avv. OMISSIS su delega dell’avv. OMISSIS;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe l’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti e il Ministero dell’Università e della Ricerca (M.U.R.) propongono appello contro la sentenza del T.A.R. Abruzzo, sede di Pescara, -OMISSIS- n. –OMISSIS- del -OMISSIS-, chiedendone la riforma, previa sospensione dell’efficacia.

1.1. La sentenza appellata ha accolto il ricorso presentato dal dott. -OMISSIS- contro gli esiti della procedura di selezione per la copertura di-OMISSIS- ricercatore a tempo determinato di tipo A per il settore concorsuale 08/D1 (progettazione architettonica), settore scientifico disciplinare ICAR 14 (composizione architettonica e urbana) presso il Dipartimento di Architettura, indetto dall’Ateneo – unitamente ad altre procedure simili – con bando del -OMISSIS-, e per l’effetto ha annullato la procedura concorsuale in discorso.

1.2. In fatto, il dott. -OMISSIS- partecipava alla procedura concorsuale ora citata e nell’ambito di questa formulava istanza di ricusazione, variamente motivata, nei confronti dei membri della Commissione giudicatrice e cioè sia di quello interno (prof. -OMISSIS-), sia di quelli esterni (prof. -OMISSIS- e prof. -OMISSIS-)

1.2.1. A fronte di detta istanza, l’Ateneo procedeva ad istruttoria, informando i Commissari, i quali trasmettevano le proprie deduzioni. All’esito dell’istruttoria, l’istanza di ricusazione era parzialmente accolta nei confronti del prof. -OMISSIS-, mentre il prof. -OMISSIS-dichiarava di astenersi, cosicché il Rettore provvedeva a sostituire (tramite sorteggio) i due membri ora visti della Commissione. Il prof. -OMISSIS- veniva invece riconfermato quale membro interno e neppure la nuova istanza di ricusazione presentata contro di lui del dott. -OMISSIS- otteneva esito favorevole, avendone l’Università riscontrato il carattere tardivo.

1.3. Conclusi i lavori della Commissione, il Rettore ne approvava gli atti e dichiarava vincitrice della stessa la dr.ssa -OMISSIS- con decreto del -OMISSIS-.

1.4. Il dott. -OMISSIS- ha impugnato i suddetti atti e l’adito Tribunale con la sentenza appellata ha accolto il ricorso, ritenendo fondato e assorbente il primo motivo, con il quale il ricorrente aveva lamentato come la Commissione giudicatrice avesse predeterminato i criteri di selezione dopo aver avuto notizia della partecipazione del medesimo dott. -OMISSIS- alla procedura: infatti, la comunicazione ad opera del Rettore ai Commissari dell’istanza di ricusazione presentata dal ricorrente, di fatto si è tradotta nella presa di conoscenza, da parte dei Commissari stessi (e in particolare del prof. -OMISSIS-, per il quale la ricusazione è stata respinta e che, perciò, è rimasto in carica), della partecipazione del candidato alla procedura in un momento (-OMISSIS-) anteriore alla seduta in cui sono stati determinati i criteri di valutazione (svoltasi il -OMISSIS-).

1.5. Per conseguenza, secondo il primo giudice, nella fattispecie in esame è stato violato il principio (stabilito in generale per i concorsi pubblici dall’art. 12 del d.P.R. n. 487/1994 e in particolare per i concorsi universitari dall’art. 4 del d.P.R. n. 117/2000) in base al quale nelle procedure concorsuali i criteri di valutazione e i relativi “pesi” debbono essere predeterminati in un momento in cui non possa sorgere il sospetto che gli stessi siano fissati in modo da favorire alcuni tra i concorrenti, di tal ché la Commissione giudicatrice deve determinare i criteri di valutazione dei titoli e delle prove prima che le siano resi noti i nominativi dei candidati.

2. Nell’appello l’Università e il M.U.R. contestano le motivazioni e le statuizioni della sentenza di prime cure, deducendo i seguenti motivi:

I) erroneità e contraddittorietà dei processi logico-giuridici e dei riferimenti legislativi posti a base della motivazione della sentenza impugnata, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 487/1994 e dell’art. 4 del d.P.R. n. 117/2000;

II) circa i motivi della ricusazione, carenza di motivazione della sentenza impugnata in riferimento all’approfondita istruttoria effettuata dall’Università di Chieti, violazione degli artt. 8 e 9 del bando di concorso.

2.1. In sintesi, con il primo motivo le Amministrazioni appellanti lamentano che la regola in base alla quale la determinazione dei criteri di valutazione deve essere anteriore alla conoscenza da parte della Commissione dei nominativi dei candidati si applicherebbe ai soli concorsi del personale tecnico-amministrativo e invece non sarebbe prevista in alcuna norma disciplinante le procedure di selezione dei docenti e dei ricercatori: in particolare, non sarebbe prevista dall’art. 4 del d.P.R. n. 117/2000, che disciplina l’operato delle Commissioni giudicatrici dei concorsi per il reclutamento di professori universitari e di ricercatori, il cui richiamo da parte del T.A.R. sarebbe, perciò, erroneo.

2.1.1. Le appellanti deducono altresì con il motivo ora in esame che il ricorrente non avrebbe fornito nessuna prova del fatto che la Commissione, avendo saputo della sua partecipazione, abbia adottato criteri finalizzati a svantaggiarlo: né la sentenza di prime cure avrebbe motivato sul punto. Peraltro, solo il prof. -OMISSIS- sarebbe stato a conoscenza della partecipazione del ricorrente, visto che gli altri due componenti della Commissione erano mutati rispetto a quelli nei cui confronti era stata avanzata l’istanza di ricusazione (e che perciò, essendo stati informati della suddetta istanza, avevano acquisito conoscenza della partecipazione del dott. -OMISSIS-).

2.1.2. Non vi sarebbe – si sostiene nell’appello – alcuna prova che i criteri di valutazione fossero in grado di violare la par condicio a vantaggio o a danno dell’uno o dell’altro candidato, poiché il prof. -OMISSIS-, pur avendo già valutato il ricorrente in altra procedura, non avrebbe avuto idea, al momento della predeterminazione dei criteri, di quali titoli e pubblicazioni avesse presentato nella procedura odierna il dott. -OMISSIS-: né sarebbe plausibile, anche alla luce del tempo trascorso (due anni), che egli potesse ricordare il curriculum del candidato e ciò tanto più che in tale periodo il candidato avrebbe potuto sviluppare il proprio curriculum senza che il prof. -OMISSIS- ne fosse a conoscenza. Né sarebbe probabile che il predetto Commissario possa avere convinto gli altri componenti a prevedere criteri illogici al solo fine di danneggiare la posizione del ricorrente.

2.1.3. In definitiva, il T.A.R. non avrebbe considerato la specificità della vicenda de qua, insita nella presentazione, ad opera del partecipante, di un’istanza di ricusazione in una data precedente rispetto alla fissazione dei criteri di valutazione: mentre la suddetta fissazione e l’inizio dell’attività valutativa si porrebbero tra loro in rapporto di “ordinarietà”, la presentazione dell’istanza di ricusazione sarebbe un fattore “eventuale” e straordinario, che, a pena di un aggravio del procedimento concorsuale, non avrebbe potuto comportare una sua “stasi” attraverso la sostituzione, tra l’altro, di tutti i componenti della Commissione.

2.2. Con il secondo motivo le Amministrazioni appellanti hanno dedotto che il c.d. disallineamento cronologico stigmatizzato dal T.A.R. (che ha portato all’esame dell’istanza di ricusazione prima della predeterminazione dei criteri di valutazione dei candidati), si sarebbe reso necessario per consentire al Rettore, deputato a decidere sull’istanza, di svolgere un’adeguata istruttoria e ciò perché i motivi di ricusazione sarebbero stati tali da non consentire al Rettore stesso di decidere inaudita altera parte. Viene richiamato sul punto l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in casi del genere, l’istruttoria va parametrata alla gravità dei motivi di ricusazione formulati nei confronti di un docente componente della Commissione giudicatrice.

2.2.1. A tale stregua, perciò, il Rettore non avrebbe potuto fare altro che rendere nota l’istanza, e con essa il suo autore, ai Commissari, giacché, visto il tenore dei motivi di ricusazione, la comunicazione solo di questi, senza le generalità dell’autore, non sarebbe bastata. Del resto – osserva la difesa erariale – ad opinare diversamente le Università dovrebbero sollevare dall’incarico i soggetti individuati ogni qual volta sia presentata un’istanza di ricusazione, a prescindere dal merito di questa, ma ciò sarebbe inammissibile, perché contrastante sia con la regola che assegna esclusivamente al Rettore il compito di valutare l’istanza di ricusazione, sia con l’indirizzo secondo cui le cause di ricusazione debbono essere valutate con estrema cautela, tenuto conto dell’effetto che sono idonee a sortire sull’ordinaria azione amministrativa.

2.3. Sempre con il secondo motivo, le Amministrazioni appellanti hanno inoltre censurato la fallacia della lettura che il T.A.R. ha dato dell’art. 9 del bando di concorso, con il desumere da questo che la dichiarazione ad opera dei Commissari dell’insussistenza di cause di incompatibilità dovesse essere successiva alla predeterminazione dei criteri di valutazione dei candidati, in modo che quest’ultima fosse svolta in condizioni tali da escludere la conoscenza dei candidati da parte dei Commissari stessi. Sostengono le appellanti che, se la ratio dell’art. 9 cit. è di evitare il rischio di “inquinamenti” nella predisposizione dei criteri, i membri della Commissione dovrebbero semmai dichiarare le situazioni di incompatibilità prima, e non dopo, la suddetta predisposizione. In realtà, la clausola del bando ora riferita non sarebbe applicabile alla fattispecie, non potendo l’incompatibilità discendere ex se dalla presentazione dell’istanza di ricusazione.

2.4. Si è costituito in giudizio il dott. -OMISSIS-, depositando memoria con cui ha eccepito in rito l’inammissibilità dell’appello per vizio della notificazione dello stesso; nel merito, ha poi eccepito la manifesta infondatezza dei motivi d’appello, concludendo per la reiezione di questo, previa reiezione, altresì, dell’istanza cautelare.

2.5. La dr.ssa -OMISSIS-, controinteressata nel giudizio di primo grado, pur evocata, non si è costituita in appello.

3. L’istanza cautelare delle Amministrazioni appellanti è stata accolta dalla Sezione con ordinanza n. –OMISSIS- del -OMISSIS-, in virtù del bilanciamento dei contrapposti interessi e per mantenere la res adhuc integranelle more della discussione del merito della causa.

3.1. Con successivo appello incidentale il dott. -OMISSIS- ha ripresentato i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.A.R. e su cui, perciò, la sentenza non si è pronunciata.

3.2. In vista dell’udienza di merito le Amministrazioni hanno depositato memoria, controdeducendo all’appello incidentale e insistendo per l’accoglimento di quello principale. Il dott. -OMISSIS-, a sua volta, ha depositato una memoria, ulteriori documenti ed una replica, insistendo nelle eccezioni di rito e di merito già sollevate, nonché per l’accoglimento dell’appello incidentale.

3.3. All’udienza pubblica dell’11 giugno 2024 è comparso il difensore dell’appellato. Di seguito, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

4. Per ragioni di economia processuale, che risulteranno evidenti nel prosieguo della trattazione, il Collegio ritiene di esaminare prioritariamente l’appello principale presentato dall’Università e dal M.U.R., rispetto a quello incidentale del dott. -OMISSIS-.

4.1. La giurisprudenza di questo Consiglio ha infatti chiarito che è consentito al Giudice di ritenere in concreto preferibile l’esame prioritario del ricorso principale, a condizione che non ne derivi una limitazione del diritto di difesa del controinteressato e ne discenda invece, un’effettiva accelerazione della definizione della causa: infatti, se in via di principio resta ferma la priorità logica della questione pregiudiziale, “eccezionali esigenze di semplificazione possono giustificare l’esame prioritario di altri aspetti della lite” (C.d.S., A.P., 25 febbraio 2014, n. 9; id., Sez. III, 18 gennaio 2018, n. -OMISSIS-; id., Sez. V, 31 agosto 2016, n. 3752).

5. Principiando, dunque, dall’appello principale, va anzitutto esaminata, ai sensi dell’art. 76, comma 4, c.p.a. (che richiama sul punto l’art. 276, secondo comma, c.p.c.), l’eccezione di inammissibilità di detto appello sollevata dal dott. -OMISSIS-, trattandosi di eccezione pregiudiziale mediante cui si richiede al giudice di decidere l’appello principale con una pronuncia in rito (C.d.S., Sez. V, 12 aprile 2021, n. 2924).

5.1. Lamenta al riguardo l’appellato (e appellante incidentale) l’erroneità della notifica del gravame effettuata nei suoi confronti, in quanto eseguita presso il domicilio del proprio precedente difensore (avv. -OMISSIS-), che già nel corso del giudizio di primo grado è stato revocato e sostituito dal difensore che lo assiste anche nel giudizio d’appello. Di conseguenza, sarebbe stato violato l’art. 92, comma 1, c.p.a., ai sensi del quale la notifica dell’appello alle parti deve avvenire nel termine (perentorio) di sessanta giorni e nel domicilio eletto in primo grado presso il difensore costituito.

5.2. L’eccezione è, tuttavia, priva di fondamento e da respingere, alla luce dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale in relazione alla disciplina sui vizi della notificazione del ricorso dettata dall’art. 44 c.p.a. (applicabile alle impugnazioni in forza del rinvio interno ex art. 38 c.p.a.), con le sentenze n. 132 del 26 giugno 2018, e n. 148 del 9 luglio 2021.

5.2.1. Si evince in particolare dalle pronunce ora menzionate:

a) che la costituzione dell’intimato sana (con effetti ex tunc) la nullità della notificazione del ricorso, in ragione del principio generale (contenuto nell’art. 156 c.p.c.) della sanatoria ex tuncdella nullità degli atti processuali per il raggiungimento dello scopo dell’atto;

b) che i vizi della notificazione del ricorso tali da comportare la nullità di questa sono sempre sanabili attraverso il meccanismo processuale della rinnovazione della stessa, mentre è solo nei casi in cui la notificazione sia affetta da vizi così gravi da decretarne l’inesistenza che non è consentita l’attivazione del suddetto meccanismo rimediale.

5.3. Orbene, con sentenza n. 3654 del 10 maggio 2022 questa Sezione ha già avuto modo di rilevare che “costituisce principio generale processuale, applicabile anche al processo amministrativo, quello per cui l’inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio o dell’atto di impugnazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui sia stata posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto come notificazione (per mancanza o dell’attività di trasmissione o dell’attività di consegna), ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. Un. 20 luglio 2016, n. 14916; C.d.S., Sez. VI, 3 agosto 2020, n. 4899; id., 7 ottobre 2019, n. 6763; Sez. III, 24 aprile 2018, n. 2462). “La notificazione non può, dunque, essere ritenuta inesistente, qualora il procedimento notificatorio si sia comunque perfezionato, configurando eventuali difformità rispetto al modello tipizzato dal legislatore ipotesi di nullità processuale, suscettibili di sanatoria, in via retroattiva, per effetto della costituzione della parte intimata” (C.d.S., Sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2367)”.

5.3.1. Dunque, nella fattispecie ora in esame non si può parlare di inesistenza della notificazione del ricorso, ma al più di nullità della stessa; e, analogamente al caso deciso dalla sentenza n. 3654/2022, l’appellato si è costituito in giudizio per resistere al gravame delle Amministrazioni, non limitandosi ad eccepire la nullità della notifica del ricorso in appello, ma contestandone anche la fondatezza nel merito, e quindi svolgendo tutte le sue difese e giungendo anzi, come si è detto, a proporre appello incidentale.

5.4. Discende da quanto esposto che la costituzione dell’appellato ha sanato con efficacia ex tunc l’eventuale vizio di nullità che affliggeva il ricorso in appello, in base al principio del raggiungimento dello scopo (espressione del principio di conservazione) stabilito dall’art. 156 c.p.c., nonché dall’art. 44, comma 3, c.p.a. (come interpolato dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 132/2018), applicabile anche al giudizio di appello in forza del rinvio interno di cui all’art. 38 c.p.a. (C.d.S., Sez. VI, n. 4899/2020, cit.; cfr. altresì, ex multis, Sez. VI, 3 settembre 2021, n. 6211; id., 21 maggio 2020, n. 3220; id., n. 2367/2020, cit.; id., 15 luglio 2019, n. 4979; Sez. V, 9 novembre 2020, n. 6857; Sez. III, 14 marzo 2019, n. 3119; id., 12 marzo 2018, n. 1561).

6. Passando all’esame del merito dell’appello principale, osserva il Collegio che le censure con esso formulate – da trattare congiuntamente, in quanto intimamente connesse sul piano logico-giuridico – non sono suscettibili di positivo apprezzamento.

6.1. Va premesso al riguardo che, all’opposto di quanto opinano le Amministrazioni appellanti, non si può seriamente dubitare dell’applicazione anche ai concorsi per posti da ricercatore o da professore universitario della regola che prescrive di determinare i criteri di valutazione prima di conoscere i nominativi dei candidati, trattandosi di una regola che è espressione dei principi di trasparenza e par condicio che governano tutte le procedure di chiamata del personale docente universitario. Non vale sostenere in contrario che essa non sarebbe esplicitamente prevista dall’art. 4 del d.P.R. n. 117/2000, poiché tale regola mira a porre i candidati in possesso dei relativi requisiti in condizione di partecipare alla procedura di reclutamento in posizione di parità, tant’è vero che si applica anche alle procedure di chiamata riservate a candidati interni ex art. 24, comma 6, della l. n. 240/2010 (C.d.S., Sez. VII, 3 giugno 2024, n. 4969; id., 25 ottobre 2023, n. 9242; id., 24 luglio 2023, n. 7233; id., 17 marzo 2023, n. 2765). Questa Sezione, con sentenza -OMISSIS-del 28 ottobre 2022, ha osservato che, ove vi siano “più candidati interni versanti nelle condizioni previste dall’art. 24, comma 6 [della l. n. 240/2010], l’esigenza del rispetto della par condicio, delle garanzie di imparzialità e del principio di trasparenza si pone con la medesima intensità rispetto a tutte le altre procedure di chiamata, imponendosi, quindi, l’applicazione di quelle regole funzionali ad assicurarne l’osservanza”.

6.2. Nella sentenza n. 4449 del 2 maggio 2023 (attinente al caso di una procedura concorsuale per un posto di professore ordinario, in cui ad una prima Commissione giudicatrice, che aveva elaborato i criteri valutativi dei candidati prima di conoscere i nominativi degli stessi, era subentrata una seconda Commissione, la quale aveva modificato e integrato in modo significativo i suddetti criteri, ancorché risultasse ormai conoscibile l’identità dei partecipanti) questa Sezione ha avuto modo di riaffermare che la regola che impone di definire i criteri di valutazione ed i relativi punteggi prima di avere preso visione dell’elenco dei candidati è finalizzata ad “evitare qualsivoglia indebita influenza sull’attività preliminare dei commissari destinata ad orientare le loro successive decisioni”.

6.3. La necessità di rispettare la scansione procedimentale ora delineata, che si esprime nella priorità della fissazione dei criteri di valutazione rispetto alla conoscenza dei nominativi dei soggetti ammessi alla procedura (pur essendo necessario acquisire successivamente tale conoscenza per la verifica delle eventuali incompatibilità: C.d.S., Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5865), è stata – ricorda la sentenza n. 4449/2023 – riconosciuta dalla giurisprudenza. Questa ha infatti affermato che il principio della preventiva fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali “deve essere inquadrato nell’ottica della trasparenza dell’attività amministrativa perseguita dal legislatore, che pone l’accento sulla necessità della determinazione e verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti” (cfr. C.d.S., Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2334; id., 19 marzo 2015 n. 1411; id., 18 luglio 2014, n. 3851; Sez. V, 22 gennaio 2015 n. 284; id., 25 maggio 2012, n. 3062). Aggiunge la pronuncia in commento che in casi di tal genere, in cui i Commissari possano acquisire aliunde conoscenza dei nominativi dei candidati, c’è il rischio che la serenità dei Commissari stessi venga inficiata non solo nell’attività di fissazione dei criteri, ma anche in quella della loro concreta applicazione, poiché essi non godrebbero dell’imparzialità valutativa che la funzione impone loro (C.d.S., Sez. VI, 8 ottobre 2021, n. 6726).

7. I principi sopra riportati, delineati dalla sentenza n. 4449/2023 e dalle altre sentenze della Sezione prima elencate che si sono occupate della questione, si applicano al caso qui in esame e comportano l’infondatezza delle censure dedotte con l’appello principale.

7.1. Invero, è pacifico che nella fattispecie per cui è causa uno dei Commissari, il prof. -OMISSIS-, fosse venuto a conoscenza della partecipazione del dott. -OMISSIS- alla procedura concorsuale in un momento anteriore alla determinazione dei criteri di valutazione dei candidati e ciò – come giustamente afferma il T.A.R. – determina un pregiudizio insuperabile, non occorrendo – al contrario di quanto si sostiene nel gravame – che il ricorrente fornisse la prova in concreto che i criteri valutativi successivamente elaborati fossero mirati a svantaggiarlo, o ad avvantaggiare altri candidati.

7.2. Sul punto il Collegio condivide anche l’altra affermazione della sentenza appellata, secondo cui il prof. -OMISSIS- aveva indubbiamente conoscenza dei titoli e delle pubblicazioni del dott. -OMISSIS-, avendolo valutato in una procedura selettiva per il S.S.D. “-OMISSIS-” tenutasi presso l’Università degli Studi di “-OMISSIS-”, indetta con decreto rettorale del -OMISSIS- e conclusasi con l’approvazione dei relativi atti in data -OMISSIS-. Il carattere recente di tale selezione, svoltasi poco prima della procedura per cui è causa (quest’ultima, come visto, è stata indetta con bando del -OMISSIS- e si è conclusa con l’approvazione degli atti in data -OMISSIS-), rende poco verosimile l’assunto dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui il predetto Commissario, al momento della determinazione dei criteri di valutazione, non si sarebbe ricordato del curriculum del dott. -OMISSIS-, né avrebbe avuto idea dei titoli e delle pubblicazioni da costui presentate; il ristretto lasso di tempo intercorso tra le due procedure rende poco credibile anche l’ipotesi, adombrata nell’appello, che in tale lasso di tempo il candidato abbia potuto arricchire in modo significativo il proprio curriculum e/o accrescere in modo rilevante i propri titoli e le proprie pubblicazioni rispetto alla precedente selezione.

7.3. Neppure ha pregio l’argomento che non vi è prova dell’influenza del prof. -OMISSIS- rispetto agli altri Commissari (i quali non erano a conoscenza della partecipazione del dott. -OMISSIS- alla procedura) nell’elaborazione dei criteri di valutazione, dovendosi ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit, che ciascun Commissario abbia influito sulla predetta elaborazione: di tal ché sarebbe stato, semmai, onere delle Amministrazioni appellanti (che queste, però, non hanno adempiuto) di dimostrare che il prof. -OMISSIS- non aveva avuto alcun ruolo nella determinazione dei criteri in questione.

7.4. Non convince nemmeno il riferimento alla particolarità della vicenda dovuto alla presentazione, ad opera dell’odierno appellato, dell’istanza di ricusazione di tutti i Commissari nominati. Vero è che – come osservano le Amministrazioni appellanti – la presentazione di un’istanza di ricusazione non può comportare da sé sola il sollevamento dall’incarico dei soggetti individuati da parte dell’Ateneo, senza tenere conto del merito delle sue ragioni; tuttavia, è altrettanto vero che l’Università avrebbe potuto e dovuto posticipare il sub-procedimento di ricusazione rispetto alla fissazione dei criteri di valutazione dei candidati ad opera della Commissione originaria, accettando il rischio dell’aggravio procedimentale conseguente all’eventuale accoglimento dell’istanza, per la necessità di sostituire i Commissari ricusati, nonché il rischio che la nuova Commissione si trovasse ad operare con i criteri stabiliti dalla precedente.

7.4.1. Invero, la doglianza di un aggravio procedimentale formulata dalle Amministrazioni non tiene conto del fatto che il divieto per la P.A. di aggravamento del procedimento incontra, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. n. 241/1990, una deroga nell’ipotesi in cui sussistano “straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”: e ad avviso del Collegio, nel caso ora in esame tali “straordinarie e motivate esigenze” ben possono rinvenirsi nella riferita esigenza di previamente stabilire i criteri di valutazione dei partecipanti alla procedura concorsuale, in ossequio ai principi di trasparenza e par condicio poc’anzi citati, da un lato, e nell’esigenza di completezza dell’istruttoria da svolgere nel sub-procedimento di ricusazione (implicante la necessità di acquisire le deduzioni dei Commissari interessati dall’istanza), dall’altro lato.

8. Vanno pertanto condivise le valutazioni del T.A.R., che parla di “disallineamento cronologico” in relazione della scelta dell’Università di procedere all’esame dell’istanza di ricusazione, coinvolgendo nella relativa istruttoria i Commissari, prima della predeterminazione, da parte di questi ultimi, dei criteri di valutazione dei candidati. Né vale obiettare che tale coinvolgimento – e il “disallineamento” che ne è derivato – si sarebbero resi necessari al fine di garantire la completezza dell’istruttoria sul sub-procedimento di ricusazione, i cui motivi erano tali da non consentire al Rettore di decidere senza prima interpellare i Commissari interessati: infatti, l’Ateneo avrebbe dovuto contemperare l’ossequio al principio di completezza dell’istruttoria con il rispetto dei principi di trasparenza e par condiciodei concorrenti procedendo, come si è detto, alla posticipazione del sub-procedimento di ricusazione rispetto alla fissazione dei menzionati criteri. La particolarità della fattispecie, semmai, suggerisce di non enfatizzare il rischio che, in caso di accoglimento dell’istanza di ricusazione, i nuovi Commissari si sarebbero trovati a dover rimodulare i criteri stessi: infatti, proprio perché la determinazione dei criteri avrebbe preceduto la conoscenza dei nominativi dei concorrenti, essa, ancorché effettuata dai Commissari ricusati, non avrebbe potuto essere tacciata di parzialità o favoritismi a vantaggio di un partecipante o a danno di un altro.

8.1. Alla luce di quanto esposto, risulta erronea e non condivisibile la lettura che dell’art. 9 del bando di concorso offrono le Amministrazioni appellanti, tale per cui la determinazione dei criteri valutativi avrebbe dovuto essere addirittura postergata rispetto alla verifica delle situazioni di incompatibilità dei componenti della Commissione.

8.2. In conclusione, il modus operandi prescelto dell’Ateneo ha comportato la violazione della regola dell’anonimato e, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, basta il semplice pericolo “in astratto” di un’incidenza della conoscenza dei nominativi dei candidati sulla fissazione dei criteri a rendere illegittimi questi ultimi (v. C.d.S., Sez. VII, nn. 4969/2024 e 4449/2023 citt.). Ne consegue, in ultima analisi, la complessiva infondatezza dell’appello principale, che comporta, secondo le ben note regole processuali, l’improcedibilità dell’appello incidentale.

9. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello, con riferimento sia a quello principale, sia a quello incidentale, tenuto conto della complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull’appello principale e su quello incidentale, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile quello incidentale.

Compensa integralmente tra le parti le spese del grado di appello del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (ed agli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti e della dignità degli interessati, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a consentire l’identificazione delle persone fisiche menzionate in sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2024, con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere, Estensore

L’Estensore OMISSIS

Il Presidente OMISSIS

Pubblicato il 4 ottobre 2024