TAR Lazio, Sez. III, 19 marzo 2025, n. 5638

Sul diritto al maggior corrispettivo per lo svolgimento delle attività svolte in qualità di responsabile unico del procedimento da parte di un professore universitario

Data Documento: 2025-03-19
Autorità Emanante: TAR Lazio
Area: Giurisprudenza
Massima

Il diritto al maggior corrispettivo per lo svolgimento delle attività svolte in qualità di responsabile unico del procedimento da parte di un professore universitario trova origine non nella legge, che semplicemente lo prevede, ma negli specifici provvedimenti amministrativi che lo conformano e che assumono, perciò, la natura di atti costitutivi.

Contenuto sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3581 del 2022, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato Bruno Capponi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Antonio Sarti, 4;

contro

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’accertamento dei diritti del ricorrente: (i) alla corresponsione del corretto e maggior incentivo tecnico ex art. 92, comma 5, D. Lgs. n. 163/2006 in favore del R.U.P. dell’opera della “Città dello Sport”; (ii) ai medesimi incentivi tecnici per l’attività di R.U.P. svolta ai sensi degli artt. 11, 12 e 13 della Convenzione n. 121 del 1987, in favore del R.U.P. delle opere della “Città dello Sport” e del “Nuovo Rettorato”.

Nonché per la condanna dell’amministrazione resistente al pagamento delle somme a tali titoli dovute oltre interessi e accessori di legge.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2025 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. Con il giudizio introdotto dinanzi al Tribunale civile di Roma e poi riassunto davanti a questo TAR a seguito della sentenza n. 6129/2021 che dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro nei confronti del giudice amministrativo, il ricorrente, professore presso la facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, conveniva il predetto Ateneo ai fini del riconoscimento del diritto al corretto e maggior incentivo tecnico ex art. 92, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006 in relazione all’incarico di responsabile unico del procedimento (RUP) dell’opera “Città dello Sport” e ai medesimi incentivi tecnici per l’analoga attività svolta ai sensi degli artt. 11, 12 e 13 della Convenzione n. 121 del 1987 con riguardo alle opere “Città dello Sport” e “Nuovo Rettorato”. Gli emolumenti corrisposti all’odierno ricorrente ammontano ad euro 178.708,52 netti (euro 255.297,88 lordi, comprensivi del 30 per cento da distribuire ai collaboratori), calcolati quale percentuale (0,5%) delle somme stanziate nei quadri economici dell’opera relativi al periodo di svolgimento dell’incarico (2009-2020), al netto delle somme erogate al precedente affidatario dell’incarico di RUP.

In via principale viene chiesto l’accertamento del diritto del ricorrente al pagamento delle maggior somme asseritamente spettanti a titolo di corrispettivo per le attività svolte e di condanna dell’Ateneo al relativo pagamento. Tali pretese patrimoniali sono rivendicate in subordine “a titolo di risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi ovvero a qualsivoglia ulteriore titolo, contrattuale, extracontrattuale, illecito arricchimento, lesione del legittimo affidamento”.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione della normativa in materia di incentivi tecnici e il differente trattamento economico rispetto al suo predecessore nell’incarico di RUP dell’opera “Città dello Sport”.

1.2. Con il secondo motivo si duole della mancata corresponsione dei compensi incentivanti relativi all’ulteriore attività espletata ai sensi degli artt. 11, 12 e 13 della Convenzione n. 121 del 1987, consistente nella verifica dell’esecuzione dei lavori da parte della Concessionaria riguardanti, dal 2009 al 2014, la “Città dello Sport” e, dal 2010 al 2019, il “Nuovo Rettorato”. Le “opere o servizi, prestazioni e/o altro” contemplate dalla Convenzione esulerebbero dal perimetro dei costi preventivati dei lavori a misura su cui è stata applicata la percentuale degli incentivi tecnici. Le attività svolte, pur essendo assimilabili a quelle per cui è stato riconosciuto l’incentivo, rientrerebbero tra quelle contemplate nei regolamenti emanati dall’Università e, pertanto, formerebbero specifico oggetto di compenso incentivante in favore del RUP.

1.3. In base al terzo motivo, ai fini della determinazione dello stato finale dei lavori della “Città dello Sport” dovrebbe essere preso in considerazione l’ulteriore importo riconosciuto alla subappaltatrice ad esito del contenzioso dinanzi al Tribunale di Roma.

1.4. Il gravame si conclude con la richiesta istruttoria volta a disporre una verificazione e/o una consulenza tecnica d’ufficio ai fini della quantificazione delle somme in caso di contestazione da parte dell’Amministrazione.

  1. L’Ateneo intimato si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
  2. A seguito dell’istanza di prelievo formulata dal ricorrente è stata fissata l’udienza pubblica di discussione della causa, in vista della quale l’Ateneo resistente ha depositato documenti. A tale deposito hanno fatto seguito il deposito delle memorie difensive delle parti costituite e la replica del ricorrente.

3.1. Nello scritto difensivo il ricorrente ribadisce le proprie deduzioni e precisa le conclusioni.

3.2. Nella propria memoria l’Ateneo sostiene, in rito, l’inammissibilità del ricorso per mutamento della domanda a seguito della riassunzione e, nel merito, l’infondatezza del ricorso in ragione:

(i) della corretta determinazione dei compensi incentivanti, la cui quantificazione è avvenuta come valore percentuale dell’importo dell’opera da eseguire senza alcun riferimento ai certificati di pagamento emessi dal RUP;

(ii) dell’estinzione della pretesa avanzata per decadenza e prescrizione, derivante dalla mancata tempestiva impugnazione dei decreti rettorali nei quali era previsto l’importo spettante al RUP, secondo quanto già eccepito dinanzi al giudice ordinario;

(iii) del carattere inconferente della sentenza del Tribunale di Roma di condanna della società mandataria capogruppo in favore di altra impresa esecutrice, riguardando esclusivamente i rapporti tra quest’ultime;

(iv) del sostanziale inadempimento del RUP in relazione all’incarico affidatogli.

3.3. In sede di replica parte ricorrente afferma l’infondatezza delle eccezioni di inammissibilità del ricorso e di inadempimento dell’incarico e controdeduce alle difese svolte dall’Ateneo.

  1. All’udienza pubblica del 12 febbraio 2025, in vista della quale le parti hanno chiesto il passaggio in decisione senza discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. In punto di giurisdizione, la presente controversia ha per oggetto l’accertamento del diritto al maggior corrispettivo per lo svolgimento delle attività svolte in qualità di responsabile unico del procedimento da parte di un professore universitario, appartenente al personale in regime di diritto pubblico, il cui rapporto di impiego e le connesse pretese patrimoniali sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi degli articoli 3 e 63 del D.Lgs. 165/2001.
  2. Il ricorrente invoca ai fini della quantificazione del compenso la disciplina degli incentivi per le funzioni tecniche ratione temporisapplicabile, facendo valere un diritto patrimoniale connesso al rapporto di impiego non contrattualizzato, e, quindi, una situazione giuridica soggettiva ricompresa fra quelle riservate alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 63, comma 4, del D.Lgs. 165/2001, che si riferisce espressamente ai “diritti patrimoniali connessi” al rapporto.
  3. Il ricorso è infondato nel merito, per cui si prescinde dall’eccezione di inammissibilità per mutamento della domanda a seguito della translatio iudicii, sollevata dall’Ateneo resistente.
  4. Gli incentivi per le funzioni tecniche sono stati previsti dal legislatore al fine di valorizzare le professionalità interne all’Amministrazione e di contenere i costi di realizzazione dell’opera. La disciplina è stata caratterizzata da una complessa evoluzione normativa:

(i) in base all’art. 18 della L. 109/1994 l’incentivo per funzioni tecniche era calcolato come percentuale del “costo preventivato di un’opera o di un lavoro” (1%); l’art. 18 è stato modificato dapprima dal D.L. 101/1995, poi riformulato dall’art. 6, comma 13, della L. 127/1997 e ulteriormente modificato dalla L. 191/1998 e dalla L. 144/1999; le formulazioni successive alla novella del 1998 hanno invece introdotto il riferimento “all’ l,5 per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o di un lavoro”;

(ii) la predetta disciplina è stata sostituita dall’art. 92 del D.Lgs. 163/2006 che, al comma 5, contempla “Una somma non superiore al due per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o di un lavoro”; il D.L. 90/2014, convertito con modificazioni dalla L. 114/2014, ha abrogato il sopra richiamato comma 5, riproducendo in sostanza la disposizione all’interno del comma 7-bis del successivo art. 93 (“le amministrazioni pubbliche destinano ad un fondo per la progettazione e l’innovazione risorse finanziarie in misura non superiore al 2 per cento degli importi posti a base di gara di un’opera o di un lavoro; la percentuale effettiva è stabilita da un regolamento adottato dall’amministrazione, in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare”);

(iii) il quadro regolatorio dettato dal D.Lgs. 163/2006 è stato superato dall’art. 113 del D.Lgs. 50/2016, secondo cui a valere sugli “stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti” (comma 1) “le amministrazioni pubbliche destinano a un apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al 2 per cento modulate sull’importo dei lavori posti a base di gara per le funzioni tecniche” (comma 2). Il contenuto di tali disposizioni è stato sostanzialmente confermato a seguito della novella operata dall’art. 76 del D.Lgs. 56/2017.

Dall’evoluzione della formulazione delle predette disposizioni si ricava un dato costante, rappresentato dalla considerazione dell’importo posto a base di gara quale parametro per il calcolo della percentuale da destinare all’incentivazione delle funzioni tecniche. Sulla base del riferimento a tale parametro la giurisprudenza contabile ha affermato che l’espletamento di una gara rappresenta il requisito ineludibile ai fini dell’attribuzione degli incentivi in quanto, in assenza di una siffatta procedura non sono previsti l’accantonamento delle risorse e, conseguentemente, la relativa distribuzione (Corte dei Conti, sez. contr. Sardegna, delib. n. 96/2022/PAR; sez. contr. Veneto, delib. n. 301/2019/PAR).

  1. Si passa all’esame del primo motivo di ricorso.

5.1. In primo luogo, è fondata l’eccezione di decadenza e prescrizione sollevata dalla parte resistente dinanzi al giudice ordinario e riproposta in questa sede.

Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riguardo al personale universitario in regime di diritto pubblico, “la distinzione fra controversie relative ad atti autoritativi, attinenti alla costituzione, modificazione o estinzione del rapporto d’ufficio, e controversie inerenti ad atti o comportamenti paritetici, attinenti all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di servizio” assume rilievo non ai fini del riparto di giurisdizione ma “unicamente nell’ambito della giurisdizione esclusiva per distinguere legittimità e merito ai fini della individuazione degli atti che devono essere tempestivamente impugnati per evitarne il consolidamento” (Cass. S.U., 30603/2024; n. 19895/2019; n. 7000/2005).

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “il rapporto paritetico tra amministrazione pubblica datoriale ed impiegato pubblico (con rapporto “non contrattualizzato”) si caratterizza per l’assenza di esercizio di potere autoritativo da parte dell’amministrazione, rispetto alla quale la norma di riferimento non ha attribuito affatto la supremazia propria dell’autoritatività dell’agire, neppure attraverso un esercizio di potere vincolato limitato alla mera verifica della sussistenza dei presupposti per la realizzazione di quanto è previsto dalla fonte normativa del proprio agire. Al contrario, quando la fonte normativa primaria, nell’attribuire all’amministrazione datoriale un potere autoritativo nell’ambito della gestione del lavoro pubblico, indipendentemente dall’ampiezza dell’esercizio discrezionale (o, all’opposto, vincolato) di detto potere, le attribuisce anche (e soprattutto) un compito di preventiva indagine sull’an dell’adozione degli atti nei quali si estrinseca l’esercizio del potere, il compito dell’ente datoriale non può dirsi ridotto ad una mera applicazione doverosa di quanto è previsto dalla norma, ma si traduce in una vero e proprio onere di indagine valutativa preventiva, quanto meno sull’esistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti conseguenti, sicché la posizione soggettiva dell’impiegato va qualificata quale interesse legittimo e l’atto dell’amministrazione datoriale va considerato quale provvedimento amministrativo” (Cons. Stato, sez. VI, n. 5944/2018).

L’individuazione dell’importo degli incentivi tecnici previsti dalla legge è avvenuta attraverso gli stanziamenti iniziali nel quadro economico delle opere da realizzare ed è stata successivamente specificata con i decreti rettorali di affidamento degli incarichi. Tali provvedimenti hanno natura composita: autoritativa nella parte in cui hanno determinato – nei margini di discrezionalità stabiliti dalla legge – la percentuale di risorse destinate agli incentivi e conferito gli incarichi; paritetica nella parte in cui accertano le somme spettanti. In tali casi, infatti, “il diritto patrimoniale trova origine non nella legge, che semplicemente lo prevede, ma negli specifici provvedimenti amministrativi che lo conformano e che assumono, perciò, la natura di atti costitutivi” (Cons. Stato, sez. IV, n. 5909/2002; sez. VI, n. 365/1997).

A fronte dell’esercizio di tali poteri autoritativi parte ricorrente può vantare un interesse legittimo pretensivo, ossia una pretesa correlata all’anzidetto esercizio del potere che riceve una tutela condizionata dall’interesse pubblico affidato alle cure dell’Amministrazione. D’altronde, “Anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, quando la controversia ha ad oggetto interessi legittimi, operano le regole tradizionali che disciplinano la tutela del privato contro i provvedimenti amministrativi illegittimi fonte diretta della lesione lamentata: tali regole implicano l’onere di impugnare a pena di decadenza e, correlativamente, precludono al giudice amministrativo di disapplicare il provvedimento non tempestivamente impugnato” (Cons. Stato, sez. VI, n. 240/2017).

Parte ricorrente era quindi onerata di impugnare tempestivamente il contenuto autoritativo dei decreti rettorali in una con i presupposti provvedimenti di stanziamento delle somme, al fine di contestare la predeterminazione dei criteri di attribuzione dei compensi relativi alle attività di RUP.

L’assetto di interessi stabilito dai decreti si è consolidato a causa della mancata impugnazione nei termini decadenziali, che non possono essere elusi attraverso un accertamento incidentale dell’illegittimità degli atti ai fini della relativa disapplicazione.

Con riguardo al contenuto paritetico dei decreti, l’argomentazione del ricorrente in ordine alla decorrenza del termine prescrizionale del diritto a maggiori compensi si pone in contrasto con il dettato normativo dell’art. 2935 del cod. civ, secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. L’effettivo esercizio del diritto non coincide con l’ultimazione dell’opera ma decorre da predetti decreti, la cui adozione si colloca nell’arco temporale 2009-2011 (doc. 2 prodotto dall’Ateneo in data 02.01.2025). Pertanto, anche qualora parte ricorrente avesse proposto tempestiva impugnazione avverso i provvedimenti di nomina, di stanziamento e gli atti presupposti, la prescrizione sarebbe ampiamente decorsa già al momento della proposizione dell’azione dinanzi al giudice ordinario (2020), atteso che le pretese economiche avanzate sono soggette al termine quinquennale di cui all’art. 2948, comma 4, del cod. civ. (CGARS, sez. giur., n. 632/2019; TAR Palermo, sez. I, n. 3549/2024) e l’esordio della prescrizione va individuato nel momento della nascita del credito (Cons. Stato, sez. VI, n. 2769/2001).

Con riguardo alla questione della decorrenza non giova il richiamo del ricorrente alla sentenza della Corte di Appello di Roma, sezione lavoro, n. 854/2020, la quale rigetta la domanda principale di accertamento del diritto alla corresponsione del compenso incentivante e considera sì come dies a quo quello di ultimazione dell’opera ma ai fini della prescrizione del diverso diritto al risarcimento del danno per mancata adozione del regolamento di ripartizione dei compensi.

5.2. In secondo luogo, come noto, la determinazione dei compensi incentivanti è avvenuta nel caso di specie quale valore percentuale dell’importo dell’opera da eseguire in conformità alle disposizioni ratione temporis applicabili (art. 92, comma 5 e art. 93, comma 7-bis del D.Lgs. 163/2006; art. 113 del D.Lgs. 50/2016). Restano in disparte le questioni relative alla sottoscrizione degli atti aggiuntivi tra l’Amministrazione concedente e l’esecutore e alla loro equiparabilità ad una procedura di gara ai fini del riconoscimento degli incentivi tecnici, negata dalla giurisprudenza contabile con riguardo alle procedure non competitive (ex multis, Corte dei Conti, sez. contr. Sicilia, delib. n. 181/2022). Ai fini della determinazione del compenso spettante in relazione agli incarichi svolti non assume alcun rilievo il numero dei certificati di pagamento emessi dal ricorrente rispetto al suo predecessore, poiché tale criterio non trova riscontro nei decreti, essendo invece la quantificazione ancorata agli impegni di spesa, secondo un metodo rispettoso delle differenze tra l’ufficio di RUP e quello di direzione dei lavori, ove l’emissione dei certificati di pagamento da parte del primo è solo una delle attività svolte in relazione alla contabilizzazione dei lavori da parte del secondo (artt. 155, 156, 169 e art. 186 del D.P.R. 554/1999; artt. 178, 181, 195 e 214 del D.P.R. 207/2010; art. 14, comma 1, lettera d, del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7 marzo 2018).

5.3. In terzo luogo, non merita ingresso la doglianza relativa alla disparità di trattamento rispetto al suo predecessore nell’incarico di RUP dell’opera “Città dello Sport”, al quale l’Ateneo avrebbe corrisposto maggiori somme. Il metodo di quantificazione è stato invero il medesimo per i due affidatari dell’incarico che si sono succeduti nel tempo, essendo consistito nell’applicazione della percentuale dello 0,5% alle somme risultanti dai quadri economici dell’opera relativi al periodo di competenza di ciascuno di essi.

Inoltre, la vicenda del predecessore, invocata dal ricorrente, è risalente nel tempo ed ha ad oggetto un provvedimento di nomina, la cui legittimità non può più essere oggetto di accertamento in sede giurisdizionale ovvero di esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione a causa della consolidazione dei relativi effetti per il decorso dei termini di legge (Cons. Stato, sez. VII, n. 539/2024; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, n. 15702/2024). Anche ove fosse stato possibile accertare l’illegittimità di tale provvedimento, non si sarebbe comunque potuto dedurre il vizio di eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento utilizzando la precedente nomina come tertium comparationis, poiché non si può estendere il trattamento illegittimamente più favorevole ad altri riservato a chi, pur versando in situazione analoga, sia stato legittimamente destinatario di un trattamento meno favorevole (Cons. Stato, sez. V, n. 523/2023; sez. VI, n. 4868/2014; n. 2548/2013; n. 4124/2011; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, n. 1435/2019; n. 8206/2017).

5.4. Con riguardo al sostanziale inadempimento dell’odierno ricorrente in relazione all’incarico affidatogli, come eccepito dall’Ateneo, si osserva che l’istituto del RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato dall’interessato (principio ricavabile dal richiamo alla L. 241/1990 operato dall’art. 10, comma 1, del D.Lgs. 163/2006 e successivamente codificato in modo espresso dall’art. 31, comma 1, del D.Lgs. 50/2016), per cui il dipendente nominato con atto formale può essere rimosso dall’incarico mediante un contrarius actus solo nel caso in cui vengano meno i presupposti necessari alla sua nomina.

Con la natura obbligatoria e irrinunciabile dell’ufficio di RUP collide il rilascio da parte dell’odierno ricorrente di una relazione ritenuta incompleta dall’Amministrazione, poi culminato con le dimissioni dell’interessato, motivate sulla base dell’asserito “venir meno della reciproca fiducia” con l’Ateneo (doc. 16 prod. ric.).

Possono essere estesi alla fattispecie del RUP i principi affermati dalla giurisprudenza con riguardo all’ufficio del direttore dei lavori, secondo cui il professionista è inadempiente ai propri obblighi contrattuali nel caso in cui ometta di svolgere le attività normativamente previste in relazione all’incarico affidato e consistenti precipuamente in attività di vigilanza e controllo sulla regolare esecuzione delle opere (Cass. civ., sez. II, n. 19485/2014; Cass. civ., sez. II, n. 10728/2008; Cass. civ., sez. II, n. 4366/2006). Orbene, tale comportamento legittima l’Amministrazione a rifiutare di corrispondere il relativo compenso, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 del cod. civ.

  1. Parimenti infondato è il secondo motivo, con cui il ricorrente sostiene che le attività svolte ai sensi degli articoli 11, 12 e 13 della Convenzione n. 121 del 1987 in relazione alla “Città dello Sport” (2009-2014) e al “Nuovo Rettorato” (2010-2019) sarebbero meritevoli di separata e ulteriore remunerazione da riconoscersi a seguito di “verifica e rimborso da parte dell’Università in favore della Concessionaria esecutrice delle attività”, non essendo ricomprese nelle voci di costo previste nel quadro economico.

Si osserva che nel medesimo arco temporale il ricorrente è stato anche nominato quale “delegato al Coordinamento delle attività di interesse urbanistico, ambientale e edificatorio del Campus” (2009) e “Responsabile per lo sviluppo edilizio dell’Ateneo, con poteri di proposta nei confronti del Rettore” (2013) (doc. 21 prodotto dall’Ateneo). Si tratta di incarichi di responsabilità di carattere trasversale, con funzioni di coordinamento e di proposta al Rettore, per i quali non è previsto alcun compenso.

Come illustrato in sede di trattazione del primo motivo, gli atti formali di nomina quale RUP non sono stati tempestivamente impugnati, per cui “l’azione di accertamento non può essere proposta per ottenere il riconoscimento di situazioni di vantaggio dipendenti da una determinazione autoritativa del datore di lavoro pubblico, una volta spirati i termini per contestare l’atto provvedimentale che ha definito l’assetto di interessi ritenuto non satisfattivo” (TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, n. 13969/2024).

A voler aderire alla tesi sostenuta dal ricorrente si invertirebbe l’ordine logico sotteso alle disposizioni in materia di incentivi tecnici, le quali stabiliscono che lo stanziamento delle somme – di natura discrezionale nei margini di elasticità stabiliti dalla legge – all’interno del quadro economico precede l’accertamento dei compensi da corrispondere in concreto e non viceversa, in conformità ai principi di programmazione e di copertura delle spese. Inoltre, in base alla disciplina ratione temporis applicabile, a decorrere dal 2014 la corresponsione dell’incentivo incontra il limite massimo annuo “del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo” del singolo dipendente (art. 93, comma 7-bis, del D.Lgs. 163/2006; art. 113, comma 3, del D.Lgs. 50/2016). Orbene, nelle proposte di ricalcolo articolate nella domanda di accertamento del diritto ai maggiori compensi parte ricorrente non dà dimostrazione del rispetto del predetto limite e, in sostanza, mette in discussione i criteri predeterminati nei decreti rettorali divenuti inoppugnabili.

  1. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, secondo cui ai fini della determinazione dello stato finale dei lavori della “Città dello Sport” dovrebbe essere preso in considerazione l’ulteriore importo riconosciuto alla subappaltatrice ad esito del contenzioso giurisdizionale. Si osserva che è inconferente la sentenza del Tribunale di Roma n. 11517/2020 prodotta dal ricorrente, la quale condanna la Società consortile concessionaria e l’impresa capogruppo mandataria al pagamento, in solido tra loro, in favore di altra impresa costituente il raggruppamento, poiché riguarda esclusivamente i rapporti tra quest’ultime.

Anche in tal caso valgono le considerazioni svolte con riguardo ai precedenti motivi di ricorso, per cui la scelta discrezionale dell’Amministrazione in ordine all’importo da destinare alla remunerazione delle funzioni tecniche affidate ai propri dipendenti è effettuata a monte, all’atto della definizione del quadro economico dell’opera.

  1. In considerazione dell’avvenuta acquisizione tutti gli elementi utili alla definizione del giudizio e della chiarezza del quadro fattuale, non si ritiene necessaria ai fini del decidere la disposizione di una verificazione ovvero di una consulenza tecnica d’ufficio finalizzata a quantificare l’importo degli emolumenti.
  2. Quanto alle domande risarcitorie, le stesse non sono fondate e, pertanto, non possono trovare accoglimento, avendo il ricorrente prestato acquiescenza ai decreti rettorali di affidamento degli incarichi. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza dal quale il Collegio non ravvisa ragioni di discostarsi, la scelta di non intraprendere le opportune azioni a tutela delle proprie pretese recide il nesso causale tra l’asserita incongrua quantificazione dei compensi ed il pregiudizio che il ricorrente sostiene di aver patito e, di conseguenza, comporta la non risarcibilità del danno evitabile alla luce del principio di autoresponsabilità codificato dall’art. 30, comma 3, c.p.a. (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3/2011; sez. II, n. 3334/2021; sez. IV, n. 4309/2012; sez. III, n. 6369/2011).
  3. La domanda a titolo di ingiustificato arricchimento è anch’essa infondata in quanto, oltre ad essere proposta in modo generico, è articolata sulla base (implicita) dell’antigiuridicità del comportamento dell’Ateneo, il che contrasta con la natura dell’azione generale di arricchimento, ove “la causa dello spostamento patrimoniale non deve essere qualificabile come antigiuridica, in quanto si entrerebbe allora nel campo dei fatti illeciti” (CGARS, sez. giur., n. 598/2024; Cons. Stato, sez. III, n. 4116/2012; Cass., SS.UU., 19448/2009).
  4. La lamentata lesione del legittimo affidamento è anch’essa prospettata in modo generico, non essendo stata data la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità e, in particolare, del danno ingiusto, del nesso di causalità e della colpa dell’Amministrazione.
  5. Alla luce delle considerazioni svolte sono infondate le domande di accertamento proposte in via principale e quelle proposte in via subordinata da lesione di diritti soggettivi ovvero a titolo contrattuale, extracontrattuale, di illecito arricchimento, di lesione del legittimo affidamento.
  6. In conclusione, il ricorso è complessivamente infondato e, pertanto, deve essere respinto.
  7. Attesa la peculiarità della controversia, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente FF

OMISSIS, Referendario, Estensore

OMISSIS, Referendario