È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, secondo comma, secondo periodo r.d. 1592/33 per contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fa discendere quale conseguenza necessaria dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 87, primo comma, n. 2 r.d. 1592/33, ove essa venga irrogata in relazione a condotte che abbiano compromesso l’onore e la dignità del professore, l’ineleggibilità alle cariche di Rettore dell’Università o di direttore di istituzione universitaria per il periodo di dieci anni senza attribuire all’organo titolare del potere disciplinare alcun potere discrezionale che possa consentire, sulla base di una valutazione di proporzionalità, di non applicare la sanzione, o di graduarne la durata in base alla gravità della condotta e dei suoi effetti.
TAR Campania., Sez. II, 27 giugno 2025, n. 4787
Procedimento disciplinare per i docenti universitari e principio di proporzionalità: il TAR Campania dubita della costituzionalità del trattamento sanzionatorio
N. 04787/2025 REG.PROV.COLL.
N. 01617/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1617 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Leone in Napoli, viale Gramsci, 23;
contro
Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;
per l’annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
1) della delibera del Consiglio di amministrazione dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” -OMISSIS-, comunicata con nota del Rettore, con la quale è stata comminata alla ricorrente la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per mesi uno con decorrenza 1 aprile 2024, la conseguenziale perdita dell’anzianità per tutto il periodo della sua durata, nonché dalla nomina “per anni solari dieci, alle funzioni di Rettore di Università o Direttore di istituzione universitaria (Direttore di Dipartimento, Direttore di centro, Presidente di Scuola e similari)”;
2) degli atti (verbali) del Collegio di disciplina rese nelle sedute del 13.11.2023, 13.12.2023, 20.12.2023, 9.1.2024 e 17.1.2024 e, in particolare, del parere reso con tale ultimo verbale che ha proposto l’irrogazione della sanzione della sospensione in questione;
3) della nota del Rettore prot. -OMISSIS- in data 6 novembre 2023 di “attivazione del Collegio di disciplina”;
4) della nota rettorale prot. -OMISSIS- dell’8 novembre 2023 di convocazione del Collegio di disciplina;
5) della nota rettorale prot. -OMISSIS- dell’8 novembre 2023 di contestazione degli addebiti alla ricorrente;
6) nonché di tutti gli atti anteriori, preordinati e conseguenziali.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- il 4/4/2024:
per l’annullamento, previo rilascio di misure cautelari,
1) della delibera del Consiglio di amministrazione dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” -OMISSIS-, comunicata con nota del Rettore, con la quale è stata comminata alla ricorrente la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per mesi uno con decorrenza 1 aprile 2024, la conseguenziale perdita dell’anzianità per tutto il periodo della sua durata, nonché dalla nomina “per anni solari dieci, alle funzioni di Rettore di Università o
Direttore di istituzione universitaria (Direttore di Dipartimento, Direttore di centro, Presidente di Scuola e similari)”;
2) degli atti (verbali) del Collegio di disciplina rese nelle sedute del 13.11.2023, 13.12.2023, 20.12.2023, 9.1.2024 e 17.1.2024 ed, in particolare, del parere reso con tale ultimo verbale che ha proposto l’irrogazione della sanzione della sospensione in questione;
3) della nota del Rettore prot. -OMISSIS- in data 6 novembre 2023 di “attivazione del Collegio di disciplina”;
4) della nota rettorale prot. -OMISSIS- dell’8 novembre 2023 di convocazione del Collegio di disciplina;
5) della nota rettorale prot. -OMISSIS- dell’8 novembre 2023 di contestazione degli addebiti alla ricorrente;
6) nonché di tutti gli atti anteriori, preordinati e conseguenziali.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2025 la dott.ssa -OMISSIS- e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente è professoressa ordinaria di -OMISSIS- dal 1°.12.2020 presso il -OMISSIS- dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e dal 2018 al 2023 è stata coordinatrice e direttrice della Scuola di Specializzazione in -OMISSIS-.
Con il ricorso in trattazione ha impugnato la delibera del Consiglio di amministrazione n° 2 del 22 febbraio 2024 con la quale le è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per mesi uno, oltre che l’esonero dalle funzioni accademiche e la perdita dell’anzianità per tutto il periodo della sua durata, a decorrere dal 1 aprile 2024, ai sensi degli artt. 87 e 89 del R.D. n° 1592/1993, dell’art. 36 dello statuto di Ateneo e dell’art 10 della legge n° 240/2010.
L’applicazione della suddetta sanzione ha comportato, ai sensi dell’art. 89, comma secondo, R.D. 1592/33 anche la preclusione alla nomina a Rettore di Università, o a Direttore di Istituzione universitaria per dieci anni.
Il procedimento disciplinare è stato avviato con nota prot. n. -OMISSIS- dell’8 novembre 2023 in seguito alla pubblicazione sulla pagina facebook dell’associazione di specializzandi denominata -OMISSIS-, di un messaggio diffuso dalla ricorrente sul gruppo WhatsApp degli studenti specializzandi, con il quale la direttrice sollecitava i membri del gruppo alla compilazione dei questionari CINECA con le seguenti parole: “Cari…come sapete il questionario è “segreto” … ma non x me!!! Cortesemente siate benevoli…Grazie a tutti”.
Il questionario al quale si riferisce il messaggio è quello relativo alla qualità della formazione specialistica che annualmente il Consorzio interuniversitario CINECA sottopone agli studenti delle scuole di specializzazione in forma anonima per la valutazione dell’offerta formativa e che rileva, tra l’altro, ai fini dell’assegnazione alle singole scuole di specializzazione del contingente dei posti disponibili.
Il Collegio di Disciplina docenti-I fascia, all’esito dell’audizione della ricorrente e del delegato dal Rettore, ha ritenuto rilevante sotto il profilo disciplinare la condotta della prof.ssa -OMISSIS- poiché integrante la violazione degli artt. 3, 4 e 10 del Codice Etico e di Comportamento di Ateneo di cui al D.Rs. n. 406/2020 e ha irrogato la sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un mese, che ha comportato, altresì, l’applicazione della sanzione accessoria (dovuta ex lege) della sospensione per dieci anni dagli incarichi direttivi.
Ritenendo illegittima la sanzione irrogata, la ricorrente l’ha impugnata articolando i seguenti motivi:
A) con un primo gruppo di censure la ricorrente ha impugnato il decreto del Rettore di avvio del procedimento disciplinare (nota prot. -OMISSIS- dell’8.11.2023), ritenuto affetto dai seguenti vizi:
1) violazione dell’art. 10, commi 2 e 3, della legge 30 dicembre 2010 n° 240, eccesso di potere per carenza di istruttoria, ovvero istruttoria apparente, motivazione carente, illegittimità derivata.
Il Rettore avrebbe violato la normativa sopra richiamata avendo omesso di formulare una “motivata proposta” di sanzione al Collegio di disciplina, essendosi limitato a riportare i fatti e le norme violate (il Codice etico e il D.I. n. 402/2017), senza esprimersi né in merito alla loro rilevanza disciplinare, né sulla misura della sanzione da irrogare.
Vi sarebbe stata un’inversione procedimentale, poiché il Rettore avrebbe prima convocato il Consiglio di disciplina e solo successivamente inviato l’atto di contestazione dell’illecito disciplinare alla ricorrente.
2) stessi motivi di cui alla precedente censura, violazione dell’art. 10, commi 2 e 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, eccesso di potere per carenza di istruttoria, ovvero istruttoria apparente, motivazione carente, illegittimità derivata.
– L’atto di avvio del procedimento conterrebbe un’indicazione generica delle norme ritenute violate, senza una specifica correlazione tra la condotta contestata e i doveri trasgrediti.
– Sotto altro profilo è dedotto il vizio di difetto di istruttoria, poiché il Rettore si sarebbe limitato a riportare il “messaggio” tratto dalla pagina facebook dell’Associazione di medici specializzandi, senza tener conto del tono “amichevole” dello stesso e senza acquisire direttamente presso i partecipanti al gruppo WhatsApp informazioni circa i dubbi e i sospetti che il messaggio avrebbe insinuato. Non avrebbe, inoltre, verificato se effettivamente la ricorrente fosse in grado di conoscere l’identità dei compilatori dei singoli questionari, né se i medici si fossero effettivamente convinti della possibilità per la stessa di violare l’anonimato
– Sarebbe stato violato il principio di cui all’art. 112, comma 5, lettera b), del T.U. n. 3/57, non risultando che i presidenti del consiglio di disciplina e del consiglio di amministrazione avessero raccolto “i voti cominciando dal componente di qualifica meno elevata od a parità di qualifica dal componente meno anziano e vota per ultimo”.
B) Con un secondo gruppo di motivi, la ricorrente ha censurato il decreto del Rettore di contestazione degli addebiti, il parere del Collegio di disciplina e la delibera del Consiglio di amministrazione (rispettivamente del 17.1.2024 e del 22.2.2024) che ha proposto (il primo) ed elevato (il secondo) la sanzione disciplinare di un mese di sospensione e di preclusione della nomina, per dieci anni accademici, alle funzioni di Rettore, Direttore di istituzioni universitarie, e similari.
3) violazione degli artt. 87 e 89 del R.D. 31.8.1993 n° 1592, violazione e falsa applicazione degli artt. 3,4,10 e 29 del codice etico e di comportamento di ateneo emanato con decreto rettorale n° 406 del 10.6.2020, nonché del codice di comportamento dei dipendenti pubblici approvato dal D.P.R. 16.4.2013, n° 62, modificato dal D.P.R. 13.6.2023 n°81, eccesso di potere per travisamento dei fatti, per motivazione carente, incongrua, irragionevole e contradditoria, carenza di istruttoria, violazione dell’art. 112 del T.U. N.3 del 1957.
Alla ricorrente è stata irrogata la sanzione della sospensione dal servizio per un mese per aver posto in essere atti ritenuti lesivi della “dignità o l’onore del professore”.
Parte ricorrente afferma che non vi sarebbe corrispondenza tra l’atto di contestazione degli addebiti del Rettore ed il parere del Collegio di disciplina.
Vi sarebbe un’intrinseca contraddittorietà nel parere del Collegio di disciplina laddove, da un lato afferma che il contenuto del messaggio era “formulato con tono “amichevole” e dall’altro lo ritiene “interpretabile come tentativo di coartare la libertà di espressione degli specializzandi”. La ricorrente afferma che nessuna minaccia avrebbe potuto essere percepita dagli studenti essendo notorio che i questionari sono anonimi e gestiti a livello centrale dal CINECA. Inoltre i questionari CINECA non avrebbero portato alcun vantaggio personale alla ricorrente, ma solo alla scuola di specializzazione, alla quale avrebbero potuto essere attribuiti un numero maggiore di posti.
Non sarebbe neppure possibile affermare che la ricorrente si sia comportata in modo negligente avendo perfetta conoscenza che i questionari sono anonimi, mentre l’intento perseguito era solo quello di sollecitarne la redazione da parte degli studenti, che spesso in passato si erano sottratti a tale incombenza.
4) Eccesso di potere per mancata valutazione sugli effetti della sanzione della sospensione- violazione dei principi di ragionevolezza, gradualità e proporzionalità -illegittimità derivata.
La sanzione irrogata non rispetterebbe i principi di ragionevolezza, gradualità e proporzionalità. Il Collegio disciplinare, che pur aveva escluso l’intenzionalità del comportamento, rilevando la mancanza di precedenti contestazioni disciplinari e le costanti valutazioni positive circa l’impegno didattico, di ricerca e gestionale della ricorrente, non avrebbe valutato che una sanzione lieve rispetto al massimo della previsione normativa, avrebbe comportato anche l’applicazione automatica della sanzione accessoria (ostativa alla eleggibilità alle cariche universitarie) di cui al comma 2 dell’art. 89.
Si è costituita l’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” per chiedere il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 965/24 del 9.5.2024 la domanda cautelare è stata accolta “limitatamente alla previsione del divieto di eleggibilità, onde consentire alla ricorrente la partecipazione, con riserva, alle prossime elezioni per la designazione del Direttore della Scuola di Specializzazione in -OMISSIS-, essendo le relative votazioni previste per i giorni 8,9,10 e 13 maggio 2024”.
Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 4.04.2024, la ricorrente, approfondendo le censure articolate nel quarto motivo del ricorso introduttivo, ha formulato un ulteriore motivo di ricorso, censurando la sanzione accessoria del divieto di ricoprire cariche direttive per dieci anni, in quanto irrogata in applicazione dell’art. 89, comma 2, del R.D. 31.8.1993 n° 1592, norma ritenuta incostituzionale, per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Osserva parte ricorrente, sulla scorta dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n° 51 del 28.03.2024, che la previsione del divieto di elettorato passivo per un periodo prestabilito di dieci anni quale sanzione accessoria per qualsiasi violazione che abbia dato luogo all’irrogazione di ciascuna delle altre sanzioni previste dall’art. 89 del R.D.si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, non consentendo una graduazione della sanzione in base alla effettiva gravità della condotta tenuta, con conseguente illogicità del trattamento sanzionatorio complessivo, che finirebbe per trattare con pari severità fattispecie di gravità anche notevolmente differenti. Ha chiesto, dunque, sollevarsi questione di legittimità costituzionale della suddetta previsione.
All’esito dell’udienza pubblica del 22 gennaio 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della proposta di sanzione formulata dal Rettore, essendo costui venuto meno al suo dovere, sancito dall’art. 10 della legge n. 240 del 2010, di formulare al Collegio di disciplina “una proposta motivata” che dovrebbe riguardare sia la rilevanza disciplinare dei fatti contestati, sia il tipo e la misura della sanzione da irrogare.
Il motivo non è fondato. L’art. 10 sopra citato definisce le competenze degli organi che sono coinvolti nel procedimento disciplinare, attribuendo al Rettore il potere di proposta delle sanzioni più gravi della censura, al Collegio di disciplina, il compito di svolgere l’istruttoria procedimentale e di esprimere un parere conclusivo vincolante e, infine al Consiglio di amministrazione la competenza ad irrogare la sanzione o archiviare il procedimento.
La norma ai commi 2, 3 e 4 così recita: “2. L’avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’articolo 87 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta.
3. Il collegio di disciplina, uditi il rettore ovvero un suo delegato, nonché il professore o il ricercatore sottoposto ad azione disciplinare, eventualmente assistito da un difensore di fiducia, entro trenta giorni esprime parere sulla proposta avanzata dal rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare e trasmette gli atti al consiglio di amministrazione per l’assunzione delle conseguenti deliberazioni. Il procedimento davanti al collegio resta disciplinato dalla normativa vigente.
4. Entro trenta giorni dalla ricezione del parere, il consiglio di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti, infligge la sanzione ovvero dispone l’archiviazione del procedimento, conformemente al parere vincolante espresso dal collegio di disciplina.”.
Il Rettore, nella nota del 8/11/2023 prot. n. 169494 di contestazione degli addebiti alla ricorrente così si è espresso: “Risulta a questo Ateneo, come da nota prot. n. -OMISSIS- del 06.11.2023, che sui social-media dell’Associazione “-OMISSIS-” in data 04.11.2023 sono state segnalate condotte tenute dalla S.V., docente di I fascia in regime di tempo pieno presso il -OMISSIS-, nella sua qualità dì direttore della Scuola di Specializzazione in -OMISSIS-, in violazione delle disposizioni del Codice Etico e di Comportamento di Ateneo di cui al DR n. 406/2020, nonché delle procedure di cui al decreto interministeriale n. 402 del 2017.
Nello specifico la S.V. in qualità di responsabile della citata scuola di specializzazione, con riferimento alla compilazione dei questionari per il monitoraggio della qualità della formazione specialistica, ha trasmesso, a tutti gli specializzandi, mediante messaggistica istantanea (whatsapp) la seguente comunicazione:
“Cari…come sapete il questionario è “segreto”… ..ma non x me!!! cortesemente siate “benevoli”…Grazie a tutti”
Tale condotta comporta la violazione delle disposizioni di seguito indicate:
Artt. .3, 4, 10 del citato Codice Etico di Comportamento di Ateneo di cui al DR 406/2020 sotto riportati: “Gli obbligati conformano la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa e svolgono i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico, senza abusare della posizione o dei poteri di cui sono titolari.
Gli obbligati rispettano, altresì, i principi di onestà, integrità, correttezza, buona fede, imparzialità, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità, ragionevolezza, valorizzazione del merito, professionalità, leale collaborazione, astenendosi in caso di conflitto di interessi.
Gli obbligati concorrono al perseguimento delle finalità istituzionali e degli obiettivi strategici dell’ateneo secondo il grado di responsabilità previsto per le funzioni a loro attribuite.
Gli obbligati non usano a fini privati le informazioni di cui dispongono per ragioni di ufficio, evitano situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine dell’Ateneo….omissis….. “(Art.3).
“Nessun componente dell’Ateneo può utilizzare, direttamente o indirettamente, il proprio ruolo o ufficio al fine di determinare comportamenti non coerenti con le funzioni istituzionali proprie e altrui, quali definite da norme e disposizioni di rango legislativo regolamentare.
E’ vietata qualsiasi forma di abuso compiute nei confronti di persone in condizione di subordinazione o comunque di soggezione psicologica omissis…..l’Ateneo vieta qualsiasi comportamento che pregiudichi il regolare e corretto andamento dei rapporti umani e professionali…. omissis….
Il personale tutto, insieme agli studenti, cura e rispetta l’immagine dell’Ateneo.
L’Ateneo vieta qualsiasi comportamento che pregiudichi il regolare e corretto andamento dei rapporti umani e professionali” (Art.4)
“Il rapporto tra docenti e studenti deve ispirarsi a principi di integrità, fiducia, collaborazione, e correttezza reciproca, rispetto della persona, pari opportunità e assenza di ogni discriminazione, sia diretta che indiretta …. omissis “(Art.10).
– Decreto interministeriale n. 402 del 2017 con riferimento alle procedure di accreditamento che si basano anche sull’esito dei questionari somministrati previsti dall’art.6 “Possesso e monitoraggio degli standard, dei requisiti e degli indicatori per il miglioramento continuo della qualità della formazione specialistica erogata”.
Si richiama, infine, l’art. 29 del Codice Etico che al comma 4 dispone “la violazione delle norme contenute nel presente Codice, applicabili, al personale in regime di diritto pubblico, di cui all’art.3 comma 2, del D.Lgs 30 settembre 2001 n. 165 (docenti e ricercatori) e le relative sanzioni sono valutate, caso per caso, dal collegio di disciplina ai sensi dell’art.10 della L.30 Dicembre 2010 n. 240, salvo diverse disposizioni”.
Si contesta, pertanto, sul piano disciplinare, che il comportamento risultante da tutto quanto su riportato costituisce violazione degli artt. 3, 4 e 10 del Codice Etico di Ateneo di cui al DR 406/2020 nonché delle disposizioni di cui al D.I. n.402/2017 e si concretizza in atti, in genere, che comunque ledono la dignità o l’onore del professore ai sensi dell’art.89, comma 1, lettera d) del testo unico n.1592 del 31.08.1933.
Il Collegio di disciplina di questo Ateneo, nominato con DR 1241/2021 rettificato con DR 936/2022, ai sensi dell’art.10 della legge 240/2010 e dell’art. 36 del vigente Statuto di Ateneo è competente a svolgere la fase istruttoria dei procedimenti disciplinari e ad esprimere parere conclusivo in merito procedendo all’accertamento delle violazioni contestate ed alla determinazione delle sanzioni previste dall’art.87 in combinato disposto con l’art. 89 del Regio Decreto 1592/1933.
Con riferimento al caso di specie la sanzione relativa alla condotta contestata consiste nella sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno.
In ogni caso il Collegio di disciplina ai fini della determinazione e quantificazione della sanzione terrà conto dei criteri di gradualità e proporzionalità nonché dell’intenzionalità del comportamento, grado di negligenza e rilevanza degli obblighi violati nonché della sussistenza di circostanze aggravanti e attenuanti.”.
In relazione al grado di sviluppo del procedimento, la proposta del Rettore appare sufficientemente motivata sia riguardo alla rilevanza disciplinare della condotta contestata, avendo il Rettore esplicitato le norme che compendiano i doveri di diligenza professionale ritenuti violati, sia la sanzione applicabile in astratto in relazione al tipo di condotta.
La circostanza che non abbia proposto anche la misura della sanzione non costituisce circostanza sufficiente ad inficiare la legittimità della sanzione stessa, atteso che, da un lato, l’art. 10, comma 2, L. 240/2010 non prevede che il Rettore formuli una proposta di sanzione che ne definisca anche l’esatta misura, dall’altro, l’irrogazione delle sanzioni più gravi della censura sono di competenza del Consiglio di Amministrazione, che provvede sulla base del parere vincolante del Collegio di Disciplina.
Il Rettore non ha né competenze in materia di istruttoria, né sulla valutazione in concreto dei fatti contestati, essendo titolare di un mero potere di proposta, la cui fondatezza in punto di fatto e di diritto, è oggetto della successiva fase istruttoria. Pertanto, è nella fase successiva dell’elaborazione del parere e della conclusione del procedimento, di competenza rispettivamente del Collegio di disciplina e del Consiglio di Amministrazione, che gli oneri motivazionali in merito alla rilevanza disciplinare della condotta ed alla sanzione applicabile in concreto si approfondiscono.
Tenuto conto delle modalità con cui l’Università ha avuto notizia dei fatti, risulta anche sufficientemente chiara la motivazione relativa all’astratta configurabilità di una lesione della dignità e dell’onore del professore, avendo la notizia avuto risalto sui social media.
Non risulta, inoltre, alcuna inversione procedimentale, atteso che la convocazione del Collegio di disciplina è avvenuta nella medesima data nella quale è stata effettuata la contestazione degli addebiti.
Ne discende l’infondatezza di tutte le censure articolate nel primo motivo.
2. Anche il secondo motivo è infondato.
2.1. La contestazione che l’Università ha mosso alla ricorrente risiede nell’aver inviato agli studenti un messaggio che, nella sua ambiguità, avrebbe potuto essere interpretato come un tentativo di coartazione della volontà degli specializzandi, attraverso la prospettazione della possibilità da parte della Direttrice della scuola di conoscere l’identità degli autori dei questionari (“I questionari sono anonimi…ma non per me”).
Tale messaggio è stato ritenuto “inadeguato ed equivoco” e dunque violativo delle regole di diligenza, declinabili negli obblighi di correttezza e fiducia nei confronti degli studenti, cui è tenuto ogni docente in forza del Codice etico dell’Ateneo
Tali elementi emergevano in modo chiaro dalla contestazione degli addebiti inviata alla professoressa, nonostante l’ampiezza del novero delle disposizioni richiamate, che, tuttavia, a ben guardare contemplano null’altro che le differenti declinazioni degli obblighi di diligenza e correttezza nei rapporti con gli studenti ai quali è tenuto il personale docente.
Va rimarcato, in proposito, che, per costante giurisprudenza, “I fatti addebitati devono essere individuati con sufficiente precisione in modo che vi sia certezza sulle questioni per le quali l’interessato è chiamato a difendersi. La mancata precisazione e/o omessa indicazione di uno o di più elementi di fatto determina un’insuperabile incertezza nell’individuazione del fatto da cui trae origine la contestazione, tale da pregiudicare il diritto di difesa dell’incolpato. In particolare, in tema di sanzioni disciplinari, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni 6 necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati.” (Cons. Stato, Sez. VI, 18/01/2021, n. 560).
La contestazione, per come formulata, soddisfa i canoni di specificità richiesti dalla disciplina in materia, avendo consentito alla ricorrente di comprendere sia i fatti contestati, che le norme di diligenza ritenute violate, così da metterla in grado di approntare un’approfondita difesa nel procedimento disciplinare.
L’atto di contestazione individua anche la sanzione applicabile in astratto, rimettendo al Collegio di disciplina la determinazione della sua misura concreta, sulla base di criteri espressamente richiamati (gradualità, proporzionalità, intenzionalità del comportamento, grado di negligenza e rilevanza degli obblighi violati, sussistenza di circostanze aggravanti e attenuanti).
Il motivo, dunque, sotto tale profilo non è fondato.
2.2. Neppure fondato è l’ulteriore profilo di censura relativo alla presunta carenza di istruttoria.
La contestazione che l’Università ha mosso alla ricorrente risiede nell’aver inviato agli studenti un messaggio che mirava a sollecitare l’espressione di giudizi favorevoli nella compilazione dei questionari CINECA (“siate benevoli”), sui quali si fonda l’accreditamento della scuola di specializzazione, insinuando il dubbio che i questionari fossero anonimi (“i questionari sono anonimi …ma non per me”).
Tale messaggio è stato ritenuto “inadeguato ed equivoco”, sia perché suscettibile di essere interpretato come un tentativo di coartare la libertà di giudizio degli studenti, sia perché idoneo ad ingenerare dubbi sulla corretta gestione del sistema di valutazione delle scuole di specializzazione, che si fonda sull’anonimato dei questionari CINECA
Nonostante la riconosciuta non intenzionalità del comportamento, è, dunque, l’ambiguità del testo diffuso tra gli specializzandi a costituire l’oggetto della contestazione disciplinare, essendosi con esso integrata la violazione delle regole di correttezza che devono improntare i rapporti con gli studenti, nonché l’obbligo di non tenere comportamenti idonei ad arrecare pregiudizio alla reputazione dell’Ateneo.
Ai fini dell’irrogazione della sanzione, non era, dunque, necessario verificare se effettivamente la ricorrente avesse potuto accedere all’identità degli specializzandi che hanno redatto i questionari, o se il messaggio avesse effettivamente indotto gli studenti a ritenere che i questionari non fossero anonimi, poiché a determinare il vulnus alle regole di condotta era la stessa ambiguità del testo diffuso. In altre parole, non è, l’effettiva coazione della volontà degli studenti ad essere contestata, quanto l’opportunità sul piano formale del testo diffuso
Non risulta, dunque, fondato il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria dedotto nel secondo motivo.
2.3. Neppure risulta provato l’ulteriore profilo di censura contenuto nel secondo motivo, laddove si afferma la violazione dell’art. 112, comma 5, lettera b), del T.U. n. 3 cit. che prevede che i voti siano raccolti “cominciando dal componente di qualifica meno elevata od a parità di qualifica dal componente meno anziano e vota per ultimo”. L’assenza di verbalizzazione di tale attività non costituisce indice univoco della circostanza che tale regola non sia stata seguita.
Per costante indirizzo giurisprudenziale, ove non sussista una specifica previsione di legge che imponga la verbalizzazione analitica di tutte le operazioni svolte, l’omessa indicazione nel verbale riassuntivo dell’espletamento di una determinata attività non costituisce prova inconfutabile del suo non espletamento (Consiglio di Stato sez. III, 13/03/2019, n.1671).
3. È, altresì, infondato il primo profilo di censura contenuto nel terzo motivo di ricorso, nel quale si lamenta un difetto di corrispondenza tra la contestazione degli addebiti da parte del Rettore e l’atto irrogativo di sanzione.
3.1. Come si è già avuto modo di precisare con riferimento al secondo motivo di ricorso (sovrapponibile in parte a quello in trattazione) la contestazione evidenziava in modo chiaro i profili di contrasto della condotta con le norme richiamate, avendo l’Ateneo ritenuto violati gli obblighi di correttezza, imparzialità e fiducia che devono improntare l’operato dei docenti nei rapporti con gli studenti e con l’Ateneo.
3.2. Infondati sono anche gli altri rilievi contenuti nel terzo motivo, con i quali la ricorrente tenta di affermare l’assenza di negligenza nella condotta tenuta – e, dunque, l’insussistenza del contestato illecito disciplinare – poiché un tale addebito sarebbe stato configurabile solo se il messaggio avesse dato luogo ad un’interpretazione univoca, se i destinatari non fossero stati in grado di sapere che gli autori delle risposte non erano riconoscibili, se i destinatari, che ignoravano la disciplina dell’anonimato dei questionari, si fossero sentiti negativamente condizionati dal messaggio, tutte circostanze non comprovate.
Si tratta di argomentazioni che non persuadono. Il ruolo che la ricorrente ricopriva le imponeva, con tutta evidenza, di evitare comportamenti che potessero essere male interpretati dagli studenti o da terzi e potessero esporre se stessa e l’istituzione a critiche sia in relazione alla gestione dei rapporti con gli studenti che delle procedure di valutazione.
La condotta non diligente e, dunque, violativa delle regole di correttezza, imparzialità e fiducia richiamate nell’atto di contestazione degli addebiti è da ricondurre al tenore ambiguo del messaggio, poiché suscettibile di ingenerare dubbi sulla correttezza dell’operato dell’Ateneo.
Tanto prescinde dallo stato soggettivo di buona fede della direttrice, avendo ella, comunque, redatto un messaggio dal testo oggettivamente suscettibile di fraintendimenti, di cui la stessa, per il ruolo che ricopriva, non poteva non percepire l’inopportunità.
Ne deriva l’infondatezza dei profili di censura evidenziati nel terzo motivo, non potendosi ravvisare alcuna contraddittorietà tra l’affermato tono amichevole del messaggio e la sua formulazione oggettivamente ambigua. Né rileva la conoscenza o conoscibilità da parte degli specializzandi della natura anonima dei questionari CINECA. Altro è considerare il meccanismo di tutela dell’anonimato previsto in linea astratta dalla normativa che regola un determinato strumento, altro è il suo concreto funzionamento ed è evidente che l’affermazione da parte della direttrice della scuola della possibilità di venire a conoscenza dell’identità dei redattori dei singoli questionari ben può essere percepita come veritiera da parte degli studenti, i quali plausibilmente non hanno diretta conoscenza dell’efficacia degli strumenti di tutela dell’anonimato predisposti dall’Ateneo. L’ambiguità del messaggio, come più volte già osservato, integra ex se la violazione degli obblighi di correttezza che incombono al docente senza che possa rilevare un principio di favor rei nell’interpretazione del senso delle parole utilizzate.
4. Non è fondato neppure il quarto motivo, nel quale si censura il difetto di proporzionalità della sanzione applicata per non avere il Collegio di disciplina tenuto conto degli effetti complessivi della stessa e, in particolare, della circostanza che la sanzione della sospensione dal servizio, anche nella misura minima, irrogata per l’invio di un messaggio dal tenore ambiguo, avrebbe comportato, come conseguenza indefettibile, il divieto di assunzione delle cariche di Rettore e di Direttore di istituzioni universitarie per dieci anni.
Ritiene il Collegio che la sanzione della sospensione per un mese dal servizio irrogata alla ricorrente non sia affetta da manifesta irragionevolezza o difetto di proporzionalità, tenuto conto dei vincoli normativi previsti per l’irrogazione della più tenue sanzione della censura.
Il R.D. 31/08/1933, n. 1592 recante “Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiori”, agli articoli da 87 a 89 detta la disciplina delle sanzioni disciplinari irrogabili nei confronti dei professori universitari di ruolo.
L’art. 87 elenca le differenti tipologie di sanzioni applicabili secondo un criterio di gradualità rispetto alle violazioni accertate: “Ai professori di ruolo possono essere inflitte, secondo la gravità delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari:
1) la censura;
2) la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio ad un anno;
3) la revocazione;
4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni;
5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni.”.
L’art. 88 detta la disciplina della sanzione della censura, prevedendo che “La censura è una dichiarazione di biasimo per mancanze ai doveri d’ufficio o per irregolare condotta, che non costituiscano grave insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignità e l’onore del professore.”.
L’art. 89 detta, invece, la disciplina delle sanzioni di maggiore gravità, prevedendo: “Le punizioni, di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5 dell’art. 87, si applicano secondo i casi e le circostanze, per le seguenti mancanze:
a) grave insubordinazione;
b) abituale mancanza ai doveri di ufficio;
c) abituale irregolarità di condotta;
d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore.
La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti, l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse, e la perdita ad ogni effetto, dell’anzianità per tutto il tempo della sua durata. Il professore che sia incorso nella punizione medesima non può per 10 anni solari essere nominato rettore di Università o direttore di Istituzione universitaria.”.
Dal combinato disposto degli art. 88 e 89, comma 1, lett. d) R.D.. 1592/33 emerge che la sanzione della censura non può essere irrogata nel caso in cui la condotta sia tale “da ledere la dignità e l’onore del professore.”. Ciò emerge sia dal tenore letterale dell’art. 88, che esclude l’applicazione della censura anche in caso di mancanze ai doveri d’ufficio o irregolare condotta che “siano tali da ledere la dignità e l’onore del professore.”, sia dall’art. 89, che prevede l’applicazione delle sanzioni più gravi della censura, tra gli altri casi, ove siano stati posti in essere “d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore”. L’utilizzo dell’avverbio “comunque”, posto dopo l’elencazione delle altre tipologie di infrazioni che possono determinare l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 87, rende manifesto che, nel caso in cui la condotta contestata sia ritenuta lesiva della “dignità” e dell’ “onore” del professore, la sanzione disciplinare non potrà essere inferiore alla sospensione dal servizio per un mese, indipendentemente dalla gravità dell’inadempimento agli obblighi gravanti sul professore
La condotta contestata alla ricorrente, seppur non intenzionale e comunque di non rilevante gravità sul piano della trasgressione agli obblighi indicati nel codice etico, è certamente idonea a ledere “la dignità e l’onore del professore”, poiché il suo tenore ambiguo si prestava ad essere interpretato, – come poi è effettivamente avvenuto con conseguente clamore mediatico – come volto ad esercitare una forma di pressione sugli studenti nella redazione dei questionari CINECA, peraltro, attraverso la diffusione di una notizia (la negazione dell’anonimità dei questionari), idonea a mettere in dubbio la corretta modalità di gestione della procedura di valutazione che deve garantire l’anonimato degli studenti. Il messaggio, dunque, ha esposto prima la docente e poi l’Ateneo a critiche che sono state riportate anche dalla stampa. Appare, quindi, corretta la valutazione operata dall’Ateneo di non applicare la più tenue sanzione della censura, essendo la condotta della ricorrente idonea ad arrecare una lesione al suo prestigio e a quello dell’istituzione.
La sanzione della censura, dunque, non poteva essere irrogata, ostandovi il chiaro disposto dell’art. 88 R.D. 1592/33.
Ne discende la non palese irragionevolezza (sotto il profilo della proporzionalità) della sanzione principale prevista e in concreto applicata (sospensione dal servizio per un mese).
5. Tuttavia, la stessa sanzione, nonostante sia graduabile, comporta a carico del professore che ne sia destinatario, quale conseguenza necessaria ed indipendente dalla gravità e volontarietà della condotta sanzionata, il divieto di elettorato passivo per le cariche universitarie di vertice nella misura fissa di dieci anni, ai sensi di quanto previsto dall’art. 98, comma secondo (“La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti, l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse, e la perdita ad ogni effetto, dell’anzianità per tutto il tempo della sua durata. Il professore che sia incorso nella punizione medesima non può per 10 anni solari essere nominato rettore di Università o direttore di Istituzione universitaria”).
In adesione alle censure formulate nel ricorso per motivi aggiunti (con il quale la sanzione accessoria è fatta oggetto di censura per difetto di ragionevolezza e proporzionalità derivata dall’illegittimità costituzionale della norma che la prevede) il Collegio dubita della legittimità costituzionale della suddetta disposizione, nella parte in cui, prevedendo il divieto di elettorato passivo per cariche direttive universitarie in misura fissa per dieci anni quale conseguenza obbligatoria della sanzione di cui all’art. 87, primo comma, n. 2 R.D. 1592/33, anche per le condotte non gravi che siano lesive della dignità e dell’onore del professore sembra porsi in contrasto con i principi di necessaria proporzionalità del trattamento sanzionatorio rispetto al fatto e alle sue conseguenze, e di congruità della sanzione rispetto al fine perseguito e, dunque, con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35 Cost.
5.1. Sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale.
L’infondatezza dei motivi articolati nel ricorso introduttivo proposti avverso il provvedimento in epigrafe, con cui è stata irrogata la sanzione della sospensione per un mese dal servizio, ai sensi di quanto previsto dall’art. 87, n. 2, r.d. 1592/1933, rende rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma secondo, R.D. 1592/1933 rispetto all’art. 3 della Costituzione, che il ricorrente ha chiesto di sollevare con il ricorso per motivi aggiunti, per dimostrare l’illegittimità della sanzione accessoria irrogata per contrasto con i medesimi principi
Tale sanzione, come si è detto, consegue ex lege dall’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, prevista dall’art. 87, comma 1, n. 2, R.D. 1592/1933, senza possibilità per l’organo titolare del potere sanzionatorio di valutare la concreta offensività della condotta e la graduazione del trattamento sanzionatorio complessivo.
Con il ricorso per motivi aggiunti la sanzione accessoria irrogata viene censurata per difetto di proporzionalità e ragionevolezza quali vizi derivati dal contrasto della norma che la prevede con l’art. 3 Cost.
Ove l’art. 89, comma secondo, R.D. 1592/1933 fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede come obbligatoria e non graduabile la sanzione accessoria da esso prevista, ne deriverebbe l’annullamento del provvedimento impugnato nella parte in cui stabilisce la preclusione per dieci anni della nomina alle funzioni di Rettore di Università e di Direttore di Istituzione universitaria, con conseguente restituzione all’organo titolare del potere disciplinare della valutazione relativa all’applicabilità e/o della durata della sanzione stessa in relazione alla gravità del fatto.
5.2. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Il Collegio ritiene la questione non manifestamente infondata per le ragioni che di seguito di espongono
5.2.1. Il R.D. 31/08/1933, n. 1592 recante “Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiori”, agli articoli da 87 a 89 detta la disciplina delle sanzioni disciplinari irrogabili nei confronti dei professori universitari di ruolo.
L’art. 87 elenca le differenti tipologie di sanzioni applicabili, graduate in ordine crescente di afflittività: “Ai professori di ruolo possono essere inflitte, secondo la gravità delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari:
1) la censura;
2) la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio ad un anno;
3) la revocazione;
4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni;
5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni.”.
L’art. 88 disciplina la sanzione della censura, prevedendo che “La censura è una dichiarazione di biasimo per mancanze ai doveri d’ufficio o per irregolare condotta, che non costituiscano grave insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignità e l’onore del professore.”.
L’art. 89 detta, invece, la disciplina delle sanzioni di maggiore gravità, prevedendo che: “Le punizioni, di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5 dell’art. 87, si applicano secondo i casi e le circostanze, per le seguenti mancanze:
a) grave insubordinazione;
b) abituale mancanza ai doveri di ufficio;
c) abituale irregolarità di condotta;
d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore.
La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti, l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse, e la perdita ad ogni effetto, dell’anzianità per tutto il tempo della sua durata. Il professore che sia incorso nella punizione medesima non può per 10 anni solari essere nominato rettore di Università o direttore di Istituzione universitaria.”.
Come si è già evidenziato, ove con una propria condotta violativa degli obblighi connessi all’esercizio delle proprie funzioni, il professore abbia “comunque” arrecato pregiudizio alla propria dignità o onore, può incorrere – a seconda della gravità della condotta e delle sue conseguenze – in una delle sanzioni previste dall’art. 87, nn. 2, 3, 4 e 5, non potendo, invece, soggiacere alla sanzione della censura, ostandovi il disposto dell’art. 88 R.D. 1592/33.
In ogni caso, ove sia irrogata la sanzione della sospensione dal servizio fino a un anno, al professore – indipendentemente dalla gravità del comportamento tenuto e dalla durata della sospensione dal servizio prevista – è preclusa ex lege la nomina alle cariche di Rettore e Direttore di istituzioni universitarie per dieci anni.
Una siffatta sanzione si pone in potenziale conflitto – per le ragioni che si esporranno in seguito – con i principi di necessaria proporzionalità della sanzione e congruità della stessa rispetto al fine perseguito che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuti applicabili anche con riguardo alle sanzioni accessorie correlate a sanzioni disciplinari
5.2.2. Il Collegio non ignora che la Corte di cassazione, Sezione lavoro, nella sentenza del 25/05/2012, n. 8304, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della suddetta norma, affermando che la misura di cui all’art. 87, secondo comma, secondo periodo R.D. 1592/33, non sia assoggettata al principio di necessaria proporzionalità, trattandosi di sanzione accessoria a carattere prevalentemente “preventivo”, prevista al fine di evitare la reiterazione della condotta (“La durata della sanzione accessoria è dunque predeterminata e consegue alla semplice applicazione della sanzione principale, a prescindere dalla effettiva durata di questa secondo la specifica determinazione adottata dall’organismo disciplinare. Il meccanismo non può dirsi atipico, nell’ambito delle sanzioni accessorie temporanee, là dove la durata può essere fissata in modo particolare dalla legge e, in mancanza di tale previsione, può avere una durata uguale a quella della sanzione principale inflitta. La diversità e la modulazione delle sanzioni accessorie rispondono, infatti, al carattere essenzialmente preventivo, anzichè meramente retributivo, delle medesime, la cui funzione è quella di evitare la possibilità che la grave condotta – sanzionata in via principale – possa reiterarsi con ulteriore pregiudizio per il bene tutelato; e ciò spiega, altresì, che alla predeterminazione della durata possa accompagnarsi, come nella specie, la obbligatorietà della sanzione accessoria, quale effetto automatico che accede alla sanzione a prescindere da ogni potere discrezionale in ordine alla necessità, o meno, della ulteriore inflizione.
3-3-3- Con queste premesse, si rivela manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale avanzato dal ricorrente, poichè il criterio della proporzionalità è connesso a sanzioni a carattere retributivo, in cui l’entità della sanzione non può che dipendere dalla modalità della condotta e dalla intensità dell’elemento soggettivo, mentre le sanzioni a carattere preventivo sono riferite alla gravita oggettiva della sanzione principale e conseguono semplicemente alla avvenuta inflizione, ben potendo essere rimessa al Legislatore la scelta di prefissare la durata della sanzione accessoria, a prescindere dalla entità della sanzione concretamente inflitta in via principale, in ragione della distinta esigenza di prevenire il rischio del ripetersi della condotta sanzionata.”).
Tuttavia, il Collegio ritiene che la motivazione che ha indotto la Suprema Corte a dichiarare la manifesta infondatezza della sanzione non esaurisca le ragioni di contrasto della norma con l’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 2,4 e 35 della Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale intervenuta successivamente alla stregua della quale anche le sanzioni accessorie non aventi natura esclusivamente punitiva sono assoggettate al vaglio di proporzionalità e adeguatezza.
5.2.3. In effetti il sindacato di proporzionalità sulle norme sanzionatorie è stato ammesso in prima battuta con riferimento alle sanzioni penali, riguardo alle quali, la Corte ha affermato che “l’individualizzazione della pena – che si ottiene con l’indicazione di una forbice edittale, che consenta al giudice di determinarla in base alle specificità della fattispecie concreta – costituisca «naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d’uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale» (sentenza n. 50 del 1980). In via di principio, perciò, «previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il “volto costituzionale” del sistema penale», potendo il dubbio di illegittimità costituzionale essere superato solo «a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (sentenze n. 222 del 2018 e, nello stesso senso, n. 50 del 1980)”.
La Corte ha, tuttavia, esteso i medesimi principi anche alle sanzioni amministrative, anzitutto a quelle c.d. punitive (ossia quelle previste quali reazioni alla commissione di un illecito), alle quali sono state ritenute estensibili talune delle garanzie previste per gli illeciti penali (cfr. Corte Cost. n. 223 del 2018, n. 68 del 2017, n. 276 del 2016, n. 104 del 2014 e n. 196 del 2010)
Successivamente la Corte ha ritenuto assoggettabili al sindacato di proporzionalità anche le sanzioni amministrative non aventi carattere punitivo e alle norme sanzionatorie in generale (cfr. Corte cost. 112/2019: “non può dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative. Come anticipato, questa Corte ha già, in numerose occasioni, invocato tale principio – anche in relazione a misure delle quali veniva espressamente negata la natura “punitiva” (come nel caso deciso dalla sentenza n. 22 del 2018) – a fondamento di dichiarazioni di illegittimità costituzionale di automatismi sanzionatori, ritenuti non conformi al principio in questione proprio perché esso postula «l’adeguatezza della sanzione al caso concreto»; adeguatezza che «non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 268 del 2016 e n. 170 del 2015).
8.2.3.– Il principio di proporzionalità della sanzione possiede, peraltro, potenzialità applicative che eccedono l’orizzonte degli automatismi legislativi, come dimostra proprio la giurisprudenza relativa alla materia penale appena rammentata, e i cui principali approdi sono estensibili anche alla materia delle sanzioni amministrative, rispetto alla quale – peraltro – il principio in parola non trae la propria base normativa dal combinato disposto degli artt. 3 e 27 Cost., bensì dall’art. 3 Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione.”).
È, dunque, per l’intera materia sanzionatoria che la Corte ha affermato in linea di principio la contrarietà delle previsioni sanzionatorie rigide al principio di proporzionalità (Corte Cost. n. 40/2023: “le previsioni sanzionatorie rigide, «che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti, debb[o]no rispondere al principio di ragionevolezza» (sentenza n. 212 del 2019). Di qui l’esigenza di verificare che la sanzione non sia manifestamente sproporzionata anche in relazione alle condotte meno gravi (sentenze n. 95 del 2022, n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019)”).
Pertanto, si è affermato che “Pure «per le sanzioni amministrative si prospetta, dunque, l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato» (sentenza n. 185 del 2021). Ciò discende, appunto, dal dovere di assicurare l’attuazione del principio di proporzionalità, il quale, in questo ambito, trae il proprio fondamento nell’art. 3 Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione (sentenze n. 112 e n. 88 del 2019).
Laddove il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore «si riveli manifestamente irragionevole a causa della sua evidente sproporzione rispetto alla gravità del fatto», dunque, «un intervento correttivo del giudice delle leggi è possibile a condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo possa essere sostituito sulla base di “precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo”, intesi quali “soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata”» (sentenze n. 222 del 2018, n. 236 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 40 del 2019)” (ancora così Corte cost. 40/2023).
5.2.4. La tematica del sindacato di proporzionalità è stata approfondita, quanto alle sanzioni non punitive, anche in relazione alle finalità extra-retributive che esse tipicamente perseguono. Tali sanzioni, infatti, mirano anche alla tutela di specifici beni-interessi, suscettibili di essere lesi dalla condotta illecita. Tale tutela viene perseguita calibrando la risposta punitiva non soltanto alla gravità del fatto, ma alla finalità preventiva avuta di mira, ad esempio attraverso una misura sanzionatoria particolarmente elevata, in funzione dissuasiva, ovvero mediante l’imposizione di sospensioni o divieti di esercizio di diritti o libertà volti a scongiurare l’approfondimento della lesione arrecata all’ordinamento con la condotta illecita.
Orbene, anche tale tipologia di sanzioni, secondo la giurisprudenza costituzionale più recente soggiace ad un sindacato di proporzionalità, più spesso declinato in termini di congruità/idoneità della risposta sanzionatoria rispetto alla finalità extra-retributiva e di non eccessiva gravosità della stessa rispetto all’esercizio di diritti e libertà costituzionalmente garantite, talvolta sulla base di uno schema argomentativo che ricalca la c.d. struttura tri-fasica del giudizio di proporzionalità di derivazione tedesca ed eurounitaria.
Con la sentenza n. 170/2015, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima la sanzione dell’obbligatorio trasferimento ad altra sede del magistrato che sia stato sanzionato per l’ipotesi di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) D.Lgs. 109/2006 (ossia per comportamenti che “a) fatto salvo quanto previsto dalle lettere b), c), g) e m) …, violando i doveri di cui all’articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti”).
La Corte, ha ritenuto anche la suddetta sanzione – alla quale viene espressamente riconosciuta natura non esclusivamente retributiva, essendo volta anche a preservare il buon andamento dell’attività giurisdizionale nella sede di servizio – sia assoggettabile al vaglio di proporzionalità.
Ha evidenziato, infatti, come, secondo il proprio costante orientamento, “il “principio di proporzione”, fondamento della razionalità che domina “il principio di eguaglianza”, postuli l’adeguatezza della sanzione al caso concreto; e come tale adeguatezza non possa essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito, valutazione che soltanto il procedimento disciplinare consente (sentenze n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988).” e che, pertanto, “Ferma, dunque, restando la discrezionalità del legislatore di prevedere l’indefettibile adozione di sanzioni accessorie, quando ciò sia giustificato dalla peculiarità della situazione fattuale generatrice dell’illecito, nonché dalla sussistente correlazione tra tale situazione e la gravità della sanzione (sentenza n. 112 del 2014), l’ordinamento è orientato verso la tendenziale esclusione di previsioni sanzionatorie rigide, la cui applicazione non sia conseguenza di un riscontrato confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto, e rispetto alle quali l’indispensabile gradualità applicativa non sia oggetto di specifica valutazione nel naturale contesto del procedimento giurisdizionale (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012 e n. 363 del 1996) ovvero in quello disciplinare (ex plurimis, sentenze n. 329 del 2007, n. 212 e n. 195 del 1998, n. 363 del 1996).”.
Anche in tale ipotesi la Corte costituzionale, pur riconoscendo la natura non esclusivamente retributiva della sanzione l’ha ritenuta contrastante con i principi di proporzionalità e adeguatezza in quanto suscettibile di essere applicata obbligatoriamente nonostante l’assenza di una connotazione di particolare gravità dei comportamenti contestati (tenuto conto dell’ampio e variegato ventaglio di condotte sussumibili entro il paradigma dell’art. 2, comma 1, lett. a), e in quanto svincolata da un controllo di congruità della misura con il fine, ulteriore e diverso rispetto a quello repressivo dello specifico illecito disciplinare, da essa perseguito.
La Corte, dunque, ha ritenuto che anche le sanzioni accessorie non aventi natura esclusivamente retributiva soggiacciano al principio di proporzionalità, con la precisazione che il vaglio di legittimità costituzionale sotto tale profilo dovrà riguardare sia la gravità della sanzione, che la sua congruità rispetto alla finalità ulteriore (rispetto a quella retributiva) perseguita.
5.2.5. Tanto premesso, dalla giurisprudenza costituzionale pronunciatasi nella materia emergono le seguenti coordinate ermeneutiche.
Si è affermato che le sanzioni (anche disciplinari) stabilite in misura fissa si pongono in un rapporto di potenziale conflitto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alla gravità dell’illecito.
Pertanto esse sono da ritenersi in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, salvo che la sanzione non risulti non manifestamente irragionevole rispetto all’intera gamma delle condotte alle quali la sanzione stessa è destinata ad applicarsi. (cfr. sentenza n. 51 del 2024, in cui la Corte ha affermato: “Quanto alla proporzionalità della sanzione disciplinare, il requisito può, normalmente, essere soddisfatto soltanto da una valutazione individualizzata della gravità dell’illecito, alla quale la risposta sanzionatoria deve essere calibrata (su questo corollario del principio di proporzionalità rispetto a ogni tipologia di sanzione, sentenza n. 112 del 2019, punto 8.1.4. del Considerato in diritto, nonché – in materia penale –sentenza n. 197 del 2023, punti 5.2.1. e 5.5.1. del Considerato in diritto). Le sanzioni fisse sono, per contro, tendenzialmente in contrasto con questo principio, a meno che – come questa Corte ha ritenuto nel caso deciso con la sentenza n. 197 del 2018 (punto 8 del Considerato in diritto) – esse risultino non manifestamente sproporzionate rispetto all’intera gamma dei comportamenti riconducibili alla fattispecie astratta dell’illecito sanzionato (ancora in materia penale, sentenze n. 195 del 2023, punto 6.1. del Considerato in diritto; n. 94 del 2023, punto 13 del Considerato in diritto; n. 222del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto; nonché, in materia di sanzioni amministrative, sentenze n. 40 del 2023, punto 5.2. del Considerato in diritto; n. 266 del 2022, punto 5.4.3. del Considerato in diritto; n. 185 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto).
Al di fuori di questa ipotesi, che presuppone un certo grado di omogeneità della fattispecie astratta sotto il profilo della gravità delle condotte a essa riconducibili, il corollario dell’individualizzazione della sanzione esige una gradualità della risposta, affinché essa possa risultare adeguata al concreto disvalore della condotta.”).
Con riguardo al rispetto del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, nella sentenza n. 197/2018, la Corte ha, inoltre, affermato che esso risulta rispettato laddove la fattispecie di illecito meno grave tra quelle che comportano l’applicazione della sanzione, sia connotata da un grado di disvalore tale da rendere non manifestamente sproporzionata la comminatoria della sanzione stessa, nonché quando possa ritenersi sussistente un certo grado di omogeneità tra le fattispecie sanzionate (“Essenziale e sufficiente a garantire il rispetto del principio di eguaglianza è, in tali ipotesi, che anche la fattispecie di illecito meno grave tra quelle che comportano l’applicazione della sanzione massima prevista dai diversi rami dell’ordinamento, isolatamente considerata, sia pur sempre connotata da un grado di disvalore tale da rendere (sotto il profilo “intrinseco”) non manifestamente sproporzionata la comminatoria della sanzione massima. A prescindere, dunque, dalla sua eventuale minore gravità rispetto alle altre fattispecie accomunate dalla medesima sanzione massima.
Ove risulti, invece, impredicabile un simile giudizio o perché la sanzione risulta manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità della condotta, o perché le condotte sussumibili all’interno della fattispecie sanzionatoria astratta sono eterogenee, la sanzione è stata ritenuta contrastante con l’art. 3 Cost. poiché non consente al giudice disciplinare di graduare la risposta sanzionatoria in relazione alla concreta gravità dei molteplici casi di specie suscettibili di essere ricondotti sotto l’astratta previsione normativa.”).
Nel caso analogo a quello oggetto del giudizio a quo (Corte cost. sentenza 23 giugno 2015, n. 170), nel quale la Corte si è occupata della legittimità costituzionale di una sanzione accessoria (l’obbligatorio trasferimento ad altra sede del magistrato che sia stato sanzionato per l’ipotesi di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) D.Lgs. 109/2006 (ossia l’aver tenuto comportamenti che “violando i doveri di imparzialità, correttezza, diligenza laboriosità ed equilibrio e di rispetto per la dignità della persona, arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti”), la questione è stata dichiarata fondata, proprio perchè la sanzione del trasferimento d’ufficio ad altra sede era prevista come obbligatoria anche in caso di condotte non connotate da particolare gravità e in assenza di ogni valutazione di congruità della misura rispetto al perseguimento della funzione ulteriore (rispetto a quella retributivo-disciplinare) da essa perseguito (“evitare che, data la condotta tenuta dal magistrato, la sua permanenza nella stessa sede o ufficio appaia in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia.”).
La Corte, inoltre, in talune ipotesi ha fatto applicazione del c.d. test di proporzionalità di elaborazione tedesca ed eurounitaria per operare la propria valutazione. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che “in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del test di proporzionalità, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018).” (così Corte cost. 88/2023).
5.2.6. Compendiando i parametri ermeneutici sopra richiamati, dunque, il Collegio ritiene che la sanzione accessoria “automatica” e “fissa” possa superare il vaglio di costituzionalità sotto il profilo del rispetto del principio di necessaria proporzionalità se risultino soddisfatte le due seguenti condizioni:
– se tutte le condotte alle quali la misura è applicabile siano connotate da un grado di disvalore minimo tale che la sanzione non possa ritenersi manifestamente sproporzionata per ciascuna di esse (il che implica che, ove le condotte siano graduabili in termini di gravità, la sanzione deve apparire non manifestamente sproporzionata in relazione alla condotta meno grave tra quelle alle quali si applica);
– se avuto riguardo a ciascuna delle condotte alle quali è applicabile, la misura risulti congrua rispetto al perseguimento del fine ulteriore (e diverso da quello retributivo) da essa avuto di mira;
– se la restrizione apportata con l’applicazione della sanzione ai diritti e alle libertà protette dalla Costituzione risulti idonea al perseguimento del fine avuto di mira, necessaria a tale scopo e non eccessivamente restrittiva del diritto o della libertà compressa.
Nel caso della sanzione prevista dall’art. 89, secondo comma, secondo periodo R.D. 1592/33, nessuna delle suddette condizioni appare soddisfatta e, pertanto, si configura un contrasto di tale previsione con l’art. 3 in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35 della Costituzione, essendo il divieto di assumere cariche di vertice per dieci anni sproporzionato ed eccessivamente limitativo delle prospettive di sviluppo professionale del professore quantomeno con riguardo alle condotte di non rilevante gravità “comune lesive del prestigio e dell’onore del professore”.
5.2.7 Quanto al primo profilo, il Collegio osserva che le condotte soggette alla sanzione della sospensione fino a un anno prevista dall’articolo 87, primo comma, n. 2 R.D. 1592/33 sono di varia gravità e natura e dunque tra loro non omogenee.
Le fattispecie di illecito alle quali essa è applicabile non sono predeterminate.
Fatto salvo quanto previsto per la censura dall’art. 88, il Legislatore ha rimesso alla discrezionalità dell’Ateneo di individuare, in base al principio di proporzionalità, le singole condotte assoggettabili a ciascuna tipologia di sanzione, essendosi limitato a definire le tipologie di sanzioni applicabili ai professori, graduate in base al loro grado di afflittività.
Poiché la sanzione della sospensione dal servizio fino a un anno è la meno grave tra le sanzioni diverse dalla censura, da una lettura sinottica degli artt. 87, 88 e 89 R.D. 1592/22, può affermarsi che le condotte punibili con la sospensione sono quelle meno gravi rientranti nelle categorie elencate all’art. 89 (“a) grave insubordinazione; b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; c) abituale irregolarità di condotta; d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore.”) per le quali non sia applicabile la censura. Ai sensi dell’art. 88 R.D. 1592/33, la censura è applicabile in caso di mere “mancanze ai doveri d’ufficio o per irregolare condotta, che non costituiscano grave insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignità e l’onore del professore.”.
La sanzione di cui all’art. 87, primo comma, n. 2, quindi, è applicabile ad un ampio ventaglio di fattispecie di illecito: da mancanze gravi o abituali agli obblighi d’ufficio ad atti che, pur non integrando una grave o abituale violazione dei suddetti obblighi, siano idonei “comunque” a ledere la dignità e l’onore del professore.
Con specifico riguardo a tale ultima ipotesi, il novero delle fattispecie rilevanti può essere molto ampio e variegato. La fattispecie di illecito costituita dagli “atti comunque idonei a ledere la dignità e l’onore del professore” utilizzando una categoria penalistica, può descriversi come “causalmente orientata” ed è suscettibile di comprendere al suo interno (attraverso l’avverbio “comunque”) anche condotte non intenzionali, o che, per le circostanze del caso concreto (ad esempio, perché contenuta in un contesto circoscritto), possono ritenersi di lieve entità.
In un siffatto contesto, la previsione di una sanzione ad effetto automatico e di una durata predeterminata significativamente lunga, appare manifestamente sproporzionata, poiché, anche a fronte di condotte non connotate da particolare gravità, o con effetti lesivi non rilevanti, preclude un significativo sviluppo della carriera del professore per un notevole lasso di tempo senza che sia possibile, per l’organo titolare del potere disciplinare, valutare la proporzionalità del divieto, ovvero graduarlo nel tempo in base alla gravità della condotta, e alla lesione concretamente arrecata al bene interesse che la sanzione stessa intende tutelare.
Emblematico è il caso di specie, in cui la ricorrente ha subito la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio (poiché la condotta è stata ritenuta lesiva della dignità e dell’onore del professore) ma nella misura minima di un mese, proprio in considerazione dell’entità del fatto e della sua non intenzionalità, ma soggiace ex lege al divieto per dieci anni di assumere cariche di vertice, retrocedendo dal suo attuale status.
Non sembra potersi revocare in dubbio che il divieto di nomina a cariche direttive per dieci anni, pur rispondendo anche ad una logica extra-disciplinare costituisca una misura particolarmente afflittiva, specie nel caso in cui, in ragione dell’età anagrafica raggiunta al momento dell’irrogazione della sanzione, il professore abbia davanti a sé un periodo di servizio pari o inferiore a dieci anni, poiché in tal caso gli sarebbe definitivamente preclusa ogni prospettiva di aspirare a cariche di vertice. L’applicazione della sanzione, inoltre, può determinare finanche un arretramento nello sviluppo della carriera, per quei professori che, ricoprendo al momento dell’irrogazione della sanzione, una delle cariche direttive oggetto di divieto, vedano necessariamente retrocedere il proprio status.
Da ciò emerge, pertanto, in violazione dell’art. 3 Cost., l’ingiustificata compressione dell’aspirazione del professore allo sviluppo della propria carriera la quale, pur non formando oggetto di un diritto immediatamente riconosciuto dalla Costituzione, è da essa tutelato in quanto espressione della personalità dell’individuo che si esplica nell’esercizio dell’attività lavorativa, nell’ambito della quale, alla stregua dell’art. 35 Cost., la Repubblica cura “l’elevazione professionale”. La norma, dunque, risulta in contrasto con l’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35 Cost.
5.2.8. La sanzione di cui all’art. 89, comma secondo, R.D. 1592/33, inoltre, neppure appare proporzionata (con riguardo alle condotte di non particolare gravità che abbiano “comunque” arrecato una lesione alla dignità e all’onore del professore) rispetto al “fine ulteriore” (rispetto a quello punitivo) che ad essa è correlato e che può essere identificato nella tutela del buon andamento dell’attività amministrativa, suscettibile di essere leso nel caso in cui cariche di vertice siano ricoperte da soggetti che si siano resi inadempienti agli obblighi derivanti dalla funzione svolta, nonchè del prestigio dell’Ateneo, suscettibile di subire pregiudizio nel caso in cui l’Istituzione sia rappresentata ai propri vertici da professori destinatari di sanzioni disciplinari o che con i loro comportamenti abbiano arrecato nocumento alla propria reputazione (la “dignità” e l’ “onore” del professore).
Il Legislatore ha ritenuto che le condotte violative in forma non lieve degli obblighi concernenti l’esercizio delle funzioni ovvero “comunque” lesive della dignità e dell’onore del professore possano perdere la propria attitudine pregiudicante decorsi dieci anni dall’irrogazione della sanzione a prescindere dalla gravità della condotta sanzionata.
Ha, dunque, riconosciuto al trascorrere del tempo una capacità “ripristinatoria” dell’ “affidabilità professionale” e del prestigio del docente e dell’Ateneo stesso.
Non ha, tuttavia, considerato il dato di comune esperienza secondo cui anche il lasso di tempo necessario alla reintegrazione “dell’affidabilità professionale” e del “buon nome” del professore (e di riflesso dell’Ateneo), a sua volta, può variare in base alla minore o maggiore gravità della condotta, nonchè del vulnus arrecato al bene giuridico tutelato.
Un fatto non grave o che abbia suscitato un clamore mediatico limitato quanto a intensità e contesto sarà suscettibile di essere più rapidamente reintegrato per mezzo di condotte di segno opposto a quelle censurate e “dimenticato” in un tempo certamente inferiore rispetto a quello necessario a far cessare il clamore per un fatto grave che abbia assunto rilievo nazionale.
Il Legislatore, invece, ha previsto il divieto di elettorato passivo in misura fissa per dieci anni quale conseguenza necessaria dell’irrogazione della sanzione della sospensione del servizio fino a un anno di cui all’articolo 87, primo comma, n. 2 R.D. 1592/33, anche per condotte non connotate da rilevante gravità e non suscettibili di arrecare un rilevante pregiudizio della reputazione del professore o dell’Ateneo (sono sufficienti atti che “comunque” ledano il prestigio e l’onore del professore) senza consentire all’organo titolare del potere disciplinare una valutazione improntata al principio di proporzionalità.
Com’è noto il c.d. test di proporzionalità impone una triplice valutazione: “l’idoneità” della sanzione rispetto al fine da perseguire, la “necessità” della restrizione per il perseguimento del fine stesso (da intendersi come verifica che la sanzione irrogata costituisca il rimedio meno restrittivo tra quelli idonei a perseguire la finalità) e la proporzionalità in senso stretto, ossi la non manifesta sproporzione del mezzo rispetto al fine.
La sanzione accessoria in questione, essendo obbligatoria e in misura fissa, non consente all’organo titolare del potere disciplinare di valutare in relazione alla gravità della condotta, in special modo la “necessità” della misura per il ripristino del “prestigio” dell’Istituzione, né la stretta proporzionalità, imponendo un divieto di dieci anni di assumere cariche di vertice anche per condotte che, pur presentando un’idoneità lesiva del prestigio del professore, non necessiterebbero di un tempo così lungo per consentirne il ripristino.
5.2.9. Né può ritenersi che la graduazione della sanzione accessoria possa essere effettuata nell’ambito delle valutazioni che presiedono all’applicazione della sanzione principale (sospensione dal servizio fino ad un anno di cui all’art. 87, primo comma, n. 2 R.D. 1592/33). Come si è già avuto modo di osservare, la sanzione disciplinare “principale” meno grave tra quelle applicabili ai professori universitari è costituita dalla censura, che, tuttavia può essere irrogata solo se le condotte contestate “non costituiscano grave insubordinazione” e “non siano tali da ledere la dignità e l’onore del professore”. Qualora la condotta, dunque, non sia grave, ma sia “comunque lesiva della dignità e dell’onore del professore” nessuna sanzione meno grave della sospensione dal servizio è irrogabile, con la conseguente necessaria applicazione dell’ulteriore misura di divieto di conseguire incarichi di vertice per dieci anni.
6. In conclusione, sulla scorta delle coordinate ermeneutiche rinvenibili dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata, appare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, secondo comma, secondo periodo R.D. 1592/33 per contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fa discendere quale conseguenza necessaria dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 87, primo comma, n. 2 R.D. 1592/33, ove essa venga irrogata in relazione a condotte che abbiano compromesso l’onore e la dignità del professore, l’ineleggibilità alle cariche di Rettore dell’Università o di direttore di istituzione universitaria per il periodo di dieci anni senza attribuire all’organo titolare del potere disciplinare alcun potere discrezionale che possa consentire, sulla base di una valutazione di proporzionalità, di non applicare la sanzione, o di graduarne la durata in base alla gravità della condotta e dei suoi effetti.
7. In conclusione:
– i motivi da uno a quattro articolati nel ricorso introduttivo vanno dichiarati infondati;
– per lo scrutinio del ricorso per motivi aggiunti il processo va sospeso ai sensi e per gli effetti degli artt. 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c., rimettendo alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell’art. 89, secondo comma, secondo periodo R.D. 1592/33, in riferimento all’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35 Cost.
45. Ogni ulteriore statuizione è riservata alla decisione definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), non definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:
– respinge il ricorso introduttivo quanto ai motivi da 1 a 4 del ricorso introduttivo;
– per la disamina delle censure contenute nel ricorso per motivi aggiunti, visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, secondo comma, secondo periodo R.D. 1592/per violazione dell’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35 Cost. nei sensi di cui in motivazione;
– sospende il presente giudizio ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.p.a.;
– dispone, a cura della Segreteria, l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
– rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite, all’esito del giudizio incidentale di costituzionalità.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria, a tutte le parti in causa, e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Consiglio dei ministri.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte ricorrente e di ogni dato atto a identificarla.
Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni 22 gennaio 2025, 30 aprile 2025, con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Primo Referendario, Estensore
Pubblicato il 27 giugno 2025

