Cons. Stato, Sez. VII, 20 gennaio 2025, n. 393

L’omessa impugnazione degli atti successivi all’approvazione degli atti della procedura disposta dal Rettore non è in grado di elidere l’interesse, che sorregge il ricorso di primo grado, ad ottenere l’annullamento del risultato della procedura di selezione pubblica

Data Documento: 2025-01-20
Autorità Emanante: Consiglio di Stato
Area: Giurisprudenza
Massima

L’omessa impugnazione degli atti successivi all’approvazione degli atti della procedura disposta dal Rettore non è in grado di elidere l’interesse, che sorregge il ricorso di primo grado, ad ottenere l’annullamento del risultato della procedura di selezione pubblica di che trattasi. Ciò in quanto, nella fattispecie del reclutamento del personale docente, l’intervenuto annullamento dell’atto che definisce la fase concorsuale è destinato a spiegare un effetto “direttamente caducante” (e non meramente viziante) sui provvedimenti di chiamata e presa di servizio, che si pongono in un rapporto di “derivazione immediata” rispetto al precedente decreto rettorale impugnato.

Contenuto sentenza

00393/2025REG.PROV.COLL.

09308/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 9308 del 2024, proposto da: OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, con domicilio eletto presso lo studio OMISSIS in Roma, via Principessa Clotilde, 7;

contro

Università degli studi “Roma Tre”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

OMISSIS, non costituito in giudizio;

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati OMISSIS e OMISSIS, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Bruno Buozzi, 47;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, n. 13181/2024.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università “Roma Tre” e di OMISSIS;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. OMISSIS;

Uditi, nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2025, gli avvocati OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS e l’avvocato dello Stato OMISSIS;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

1. La prof.ssa OMISSIS, professore associato in diritto penale (ius/17) presso l’Università degli studi “Roma Tre” (Università), ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III ter, n. 13181 del 1° luglio 2024, con la quale è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il suo ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento dell’invito a manifestazioni di interesse ai sensi dell’art. 7, comma 5 bis, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, per la copertura di un posto di professore ordinario di diritto penale (ssd ius/17): invito pubblicato dal Dipartimento di giurisprudenza dell’Università in data 19 aprile 2023; e inoltre per l’annullamento degli atti della procedura.

L’Università si è costituita formalmente depositando successiva memoria difensiva, con cui ha chiesto la reiezione dell’istanza cautelare per assenza di periculum nonché il rigetto dell’appello.

Il controinteressato prof. OMISSIS, dopo essersi costituito, ha depositato memoria con la quale ha riproposto e ampliato le argomentazioni difensive svolte in primo grado, chiedendo la reiezione dell’istanza di sospensione della sentenza impugnata.

Alla camera di consiglio del 14 gennaio 2025, sentite a lungo le parti anche con riferimento alla possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, di cui è stato dato avviso, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Vanno tratteggiati i fatti di causa.

In data 19 aprile 2023 il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università ha indetto una procedura per manifestazione di interesse per la copertura di un posto di professore di I fascia nel settore scientifico disciplinare ius/17 – sc 12/g1 – diritto penale, per l’espletamento di «un progetto formativo che integri, in chiave critica, dogmatica classica e realtà della parte speciale, anche alla luce anche delle dinamiche applicativo-processuali del c.d. ‘diritto vivente’».

La procedura è stata bandita ai sensi dell’art. 7, comma 5 bis, della legge n. 240 del 2010, in base alla quale le università possono procedere alla chiamata di «professori ordinari e associati in servizio da almeno cinque anni presso altre università» nella fascia corrispondente a quella per la quale viene bandita la selezione, ovvero di «studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o di insegnamento, che ricoprono da almeno cinque anni presso università straniere una posizione accademica equipollente», mediante lo svolgimento «di procedure selettive in ordine alla corrispondenza delle proposte progettuali presentate dal candidato alle esigenze didattiche, di ricerca o di terza missione espresse dalle università».

La commissione giudicatrice, nominata con decreto del rettore del 25 maggio 2023, all’esito dei lavori nella seduta del 7 settembre 2023 ha esaminato i curricula dei quattro candidati (OMISSIS, Alberto OMISSIS, OMISSIS e Massimiliano Masucci) e, dopo aver escluso i proff. OMISSIS e Masucci per mancato possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura, come prescritti dal richiamato art. 7, comma 5 bis, della l. n, 240/2010, trattandosi, appunto, di candidati interni all’ateneo, ha ritenuto il prof. OMISSIS quale candidato maggiormente qualificato per ricoprire il posto per il quale la procedura era stata indetta.

In data 13 settembre 2023 il consiglio di dipartimento ha sottoposto a valutazione la proposta di chiamata del prof. OMISSIS e ne ha deliberato la presa di servizio a far data dal 1° novembre 2023.

3. L’appellante ha impugnato gli atti della procedura dinanzi al Tar Lazio con ricorso integrato da motivi aggiunti, sostanzialmente contestando la scelta dell’ateneo (a suo dire illegittima sia perché contraria ai precedenti deliberati del dipartimento sia perché adottata in assenza dei presupposti di legge), di indire una selezione aperta soltanto agli esterni, così precludendole la possibilità di partecipare, tant’è che è stata esclusa per assenza dei requisiti.

Il Tar Lazio, in accoglimento dell’eccezione del controinteressato, ha dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse in quanto la ricorrente in primo grado non ha impugnato il verbale del consiglio di dipartimento in data 13 settembre 2023, che ha il contenuto composito di chiamata del professore e di fissazione della presa di servizio. Afferma il Tar che, essendo mancato il decreto rettorale di approvazione degli atti della procedura, il suddetto verbale rappresenta l’atto che conclude il procedimento e concreta la lesione.

4. L’appellante censura l’impostazione della sentenza.

4.1. Con il primo motivo contesta la ricostruzione del Tar per cui, non esistendo un decreto rettorale, l’approvazione degli atti della selezione deve ritenersi sostituita o assorbita dalla delibera dipartimentale di chiamata.

Contesta, anche alla luce della disciplina regolamentare dell’ateneo, l’affermazione del Tar secondo cui l’atto conclusivo della procedura sarebbe il verbale del dipartimento di chiamata del candidato selezionato.

Ricorda che, secondo consolidata giurisprudenza, tra la procedura comparativa e le fasi successive (chiamata e nomina) il rapporto processuale è caducante, non viziante.

Osserva che nel caso di specie l’assenza del decreto di approvazione degli atti del concorso, diversamente da quanto dispone il regolamento universitario che invece lo prevede, rappresenterebbe una difformità nell’operato dell’università rispetto al procedimento tipico; difformità che tuttavia non consentirebbe, pena la violazione del principio di tipicità oltre che di quello di legalità, che il provvedimento rettorale mancante sia “sostituito” da un successivo provvedimento.

Quindi si duole che la sentenza impugnata imputi alla ricorrente in primo grado l’omessa impugnazione di un atto tipico, di approvazione degli atti, in realtà mai emanato dall’Università prima della fase di chiamata e di presa di servizio del controinteressato.

4.2. Con il secondo motivo l’appellante contesta la sentenza anche nella parte in cui, per addivenire alla statuizione di improcedibilità, ha reputato rilevante il dato che il verbale del consiglio di dipartimento del 13 settembre 2023 è stato «depositato in giudizio dall’Ateneo in data 29 settembre 2023».

Osserva che l’art. 46 c.p.a., nel disciplinare il deposito degli atti e documenti da parte dell’amministrazione costituita, nel caso di specie «quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio», prescrive, al comma terzo, che «della produzione di cui al comma 2 è data comunicazione alle parti costituite a cura della segreteria».

L’art. 46 c.p.a., a parere dell’appellante, va coordinato con quanto prescritto dall’art. 136, comma 1, c.p.a., nel testo sostituito dall’art. 45 bis, comma 3, l. 114/2014 e in seguito modificato dall’art. 7, comma 1, lett. b), l. 197/2016, norma che fissa la condizione generale di efficacia per le comunicazioni di segreteria (come è la comunicazione prescritta dall’art. 46, comma 3, c.p.a.) consistente nell’invio a buon fine, a mezzo di posta elettronica certificata, al domicilio dichiarato nel giudizio dai difensori delle parti costituite: essendo mancata, nel caso di specie, la comunicazione dell’avvenuto deposito del verbale in questione, contrariamente a quanto statuito dalla sentenza appellata, il deposito in giudizio da parte dell’ateneo «in data 29 settembre 2023» non potrebbe fungere da presupposto per la declaratoria in rito di improcedibilità per omessa impugnazione di tale nuovo provvedimento.

Parimenti sarebbe irrilevante l’eventuale pubblicazione di tale verbale all’albo pretorio dell’Università.

4.3. Con il terzo motivo, in subordine, invoca la rimessione in termini per errore scusabile in quanto la procedura per cui è causa è stata indetta ai sensi dell’art. 7, comma 5 bis, l. 240/2010, introdotto solo con la legge 29 dicembre 2021, n. 233, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 6 novembre 2001, n. 152, norma entrata in vigore solo il 1° gennaio 2022: si tratterebbe di un procedimento del tutto nuovo, su cui non si è formata giurisprudenza atta a superare quella consolidata secondo la quale l’unico atto successivo all’indizione della procedura di selezione, da impugnarsi a pena di decadenza con effetto caducante sui successivi, è il decreto rettorale di approvazione degli atti, nel caso di specie non esistente.

4.4. A seguire, per l’effetto devolutivo, l’appellante ripropone i motivi di merito non esaminati dal Tar, con i quali in sintesi sostiene essenzialmente che la procedura di cui all’art. 7, comma 5 bis, della legge n. 240/2010 sarebbe stata bandita in difetto dei presupposti di legge, ossia della specificazione delle esigenze didattiche, di ricerca o di terza missione da soddisfare, e che la suddetta procedura si porrebbe in contraddizione con i precedenti deliberati del consiglio di dipartimento, i quali avevano optato per una procedura ordinaria di selezione, ex art. 18, l. 240/2010, la quale meglio risponderebbe alle esigenze dell’istituto.

5. La causa può essere definita con sentenza in forma semplificata, ricorrendone i presupposti.

È fondato il primo motivo dell’appello, che riveste carattere assorbente.

Con tale motivo l’appellante si duole della declaratoria in rito di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, sostenendo che la sentenza sarebbe errata laddove ha affermato che, in assenza di un decreto rettorale di approvazione degli atti, l’approvazione della selezione deve ritenersi sostituita o assorbita dalla delibera dipartimentale di chiamata.

5.1. In un recente precedente (sentenza 27 maggio 2024, n. 4675) questa sezione, dopo aver dato atto dell’esistenza di un indirizzo esegetico secondo cui la mancata impugnazione degli atti finali della procedura si presta ad essere letta nel senso di un disinteresse sostanziale manifestato dal ricorrente avverso l’altrui effettiva presa di servizio, con conseguente venir meno, sul piano processuale, dell’interesse a ricorrere avverso gli atti a monte della procedura, al contempo è stata evidenziata l’esistenza di un diverso indirizzo, al quale ha aderito, alla stregua del quale, nonostante il provvedimento conclusivo della procedura debba essere individuato nella delibera di approvazione del consiglio di amministrazione, ciò tuttavia non è in grado di incidere, sul versante processuale, nel senso di ritenere che la procedibilità del giudizio principale dipenda in senso logico-giuridico dall’impugnazione anche di tale atto.

È stato infatti rilevato che l’impugnazione del decreto rettorale con il quale sono stati approvati gli atti della procedura concorsuale e, per l’effetto, dichiarato vincitore della procedura il controinteressato, rappresenta di per sé stessa la condizione necessaria e sufficiente per ottenere una pronuncia sul merito della fondatezza delle censure dedotte, poiché l’atto di nomina e la presa di servizio, pur se provvedimenti distinti rispetto a quello di approvazione dell’esito della procedura, si fondano per l’appunto su di esso.

È stato quindi ribadito il principio secondo cui «l’interesse è connesso agli esiti della procedura selettiva indipendentemente dal successivo provvedimento di nomina, atto autonomo rispetto al quale l’esito della procedura selettiva costituisce un presupposto che non viene messo in discussione (Cons. di Stato, sez. VII, n. 8800/2022). Si tratta di un nesso di presupposizione immediato, diretto e necessario, per cui l’annullamento del provvedimento di approvazione dell’esito della procedura esplica sugli atti successivi un’efficacia caducante in ossequio al principio simul stabunt simul cadent» (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 5 marzo 2024 n. 2175).

Il Collegio condivide le riportate conclusioni, dalle quali non ravvisa motivi per discostarsi.

Invero, l’estensione dell’annullamento all’atto presupponente si verifica «anche quando questo non sia stato impugnato» (Cons. Stato, sez. III, 3 agosto 2022, n. 6811) e trova un impedimento nel solo caso in cui con detto atto posteriore sia stato conferito un bene o una qualche utilità ad un soggetto non qualificabile come parte necessaria nel giudizio che ha per oggetto l’atto presupposto. Solo in tal caso la giurisprudenza afferma la necessità che l’invalidità derivata dell’atto finale venga fatta valere con i rimedi tipici del processo impugnatorio, onde evitare l’indebita produzione degli effetti negativi del giudicato di annullamento a carico di soggetti che mai hanno potuto esercitare il loro diritto di difesa (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 3 maggio 2023, n. 4474).

In definitiva, secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, va esclusa l’improcedibilità dell’originario ricorso proposto avverso gli atti della procedura valutativa per la mancata impugnazione degli atti successivi di chiamata e nomina degli idonei, sulla base del rilievo che l’accoglimento del ricorso di primo grado comporta comunque «la caducazione automatica degli atti di nomina e di presa in servizio, in virtù del nesso sostanziale di presupposizione-consequenzialità intercorrente tra esito positivo della procedura selettiva e successivo provvedimento di nomina» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2017 n. 4427; 26 maggio 2017, n. 2482; 8 marzo 2010, n. 1318).

I ravvisati effetti caducanti sugli atti successivi derivanti dall’annullamento degli atti della procedura non sono scalfiti dalla considerazione che la delibera del consiglio di dipartimento, la delibera del consiglio di facoltà e il decreto rettorale, ove adottati, hanno natura altamente discrezionale, posto che la valutazione di idoneità del candidato è comunque presupposto necessario dei successivi atti di nomina. Ne consegue che, venuto meno il presupposto necessario costituito dal decreto di approvazione degli esiti della procedura, anche gli effetti di questi ultimi vengono meno in via automatica, stanti gli effetti caducanti (e non solo vizianti) dell’annullamento dell’atto presupposto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2021, n. 769).

5.2. Tanto chiarito in ordine ai principi, va osservato che, nel caso di specie, il decreto rettorale di approvazione degli atti della procedura non risulta essere stato adottato.

Sull’argomento le parti si sono confrontate a lungo, sia negli scritti difensivi, sia nella discussione orale: tuttavia, di fatto, nessuna di esse è stata in grado di documentare l’esistenza del menzionato decreto del rettore di approvazione degli atti che, invece, “deve” essere adottato ai sensi dell’art. 4, comma 6, del “Regolamento per la chiamata, la mobilità, i compiti didattici, il conferimento di incarichi di insegnamento e di didattica integrativa, il rilascio di autorizzazioni per attività esterne dei professori e ricercatori in servizio presso l’università degli studi Roma tre”.

Dunque la valutazione di idoneità del candidato operata dalla commissione, nel caso di specie, è l’ultimo atto della procedura comparativa, il quale rappresenta il presupposto necessario dei successivi atti di nomina.

L’impugnazione, da parte della ricorrente in primo grado, della valutazione della commissione e della individuazione del vincitore ne radica dunque l’interesse all’annullamento il quale alla luce dei principi innanzi declinati non può che avere effetti caducanti sugli atti successivi.

5.2.1. Giova soggiungere che non solo gli atti impugnati appartengono alla medesima serie procedimentale ma emerge, nella fattispecie, un rapporto di necessaria derivazione degli atti successivi da quelli avversati con il ricorso originario. Se infatti è vero che la proposta di chiamata è formulata da parte del dipartimento, nel caso di specie quest’ultimo non ha effettuato valutazioni divergenti rispetto a quelle operate dalla commissione, consentite, peraltro, entro i limiti chiariti dalla consolidata giurisprudenza anche di questa sezione (cfr., ex multis, sentenza 5 settembre 2022, n. 7719), sussistendo, quindi, in concreto, un collegamento esclusivo e bilaterale tra tutti gli atti in questione.

Dunque, per principio generale, l’omessa impugnazione degli atti successivi all’approvazione degli atti della procedura disposta dal Rettore non è in grado di elidere l’interesse, che sorregge il ricorso di primo grado, ad ottenere l’annullamento del risultato della procedura di selezione pubblica di che trattasi.

Ciò in quanto, nella fattispecie del reclutamento del personale docente, l’intervenuto annullamento dell’atto che definisce la fase concorsuale è destinato a spiegare un effetto “direttamente caducante” (e non meramente viziante) sui provvedimenti di chiamata e presa di servizio, che si pongono in un rapporto di “derivazione immediata” rispetto al precedente decreto rettorale impugnato (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 21 aprile 2023, n. 4068).

5.2.2. Ciò posto, se non può ragionevolmente sostenersi che la parte fosse onerata di impugnare un atto, il decreto rettorale di approvazione degli atti, che nel caso di specie non è mai stato adottato, al contempo non può predicarsi, come ha fatto il primo giudice, che il verbale del consiglio di dipartimento del 13 settembre 2023 “sostituisca” il decreto del Rettore di approvazione degli atti della procedura e che gli atti della commissione sarebbero in un certo senso non rilevanti all’esterno, in quanto adottati da un organo straordinario dell’amministrazione con durata e funzioni definite.

In proposito il Collegio osserva che, in disparte il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, nel caso di specie il verbale del consiglio di dipartimento del 13 settembre 2023 non ha i contenuti di un atto di approvazione degli atti della procedura. Con esso il consiglio si è infatti limitato a prendere atto giudizio della commissione, ivi trascritto, assumendolo quale presupposto diretto della proposta e contestuale delibera di chiamata del vincitore.

La valutazione della commissione, dunque, come già posto in luce, nel caso di specie rappresenta l’ultimo atto della sequenza procedimentale che, in mancanza del decreto rettorale di approvazione, è l’atto, ritualmente impugnato, che concretizza ed attualizza la lesione per la ricorrente e il cui annullamento non può che avere efficacia caducante sugli atti successivi.

5.2.3. Una diversa interpretazione in punto di applicazione di una norma processuale, quale quella offerta dal Tar, che andasse in direzione contraria ai principi fin qui riportati, porrebbe peraltro un problema di prospective overruling secondo cui il principio di diritto, affermato in contrasto con l’orientamento prevalente in passato, non potrebbe essere applicato alle situazioni anteriori alla data della decisione. La prospective overruling si esplicita, infatti, nella possibilità per il giudice di modificare un precedente, ritenuto inadeguato, per tutti i casi che si presenteranno in futuro, decidendo però il caso alla sua immediata cognizione in base alla regola che si ritenga superata (sul tema cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 27 febbraio 2019, nn. 4 e 5; 23 febbraio 2018, n. 1; 22 dicembre 2017, n. 13; 2 novembre 2015, n. 9).

Da ciò discende che, in accoglimento del primo motivo ed assorbite le ulteriori censure formulate avverso la pronuncia in rito, in riforma della sentenza impugnata deve statuirsi la procedibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.

6. Alla statuizione che precede conseguirebbe l’esame dei motivi formulati dalla ricorrente in primo grado, non esaminati dal Tar e riproposti in appello.

In proposito, tuttavia, il Collegio richiama l’approdo esegetico cui è pervenuta di recente l’Adunanza plenaria di questo Consiglio con la sentenza 20 novembre 2024, n. 16, secondo cui l’erronea dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di una condizione dell’azione – con il consequenziale mancato esame della totalità dei motivi di ricorso – ben può integrare la “nullità della sentenza”, in armonia con i principi enunciati dalle sentenze dell’Adunanza plenaria 30 luglio 2018 nn. 10 e 11 e 28 settembre 2018, n. 15.

L’Adunanza plenaria ha osservato che quando l’esclusione della legittimazione o dell’interesse a ricorrere è frutto di un palese errore, per effetto del quale è mancato l’esame della totalità dei motivi di ricorso, si determina per il ricorrente una situazione più grave rispetto all’erroneo diniego di giurisdizione o di competenza o all’errore in procedendo, posto che nelle prime due ipotesi non è negata la tutela giurisdizionale della posizione giuridica soggettiva e la parte può riassumere il giudizio davanti al giudice indicato come avente giurisdizione o competenza, così conservando i due gradi di merito e nel caso di errore in procedendo la sentenza esamina i motivi di ricorso, «mentre nel caso di erronea declaratoria del difetto di legittimazione o di interesse è più radicalmente negata la sussistenza di una posizione tutelabile (e dunque non vi è alcun esame del merito, né la possibilità di ottenerlo riassumendo il giudizio davanti ad altro giudice di primo grado)».

Quindi l’Adunanza plenaria, ad integrazione di quanto statuito con le citate sentenze del 2018, ha enunciato il seguente principio di diritto in ordine alle ipotesi di “nullità della sentenza”: «l’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell’escludere la legittimazione o l’interesse del ricorrente».

6.1. Il suesposto principio, riferendosi alla pronuncia in rito adottata per erronea esclusione della legittimazione o dell’interesse del ricorrente, deve ritenersi applicabile anche alla dichiarazione di improcedibilità per identiche ragioni: invero l’Adunanza plenaria nella pronuncia in rassegna ha avuto cura di precisare che, sebbene il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana abbia formulato il proprio quesito sia con riguardo alla riforma di una sentenza di inammissibilità che con riguardo alla riforma di una sentenza di improcedibilità, il caso concreto riguarda una pronuncia di inammissibilità del ricorso da parte del Tar per difetto di legittimazione e interesse ad agire, e non anche un caso di erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso.

Quindi la sentenza (richiamando i principi declinati dall’Adunanza plenaria con le sentenze 22 marzo 2024, n. 4, 26 aprile 2023 n. 14 e 19 aprile 2023 n. 13) ha ritenuto «di dover enunciare il principio di diritto solo con riferimento al caso di erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso, poiché il presupposto implicito per la rimessione di una questione alla Plenaria è la rilevanza della stessa rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione».

6.2. Osserva il Collegio che l’enunciazione del riferito principio di diritto, da parte dell’Adunanza plenaria, solo con riferimento alla ipotesi di pronuncia di inammissibilità e non anche alla pronuncia di improcedibilità è obbligatoriamente veicolata dalla “rilevanza” della questione rispetto alla res controversa, ma non esclude che lo stesso principio si applichi a tutte le decisioni in rito adottate per avere il primo giudice erroneamente escluso la sussistenza di una o di entrambe le condizioni dell’azione. Non si ravvisano infatti plausibili ragioni logico-giuridiche per trattare diversamente l’improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse dall’inammissibilità, in cui il difetto di interesse ad agire preesiste alla proposizione del ricorso medesimo.

In definitiva, alla stregua del principio testè riportato e delle argomentazioni dell’Adunanza plenaria, la sentenza impugnata va dichiarata nulla con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all’art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito.

7. In ragione della novità della questione esaminata di nullità della sentenza, si può disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara nulla la sentenza impugnata per le ragioni di cui in motivazione con rinvio al Tar del Lazio, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2025, con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente FF

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere, Estensore

IL PRESIDENTE OMISSIS

L’ESTENSORE OMISSIS

Pubblicato il 20 gennaio 2025