Non ha diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. il professore al quale sia stata comminata una sanzione disciplinare poi annullata per un vizio procedurale.
TAR Emilia Romagna, Sez. I, 22 maggio 2025, n. 550
Non ha diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. il professore al quale sia stata comminata una sanzione disciplinare poi annullata per un vizio procedurale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 498 del 2023, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi -OMISSIS- e Ministero dell’Università e della Ricerca, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
per il risarcimento del danno
subito dal ricorrente in conseguenza del provvedimento disciplinare che lo ha colpito e che è stato annullato con sentenza passata in giudicato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi -OMISSIS- e del Ministero dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 maggio 2025 la dott.ssa OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente era professore associato a tempo pieno al corso di laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia dell’università di -OMISSIS- e ha rivestito, altresì, la carica di Direttore di una U.O. presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria dì -OMISSIS- dal 2014 e fino al 1 ottobre 2022.
Nel 2018, egli ha partecipato alla procedura per il conseguimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore Universitario di prima fascia per il settore concorsuale di competenza.
A seguito della segnalazione di pressioni ricevute dal presidente della commissione di concorso per favorire l’odierno ricorrente e nonostante quest’ultimo abbia sempre negato di aver tentato di far intervenire soggetti terzi a sostenere la sua candidatura, lo stesso ha ricevuto la comunicazione di avvio di un procedimento disciplinare.
Medio tempore, il ricorrente è stato destinatario di un giudizio di non abilitazione alle funzioni di professore di prima fascia, che ha formato oggetto di impugnazione conclusasi con sentenza di accoglimento del ricorso per carenza di motivazione (sentenza T.A.R. del Lazio, -OMISSIS-, non appellata).
Il procedimento disciplinare, invece, si è concluso con la comminazione della sanzione della censura, anch’essa impugnata dal ricorrente con ricorso definito con sentenza del T.A.R. dell’Emilia Romagna -OMISSIS-, che lo ha accolto in ragione del motivo assorbente della tardività dell’esercizio dell’azione disciplinare (sentenza confermata in appello).
Così annullata la sanzione disciplinare, il suo destinatario ha proposto, ai sensi dell’art. 30 del c.p.a., il ricorso in esame, volto ad ottenere il risarcimento, ex art. 2043 del codice civile, del danno biologico subito quale conseguenza dell’illegittima comminazione della sanzione disciplinare.
A tal fine parte ricorrente ha affermato la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’Università, che avrebbe colpevolmente ignorato il disposto dell’art. 10 della Legge n. 240 del 30 dicembre 2010, il quale impone che, per l’avvio del procedimento disciplinare, il Rettore, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, debba trasmettere gli atti al collegio di disciplina formulando motivata proposta. Nel caso di specie, dunque, poiché la segnalazione del presunto comportamento scorretto dell’odierno ricorrente è pervenuta all’indirizzo PEC del Rettore in data 30 agosto 2018, la trasmissione sarebbe dovuta avvenire entro il 30 settembre 2018 e non anche, come avvenuto, solo il 3 ottobre 2018: ne risulterebbe violato il termine di legge, qualificato nel ricorso come perentorio.
Il procedimento disciplinare e il successivo giudizio avverso l’esito dello stesso avrebbero avuto un impatto stressante molto grave nella vita del ricorrente, determinando un danno alla salute ed una “frattura esistenziale”, come asserito nella documentazione medica allegata al ricorso, che dà conto sia di un importante episodio depressivo caratterizzato da “prostrazione, umiliazione, vergogna, sensi di insufficienza, ansia elevatissima, insonnia, fenomeni ossessivi (rimuginazioni), pensieri di morte”, che del successivo infarto acuto del miocardio. Le relazioni depositate sostengono, quindi, che gli eventi stressogeni subiti dal Prof. -OMISSIS- -OMISSIS- tra il 2018 ed il 2022 avrebbero determinato un danno biologico temporaneo in forma parziale mediamente al 50% pari ad anni quattro (quantificato in 89.424,00 euro) e un danno biologico permanente pari al diciotto-venti per cento (quantificato in 45.235,00), per un totale di 134.659,00 euro.
Nel sostenere la sussistenza del nesso causale tra gli eventi stressogeni e il danno subito, parte ricorrente ha altresì rappresentato di essersi visto costretto ad anticipare il momento del suo pensionamento di tre anni.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione, eccependo, oltre al difetto di legittimazione passiva del Ministero, la nullità del ricorso per aspecificità dei motivi ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b) e 40, comma 1, lett. d) e 2 del c.p.a., oltre che per la mancata allegazione dell’illiceità del provvedimento disciplinare dichiarato illegittimo. Sussisterebbe, inoltre, un difetto di interesse a ricorrere, dal momento che l’interesse oppositivo leso dal provvedimento illegittimo sarebbe stato reintegrato dalla pronuncia demolitoria. In ogni caso la pretesa non potrebbe essere accolta, attesa la mancanza di colpa in capo all’Amministrazione e la mancata dimostrazione del nesso di causalità.
Ha replicato il ricorrente, sostenendo l’ammissibilità del ricorso e la sua fondatezza.
Alla pubblica udienza del 14 maggio 2025, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Si può prescindere dall’analisi delle eccezioni in rito, attesa l’infondatezza del ricorso nel merito.
A tale conclusione è possibile addivenire prendendo le mosse dalla considerazione che “Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) (Cons. Stato, n. 10205 del 2024; id. n. 7105 del 2024).
Dunque, come ribadito dal Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 876/2025: “In punto di individuazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, trova poi piena applicazione il principio dispositivo, il quale non è in questa sede temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento. Quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra l’Amministrazione e privato, la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.. Ne consegue che sulla parte ricorrente grava l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per fatto illecito come delineata dall’art. 2043 c.c.. È, quindi, necessario verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: il fatto illecito; l’evento dannoso ingiusto e il danno patrimoniale conseguente; il nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno subito; la colpa dell’apparato amministrativo.”.
Nel caso di specie molti di tali presupposti non sono ravvisabili per le ragioni di cui si dirà nel prosieguo.
In primo luogo, appare opportuno ricordare che il Consiglio di Stato ha chiarito, nella sentenza n. 8410/2022, che «…per consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi quali il difetto di istruttoria o di motivazione, in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale, quale è il risarcimento del danno.”.
È pur vero che, nel caso di specie, venendo in gioco la lesione di un interesse oppositivo si potrebbe obiettare che il bene della vita inciso fosse quello al rispetto del termine di trenta giorni previsto dalla norma per l’esercizio dell’azione disciplinare.
Se così fosse, però, la pretesa fatta valere dal ricorrente dovrebbe ritenersi pienamente soddisfatta dall’annullamento della sanzione disciplinare, ancorché esso sia intervenuto solo dopo due anni dalla sua impugnazione (mediante la pubblicazione, il 12 maggio 2021, della sentenza di primo grado) anche in ragione della mancata richiesta della sospensione cautelare del provvedimento sanzionatorio.
Se, al contrario, il bene della vita fatto valere fosse quello alla declaratoria dell’assenza di un comportamento disciplinarmente rilevante, la sentenza fondata sull’esistenza di un vizio formale non può essere ritenuta rilevante al fine dell’accertamento della sua spettanza.
Dunque, poiché l’annullamento della sanzione è avvenuto per un vizio procedurale e non risulta dimostrata l’illegittimità, nel merito, della sanzione irrogata, risulta mancante la prova di una condotta lesiva caratterizzata da illiceità (cfr. in senso analogo TAR Milano, sentenza n. 2569/2022). Non si può escludere, infatti, che la comminazione della sanzione disciplinare fosse legittimamente avvenuta, al di là del mancato rispetto del termine.
Dunque, la sussistenza della condotta lesiva deve essere esclusa in linea con la giurisprudenza costante, secondo cui “la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento.” (cfr. Cons. Stato n. 449/2023).
Inoltre, non risulta provata neanche la colpa dell’Amministrazione. Più precisamente, chiarito che il ritardo nell’esercizio dell’azione disciplinare che ha condotto all’annullamento è di soli tre giorni, non può escludersi la buona fede del Rettore nel ritenere che il termine di trenta giorni per avviare il procedimento disciplinare decorresse dal giorno in cui egli ha avuto conoscenza del fatto potenzialmente rappresentante un illecito disciplinare (il che implica anche un’indagine preliminare circa i fatti addebitati) e non anche dal giorno in cui la comunicazione e-mail è giunta all’indirizzo PEC del rettorato (ovvero ad una casella di posta gestita da personale amministrativo).
Dunque, il Collegio esclude la possibilità di ravvisare la colpa del Rettore nell’aver ritenuto che il termine iniziasse a decorrere dal momento dell’acquisizione della notizia e non anche dal ricevimento della segnalazione, in linea con quanto affermato nella sentenza n. 28891/2017 della Cassazione, sezione lavoro, secondo cui il dies a quo non può ritenersi agganciato a qualsiasi notizia pervenuta a qualunque ufficio o persona dell’Amministrazione.
Tanto più che la natura perentoria del termine di trenta giorni è affermata in modo chiaro dall’art. 10 della l. n 240 del 2010 solo con riferimento al caso di procedimenti disciplinari dai quali possa scaturire l’irrogazione di sanzioni più gravi rispetto alla censura.
Il comma 2 di tale norma prevede, infatti, che “L’avvio del procedimento disciplinare spetta al Rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’art. 87 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al regio decreto del 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al Collegio di disciplina, formulando motivata proposta.”. Nulla dispone in ordine alla diversa fattispecie dell’irrogazione delle sanzioni del rimprovero e della censura, rimesse alla potestà sanzionatoria del Rettore.
Dunque, se può condividersi la tesi affermata dal Consiglio di Stato nella sentenza che ha annullato il provvedimento disciplinare rivolto contro il ricorrente, secondo cui il principio di tempestività nell’esercizio dell’azione disciplinare è immanente nell’ordinamento, non può ravvisarsi la colpa dell’Università nell’aver presunto che la perentorietà del termine non dovesse essere automaticamente estesa anche all’applicazione della censura. Soprattutto in considerazione del fatto che l’esercizio dell’azione disciplinare è comunque avvenuto tempestivamente e, dunque, senza ledere, in concreto, il diritto di difesa del ricorrente, non potendosi ritenere che una dilazione di soli tre giorni possa aver pregiudicato, in concreto, il diritto di difesa. Ne risulta, pertanto, comunque rispettato il principio immanente in materia di esercizio del potere sanzionatorio.
Ciò in linea con la giurisprudenza secondo cui “la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto” (cfr. Cons. Stato, sent. n. 8762/2021): condizioni che si possono ritenere ricorrere anche nella fattispecie in ragione di tutto quanto sin qui rappresentato.
Non risulta provato, inoltre, nemmeno il nesso causale tra la comminazione della sanzione, nella forma lieve della censura, e le patologie che hanno afflitto il ricorrente, sia di natura psicologica (depressione), che fisica (cardiopatie). In entrambi i casi non vi è prova che la «sofferenza» che è derivata dal procedimento disciplinare abbia costituito il presupposto dei considerevoli disagi psico-fisici attestati in atti, i quali non può escludersi che siano derivati anche o soprattutto da delusioni e sofferenze patite in ambito lavorativo in ragione della mancata rinnovazione, alla scadenza del contratto, dell’incarico di Direttore di U.O. già ricoperto dall’1.02.2017 al 30.01.2022: ciò che lo ha indotto a promuovere un contenzioso davanti al Tribunale di -OMISSIS- per ottenere il risarcimento del danno da immagine cagionatogli dalla mancata assegnazione dello stesso, sostenendo che ciò lo avrebbe spinto all’anticipato pensionamento.
A sostegno di tali conclusioni basti evidenziare che l’episodio depressivo maggiore si è manifestato per la prima volta nel settembre 2018, ovvero prima dell’avvio del procedimento disciplinare iniziato nell’ottobre del 2018. In ogni caso la sanzione applicata risultava essere particolarmente lieve, posto che, nella sua comminazione, si è raccomandato anche “che il provvedimento adottato non abbia ricadute sul rapporto convenzionale con l’Azienda Ospedaliero – Universitaria”. In ogni caso, anche dopo la comminazione della sanzione, il ricorrente ha continuato (come confermato dalla proposizione del contenzioso correlato al mancato rinnovo dell’incarico di direttore) a manifestare la propria propensione a ricoprire incarichi maggiormente impegnativi e stressogeni, di per sé incompatibili con patologie che, a sua detta, avrebbero determinato un prematuro pensionamento.
Ne deriva la carenza dei presupposti per l’accoglimento della pretesa risarcitoria.
Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la particolarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la compensazione delle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2025 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere, Estensore
OMISSIS, Consigliere
Pubblicato il 22 maggio 2025