TAR Lombardia, Sez. V, 7 agosto 2025, n. 2830

La sanzione disciplinare comminata dall'Università deve essere correlata alle imputazioni formulate in sede di contestazione degli addebiti

Data Documento: 2025-08-07
Autorità Emanante: TAR Lombardia
Area: Giurisprudenza
Massima

La sanzione disciplinare comminata dall’Università deve essere correlata alle imputazioni formulate in sede di contestazione degli addebiti, e non può fondarsi su fatti e circostanze non puntualmente e formalmente contestati.

Contenuto sentenza

02830/2025 REG.PROV.COLL.

00066/2025 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 66 del 2025, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, con domicilio in Milano, via Freguglia, 1;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– del decreto della Rettrice dell’Università -OMISSIS- n. -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del 23.10.2024, con il quale è stata applicata alla Prof.ssa -OMISSIS- la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dallo stipendio per un periodo complessivo di 5 giorni a decorrere dal 01.11.2024;

– della relativa comunicazione della Responsabile del Settore Personale Docente e Ricercatore dell’Università -OMISSIS- prot. -OMISSIS-del 23.10.2024;

– della delibera del Consiglio di Amministrazione del 24.09.2024 avente ad oggetto procedimento disciplinare nei confronti di docente di I fascia -OMISSIS-;

– del parere del Collegio di disciplina del 19.09.2024;

– dell’atto di trasmissione al Collegio Disciplinare a firma del Pro Rettore Vicario Prot. -OMISSIS- del 9.08.2024;

– di ogni atto presupposto, e conseguenziale, ivi incluso il rigetto della istanza di differimento della esecutività della sanzione disciplinare prot. -OMISSIS- del 6.11.2024 e del diniego di accesso agli atti del 6.12.2024, previa occorrendo dichiarazione di illegittimità e disapplicazione incidentale del Decreto rettorale di sospensione per congedo di maternità del 21.09.2024 e dell’art. 8 del decreto del Rettore n. 5495/2022.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 luglio 2025 la dott.ssa OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente, docente ordinario del Dipartimento di -OMISSIS- dell’Università -OMISSIS-, ha impugnato con il presente ricorso, il decreto della Rettrice dell’Università -OMISSIS- n. -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del 23.10.2024, con il quale le è stata applicata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dallo stipendio per un periodo complessivo di 5 giorni a decorrere dal 01.11.2024.

La sanzione è stata adottata per una presunta condotta non corretta della ricorrente tenuta nei confronti di una assegnista di ricerca.

Per meglio comprendere il contesto entro cui si inscrive il provvedimento impugnato, è necessario ripercorrere i punti salienti della vicenda che vi ha dato origine, evidenziando la posizione e il ruolo ricoperto dalla ricorrente.

La ricorrente era stata nominata quale responsabile scientifico della ricerca “Costruire la “preparazione” locale alle crisi globali” (in sigla: PRELOC), della durata di 12 mesi, che, a seguito di proroga, sarebbero scaduti il 30.11.2023; la ricerca era finanziata dalla Fondazione Cariplo ed era stata assegnata alla Dott. -OMISSIS-, che nel settembre del 2023 comunicava di non poter concludere la ricerca per 23 giorni, entrando nel periodo di astensione obbligatoria per maternità.

Seguiva quindi uno scambio di mail, tra l’assegnista, la ricorrente, la responsabile amministrativa del Centro Servizi e il funzionario dell’ufficio personale, al fine di acquisire informazioni circa l’indicazione della procedura da seguire da parte dell’assegnista.

Nell’ambito di questa corrispondenza la ricorrente faceva presente di non essere in grado di sapere “come funzionano queste procedure: credo tu debba chiedere all’ufficio assegni, che si occupa della parte amministrativa, cosa devi fare e i giorni precisi, spiegando bene la situazione (cioè che il progetto finisce)”.

In data 9.10.2023 la dott.-OMISSIS- comunicava di rinunciare definitivamente all’assegno di ricerca.

L’Università, con atto a firma della Rettrice del 16.7.2024, comunicava alla ricorrente di essere venuta a conoscenza di un “comportamento irregolare e illegittimo nei confronti di una assegnista di ricerca”: “nello specifico” veniva contestato alla ricorrente che “avrebbe esercitato pressioni sull’assegnista, che all’epoca era in stato di avanzata gravidanza, al fine di indurla a una risoluzione anticipata del contratto, prima che questa entrasse in congedo di maternità, rassicurandola rispetto al mantenimento dei diritti connessi al richiamato congedo”.

Richiamando gli artt. 87 e ss. del RD n. 1592 del 1933, la Rettrice rappresentava “che le azioni poste in essere in questione, ove accertate definitivamente, potrebbero configurare una condotta irregolare e lo svolgimento di atti che ledono la dignità e l’onore del professore” e convocava la ricorrente in data 30.7.2024 davanti al Collegio di disciplina.

La Prof. -OMISSIS-, impossibilitata a presenziare, inoltrava una memoria scritta, in cui negava di aver mai esercitato alcuna pressione sulla assegnista. Nelle controdeduzioni, la ricorrente evidenziava di non aver mai prospettato l’ipotesi della rinuncia, né tanto meno di aver condizionato la Dott. -OMISSIS- affinchè rinunciasse all’incarico per i giorni residui di ricerca, facendo altresì presente che la rinuncia non sarebbe stata necessaria, per poter procedere alla assegnazione della parte conclusiva della ricerca a un soggetto terzo, essendo sufficiente a tal fine la sospensione per maternità.

Con atto del 9.08.2024, il Pro Rettore ritenendo fondate le segnalazioni circa la “asserita condotta di pressione e induzione alla risoluzione del contratto, di abusiva ingerenza morale e psicologica esercitata”, inquadrava la condotta come violativa del Codice Etico e rimetteva al Collegio ogni decisione.

Il Collegio di Disciplina nel parere del 19.09.2024 escludeva la pressione diretta (“non si può sostenere che la Dott. -OMISSIS- sia stata vittima di una pressione diretta, e se ha ricevuto una sollecitazione, un’esortazione o un invito, non siamo in grado di misurarne l’intensità”), affermando tuttavia l’esistenza di “un condizionamento indebito o che è intervenuta un’irrituale interferenza”. Ha inoltre aggiunto che “appare riprovevole l’indifferenza della Prof.ssa -OMISSIS- riguardo agli interessi effettivi di un’assegnista che, essendo in procinto di entrare in maternità, andava tutelata”.

Il Collegio ha “ritenuto di poter concludere che la condotta della Prof.ssa -OMISSIS- abbia leso la dignità di professore e non sia stata conforme a principi che l’Università -OMISSIS- è da tempo impegnata a valorizzare, quali la promozione della cultura dell’inclusione, e l’attenzione alla condizione femminile. Pertanto, visti gli artt. 87 e ss. del R.D. 31.8.1933, n. 1592, l’art. 4 del vigente Regolamento per il funzionamento del Collegio di Disciplina […] propone di comminare alla Prof.ssa -OMISSIS- una sanzione consistente nella sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per la durata di giorni 5”.

Con delibera 24.09.2024 il Consiglio di Amministrazione dell’Università proponeva di infliggere alla ricorrente, la sanzione indicata dal Collegio di disciplina.

La Rettrice, con decreto n. -OMISSIS- del 23.10.2024, preso atto delle risultanze del procedimento disciplinare e del disposto dell’art. 4 del Regolamento per il funzionamento del Collegio di Disciplina, ha provveduto a dare esecuzione alla delibera del Consiglio di Amministrazione di irrogazione della sanzione, di sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per la durata di giorni 5, a decorrere dal giorno 1.11.2024.

Avverso il decreto n. -OMISSIS- e gli atti del procedimento disciplinare sono state articolate le seguenti censure (suddivise in vari punti):

1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 89 del rd 1592/1933, degli artt. 1, 2, 7 del Codice Etico dell’Università -OMISSIS-, dell’art. 4 del Regolamento per il funzionamento del collegio di disciplina; eccesso di potere per illogicità e violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza; violazione del principio della immutabilità della contestazione: nei due sotto motivi la ricorrente lamenta che i fatti oggetto di contestazione e la condotta sanzionata avrebbero differente configurazione. Nell’atto di avvio del procedimento si contesta di aver fatto pressioni sull’assegnista, mentre la sanzione viene applicata per una condotta omissiva. Questo ha comportato, sempre secondo la tesi di parte ricorrente, che sarebbe stata irrogata la sanzione prevista in origine per il fatto oggetto di contestazione, ben più grave di quello sanzionato (punto 1).

Le norme più gravi e specifiche che giustificavano la sanzione ipotizzata nell’atto di rimessione al Collegio sono state derubricate: ciò comporta l’illegittimità della sanzione irrogata, per fatti contestati inizialmente e non più richiamati nel provvedimento finale (punto 2);

2) Violazione ed errata applicazione dell’art. 89 del R.D. 1592/1933 e degli artt. 1, 2, 7 del Codice Etico dell’Università -OMISSIS-; eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamenti di fatto, difetto di presupposti e di istruttoria, contraddittorietà e perplessità: in questo motivo la ricorrente deduce i profili di illegittimità del parere del Collegio di disciplina, organo che ha ritenuto la fondatezza delle accuse, valutando erroneamente i fatti, esposti in maniera contraddittoria e perplessa (punto3);

3) Violazione ed errata applicazione dell’art. 89 del rd n.1592/1933 sotto altro profilo; violazione della normativa giuslavoristica sulla tutela della maternità degli assegnisti di ricerca; eccesso di potere per difetto di presupposti, in quanto, per il ruolo accademico ricoperto dalla ricorrente, non sussisteva l’onere di uno specifico dovere d’ufficio di informazione né di sorveglianza in merito alla corretta normativa da applicare al caso di specie (punto 4).

Nel ricorso vengono poi affrontate le questioni giuridiche di natura lavoristica, quali l’inesistenza di un “obbligo” di astensione dal lavoro per maternità dell’assegnista di ricerca, l’invalidità del recesso e la facoltà dell’Università di integrare l’assegno di maternità.

Viene altresì chiesto il risarcimento dei danni, anche a fronte del tempo ridotto tra il provvedimento e la data di applicazione della sanzione, con richiesta di restituzione delle somme illegittimamente trattenute dallo stipendio per i cinque giorni di sospensione per un importo lordo pari a € 1.331, 38 con interessi e rivalutazione, nonché richiesta dei danni morali e alla salute da determinarsi in via equitativa in non meno di € 10.000.

Si è costituita in giudizio l’Università intimata, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendo il rigetto.

Parte ricorrente nella memoria conclusionale evidenzia anche il danno d’immagine sul curriculum e la carriera accademica, a causa dell’esclusione dalla campagna VQR (Valutazione qualità della ricerca) 2020-2024.

All’udienza pubblica del 15 luglio 2025 il ricorso veniva trattenuto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1) Con il ricorso in esame è stata impugnata la sanzione di sospensione dal servizio e dallo stipendio per cinque giorni, irrogata alla Prof. -OMISSIS-, per comportamenti sopra descritti, tenuti nei confronti di una assegnista di ricerca.

2) Nel primo motivo (articolato in due punti), viene lamentata la violazione dell’art. 89 del RD 1592/1933, degli artt. 1, 2, 7 del Codice Etico dell’università -OMISSIS- e dell’art. 4 del Regolamento per il funzionamento del collegio di disciplina, in quanto nel corso del procedimento la contestazione sarebbe stata modificata, con l’esito dell’applicazione di una sanzione prevista in origine per un fatto più grave.

Il motivo è fondato.

Dal raffronto tra la condotta contestata con il provvedimento di avvio del procedimento a firma della Rettrice del 16.7.2024 e la condotta sanzionata emerge con chiarezza come vi sia stata una diversa qualificazione dei fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti: nel provvedimento del 16.7.2024 si contesta di aver “esercitato pressioni sull’assegnista, che all’epoca era in stato avanzato di gravidanza, al fine di indurla a una risoluzione anticipata del contratto, prima che questa entrasse in congedo di maternità, rassicurandola rispetto al mantenimento dei diritti connessi al richiamato congedo”. Anche l’atto di rimessione al Collegio di disciplina a firma del pro Rettore definisce la condotta “irregolare, compiuta avvantaggiandosi del proprio status di professore al fine di indurre l’assegnista a risolvere anticipatamente il contratto”.

Il provvedimento sanzionatorio richiama il parere del Collegio di Disciplina in cui si conclude che non vi sono prove oggettive per ritenere che l’assegnista fosse stata vittima di una pressione, ma che ci sarebbe stato “un condizionamento indebito”, affermando che appare “riprovevole l’indifferenza della prof. -OMISSIS- riguardo agli interessi effettivi di una assegnista che, essendo in procinto di andare in maternità, andava tutelata”.

La condotta contestata nell’atto iniziale, consistente nel fare pressioni sull’assegnista, non è stata accertata e quindi non è oggetto della sanzione, ma viene qualificata come riprovevole l’indifferenza, cioè la condotta omissiva della ricorrente, che “non ha prestato sufficiente attenzione” (…) “non ha tenuto in alcun conto l’interesse dell’assegnista” (…) “non ha fatto nulla per impedirle” (…) “non si è curata di metterla sull’avviso”.

Cambia la tipologia di condotta contestata: da comportamento “attivo”, finalizzato a costringere l’assegnista a rinunciare, ad una condotta omissiva, sanzionata per l’indifferenza e per non aver offerto collaborazione all’assegnista per decidere quale normativa fosse applicabile nel periodo di astensione obbligatoria, al fine di non rinunciare alla borsa di studio:

La modifica del comportamento sanzionato rispetto a quello oggetto della contestazione degli addebiti viola il principio di immodificabilità della contestazione in sede disciplinare, secondo cui “Nel pubblico impiego, la sanzione disciplinare comminata dall’Amministrazione al pubblico dipendente deve essere correlata alle imputazioni formulate in sede di contestazioni degli addebiti, e non può fondarsi su fatti e circostanze non puntualmente e formalmente contestati”, impedendo all’incolpato di modulare adeguatamente ab initio la sua difesa” (TAR Lombardia sezione III,16.09.2020 n. 1667 e recentemente Consiglio di Stato sez. VII, 07/07/2025, n.5837: “In materia di immodificabilità o immutabilità del fatto contestato la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l’essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell’addebito. È stato, in particolare, affermato che in virtù di detto principio, i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio devono coincidere con quelli oggetto dell’avvenuta contestazione”).

Nel caso di specie il nocciolo fondamentale dei fatti contestati non è rimasto il medesimo e l’incolpazione e l’individuazione dell’illecito disciplinare hanno subito un diverso inquadramento sotto il profilo disciplinare, ledendo la prerogativa difensiva della ricorrente, che in sede di controdeduzioni non ha potuto interloquire sulla contestazione di mancata informazione e di indifferenza rispetto alle esigenze dell’assegnista.

Secondo la difesa erariale il Consiglio di disciplina si sarebbe limitato a descrivere in modo più analitico il comportamento della ricorrente, evidenziando il carattere omissivo dello stesso, per cui la ricorrente non avrebbe avuto alcuna lesione al diritto di difesa, dal momento che il principio di immodificabilità della contestazione può ritenersi violato esclusivamente nel caso in cui “il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di circostanze confermative, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre, ovvero che non modifichino il quadro generale della contestazione; … infatti, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all’azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato” (Cassazione civile, sez. lav., ord. 7 settembre 2023, n.26043).

Tuttavia ritiene il Collegio che nel caso in esame nel corso del procedimento non ci sia stata solo una descrizione più analitica del comportamento della ricorrente, ma siano state allegate circostanze nuove, introducendo condotte omissive e riferendosi a obblighi di informazione e di collaborazione, mai contestati nel primo atto del procedimento.

Pertanto il primo motivo è fondato.

3) Come osservato dalla difesa della ricorrente, (terzo motivo – punto 4), una docente universitaria non ha funzioni dirette di carattere amministrativo-contabile, per cui risulta anche illegittima la scelta di sanzionare la condotta omissiva, non sussistendo uno specifico dovere d’ufficio di sorveglianza nel ruolo accademico ricoperto dalla ricorrente, in merito alla corretta normativa da applicare a fronte della dichiarazione dell’assegnista.

Se è indubbio che l’assegnista andasse informata sui suoi diritti e sulle possibilità di scelta rispetto all’astensione obbligatoria, proprio perché la maternità non può mai danneggiare la carriera intrapresa, tuttavia questi obblighi di informazione in merito alle procedure amministrative ricadono sugli uffici amministrativi, cui la stessa assegnista si era rivolta.

Da ciò discende anche la fondatezza della censura in cui viene dedotta l’illegittimità della sanzione, non essendo incorsa la ricorrente nella violazione di alcun obbligo di sorveglianza o di informazione, né potendo dedursi dalla corrispondenza una “riprovevole indifferenza”, essendosi limitata a riconoscere di non sapere la normativa e avendo invitato l’assegnista a rivolgersi all’ufficio competente.

4) In accoglimento ai motivi esaminati il ricorso nella parte impugnatoria, previo assorbimento delle ulteriori censure dedotte, deve essere accolto, con conseguente annullamento del decreto della Rettrice dell’Università -OMISSIS- n. -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del 23.10.2024.

In ossequio all’effetto conformativo promanante dalla pronuncia – che quivi si specifica ai sensi dell’art. 34, co. 1, lett. e), cod. proc. amm. l’ Università intimata è tenuta alla restitutio in integrum, non solo ai fini giuridici (“id est” alla ricostruzione della carriera), ma anche a quelli economici per i periodi di lavoro non prestato a causa dell’illegittima sospensione del rapporto di servizio (cfr. l’indirizzo giurisprudenziale consolidato – ex multis, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, n. 367 del 25 maggio 2023; Cons. Stato, sez. II, 16 marzo 2022, n. 1854 – secondo cui in caso di annullamento giurisdizionale di provvedimenti cautelari o disciplinari che hanno comportato effetti negativi sul rapporto di servizio del pubblico dipendente, l’amministrazione deve provvedere alla ricostruzione della carriera sia in termini giuridici che economici).

Su tali somme l’Università dovrà corrispondere rivalutazione monetaria ed interessi legali, a partire dal momento di maturazione dei singoli ratei di retribuzione e fino all’effettivo soddisfo, in applicazione dei criteri di cui all’art. 2 del Decreto del Ministro del Tesoro 1.9.1998, n. 352, e sugli importi nominali dei crediti, al netto delle ritenute contributive e fiscali (Ad. Plen. C.S. n. 18 del 5.6.2012 e n. 6 del 20.7.1998).

L’Amministrazione dovrà provvedere al pagamento nel termine di novanta giorni decorrente dalla comunicazione della presente sentenza.

Osserva infine il Collegio che la ricorrente nel ricorso ha chiesto il risarcimento in via equitativa per danni morali e alla salute quantificandolo in misura non inferiore a € 10.000.

Tuttavia si è limitata ad un’affermazione totalmente generica, che nulla prova circa l’esistenza di un pregiudizio che abbia inciso sulla sua carriera, sulla salute ovvero abbia indotto la ricorrente a scelte professionali tali da pregiudicarla nell’ambito accademico.

Pertanto la domanda di risarcimento dei danni morali e alla salute va respinta.

5) In conclusione il ricorso deve essere accolto, nei termini di cui in motivazione, con conseguente annullamento del decreto della Rettrice dell’Università -OMISSIS- n. -OMISSIS- e obbligo dell’Università di provvedere alla restitutio in integrum, con la modalità sopra descritta.

La domanda di risarcimento dei danni morali e alla salute va invece respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il decreto della Rettrice dell’Università -OMISSIS- n. -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del 23.10.2024.

Condanna l’Università -OMISSIS- agli adempimenti conseguenti all’annullamento della sanzione, nei termini di cui in motivazione.

Respinge per il resto la domanda risarcitoria.

Condanna l’Università -OMISSIS- al pagamento delle spese di giudizio a favore della ricorrente, quantificate in € 2.000,00 (duemila,00), oltre oneri di legge e rifusione del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2025 con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente

OMISSIS, Consigliere, Estensore

OMISSIS, Consigliere

Pubblicato il 7 agosto 2025