‘atto di nomina della commissione non produce un effetto lesivo immediato, e comunque tale da determinare l’onere della immediata impugnazione nel prescritto termine decadenziale. Pertanto, la possibilità di un’impugnazione anticipata ha carattere eccezionale e viene riconosciuta solo in rapporto a fattispecie particolari, ossia ad atti di natura vincolata idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva oppure in ragione di atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale.
Cons. Stato, Sez. VII, 3 dicembre 2024, n. 9675
L'atto di nomina della commissione non produce un effetto lesivo immediato e comunque tale da determinare l'onere della immediata impugnazione nel prescritto termine decadenziale
09675/2024REG.PROV.COLL.
01521/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1521 del 2024, proposto da
OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi Foggia, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 1403/2023
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di OMISSIS e dell’Università degli Studi Foggia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 novembre 2024 il Cons. OMISSIS e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS per delega dell’avv. OMISSIS e OMISSIS.
Viste le conclusioni dell’Università appellata come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’originario ricorso seguito da sei atti per motivi aggiunti l’odierna appellante, premesso di essere professoressa associata in farmacologia, con abilitazione scientifica nazionale alla funzione di professore di I fascia per il settore concorsuale 05/G1 a far data dal 25 giugno 2020 e di fare parte del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Foggia, ha impugnato il decreto di nomina, unitamente agli atti prodromici, della Commissione giudicatrice del concorso riservato ai professori interni dell’Università di Foggia, per la copertura di un posto di professore universitario di ruolo di I fascia, ai sensi dell’art. 24, comma 6, L. n.240/2010, settore concorsuale 05/G1 “Farmacologia, Farmacologia clinica e Farmacognosia” – SSD BIO/14, presso il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Foggia, indetto con decreto del Rettore del 29 novembre 2021.
I motivi aggiunti sono stati proposti nei confronti degli ulteriori decreti di nomina dei componenti la Commissione perché dopo le nomine impugnate, via via, con il gravame principale ed i motivi aggiunti, i membri componenti della Commissione individuati hanno presentato atto di dimissioni, accettate dall’Università.
Con la sentenza n. 1403/23 del 5 dicembre 2023, il Tar adito ha dichiarato inammissibile il ricorso, sul rilievo che gli atti impugnati erano privi di immediata portata lesiva, in quanto aventi carattere endo-procedimentale e la lesività avrebbe potuto trovare concretezza solo in ipotesi di esito sfavorevole del concorso per la ricorrente.
Appellata ritualmente la sentenza resistono l’Università degli Studi Foggia e OMISSIS.
Con la memoria di replica depositata in data 22 ottobre 2024 l’appellante ha riferito che, con decreto rettorale n. 1551/2024, prot. n. 42487 del 31 luglio 2024, l’Università di Foggia, a seguito della nomina di una nuova commissione, aveva approvato gli atti della commissione valutatrice e successivamente, il Consiglio di Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche avrebbe deliberato la proposta di chiamata del prof. OMISSIS (concorrente nella medesima procedura valutativa); riferiva, inoltre, che con ricorso al Tar Puglia (contestualmente depositato) aveva impugnato la procedura sub iudice sia per nuovi vizi sia per i motivi di illegittimità già denunciati.
Ha chiesto, quindi, rinvio a data da destinare ovvero la cancellazione dal ruolo del presente giudizio di appello, atteso che i profili di censura relativi alla procedura valutativa erano stati riproposti assieme ai nuovi motivi nell’instaurando giudizio.
All’udienza del 12 novembre 2024 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1.La richiesta di rinvio o di cancellazione della causa dal ruolo in attesa della decisione del Tar deve essere disattesa.
Il difetto di interesse al momento della decisione, posto a base della decisione oggetto del presente giudizio di appello, non potrebbe essere, nemmeno in tesi, sanato dalla proposizione di un diverso giudizio, attualmente pendente in primo grado, avverso atti successivi alla pronuncia in questa sede impugnata.
L’interesse ad agire – quale condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. – richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, nemmeno allorché tali effetti si siano verificati, in tesi, per effetto dell’adozione di un provvedimento lesivo successivo alla decisione.
Nella specie, non sussiste alcun tipo di pregiudizialità, rispetto al presente giudizio, di quello successivamente proposto davanti al Tar.
La circostanza che l’appellante, ove risultasse vincitrice nel giudizio successivamente proposto davanti al Tar non avrebbe più interesse al presente giudizio e una mera circostanza di fatto, inidonea a sostenere la richiesta di rinvio.
2.Con il primo motivo di appello l’appellante deduce l’erroneità della sentenza appellata – Violazione dell’art. 105 comma 1 c.p.a – Violazione del diritto di difesa – Violazione dell’art. 2 c.p.a – Violazione del principio del giusto processo.
Lamenta che, in vista dell’udienza di merito di primo grado, aveva articolato una istanza di rinvio giustificata dalla necessita di proporre ricorso per motivi aggiunti in quanto, a seguito di accesso documentale aveva avuto conoscenza di ulteriori profili di illegittimità per avere appreso che sarebbe stata composta una nuova commissione con professori stranieri privi dei requisiti e della necessaria conoscenza della lingua italiana e che erroneamente il rinvio non era stato concesso.
La censura non è fondata.
Non esiste una norma giuridica ovvero un principio di diritto che attribuiscono al ricorrente il diritto al rinvio della discussione del ricorso, atteso che la parte interessata ha solo la facoltà di illustrare al giudice le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell’udienza o la cancellazione della causa dal ruolo, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della discussione spetta comunque al giudice, il quale deve verificare l’effettiva opportunità di rinviare l’udienza.
Solo in presenza di situazioni particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il rinvio dell’udienza è doveroso per il Giudice e in tale ambito si collocano, fra l’altro, i casi di impedimento personale del difensore o della parte, nonché quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate dall’Amministrazione, occorra riconoscere alla parte, che ne faccia richiesta, il termine di sessanta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti.
Nessuna di queste ipotesi ricorreva nella specie; al contrario, correttamente il Tar ha osservato che, al di là del fondamentale principio del giusto processo (che ne impone la celere celebrazione) e del tendenziale divieto di rinvio di cui all’art. 73, co 1 bis, c.p.a, la rinuncia ai termini a difesa delle controparti esclude ogni ragione del rinvio.
3.Con il secondo motivo di appello l’appellante deduce l’erroneità della sentenza appellata – Sussistenza dell’interesse ad agire – Immediata portata lesiva dei provvedimenti impugnati. Violazione di legge – Violazione artt. 51 e 52 c.p.c. – Violazione L. 241/90 – Violazione art. 97 Cost. – Eccesso di potere – Contraddittorietà – Difetto di istruttoria – Carenza di motivazione – Travisamento della delibera ANAC n. 25/20 e dell’art. 13 del codice etico dell’Università di Foggia – Violazione art. 7 del bando di concorso – Violazione del regolamento relativo alle procedure di chiamata dei professori di prima e seconda fascia dell’Università degli Studi di Foggia – Violazione dello Statuto di Ateneo – Nullità per carenza di potere – Eccesso di potere – Violazione del principio dell’autovincolo – Carenza di motivazione – Difetto di istruttoria – Sviamento – Illogicità manifesta – Contraddittorietà.
Evidenzia che i vizi dedotti in giudizio sulla nomina della commissione di concorso erano immediatamente lesivi, afferendo a profili di conflitto di interessi.
La censura non è fondata.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamato di recente dalla Sezione (Cons. St., Sez. VII, 3417/2022 e 6414/23) l’atto di nomina della commissione non produce un effetto lesivo immediato, e comunque tale da determinare l’onere della immediata impugnazione nel prescritto termine decadenziale; infatti, la nomina dei componenti della commissione costituisce un atto meramente endoprocedimentale e può essere impugnata solo nel momento in cui, con l’approvazione delle operazioni concorsuali, si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell’interessato (Cons. St., Sez. V, 4 giugno 2019, n. 3750).
La regola secondo la quale l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile, giacché la lesione della sfera giuridica del suo destinatario è normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento, è di carattere generale; la possibilità di un’impugnazione anticipata è invece di carattere eccezionale e riconosciuta solo in rapporto a fattispecie particolari, ossia ad atti di natura vincolata idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva oppure in ragione di atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale (Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2011 , n. 2961; sez. III, 2 novembre 2019, n. 7476).
E, d’altra parte, il requisito dell’attualità dell’interesse non è rilevabile allorché il pregiudizio derivante dall’atto amministrativo impugnato è meramente eventuale, ovvero quando l’emanazione del provvedimento non ha arrecato alcuna lesione diretta nella sfera giuridica del soggetto ricorrente né è certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo.
La stessa conclusione si impone nel caso in cui sia contestata la revoca di una Commissione.
4.Con il terzo motivo di appello l’appellante deduce l’erroneità della sentenza appellata – Violazione art. 35 c.p.a. – Erronea presupposizione in fatto ed in diritto – Sopravvenuto difetto di interesse in riferimento ai motivi di ricorso rivolti all’annullamento di commissioni medio tempore decadute per dimissioni dei componenti.
Evidenzia che, al momento della decisione, tutte le commissioni nominate dopo la revoca della prima erano decadute per dimissioni dei professori ordinari chiamati a svolgere l’incarico; di conseguenza il Giudice doveva prendere atto del sopravvenuto difetto di interesse della ricorrente alla decisione sui decreti di nomina di commissioni decadute ed esprimersi sulla legittimità della revoca della prima commissione, disposta illegittimamente per presunto ed inesistente conflitto di interessi, incompatibilità e violazione del principio di imparzialità e terzietà.
La censura non è fondata.
La pronuncia di inammissibilità per carenza di interesse originaria è preliminare a una eventuale pronuncia per sopravvenuta carenza di interesse, la quale presuppone che un interesse comunque ci fosse; come evidenziato il Tar ha rilevato la carenza di interesse alla censura di un atto endoprocedimentale quale è certamente la revoca della prima commissione
Peraltro la parte ricorrente, a prescindere dalla richiesta di rinvio non accolta ha insistito sull’accoglimento dei motivi di ricorso senza rinunciare a nessuno di essi.
5.Con il quarto motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza appellata – Violazione art. 35 c.p.a. – Erronea presupposizione in fatto ed in diritto – Erronea pronuncia di inammissibilità sulla scadenza sopravvenuta dei termini di conclusione della procedura concorsuale – Sopravvenuta carenza di interesse alla doglianza.
Lamenta che il motivo proposto era stato travisato, in quanto lo stesso costituiva un rafforzamento delle doglianze elevate contro la revoca della commissione correttamente individuata e mirava ad affermare un elemento di responsabilità dell’Amministrazione per un’eventuale azione di risarcimento.
Lamenta altresì come fosse del tutto improprio, immotivato, inconferente ed erroneo il riferimento della sentenza all’abuso del diritto. Il motivo, peraltro, era tutt’altro che infondato, considerato che solo l’intervento del legislatore con il mille proroghe 2023 aveva salvato una procedura che colpevolmente l’Amministrazione ha trascinato oltre i termini di legge, per l’illegittima volontà di cancellare l’unica commissione correttamente individuata secondo legge che avrebbe consentito il rispetto dei termini prescritti normativamente.
La censura non è fondata.
Il Tar ha dichiarato inammissibile il motivo per un duplice ordine di ragioni: il motivo mira a caducare la procedura alla quale la stessa ricorrente ha chiesto di prendere parte e che ambisce a superare: il suo comportamento è pertanto, contraddittorio e contrario, per ciò, al principio di abuso del diritto; – la procedura, allo stato non è stata espletata e, pertanto, anche per tale profilo di illegittimità, la lesione non è dotata del requisito dell’attualità.
La ricorrente ha concluso per l’accoglimento di tutti i motivi senza rinunciare a nessuno di esse, né può dolersi che, se il Tar avesse consentito di poter beneficiare dei termini processuali chiesti con l’istanza di rinvio dell’udienza di merito, avrebbe reso espressa tale posizione processuale.
Inoltre la parte non può censurare la decisione perché il motivo avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35 C.P.A., essendo intervenuta una proroga di legge sui termini del procedimento, in quanto era carente l’interesse originario al motivo.
6.Con il quinto motivo l’appellante deduce erroneità della sentenza appellata per l’erronea condanna alle spese di lite.
La censura deve essere respinta.
Il Giudice ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza.
I giusti motivi, in base ai quali il giudice, dotato di ampi poteri discrezionali in tal senso, può disporre la compensazione tra le parti in causa delle spese del giudizio in deroga al criterio generale della soccombenza, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., richiamato dall’art. 26 del D.lgs. n. 104/2010, anche se non puntualmente specificati, devono quanto meno essere desumibili dal contesto della decisione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2817 del 30 aprile 2019), evenienza nella specie non verificata.
L’appello deve essere, pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali che liquida in € 4.000,00 in favore di ciascuna delle parti appellate, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere, Estensore
Pubblicato il 3 dicembre 2024