E’ legittima la sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio irrogata al docente che realizza condotte mobbizzanti nei confronti dei propri collaboratori.
Cons. Stato. Sez. VII, 5 novembre 2024, n. 8823
Il docente che realizza condotte di mobbing può essere sanzionato disciplinarmente
N. 08823/2024REG.PROV.COLL.
N. 01483/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1483 del 2024, proposto dall’Università degli Studi-OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’Avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
per la riforma
della sentenza -OMISSIS-del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. IV, resa tra le parti, che ha accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata, prof.ssa -OMISSIS-, e ha conseguentemente annullato la sanzione disciplinare irrogatale dal Consiglio di amministrazione che, conformemente al parere vincolante espresso dal Collegio di disciplina, irrogava la sanzione con la delibera -OMISSIS-.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata -OMISSIS- nonché i motivi di primo grado, qui riproposti ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a.;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2024 il Consigliere OMISSIS e uditi per l’Università appellante l’Avvocato OMISSIS e per l’odierna appellata, la prof.ssa -OMISSIS-, l’Avvocato OMISSIS;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierna appellata, ricorrente in prime cure, è una professoressa ordinaria di -OMISSIS- dell’Università -OMISSIS-e svolge, in regime di convenzionamento con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico-OMISSIS-, le funzioni di direttrice della Unità OMISSIS.
1.1. Tale Unità è attualmente composta da 43 persone, tra cui 27 professionisti in Unità operativa UOC (8 medici tra professori ricercatori e specializzandi, 13 biologi tra professori ricercatori e specializzandi, 3 tecnici, 2 infermieri e un amministrativo) e 16 universitari (tra professori assegnisti ricerca e dottorandi).
1.2. In data 10 maggio 2023, il Rettore ed il Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera hanno ricevuto una segnalazione firmata da alcuni docenti universitari, colleghi di attività assistenziale della odierna appellata (ricercatori, dirigenti medici e biologi), con la quale si informavano i vertici dei due enti che, tra i componenti della Unità operativa di -OMISSIS- ed il relativo team di ricerca, si respirava un costante clima di forte disagio e conflitto.
1.3. Ad avviso dei segnalanti, tale situazione di ingestibile ostilità si era verificata a causa di comportamenti tenuti in ambito professionale dalla odierna appellata, «comportamenti le cui modalità operative interpellano continuamente le coscienze di noi professionisti» e tali «gravi azioni lesive, come, ad esempio, le forme di pressione e di ritorsione» si esplicavano indifferentemente «nei riguardi dei professionisti che hanno osato dissentire», comportando «ripercussioni negative sulla crescita scientifico-professionale e non solo ma anche sulla serenità emotiva personale».
1.4. Il Rettore ha inviato gli atti al Comitato Unico di Garanzia dell’Ateneo (di qui in avanti CUG), chiedendo di «istruire un apposito procedimento volto, laddove possibile, a individuare le cause del problema, promuovendo efficaci soluzioni conciliative […]», ovvero, in caso di individuazione di profili di eventuali responsabilità disciplinare, rimettere gli atti all’Ateneo per le necessarie azioni da intraprendere.
1.5. La presidente del CUG, con apposita nota, dopo una breve istruttoria, ha rilevato come la vicenda esulasse del tutto «per la rilevanza dei profili ipotizzati e attori coinvolti, dalle proprie competenze e dai propri poteri» e ha rimesso pertanto direttamente al Rettore la trattazione della complessa vicenda.
1.6. Nel frattempo, con la nota -OMISSIS- alcuni dei firmatari della precedente richiesta di intervento inviavano dettagliate integrazioni alla prima generica denuncia, descrivendo vari comportamenti “autoritari”, “aggressivi”, “prevaricatori” e “degradanti”, addebitabili alla professoressa – direttrice, comportamenti asseritamente consistenti in abusi di potere, pressioni indebite, ricatti, mobbing, intromissioni nella vita privata, richieste prestazionali-lavorative eccessive, ingiustificate e incompatibili con il rispetto delle mansioni, delle ferie, dei giorni di riposo e della vita privata, il tutto ai danni dei collaboratori dell’UOC -OMISSIS-.
1.7. In pari data, è pervenuta al Rettore una ulteriore denuncia da parte della Consigliera di Fiducia di Ateneo, Avv. -OMISSIS-, che, nella sua funzione istituzionale, riteneva di dover informare i vertici dell’Università di avere «ascoltato diversi specializzandi e dottorandi lamentare mobbing e mancato rispetto dei valori e delle regole enunciate nel Codice Etico e di Comportamento di Ateneo».
1.8. In particolare, la detta Consigliera ha inviato in allegato una dettagliata relazione (-OMISSIS-) di otto specializzandi e di una dottoranda (relazione a sua volta corredata da dieci allegati), nella quale quest’ultimi enucleavano tredici “capi di accusa” nei confronti dell’odierna appellata.
2. Infine, con l’atto del-OMISSIS-, il Rettore dell’Università-OMISSIS-, sulla base delle predette denunce e segnalazioni, ha avviato un procedimento disciplinare di cui all’art. 10 della l. n. 240 del 2010 a carico dell’odierna appellata, proponendone la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per quattro mesi, in quanto ella avrebbe posto in essere un comportamento lesivo dell’onore e della dignità del ruolo di docente e denotante un’abituale violazione dei doveri di ufficio di cui all’art. 89 del R.D. n. 1532 del 1933.
2.1. Al Collegio di disciplina dell’Università -OMISSIS-è stato quindi chiesto di provvedere all’attività istruttoria in relazione ai fatti contestati e di rendere il parere sulla proposta di sanzione ex art. 10, comma 3, della l. n. 240 del 2010.
2.2. Svolta l’istruttoria con l’acquisizione di tutti i documenti rilevanti e con l’audizione dei denuncianti, della Consigliera di fiducia, del Delegato del Rettore alla Sanità e dei direttori (in carica ed ex) del dipartimento di OMISSIS, sentita l’interessata, il Collegio di disciplina ha espresso il suo parere il 26 settembre 2023, ritenendo, all’unanimità, che i fatti contestati e accertati costituissero un grave illecito disciplinare e ritenendo adeguata la sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio nella misura di almeno quattro mesi, siccome formulata e richiesta dal Rettore.
2.3. Quindi gli atti sono stati trasmessi al Consiglio di amministrazione che, conformemente al parere vincolante espresso dal Collegio di disciplina, ha irrogato la sanzione con la delibera -OMISSIS-.
2.4. Con la nota -OMISSIS-, a firma del Rettore e del Direttore generale dell’Università, è stata comunicata alla odierna appellata l’applicazione della sanzione della sospensione per quattro mesi, con decorrenza dal 1° novembre 2023 e termine il 29 febbraio 2024.
2.5. Nella comunicazione è stato inoltre precisato che la sanzione avrebbe comportato, oltre alla perdita degli emolumenti, all’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse, la perdita dell’anzianità e «l’impossibilità per i dieci anni solari di essere nominato Rettore/trice di Università o Direttore/trice di Istituzione universitaria».
3. Con il ricorso, notificato all’Università-OMISSIS- il 27 novembre 2023, la odierna appellata ha adìto il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana – di qui in avanti, per brevità, il Tribunale – e ha chiesto l’annullamento della detta sanzione disciplinare, affidando il gravame a sette motivi.
3.1. In particolare la ricorrente in prime cure, odierna appellata, ha dedotto:
1) la violazione di legge nella contestazione disciplinare e nell’avvio del procedimento ex art. 89 del R.D. n. 1591 del 1933, dell’art. 10, commi 1 e 2, della l. n. 240 del 2010, dell’art.3 della l. n. 241 del 1990 sotto il profilo della violazione del diritto di essere informati dell’accusa, del diritto di difesa e del contraddittorio, di motivazione della proposta di sanzione, in quanto il Rettore, nell’atto di avvio del procedimento, avrebbe operato un generico richiamo al comportamento «lesivo dell’onore e della dignità del ruolo di docente» e denotante una «abituale mancanza doveri di ufficio ex art. 89 Regio decreto 31 agosto 1933 n. 1532», senza formulare alcun addebito specifico e circostanziato, così compromettendo anche l’esercizio effettivo del diritto di difesa;
2) la violazione di legge sui criteri di nomina e composizione del collegio di disciplina come previsti dall’art. 10, comma 1, della l. n. 240 del 2010 sotto il profilo della violazione del principio generale di imparzialità e terzietà della giurisdizione applicabile anche ai procedimenti disciplinari ex artt. 3, 24, 111 Cost., in quanto la procedura di nomina del Collegio di disciplina (di cui all’art. 45 dello Statuto) non rispetterebbe i principi costituzionali di autonomia, indipendenza e imparzialità degli organi preposti all’esercizio della potestà disciplinare;
3) la violazione di legge sul procedimento disciplinare innanzi al Collegio di disciplina di cui all’art. 10, comma 3, della l. n. 240 del 2010, sotto il profilo del diritto di essere informati dell’accusa, delle prove a carico, del diritto di difesa e del contraddittorio, non venendo indicato, nel parere del Collegio di disciplina, alcun fatto – contestualizzato nel tempo, nel luogo e nella modalità di estrinsecazione della condotta – a cui attribuire rilevanza sotto il profilo disciplinare, ed essendo stata l’istruttoria parziale e lacunosa, essendo peraltro mancata la verbalizzazione delle audizioni;
4) la violazione di legge artt. 84 e 85, 87 e 89 del R.D. n. 1592 del 1933, degli artt. 7 e 10 del d.P.R. n. 382 del 1980, dell’art. 1, comma 2, della l. n. 230 del 2005, dell’art. 6 della l. n. 240 del 2010 in relazione all’abituale mancanza dei doveri di ufficio, alla lesione dell’onore e della dignità del ruolo; non risultando, dalla contestazione, quali doveri d’ufficio siano stati abitualmente violati e con quali condotte la ricorrente abbia leso l’onore e la dignità del ruolo, e non venendo addebitato alla ricorrente nessun fatto specifico che rientri tra le tipologie comportamentali indicate dall’art. 89 del R.D. n. 1592 del 1933;
5) l’eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e dello sviamento di potere in relazione alla confusione tra illecito disciplinare e illecito etico previsto dal Codice etico della comunità universitaria e dal Codice di comportamento; avendo gli organi dell’Università attribuito rilievo disciplinare ad ipotesi previste dal Codice etico (espressione dell’attività negoziale dell’università) non idonee a tipizzare le condotte enunciate nel regio decreto che richiama l’onore e la dignità del ruolo e l’osservanza dei doveri d’ufficio;
6) l’infondatezza degli addebiti/l’insussistenza dei fatti contestati ovvero violazione per eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento e del travisamento dei fatti, in quanto la contestazione si baserebbe su fatti non veri, decontestualizzati e/o strumentalmente narrati;
7) la violazione di legge sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza di cui all’art.3 Cost. della sanzione accessoria prevista artt. 87 n. 2 e 89 del R.D. n. 1592 del 1933, non essendo la sanzione accessoria dell’interdizione per dieci anni dalla nomina a Rettore di Università o direttore di Istituzione universitaria compatibile con il rispetto dei diritti del lavoratore sanciti dalla Costituzione.
3.2. Si è costituita nel primo grado del giudizio l’Università-OMISSIS- argomentando in ordine all’infondatezza delle singole censure e chiedendo il rigetto del ricorso.
3.3. All’udienza camerale del 14 dicembre 2023, il difensore della parte ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare, chiedendo la fissazione di un merito a breve e dichiarando di rinunciare ai termini pieni a difesa senza in ciò incontrare l’opposizione della difesa dell’Università.
3.4. Successivamente, all’udienza pubblica del 12 gennaio 2024 il ricorso è stato ampiamente discusso dai difensori e, quindi, è stato trattenuto dal Collegio di prime cure in decisione.
4. Infine, con la sentenza -OMISSIS-, il Tribunale ha accolto il ricorso per le assorbenti ragioni che qui di seguito si espongono e riassumono.
4.1. Ad avviso del primo giudice, infatti, gli atti impugnati sarebbero inficiati da una invalidante genericità perché, anzitutto, un rinvio generico e integrale alle denunce e alle segnalazioni degli specializzandi, contenenti queste, peraltro, un’esposizione, a volte confusa o generica o decontestualizzata, di una quantità eterogenea di accadimenti disseminati in un arco temporale indefinito, con ampio ulteriore rinvio a stralci di messaggistica telefonica, e una descrizione di atteggiamenti, asseritamente adottati dalla direttrice, odierna appellata, che in astratto potrebbero in alcuni casi integrare delle violazioni disciplinari di diversa gravità, laddove opportunamente contestualizzati; mentre per altri fatti la rilevanza disciplinare non appare apprezzabile, ed ancora, alcune criticità o disfunzioni segnalate dai denuncianti non sembrano di facile inquadramento disciplinare o comunque direttamente imputabili alla ricorrente.
4.2. In ogni caso, tali fatti, proprio per la loro pluralità ed eterogeneità, sarebbero dovuti essere autonomamente filtrati e riordinati, selezionati e ponderati dal Rettore al momento della formale contestazione, enucleando condotte specificatamente e temporalmente circostanziate in riferimento alle norme violate.
4.3. Né, d’altro canto, potrebbe evidentemente soddisfare il requisito della necessaria specificità della contestazione disciplinare il generico riferimento alle categorie previste dall’art. 89 del regio decreto n. 1592 del 1933 della «abituale mancanza ai doveri di ufficio» e del compimento di «atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore» se non si spiega in quali specifiche circostanze di tempo e di luogo e con quali specifiche condotte l’odierna ricorrente sia venuta meno ai propri doveri d’ufficio o abbia leso la dignità o l’onore del ruolo di docente.
4.4. Sarebbe evidente che, a fronte di una contestazione così genericamente formulata e del richiamo a una pluralità indistinta di fatti non qualificati dal punto di vista disciplinare, l’esercizio effettivo del diritto di difesa da parte dell’odierna appellata, sempre ad avviso del primo giudice, sia stato pesantemente pregiudicato, essendovi una totale incertezza circa l’ambito degli addebiti sui quali la stessa era chiamata a difendersi.
4.5. Tra i requisiti fondamentali della contestazione di un addebito disciplinare riveste infatti primario rilievo quello della specificità, inteso quale principio-cardine dei procedimenti disciplinari (v. ex multis, Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 2021, n. 560): i fatti addebitati devono essere individuati con sufficiente precisione in modo che vi sia certezza sulle questioni per le quali l’interessato è chiamato a difendersi.
4.6. La mancata precisazione e/o omessa indicazione di uno o di più elementi di fatto determina un’insuperabile incertezza nell’individuazione del fatto da cui trae origine la contestazione, tale da pregiudicare il diritto di difesa dell’incolpato, richiamando il Tribunale, a tal proposito, il dictum di Cass. civ., sez. L, 6 dicembre 2017, n. 29240, secondo cui «in tema di sanzioni disciplinari, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati».
4.7. La sentenza impugnata ha insomma ritenuto che il vizio di base del procedimento disciplinare in questione risieda in tale mancata sistematizzazione e specificazione dei plurimi e differenti fatti oggetto d’incolpazione e nel mancato inquadramento di ciascuno di questi sotto il profilo giuridico-disciplinare.
4.8. Tale vizio radicale si è poi ripercosso, irrisolto, su tutto lo sviluppo procedimentale, essendosi il Collegio di disciplina intrattenuto in giudizi di valore sul comportamento della professoressa odierna ricorrente (descritta come “autoritaria e prevaricatrice”, orientata al «perseguimento dell’efficienza come fine assoluto a discapito della qualità delle prestazioni e dell’attività didattica e scientifica», ed alla quale si imputa la «conformazione gerarchica del contesto lavorativo», la «ispirazione gerarchica o verticista dei rapporti con gli specializzandi e i dottorandi», nonché una «tendenziale ed esasperata sovrapposizione tra efficienza organizzativa e garanzia qualitativa degli esiti delle attività svolte – di laboratorio e didattica – che giunge sino al limite della indebita e abusiva pressione psicologica e della intrusione nella vita privata dei medici e dei biologi in formazione specialistica, delle dottorande e dei dottorandi, dei ricercatori e dei docenti», il tutto in violazione del Codice etico o del Codice di comportamento dell’Ateneo) senza però darsi carico di enucleare e analizzare singoli episodi da cui trarre le sopra riportate valutazioni, e di motivare, in relazione a ciascuno di tali episodi, di volta in volta, sulla violazione dei doveri o sulla lesione dell’onore e della dignità del ruolo del docente, sulla violazione del Codice di comportamento o del Codice etico.
4.9. Ne discenderebbe che la odierna appellata, nel presente giudizio, non avrebbe potuto prendere posizione su singoli fatti e alla fine anche il Tribunale non sarebbe posto nelle condizioni di discernere la reale sostanza delle contestazioni mosse alla ricorrente, sicché il Tribunale medesimo per tale fondamentale ragione, sottesa al primo, al terzo e al quarto motivo di gravame, ha accolto il ricorso con l’annullamento della sanzione disciplinare impugnata.
5. Il primo giudice ha, altresì, ravvisato un altro autonomo e altrettanto grave vizio, che sarebbe costituito dalle modalità di svolgimento dell’istruttoria seguite dal Collegio di disciplina, denunciate dalla ricorrente con il terzo motivo di ricorso.
5.1. Nel complesso procedimento disciplinare in questione l’istruttoria era prevalentemente di tipo orale, assumendo valore centrale, nella ricostruzione dei vari episodi che caratterizzavano il contesto lavorativo, le testimonianze di tutti coloro che a vario titolo erano rimasti coinvolti nella vicenda essendosi trovati a collaborare con la professoressa, e ciò anche ai fini della decodificazione e della comprensione del materiale documentale – avente valore indiziario – costituito da messaggi WhatsApp, SMS e dalle lettere inviate per posta elettronica.
5.2. Ebbene, ha rilevato il primo giudice, il Collegio di disciplina non solo ha sentito quasi esclusivamente i denuncianti e non altri componenti del gruppo di lavoro che avrebbero potuto offrire una visione più obiettiva e complessiva, ma pur avendo chiesto ai primi anche delucidazioni, chiarimenti e integrazioni, non si è preoccupato di verbalizzarne le dichiarazioni, così come non sono state verbalizzate le dichiarazioni rese a sua difesa dalla professoressa., con il risultato che, non essendo stata data alcuna evidenza all’istruttoria del Collegio di disciplina, essa non è verificabile ex post dalla difesa della ricorrente e in ultima analisi da parte dello stesso Tribunale, con conseguente ulteriore palese violazione del diritto di difesa.
6. Avverso tale sentenza, che ha accolto il ricorso per gli assorbenti profili di cui si è detto, ha proposto appello l’Università, lamentandone l’erroneità per le ragioni che di seguito saranno esaminate, e ne ha chiesto la riforma, previa sospensione dell’esecutività, con la conseguente reiezione dei motivi proposti in primo grado.
6.1. Si è costituita l’appellata per chiedere la reiezione dell’appello e, nella memoria depositata il 22 aprile 2024, ha riproposto anche, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi assorbiti dal primo giudice.
6.2. Disposto con l’ordinanza-OMISSIS-il rinvio dell’udienza camerale inizialmente fissata lo stesso 12 marzo 2024 per la indeclinabile esigenza di rispettare i termini a difesa, all’esito della successiva udienza camerale del 26 marzo 2024, con l’ordinanza -OMISSIS- il Collegio ha sospeso in parte l’esecutività della sentenza impugnata relativamente, in particolare, all’annullamento della sanzione accessoria di cui all’art. 89, comma secondo, del R.D. n. 1592 del 1933, di cui successivamente meglio si dirà, ritenendo prevalente, nelle more della definizione della causa nel merito, l’esigenza che l’interessata non ricoprisse cariche direttive, tra cui, in particolare, quelle di direttrice del dottorato di ricerca GenOMeC e di presidente del Comitato per la Didattica del corso di laurea magistrale in Genetic Counsellors, anche considerato che era ancora in corso la verificazione ispettiva (cd. site visite) disposta dall’Osservatorio Regionale della Toscana.
6.3. Le parti hanno successivamente depositato le rispettive memorie difensive ai sensi dell’art. 73 c.p.a., illustrando e precisando le rispettive posizioni.
6.4. Infine, nella pubblica udienza del 22 ottobre 2024, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
7. L’appello dell’Università è fondato, meritando anzitutto accoglimento i primi tre motivi dell’appello (pp. 8-19 del ricorso) che, per la loro analogia e consequenzialità contenutistica, possono essere congiuntamente esaminati.
7.1. Invero l’Ateneo appellante deduce, con tali motivi, che erroneamente il primo giudice avrebbe ritenuto privi di specificità gli addebiti disciplinari, posto che, tenendo conto dell’ampiezza ed eterogeneità dei comportamenti posti in essere dall’appellata, il Rettore, di fronte alle più che precise denunce provenienti da diversi soggetti coinvolti (colleghi della docente, poi da parte degli specializzandi, segnalazioni peraltro raccolte, sistematizzate e riordinate dalla Consigliera di Fiducia di Ateneo, Avv. -OMISSIS-) individuava nei comportamenti descritti i possibili indici tipizzanti e rivelatori di un sistema ritorsivo e pressorio che veniva in maniera continuativa e sistematica condotto dalla docente nei confronti dei vari soggetti coinvolti.
7.2. E se è pur vero che, come osserva il Tribunale, la specificità delle condotte è di primario rilievo nel procedimento disciplinare, tale principio cardine non è certo stato disatteso dal Rettore nella contestazione per cui si discute, ma anzi concretamente osservato.
7.3. Infatti, il Rettore ha riassunto all’interno dell’addebito ogni singolo fatto denunciato per relationem (tutti fatti immediatamente conoscibili dall’incolpata essendo stati allegati alla contestazione disciplinare), delineando la contestazione di aver costruito, in sostanza, un sistema mobbizzante che mortificava colleghi e discenti, privandoli dei loro diritti.
7.4. I fatti commessi quindi, proprio per la loro intrinseca caratteristica e natura prescindevano dalla mera contestazione di singoli e precisi episodi, in ogni caso richiamati per relationem nella nota di contestazione rettorale (eterogenei e di varia gravità, come lo stesso Tribunale rileva), che però evidentemente nel caso di specie assumevano rilievo disciplinare solo se valutati nel loro insieme sistematico e complessivo.
7.5. Non vi sarebbe dunque stata alcuna genericità e indeterminatezza nell’avvio del procedimento e nella contestazione degli addebiti formulati nella nota rettorale, espressa anche mediante riferimento a tutta la dettagliata documentazione in possesso del Rettore e rigorosamente inviata a corredo della nota medesima.
7.6. Il diritto di difesa esercitato dall’appellata professoressa sarebbe stato completo ed effettivo, essendosi ella difesa sia sulle singole imputazioni dettate da specifici episodi, che su quella globale, come si evince immediatamente dall’incipit delle sue memorie, depositate in seno al procedimento disciplinare: «Le presenti note vengono redatte con lo scopo di replicare analiticamente alla contestazione disciplinare comunicata alla Prof. -OMISSIS- il 7.7.2023 ed alle accuse contenute nei documenti alla stessa allegati.”, difese che, rileva ancora l’appellante, vengono sviluppate in ben 57 pagine in cui si esaminano tutti gli episodi oggetto di trasmissione e l’imputazione globale, ritenuta in tali difese come frutto di “accuse mosse nei suoi confronti senza mezzi termini false e letteralmente costruite a tavolino da un gruppo di persone che, per motivi francamente oscuri, ha agito con il solo fine di nuocerle» (cfr., ad esempio, all. 15, pp. 1 e 2 della memoria costituzione depositata in primo grado dall’Università appellante).
7.7. Proprio tutte le argomentazioni difensive effettuate dai legali della professoressa sono state puntualmente prese in considerazione e valutate dal Collegio di disciplina in sede di istruttoria, tanto che nel parere conclusivo l’organo disciplinare, dopo una lunga e articolata disamina delle singole difese presentate dall’appellata (si veda in particolare da pp. 16-26 del parere conclusivo del Collegio), ritiene di concludere evidenziando che «in sostanza, non si negano ( da parte dell’incolpata n.d.r.) i fatti documentati ma la loro qualificazione come illeciti disciplinari».
7.8. Infine, ha dedotto ancora l’Università appellante, non si ravviserebbe, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, alcun giudizio di valore di tipo soggettivo nei confronti dell’appellata, ma semplicemente si descrive e si riscontra nei comportamenti sanzionati la violazione di doveri etici generali, oggettivi e prefissati come principi cardine e valori fondanti dalla comunità universitaria, che integrano, quindi la violazione dei doveri primari dei docenti universitari e la dignità e l’onore della figura del docente medesimo.
7.9. Il giudizio del Collegio di disciplina non si basa su valutazioni personalistiche, soggettive e di natura moralistica, come erroneamente rilevato dal Tribunale, ma nel caso di specie, data l’ampia istruttoria effettuata dall’organo disciplinare e in virtù del richiamo esplicito alla violazione di specifiche e prefissate norme sia etiche che disciplinari, concretizza un apprezzamento etico oggettivo e ampiamente motivato, che integra – come rilevato dall’organo disciplinare – una lesione dei doveri e dell’onore e della dignità della docente universitaria così come richiesti dall’art. 89 del regio decreto 1592 del 1933 perché tutte le violazioni richiamate sono lesive di norme che tutelano i valori essenziali che il docente deve perseguire in via prioritaria nell’adempimento dei suoi compiti istituzionali, al fine di non ledere il decoro e la dignità dell’ufficio pubblico rivestito.
8. Le censure sin qui esposte sono fondate.
8.1. Invero, come ha ben rilevato l’Università appellante, il Collegio di disciplina non si è discostato dalla corretta applicazione dei principi che regolano la materia disciplinare, laddove si ricordi, anzitutto, che la contestazione disciplinare deve contenere le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, la condotta addebitata, con la precisazione che «l’accertamento relativo al requisito della specificità […] va condotto considerando che in sede disciplinare la contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale né si ispira ad uno schema precostituito, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano il rapporto esistente fra le parti, sicché ciò che rileva è l’idoneità dell’atto a soddisfare l’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa» (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. L, 19 marzo 2024, n. 7272, ma v. anche, in questo senso, Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 2021, n. 560).
8.2. Orbene, nel caso di specie, il Rettore ha formulato con sufficiente chiarezza gli addebiti disciplinari, che attengono ad una condotta complessiva improntata ad autoritarismo e vessazione nei confronti di dottorandi e ricercatori che la stessa incolpata, nella corposa memoria difensiva depositata avanti all’organo di disciplina, non esita – significativamente – a definire più volte come “sottoposti”.
8.3. Non si è contestata all’incolpata, si badi, una sorta di “colpa d’autore” né le si è imputato un certo modo di essere, ma un atteggiamento complessivo prevaricatorio e intrusivo, teso ad esigere in modo inflessibile e irragionevole prestazioni anche oltre i limiti e gli orari previsti, senza tollerare alcuna forma di dissenso che non venga, poi, colpita ingiustamente da atteggiamenti ritorsivi ed escludenti.
8.4. Al Collegio di disciplina è stato dato rintracciare, in particolare, una tendenziale ed esasperata sovrapposizione tra efficienza organizzativa e garanzia qualitativa degli esiti delle attività svolte – di laboratorio e didattica – che giunge sino al limite della indebita e abusiva pressione psicologica e della intrusione nella vita privata dei medici e dei biologi in formazione specialistica, delle dottorande e dei dottorandi, dei ricercatori e dei docenti.
8.5. Una concezione dei rapporti di formazione e di lavoro accademico, questa, «incompatibile con i valori costituzionali che ispirano e caratterizzano lo Statuto dell’Università-OMISSIS-», come si legge nel parere -OMISSIS- del Collegio di disciplina.
8.6. I fatti contestati entrano in conflitto non solo con i principi generali indicati dall’art. 3, ma anche con l’art. 4 del Codice Etico, il quale ultimo accoglie all’interno del Codice Etico il principio generale per cui devono essere rispettate e protette la dignità individuale e professionale e l’integrità psico-fisica anche delle persone che lavorano per acquisire o trasmettere la formazione universitaria.
9. Emergono, dall’analisi complessiva della vicenda e non solo dai singoli episodi svolta dal Collegio di disciplina, come pure si legge nel citato parere, «a) la negligente affermazione di un modello gerarchico incline a preferire l’imposizione alla persuasione ed alla collaborazione e, quindi, b) la costruzione di un contesto di lavoro e di studio in cui prevalgono timori e incomprensioni, che incide persino sulla serenità psicologica delle persone».
10. L’organo disciplinare ha insomma correttamente rilevato come appaia in maniera assai chiara che la prof.ssa -OMISSIS-, nel tempo, ha affermato ed imposto una concezione tutta personale dell’attività didattica, scientifica e di assistenza costruita su un’idea di efficienza incompatibile con i valori che ispirano gli artt. 12 e 14 del Codice Etico ed i principi generali del Codice di Comportamento (art. 3).
10.1. L’efficienza sembra essere concepita, praticata e pretesa in una misura tale da generare anche l’eventualità di una negativa incidenza sulla attendibilità scientifica dei risultati ottenuti.
10.2. Si tratta, quindi, di un’efficienza che tende a sottovalutare, o pretende di trascurare, la reale rilevanza persuasiva dell’eventuale esito divergente da quello auspicato o atteso, come se la studiosa, nel segno del primato dell’efficienza, fosse disposta persino ad accettare il rischio dell’errore evitabile: un errore che avrebbe potuto essere evitato utilizzando del tempo da dedicare alle opportune verifiche, «un errore che, in linea di principio, potrebbe incidere sulla diagnostica o sulla tutela dei dati personali dei pazienti», come si legge ancora nel citato parere.
10.3. È emersa dunque l’evidenza di fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare, che si riflettono, tra l’altro, sul buon funzionamento della Scuola di specializzazione e sollevano dubbi assai inquietanti, ha rilevato ancora condivisibilmente l’organo di disciplina, circa la modalità di intendere ed esercitare la direzione della Scuola di specializzazione in -OMISSIS-.
11. Infatti, è senz’altro possibile ricostruire una connessione eziologica tra conformazione gerarchica del contesto lavorativo, disagio psicologico e scarsa efficacia formativa della Scuola di specializzazione.
12. La continua pressione psicologica impedisce una serena ed effettiva attività di formazione dei biologi e dei medici in formazione specialistica.
12.1. La violazione del Codice Etico e dei principi generali di cui all’art. 3 del Codice di Comportamento comprime in maniera assai grave e significativa le finalità delle Scuole di specializzazione e dei corsi di Dottorato di ricerca individuate negli artt. 22 e 23 dello Statuto dell’Università-OMISSIS-.
13. Più in generale, ed è questo forse uno degli aspetti più gravi dell’intera vicenda, si è manifestato via via col tempo – da parte della prof.ssa -OMISSIS- – un modo di intendere la libertà di ricerca e di insegnamento, che sono valori fondamentali dell’Università, «in un senso che entra in aperto conflitto non solo con il pluralismo e con il rispetto della dignità della persona, ma anche con il dovere di contribuire alla costruzione ed alla conservazione di un contesto adeguato, pure in termini di serenità e di collaborazione, allo studio e alla ricerca».
13.1. In tale ultima direzione di analisi dei fatti contestati ed accertati vi è dunque anche una violazione dell’art. 8 del Codice Etico.
14. L’abuso della libertà di ricerca e di insegnamento si manifesta nel primato esclusivo della propria percezione e convinzione e, quindi, nella costruzione di un assoluto scientifico e culturale che trasforma il dissenso in disobbedienza da sanzionare mediante l’isolamento.
14.1. Anche nell’affermazione del modello di impegno richiesto agli altri prevale l’assoluto primato della propria scelta e, quindi, l’esercizio della propria libertà.
14.2. La misura di esigibilità di impegni e di risultati da raggiungere, quella che la prof.ssa -OMISSIS- pretende o impone con assillante sistematicità, coincide sempre con la misura di esigibilità che ella stessa ha avuto la libertà di scegliere per sé.
14.3. Quindi, ha concluso ancora il Collegio di disciplina nel citato parte -OMISSIS-, una pur encomiabile decisione personale di assoluta dedizione al lavoro universitario si trasforma, forse in maniera addirittura inconsapevole, e forse, secondo elementi emersi nelle audizioni, per un’esasperazione di tratti caratteriali via via delineatasi negli anni più recenti, in un indice assoluto, ossia in un modello che tutti devono rispettare.
14.4. Il comportamento divergente da tale modello o la sua critica vengono rifiutati ed emarginati come inadempimenti ostili alla sua persona.
14.5. Il disagio psicologico, le ansie ed i timori generati da una concezione di ispirazione gerarchica o verticista dei rapporti con gli specializzandi e i dottorandi impedisce la realizzazione delle condizioni di contesto necessarie per raggiungere le finalità indicate nell’art. 12, comma 1 del Codice Etico.
14.6. Si tratta delle condizioni di contesto che trasformano la formazione universitaria in effettiva opportunità, per le future generazioni di medici e di biologi, di raggiungere livelli di eccellenza ragguagliabili a quelli raggiunti dalla prof.ssa -OMISSIS-.
14.7. Un atteggiamento ostile a questi valori tradisce, a ben vedere, il patto di fiducia intergenerazionale che caratterizza, e in larga parte giustifica, i rapporti personali che costruiscono la formazione universitaria.
15. Il Collegio di disciplina ha evidenziato come il comportamento della prof.ssa -OMISSIS-, sempre in punto di analisi di contesto, riveli una seria violazione del principio di rispetto reciproco e di collaborazione accolto, con riguardo ai rapporti con le colleghe ed i Colleghi, nell’ultimo comma dell’art. 14 del Codice Etico.
15.1. I fatti accertati e contestati, ha pure sottolineato il Collegio, possono esporre l’Ateneo ad un serio danno reputazionale proprio in considerazione del prestigio del Dipartimento di OMISSIS e, in particolare, della rilevanza strategica della Scuola di specializzazione in -OMISSIS- (art. 10 Codice Etico).
15.2. La comunità universitaria (art. 6 Statuto), in particolare nei rapporti tra docenti e tra docenti e studentesse e studenti – categoria questa da accogliersi adesso in senso ampio ed inclusivo di specializzande/i e dottorande/i – è il luogo in cui si trasmette sapere – teorico e pratico (saper fare) – e non il luogo in cui si impartiscono ordini ai “sottoposti”, inquietante parola che, come ha rilevato ancora il Collegio di disciplina, compare ben sei volte nella replica della odierna appellata.
15.3. La dipendenza funzionale – non gerarchica – che caratterizza la relazione formativa è costruita sulla reciproca persuasione, un esito da raggiungere attraverso l’ascolto, il confronto, la critica.
15.4. Considerazione, questa, confermata, tra l’altro, dal consolidato orientamento giurisprudenziale che non inquadra l’attività del medico iscritto alla scuola di specializzazione all’interno di un rapporto di lavoro subordinato, bensì in una speciale ipotesi di contratto di formazione-lavoro (Cass. civ., sez. L, 8 settembre 2020, n. 18667).
16. Non si può negare che si tratti di un’attività faticosa e costosa in termini di efficienza organizzativa e, ha rilevato ancora il Collegio di disciplina, «sono quindi comprensibili la difficoltà e la fatica, pure manifestate dalla Prof. -OMISSIS- nella replica, di rintracciare il giusto equilibrio tra l’efficienza dovuta all’Azienda ospedaliera ed il rispetto della propria missione accademica», come si legge ancora nel più volte citato parere.
16.1. Tuttavia, non è accettabile un modello organizzativo che tenti di risolvere il problema chiedendo a specializzande/i o a dottorande/i di “lavorare anche il sabato o la domenica” (v. p. 53 della replica).
16.2. L’esistenza di un disagio reale non giustifica, né potrebbe, una distorta e pericolosa funzionalizzazione del lavoro degli specializzandi divergente dal fine primario della loro formazione e, in particolare, non giustifica atteggiamenti e comportamenti in violazione del Codice etico dell’Università-OMISSIS-.
16.3. A tal riguardo è assai significativa la replica agli addebiti relativi alla “produttività” delle specializzande e degli specializzandi ed in particolare quello sul raggiungimento degli standard fissati dalla prof.ssa -OMISSIS- nell’esercizio della “potestà direttiva e organizzativa” originata dalla “posizione gerarchicamente sovraordinata a quella di tutti gli specializzandi” (p. 5 e ss.).
16.4. L’idea, ha rilevato ancora il Collegio di disciplina, che la chat possa essere il luogo didattico, quello in cui si ricevono indicazioni utili per imparare a processare gli esami in “c.a. 1” ora – ossia: 45 minuti per la refertazione e 10 minuti per la scrittura del referto – restituisce una singolare e preoccupante rappresentazione della trasmissione del saper fare, soprattutto quando si legge che, in realtà, «il tempo medio per l’analisi di un singolo esame a regola d’arte è di 2 ore da parte del personale in formazione non esperto» (p. 5).
16.6. In tali passaggi è racchiuso il senso di un delicatissimo processo formativo che non può essere imprigionato in logiche di efficienza, ma deve essere gestito con prudente attenzione e secondo logiche di sostegno all’apprendimento di un sapere pratico.
16.7. Il numero di esami che «ciascuno specializzando dovrebbe processare» (pp. 5 e 6) non è un apriori determinato in via gerarchica, ma il risultato di un processo di formazione universitaria e tale formazione ha bisogno di luoghi e di modalità adeguate – forse non basta l’indicazione in una chat – e, soprattutto, deve tener conto delle esigenze formative delle specializzande e degli specializzandi, non delle esigenze di efficienza organizzativa e di risultato della prof.ssa -OMISSIS- (quale responsabile dell’UOC).
17. Le ragioni addotte dal Collegio di disciplina nel parere -OMISSIS-, di cui si è dato sin qui ampio conto, rendono bene l’idea e restituiscono soprattutto fedelmente la realtà effettuale di un procedimento disciplinare che si è soffermato ad esaminare in modo analitico e accurato le ragioni delle contestazioni inerenti ad un comportamento sufficientemente determinato nei suoi contorni materiali, ancorché complessivamente considerato, e poi via via manifestatosi, alla stregua di una condotta abituale, in singoli ripetuti episodi.
17.1. Ne segue che le contestazioni disciplinari mosse all’odierna appellata, diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, sono ben lungi dal potersi definire o ritenere “generiche” al punto tale che, come visto, la stessa appellata, conformemente ai principî affermati dalla giurisprudenza in questa materia, si è potuta difendere su ciascuna di esse, con una memoria difensiva di ben 57 pagine depositata avanti al Consiglio di disciplina, che ha esaminato in modo approfondito le deduzioni difensive articolate per iscritto dall’incolpata e l’ha, ovviamente, anche audita.
17.2. Diversamente ragionando, del resto, e dimenticando che, come insegna la costante giurisprudenza in materia disciplinare sopra già citata, non è legittimo ipotizzare qui e pretendere una determinatezza del fatto analoga a quella che regna, per essenziali garanzie della libertà personale, nelle fattispecie incriminatrici di stampo penale, sarebbe impossibile contestare in sede disciplinare condotte di tipo abituale e ripetuto (ben ammesse, del resto, anche in sede penale per i delitti abituali, ad esempio: si pensi ai maltrattamenti) e, come nel caso di specie, comportamenti prevaricatori e mobbizzanti che si snodano nel tempo in una concatenazione di fatti e circostanze pressoché impossibili da isolare atomisticamente e da contestare singolarmente, come a torto postula la sentenza qui gravata, che certamente merita riforma nell’avere accolto le censure della ricorrente in primo grado.
17.3. I tre motivi proposti dall’Università appellante, dunque, devono essere accolti, con la conseguente riforma della sentenza impugnata, che ha invece accolto erroneamente le censure della ricorrente in primo grado.
18. Meritevole di riforma è, altresì, la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto, come si è visto, che il procedimento disciplinare sarebbe stato affetto da un deficit istruttorio, anche in punto di mancata compiuta verbalizzazione.
18.1. In realtà, anche al riguardo si deve rilevare che il Collegio di disciplina ha effettuato un’istruttoria corretta ed in linea con quanto puntualmente disciplinato dal comma 3 dell’art. 10 della l. n. 240 del 2010.
18.2. Tale disposizione prevede, proprio in base alla specificità nonché alla particolarità del procedimento disciplinare dei docenti universitari, che gli unici soggetti che il Collegio ha il dovere di udire debbano essere il Rettore (o un suo delegato) e il professore incolpato, sicché non era ravvisabile, a dispetto di quanto ha ritenuto il primo giudice, alcun obbligo da parte dell’organo di sentire soggetti ulteriori rispetto a quelli tassativamente menzionati dalla disposizione citata.
18.3. Il citato comma 3 prevede, infatti, che «il collegio di disciplina, uditi il rettore ovvero un suo delegato, nonché il professore o il ricercatore sottoposto ad azione disciplinare, eventualmente assistito da un difensore di fiducia, entro trenta giorni esprime parere sulla proposta avanzata dal rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare e trasmette gli atti al consiglio di amministrazione per l’assunzione delle conseguenti deliberazioni».
18.4. L’appellata ha sostenuto che, in sede di audizione orale (non verbalizzata), avrebbe espressamente chiesto che il Collegio sentisse anche gli altri membri del team di OMISSIS, i quali avrebbero potuto smentire quanto riferito dai suoi accusatori ed offrire una rappresentazione imparziale e più completa dei fatti controversi.
18.5. Anche volendo ammettere tale circostanza, si osserva che l’omessa audizione di soggetti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla norma di riferimento rientra nella piena discrezionalità tecnica del Collegio che ha ritenuto, nell’esercizio del suo potere discrezionale e a fronte dell’ampia e univoca documentazione in atti, di chiamare, oltre alle parti necessarie indicate a livello legislativo, a conferma delle evidenze documentali i vari soggetti interessati e coinvolti negli episodi segnalati oltre che alcuni soggetti che, per il proprio ruolo istituzionale, erano in grado di offrire una conoscenza imparziale dei fatti, rientrando, quindi, nella propria piena discrezionalità ritenere di non estendere la partecipazione ad altri.
18.6. A ciò si aggiunga, come pure rileva l’Università appellante, che l’odierna appellata si è difesa ampiamente – sia pure con argomentazioni che sono state punto per punto confutate dal Collegio di disciplina – su ogni contestazione sollevata, essendo stata audita direttamente dal Collegio e avendo presentato articolate memorie scritte su ogni punto affrontato nel procedimento.
18.7. In particolare, come risulta dal parere conclusivo, il Collegio ha affermato che «all’esito della complessa attività istruttoria […] ha ricevuto una diretta conferma e utili chiarimenti dei fatti esposti e/o riportati nella documentazione resa disponibile», che «le audizioni hanno avuto ad oggetto solo i fatti contestati» e che «non sono emersi fatti diversi da quelli contestati» e, ancora, che «in particolare sono state confermate tutte le evidenze documentali».
18.8. In sintesi l’organo di disciplina ha ritenuto che l’ampia, particolareggiata e variegata documentazione agli atti costituisse prova evidente degli addebiti e che le audizioni fossero solo meramente confermative dei fatti allegati e pertanto, non essendoci elementi nuovi e diversi emersi in sede di audizione, circostanza peraltro precisata dal Collegio nel parere conclusivo, ha ritenuto di effettuare una verbalizzazione generale meramente confermativa della documentazione in atti, poiché l’ampia e particolareggiata documentazione, mai efficacemente smentita nel merito dalla docente, ma percepita dalla stessa come una sorta di oscuro complotto ordito a suo danno, anche da soggetti terzi, ha costituito per l’organo disciplinare, per l’univocità dei contenuti e la provenienza disparata da ogni parte della comunità universitaria, una fonte di prova e non un mero elemento indiziario, come invece osserva il Tribunale, erroneamente sostituendosi al collegio nell’apprezzamento del materiale istruttorio.
18.9. Ne segue che, anche su questo punto, la sentenza impugnata debba essere riformata, non ravvisandosi alcun deficit istruttorio nell’attività svolta dalla Commissione né tantomeno richiedendosi, nella verbalizzazione dei soggetti auditi, una completezza e precisione simili a quella delle trascrizioni di un dibattimento penale.
19. Debbono ora essere esaminati i motivi assorbiti dal primo giudice, riproposti dalla parte appellata ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. nella memoria depositata il 22 aprile 2024.
19.1. Si deve anzitutto osservare che molti di tali motivi, richiamati indistintamente, senza ulteriori e circostanziate precisazioni, mediante il semplice, generico, rinvio ad alcune parti del ricorso proposto avanti al Tribunale e delle memorie del 27 dicembre 2023 e dell’8 gennaio 2024 depositate in primo grado, sono tutti inammissibili in quanto, per la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’esame dei motivi di ricorso assorbiti (o, comunque, non valutati) in primo grado è consentito al giudice di appello solo se la parte interessata indichi specificamente le censure che intende devolvere alla sua cognizione, proprio al fine di consentirgli una compiuta conoscenza delle relative questioni, e alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse.
19.2. Al contrario, un rinvio indeterminato alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contenevano, completamente privo della precisazione del loro contenuto come è, palesemente, nel caso di specie, è inidoneo ad introdurre nel giudizio di appello i motivi in tal modo solo genericamente richiamati e gli stessi devono intendersi rinunziati, a mente della medesima norma.
19.3. Non può essere richiesto al giudice d’appello, infatti, lo spoglio degli atti del primo grado del giudizio – ammesso pure che siano tutti immediatamente reperibili – alla ricerca dei motivi di ricorso, non esaminati dal primo giudice, e che si vuole siano conosciuti nel grado d’appello (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 19 luglio 2023, n. 7068).
19.4. Ad ogni buon conto, quando pure si volessero ritenere ammissibili – e invero, per quanto invece detto, non rinunciate – tali generiche censure qui riproposte, esse devono essere tutte respinte per le assorbenti ragioni sin qui esposte, da ritenersi confutative di tutte le deduzioni con esse – lo si ripete – qui inammissibilmente riproposte dall’odierna appellata.
19.5. Il Collegio di disciplina, regolarmente costituito ai sensi dell’art. 45 dello Statuto che, in perfetta aderenza al comma 1 dell’art. 10 della l. n. 240 del 2010, ha previsto che venga reso un giudizio tra pari, dopo avere acquisito tutta la copiosa documentazione prodotta e avere sentito l’incolpata ed esaminato le sue ampie difese, è pervenuto ad una corretta determinazione sanzionatoria in ordine alla rilevanza dei fatti contestati, che non integrano solo un’infrazione del Codice etico, ma anche una deviazione da uno standard minimo di regole comportamentali e deontologiche richieste ad un docente universitario, stabilendo una sanzione proporzionata, la quale ha tenuto conto, come doveva, dell’elevatissima professionalità da riconoscersi all’odierna appellata, ma dall’altro ha parimenti riconosciuto che l’esercizio di questa grande competenza, nella pur lodevole dedizione al lavoro, non poteva costituire una esimente da comportamenti improntati ad un atteggiamento di stampo rigidamente gerarchico, autoritario, prevaricatorio, a tratti mobbizzante nei confronti di chi dissente o non si mostra pari rispetto alle aspettative di un efficientismo preteso a tutti costi, fine a se stesso.
19.6. Non è inutile qui rammentare che anche l’attività di ricerca, non disgiuntamente dal rispetto del principio meritocratico, deve essere parimenti ispirata al rispetto dell’altrettanto fondamentale principio democratico, e accogliere in seno alle istituzioni universitarie, a cominciare da quelle del più alto livello scientifico, un incomprimibile pluralismo di persone e di idee, senza attuare, da parte di chi si trovi in una posizione apicale e abbia responsabilità di direzione e coordinamento, anche con i più sottili mezzi di coazione psicologica, una forzosa reductio ad unitatem.
20. Resta solo da esaminarsi, perché invece ritualmente riproposta in questa sede, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., con la deduzione di specifici, espressi, puntuali, motivi di doglianza, la censura inerente alla violazione di legge sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza per abnormità della sanzione accessoria prevista agli artt. 87 n. 2 e 89, comma secondo, del R.D. n. 1592 del 1933, richiamando l’odierna appellata le deduzioni già svolte alle pagine 37 e 38 del ricorso introduttivo ed, inoltre, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2024 che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma che prevedeva l’automatismo della rimozione dei magistrati nel caso di condanna penale ad una pena detentiva per diritto non colposo non inferiore ad un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa.
20.1. Numerose sono le sentenze della Corte costituzionale, deduce ancora l’appellata, che hanno ritenuto l’illegittimità delle norme che prevedevano l’automatismo sanzionatorio e la destituzione di altri pubblici dipendenti ovvero l’automatica cancellazione di professionisti dall’albo in conseguenza della loro condanna in sede penale per determinati reati.
20.2. Apparirebbe perciò illegittimo l’automatismo sanzionatorio con applicazione della sanzione accessoria di dieci anni, prevista dal R.D. n. 1592 del 1933, agli artt. 87 e 89, che è ancora più grave della sanzione principale della sospensione dall’Ufficio a cui afferisce, avendo la durata di dieci anni, senza alcuna valutazione anche sotto il profilo della sua proporzionalità, in violazione dell’art. 3 Cost.
20.3. Al Consiglio di amministrazione dell’Università sarebbe così sottratto, deduce l’appellata, qualsiasi margine di apprezzamento, anche con riguardo al fatto e alla durata della sanzione principale della sospensione applicata, sulla sanzione accessoria gravissima in quanto priva il docente del diritto di accedere alle cariche elettive universitarie per 10 anni.
20.4. Un procedimento disciplinare con sanzioni diseguali e soprattutto sanzioni accessorie automatiche, di fatto, viola il principio di eguaglianza, annullando la persona del lavoratore, la sua professionalità, il suo futuro, nonché, più in generale, il principio di ragionevolezza.
20.5. In argomento, è stata eccepita dall’odierna appellata anche l’evidente diseguaglianza che sussiste tra la disciplina applicabile al caso di specie e quella generale di cui all’art. 7 della l. n. 300 del 1970, che dispone:
a) al comma quarto che fuori dai casi di licenziamento «non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro»;
b) all’ultimo comma che «non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione».
20.6. Anche questo motivo, al pari degli altri dedotti in primo grado, è tuttavia infondato.
20.7. La questione di costituzionalità sollevata dall’odierna appellata, infatti, è manifestamente infondata, dato che, come ha pure ben messo in rilievo la difesa dell’Università nella memoria depositata il 1° ottobre 2024, il criterio della proporzionalità è connesso a sanzioni a carattere retributivo, in cui l’entità della sanzione non può che dipendere dalla modalità della condotta e dalla intensità dell’elemento soggettivo, mentre le sanzioni a carattere preventivo, come è quella qui contestata dell’art. 89, comma secondo, R.D. n. 1592 del 1933 (v., sul punto, Cass., sez. L, 25 maggio 2012, n. 8304 ma anche Cons. St., sez. VII, 18 aprile 2023, n. 3877), sono riferite alla gravità oggettiva della sanzione principale e conseguono semplicemente alla avvenuta inflizione, ben potendo essere rimessa al legislatore la scelta di prefissare la durata della sanzione accessoria, a prescindere dalla entità della sanzione concretamente inflitta in via principale, in ragione della distinta esigenza di prevenire il rischio del ripetersi della condotta sanzionata.
20.8. Come ha rilevato la Corte di Cassazione nella citata pronuncia, la diversità e la modulazione delle sanzioni accessorie rispondono, infatti, al carattere essenzialmente preventivo, anziché meramente retributivo, delle medesime, la cui funzione è quella di evitare la possibilità che la grave condotta – sanzionata in via principale – possa reiterarsi con ulteriore pregiudizio per il bene tutelato e ciò spiega, altresì, che alla predeterminazione della durata possa accompagnarsi, come nella specie, la obbligatorietà della sanzione accessoria, quale effetto automatico che accede alla sanzione a prescindere da ogni potere discrezionale in ordine alla necessità, o meno, della ulteriore inflizione.
20.9. Quanto alla censurata disparità di trattamento rispetto all’art. 7 della l. n. 300 del 1970, invero, la diversità di trattamento si giustifica, nel caso di specie, per lo speciale statuto dei docenti universitari, il cui ruolo impone un minimum etico esigibile dagli stessi superiore a quello di un normale lavoratore soggetto alla disciplina dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, con il conseguente corredo di sanzioni, anche accessorie, come quella di cui al citato art. 89, comma secondo, del R.D. n. 1592 del 1933, avente, come detto, una finalità preventiva che risulta ancor più giustificata, nel caso di specie, dai comportamenti eccentrici ed eterocliti tenuti dall’odierna appellata e correttamente stigmatizzati in sede disciplinare, di cui si è detto.
21 Ne segue che questo motivo, per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità proposta, debba essere respinto, con la conseguente conferma, per tali ragioni, anche della sanzione accessoria qui contestata.
22. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello dell’Università deve essere accolto, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e, in definitiva, la reiezione del ricorso proposto in primo grado dall’odierna appellata, anche nei motivi riassorbiti qui riproposti, da ritenersi tutti – ad eccezione, come detto, dell’ultimo, ritualmente riproposto – inammissibili e comunque tutti, senza eccezione, infondati anche nel merito.
23. Le spese del doppio grado del giudizio, per la indubbia complessità delle questioni esaminate, possono essere interamente compensate tra le parti.
23.1. Rimane definitivamente a carico dell’appellata il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado, mentre ella deve essere condannata per la sostanziale soccombenza a rimborsare il contributo unificato corrisposto dall’Università per la proposizione del gravame.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dall’Università degli Studi-OMISSIS-, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS-.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado.
Condanna -OMISSIS- a rimborsare in favore dell’Università -OMISSIS-il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della prof.ssa -OMISSIS-.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2024, con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere, Estensore
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere