Sussiste conflitto di interesse quando l’assunzione di un incarico esterno da parte dei professori o dei ricercatori a tempo pieno provoca un detrimento concreto e attuale per l’ateneo di appartenenza.
Cons. Stato, Sez. VII, 26 novembre 2025, n. 9314
Sussiste conflitto di interesse quando l'assunzione di un incarico esterno da parte dei professori o dei ricercatori a tempo pieno provoca un detrimento concreto e attuale per l’ateneo di appartenenza
N. 09314/2025REG.PROV.COLL.
N. 01771/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1771 del 2025, proposto dall’Università Telematica “Universitas Mercatorum”, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Prof. OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi di Padova, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Prof.ssa OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Università Telematica Pegaso s.r.l. e Università Telematica San Raffaele Roma s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambe rappresentate e difese dall’Avvocato Prof. OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Quarta) n. 2020/2024, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Padova, nonché dell’Università Telematica Pegaso S.r.l. e dell’Università Telematica San Raffaele Roma S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2025 il Consigliere OMISSIS e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso di primo grado proposto dinanzi al T.A.R. per il Veneto, l’università telematica Universitas Mercatorum ha chiesto l’annullamento della delibera dell’adunanza del consiglio di amministrazione dell’Università degli Studi di Padova (nel prosieguo anche l’“Università di Padova”) n. 10 del 26 settembre 2023, nella parte in cui la stessa – in attuazione dell’art. 3 del “Regolamento di Ateneo sui criteri e le procedure per il rilascio ai professori e ai ricercatori dell’autorizzazione allo svolgimento di incarichi esterni” (nel prosieguo anche il “Regolamento Incarichi”) – ha stabilito che l’assunzione di incarichi di insegnamento (anche gratuiti) presso le università telematiche costituisce un’“attività concorrenziale con l’Università di Padova” .
2. La motivazione del suddetto provvedimento è la seguente: “Si ricorda che, accanto agli atenei statali e non statali, a partire dagli anni 2000 sono state introdotte in Italia le Università telematiche, che erogano corsi in modalità e-learning per tutti e tre i cicli della formazione superiore, con l’obbligo di svolgere in presenza solamente gli esami di profitto e la discussione della tesi. Attualmente sono undici, tutte di diritto privato. Le università telematiche, caso peculiare nel panorama europeo, stanno assumendo crescente rilevanza nel panorama dell’istruzione superiore nazionale con un incremento degli iscritti che negli ultimi anni ha raggiunto ritmi esponenziali, complici gli effetti della pandemia sulla digitalizzazione della didattica e un’aggressiva e per certi versi spregiudicata campagna di autopromozione. L’ultimo rapporto ANVUR 2023 evidenzia infatti che gli iscritti alle telematiche rappresentano l’11,5% del totale nell’a.a. 2021/2022, rispetto al 2,5% di dieci anni prima, con una crescita del 410,9%, a fronte di una lieve flessione degli atenei statali, ma con un rapporto studenti per docente che si attesta per l’anno 2022 su una media di 384,8 rispetto ai 28,5 delle università pubbliche. Si sottolinea che la competizione tra Atenei, di per sé fisiologica e stimolante per il sistema, si prospetta in questo caso squilibrata e distorta: profondamente diverso è infatti l’impegno in qualità e numerosità del corpo docente nonché sul piano economico, organizzativo e gestionale richiesto agli Atenei impegnati strutturalmente in didattica, ricerca e terza missione con quello, essenzialmente didattico e finalizzato al rilascio di titoli, in capo alle università telematiche. La questione ha valenza politica nazionale e non è un caso che la stessa Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – CRUI, in sede di revisione del proprio Statuto lo scorso giugno 2023 (approvato dal Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo con delibera rep. 203 nella seduta del 18 luglio u.s.), abbia sentito l’esigenza di marcare questa differenza modificando la composizione dell’associazione ed escludendo le università telematiche dalla possibilità di associarsi alla CRUI. Rispetto alla situazione delineata si ravvisa nello specifico l’esigenza di tutelare l’Ateneo evitando di alimentare con le competenze dei propri docenti un sistema, quello delle università telematiche, che si sta ponendo in modo concorrenziale sul panorama nazionale dell’istruzione superiore muovendo da presupposti ideali diversi e potendo inoltre avvalersi di una sostanziale posizione di vantaggio per quanto riguarda gli oneri economici e organizzativi richiesti per approntare l’offerta formativa. Per tale ragione la Rettrice ha espresso diniego a richieste pervenute da parte di docenti dell’Ateneo, per contratti di insegnamento presso le università telematiche”.
3. L’atto impugnato ha sostanzialmente precluso in via automatica e generalizzata (a prescindere da qualsiasi valutazione concreta caso per caso) il rilascio da parte dell’Università di Padova dell’autorizzazione allo svolgimento di incarichi di insegnamento presso università telematiche.
4. Va considerato, a tal riguardo, che l’art. 2, comma 4, del Regolamento Incarichi prevede che “non è consentito svolgere attività, ivi comprese quelle soggette a sola comunicazione o liberamente esercitabili, che possano arrecare pregiudizio all’espletamento dell’attività istituzionale di didattica, di ricerca e gestionale o al prestigio e all’immagine dell’ateneo, ovvero che possano determinare una situazione concorrenziale o di conflitto di interesse con l’Ateneo”.
La delibera del consiglio di amministrazione dell’Università impugnata nel giudizio di primo grado è stata adottata in attuazione dell’art. 3, comma 5, del Regolamento Incarichi dell’Università di Padova, il quale attribuisce agli organi di governo dell’Ateneo proprio il potere di individuare “categorie di incarichi che, per la loro natura o per tipologia di committente, determinano una situazione concorrenziale o di conflitto di interesse con l’Università degli Studi di Padova”.
5. Il ricorso di primo grado era affidato ad un unico motivo così rubricato: “Violazione degli artt. 3 e 33 Cost. – violazione dell’art. 26, comma 5°, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 – violazione dell’art. 1 della legge 29 luglio 1991, n. 243 – violazione dell’art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 – difetto di motivazione – incoerenza e illogicità manifesta – Irragionevolezza”.
Con tale motivo, l’Universitas Mercatorum si doleva del fatto che l’atto impugnato avrebbe costituito una illegittima barriera allo sbocco sul mercato frapposta in danno delle università telematiche, che così verrebbero discriminate rispetto alle altre università “tradizionali”, anche private, privandole della possibilità di avvalersi, a fini didattici, delle professionalità presenti nel sistema universitario statale (nel caso di specie patavino).
6. Sono intervenute ad adiuvandum nel giudizio di primo grado le università telematiche Pegaso s.r.l. e San Raffaele Roma s.r.l., entrambe sostenendo le ragioni del ricorso introduttivo e concludendo per il suo accoglimento.
7. L’Università di Padova si era costituita in giudizio instando per la reiezione del ricorso.
8. Con la sentenza ora appellata il T.A.R. per il Veneto ha respinto il ricorso di primo grado. Gli snodi argomentativi essenziali della sentenza appellata sono i seguenti:
(i) “la lettura del “rapporto sul sistema della formazione superiore e della ricerca”, redatto dall’A.N.V.U.R. e depositato in giudizio dalla stessa ricorrente che non ne ha messo in discussione i dati, restituisce una realtà più complessa rispetto a quella descritta nell’atto introduttivo del giudizio”;
(ii) “dal raffronto tra i dati dell’a.a. 2011/2012 e dell’a.a. 2021/2022, l’incremento del numero degli iscritti presso le università telematiche (180 mila unità) è stato di 90 volte superiore rispetto a quello degli iscritti in tutte le università definite dall’A.N.V.U.R. come “tradizionali”, pubbliche e private (ossia 2 mila studenti), con una quintuplicazione del numero degli iscritti alle università telematiche nell’intero periodo decennale (dall’anno accademico 2011/2012 al 2021/2022), che è passato da circa 44 mila nell’a.a. 2011/12 a circa 224 mila nell’a.a. 2021/22. Il tutto con una riduzione, nell’a.a. 2021/2022, di circa l’1,2% degli iscritti presso le università statali come la resistente, cui corrisponde un aumento del 21,3% degli iscritti nelle università non statali. Questi dati dimostrano una crescita ben più che proporzionale del trend degli iscritti alle università telematiche, confermando il dato di base che ha legittimato il provvedimento impugnato, vale a dire l’ampio “crescendo” della rilevanza delle università telematiche nel panorama dell’istruzione superiore nazionale ingenerato dall’incremento esponenziale, negli ultimi anni, degli iscritti”;
(iii) “È certamente vero che anche le università private tradizionali hanno fatto registrare una sensibile variazione in aumento del numero dei loro iscritti, ma essa, sotto un primo aspetto (22 mila studenti in più, per un incremento del 21,3%), non è paragonabile al trend di aumento delle telematiche (circa 180.000 studenti in più, per un incremento del 410,9%). E in ogni caso, questo è il punto, il fatto che l’aumento degli iscritti nelle università tradizionali non statali non sia stato ritenuto tale da farle rientrare tra i destinatari del provvedimento impugnato, non esclude che esse e, in particolare, gli incarichi ai professori di Padova nelle università tradizionali private, siano da considerarsi automaticamente autorizzabili e/o autorizzati. Per tali incarichi residua sempre il meccanismo di concessione dell’autorizzazione previsto dall’art. 5 del Regolamento, che in tanto consente ai professori ed i ricercatori in regime di impegno a tempo pieno di svolgere incarichi extra moenia in quanto siano debitamente autorizzati dal Rettore, che anche in questo caso dovrà considerare la compatibilità dell’impegno richiesto per l’incarico con lo svolgimento dei compiti istituzionali, il verificarsi di situazioni di incompatibilità e di conflitto di interessi” vd. il comma 1°, in relazione alla lettera ‘j’ del medesimo articolo”;
(iv) “Non è poi affatto secondario analizzare un altro dato chiaramente emergente dal rapporto dell’A.N.V.U.R. … A pag. 34 del rapporto si afferma che “…. Nell’a.a. 2021/2022 ben 101 mila studenti (45,2% del totale) provengono da una precedente esperienza in università tradizionali: un dato in crescita rispetto all’a.a. 2011/2012, quando tale percentuale si attestava al 40,7%”. Se dunque le immatricolazioni (ossia le prime iscrizioni presso le università) sono incrementate sia per le università tradizionali che per quelle telematiche, l’altro dato rilevante è che è stata registrata una non trascurabile percentuale di studenti (più del 45%) già immatricolati presso università tradizionali che migrano proprio verso le università telematiche. E tale percentuale risulta in aumento rispetto al passato, a conferma della capacità delle telematiche di intercettare proprio la domanda di istruzione di studenti precedentemente iscritti ad atenei tradizionali. Vi è dunque un’effettiva interferenza tra l’offerta delle università tradizionali e quella delle telematiche, che consente di escludere la tesi della ricorrente per cui la misura deliberata dall’Università di Padova non sarebbe stata ideata per contrastare un fenomeno concorrenziale ma per frapporre una barriera allo sbocco sul mercato delle università telematiche”;
(v) “L’Università di Padova ha in proposito rilevato che la competizione tra Atenei, pur essendo fisiologica e stimolante per il sistema, nel caso delle università telematiche si rivela squilibrata e distorta avuto riguardo all’impegno in termini di qualità e numerosità del corpo docente nonché sul piano economico, organizzativo e gestionale richiesto agli Atenei (come Padova) impegnati strutturalmente nella didattica, ricerca e terza missione, rispetto a quello, essenzialmente didattico e finalizzato al rilascio di titoli, in capo alle università telematiche. In effetti è stata così ravvisata una sostanziale differenza di base tra i due atenei (tradizionale e telematico), attestata dal rapporto dell’A.N.V.U.R. affermando ad esempio che l’offerta didattica delle telematiche è più elastica non svolgendosi in presenza, e che per altro verso risulta pure confermata dalla stessa ricorrente, allorquando espone che la sua intera organizzazione è sostenuta da soli 85 docenti alle sue dipendenze (c.d. “strutturati”) e da 250 insegnanti reclutati a contratto, attinti dall’ampio serbatoio dei docenti strutturati in Atenei pubblici e, specificamente, da quello di Padova”;
(vi) “come correttamente evidenziato dalla difesa dell’Università di Padova, quest’ultima ha preso in considerazione anche il profilo dell’allocazione dei costi sottesi ai benefici che la scelta del suo personale docente pubblico ha comportato, in termini di ingenti investimenti di risorse pubbliche, anche sul piano organizzativo, non solo per il reclutamento del personale docente ma anche per la sua crescita qualitativa. Costi che evidentemente l’università telematica non ha sopportato, potendosi però appropriare dei vantaggi che comporta la scelta di un modello organizzativo prevalentemente incentrato sulla docenza pubblica a contratto già formata e/o reclutata dall’Università di provenienza”.
9. Con l’odierno atto di appello tempestivamente notificato e depositato presso la segreteria del Consiglio di Stato, l’Universitas Mercatorum impugna la sentenza appellata con un unico motivo di appello che si sviluppa attraverso diversi ordini di censure. In particolare:
a) con un primo ordine di censure, l’appellante ricostruisce il rapporto tra la libertà di tutte le università (sia tradizionali che telematiche) di stipulare contratti di insegnamento temporanei con docenti esterni, libertà sancita in via generale dall’art. 23 della legge n. 240 del 2010 (Legge Gelmini) quale espressione della più generale libertà di insegnamento scolpita nell’art. 33 Cost., e dall’altro lato il regime di incompatibilità disegnato dall’art. 6 della medesima legge (il cui comma 10 bis, da ultimo introdotto dal dl n. 74 del 2023, prevede – in un’ottica di favor verso lo svolgimento da parte dei professori a tempo pieno di un’attività didattica al di fuori dell’università di appartenenza – che è consentito “assumere, previa autorizzazione del rettore, incarichi senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici o privati anche a scopo di lucro, purché siano svolti in regime di indipendenza, non comportino l’assunzione di poteri esecutivi individuali, non determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza e comunque non comportino detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”). Nella prospettiva dell’appellante, quindi, la regola generale sarebbe quella della libertà dei docenti universitari a tempo pieno di stipulare contratti di insegnamento “esterni” (su autorizzazione del rettore) mentre l’eccezione sarebbe invece il divieto di stipula di tali contratti in tutti quei particolari casi in cui vengano accertate situazioni di conflitto di interesse. E ciò conduce, quindi, al cuore della doglianza in esame, per cui sarebbe “evidente il contrasto fra le previsioni della delibera impugnata e l’art. 6, co. 10 bis della legge n. 240/2010, nella misura in cui l’Università di Padova, con il provvedimento oggetto del presente giudizio, ha sostanzialmente sovvertito il rapporto regola-eccezione stabilito dal legislatore e ha introdotto un divieto generalizzato per i professori dell’Ateneo patavino di assumere incarichi presso Università telematiche. Nel far ciò, in manifesto contrasto con la ratio e la littera legis, l’Università di Padova ha illegittimamente escluso un’intera categoria di “enti privati anche a scopo di lucro” – le Università telematiche – dal novero dei soggetti abilitati a conferire incarichi ai professori dell’Ateneo patavino, a prescindere dalle caratteristiche dei medesimi incarichi”. Sempre secondo l’appellante, inoltre, le situazioni di conflitto di interesse che per legge possono ostare all’autorizzazione degli incarichi esterni dei professori universitari a tempo pieno, non consistono nella mera concorrenzialità tra gli atenei, bensì in situazioni concrete da accertare di volta in volta, per cui il conflitto va ravvisato con riguardo al singolo incarico e non al tipo di ateneo;
b) con un secondo ordine di censure, l’appellante contesta il capo 12.1 della sentenza impugnata, lì dove il giudice di primo grado ritiene che l’impugnata delibera dell’università patavina non sia «né pretestuosa né decontestualizzata nella parte in cui motiva l’individuazione degli incarichi di insegnamento come attività concorrenziali adducendo i ritmi esponenziali dell’incremento degli iscritti nelle undici Università telematiche». Obietta l’appellante, a tal proposito, che il mero incremento del numero degli iscritti delle università telematiche non costituisce, di per sé solo, l’indice di una effettiva concorrenzialità tra dette università telematiche e le università “tradizionali”. Ciò innanzitutto perché in base allo stesso rapporto ANVUR citato dalla sentenza appellata, all’incremento degli iscritti alle università telematiche non è corrisposto un parallelo decremento del numero degli iscritti alle università tradizionali. Inoltre, non c’è effettiva concorrenzialità perché il target di studenti delle due tipologie di università (tradizionali e telematiche) è radicalmente diverso, visto che le università telematiche intercettano un bacino di utenza per lo più costituito da studenti-lavoratori (il rapporto ANVUR rileva, infatti, che “Le classi di età di riferimento degli studenti delle università tradizionali sono strutturalmente diverse rispetto a quelle delle telematiche. Nell’a.a. 2021/22, l’80% degli studenti iscritti alle università tradizionali ha un’età inferiore a 26 anni, percentuale che nella stessa fascia di età si riduce al 34% nelle università telematiche, dove circa il 57% degli studenti iscritti ha almeno 28 anni”). Né avrebbe rilievo, ad avviso dell’appellante, il fatto risultante dal rapporto ANVUR al quale fa rinvio la sentenza appellata, per cui “nell’a.a. 2021/2022 ben 101 mila studenti [delle università telematiche] (45,2% del totale) provengono da una precedente esperienza in università tradizionali: un dato in crescita rispetto all’a.a. 2011/2012, quando tale percentuale si attestava al 40,7%”. In proposito, l’appellante ha puntualizzato, stante l’equivocità del passo riportato, che non è il 45% degli iscritti alle università tradizionali a migrare verso le università telematiche; bensì, il dato indica unicamente che, tra gli iscritti alle telematiche, il 45% di essi proviene da un precedente percorso di studi iniziato in un ateneo tradizionale (in tale percentuale sono inclusi, peraltro, anche quegli studenti-lavoratori che, avendo in giovane età interrotto il proprio percorso di studi presso una università tradizionale, lo hanno ripreso dopo anni iscrivendosi ad una università telematica). A tal riguardo, l’appellante evidenzia che il dato riportato dal T.A.R. a sostegno della “prevalenza competitiva delle università telematiche su quelle tradizionali”, ove ben inteso, dimostra semmai l’esatto contrario, visto che l’incremento percentuale del numero di iscritti alle università telematiche provenienti da un’università tradizionale sarebbe di appena il 4,5% in dieci anni (dal 2011 al 2021) ed è, a tutta evidenza, un aumento assolutamente modesto rispetto al trend di crescita esponenziale di iscritti agli atenei telematici. Il che, quindi, ancora una volta, confermerebbe come, in realtà, non vi sia alcuna interferenza tra l’offerta delle università tradizionali e delle università telematiche;
c) con un terzo ordine di censure, l’appellante contesta la sentenza appellata anche lì dove la stessa esclude qualsiasi disparità di trattamento tra le università telematiche (incise dal divieto generalizzato impugnato nel presente giudizio) e le università “tradizionali” private (per le quali residua comunque il potere del rettore di negare l’autorizzazione ove l’insegnamento espletato presso dette università possa comportare una situazione di conflitto di interesse). Tenuto conto, infatti, che anche le università private “tradizionali” hanno beneficiato di un sensibile incremento del numero degli iscritti, sarebbe irragionevole (oltre che lesivo del principio di proporzionalità) prevedere per gli insegnamenti da espletare presso le università telematiche un divieto generale e automatico, ed invece stabilire per gli insegnamenti presso le università tradizionali private un accertamento caso per caso della concreta esistenza di un conflitto di interesse (accertamento che – in ossequio al principio di proporzionalità – dovrebbe prevedersi, ad avviso dell’appellante, anche per le università telematiche, a fortiori se si considera che sono soprattutto le università tradizionali private, anziché quelle telematiche, ad intercettare fasce di studenti normalmente presenti nelle università tradizionali pubbliche);
d) con un quarto ordine di censure, infine, l’appellante contesta la sentenza appellata lì dove la stessa ritiene che le differenze sul piano economico, organizzativo e gestionale intercorrenti tra i due tipi di università rafforzerebbero la motivazione dell’atto impugnato (il quale si fonda sulla concorrenzialità asseritamente sleale tra le due tipologie di università). In proposito, l’appellante osserva che anche gli atenei telematici “sono stabilmente e strutturalmente impegnati nella ricerca e nel terzo settore. Basti pensare che l’Ateneo ricorrente ha stabilito collaborazioni e partnership con enti di ricerca, istituzioni, accademie e aziende di rilevanza nazionale e internazionale, promuovendo progetti congiunti di ricerca e didattica di alto livello”.
10. Con memoria di costituzione depositata in data 21 marzo 2025, l’Università di Padova ha innanzitutto riproposto le eccezioni in rito che non sono state scrutinate dal giudice di primo grado, in ossequio a quanto previsto dall’art. 101, co. 2, c.p.a.
In particolare, l’Università di Padova:
a) ha reiterato l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per asserito difetto di legittimazione ad agire dell’Universitas Mercatorum. L’Università di Padova sostiene, infatti, che l’atto impugnato lederebbe direttamente un interesse del corpo docenti (e non delle università telematiche) sicchè l’università telematica appellante sarebbe priva di legittimazione. In tal senso, l’Università di Padova rileva come tale eccezione sia stata accolta dal giudice di primo grado soltanto in parte, e cioè con esclusivo riguardo alla doglianza con cui l’Universitas Mercatorum si doleva della violazione della libertà di insegnamento di cui all’art. 23 della legge n. 240 del 2010 (Legge Gelmini). Sennonchè, ad avviso dell’Università di Padova questo profilo in rito vizierebbe l’intero gravame originario, e non soltanto una delle censure in esso contenute (cfr. pagg. 5 e 6 della memoria di costituzione dell’Università di Padova del 21 marzo 2025);
b) ha reiterato l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse ad agire. Ed infatti, sostiene l’appellata che “l’impugnativa poggia su una prospettiva puramente ipotetica e decontestualizzata rispetto a Unipd o alla specifica posizione del suo corpo docente o di un suo specifico docente, ed è ben lungi dal prospettare quale obiettiva e diretta utilità le deriverebbe dall’annullamento della delibera impugnata. L’interesse al ricorso viene affermato in ragione del fatto che la delibera di Unipd potrebbe (ipoteticamente, quindi) rappresentare «un precedente pericoloso» nonché mediante generici richiami ad asseriti pregiudizi, non altrimenti precisati, che Unimercatorum verrebbe a subire nella (altrettanto indefinita) programmazione, organizzazione e offerta formativa «dei prossimi anni accademici» (che, dalla delibera di Unipd, verrebbe, incredibilmente, «minata irreversibilmente»)” (cfr. pag. 7 della memoria di costituzione dell’Università di Padova del 21 marzo 2025);
c) ha reiterato l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse ad agire “anche sotto un ulteriore profilo, poggiante sull’art. 6, commi 10 e 12, della l. n. 240/2010”; ciò in quanto sarebbe “preclaro che il potere del Rettore (nel caso di Unipd, Magnifico Rettore, che è titolo spettante solo ai reggenti di Atenei fondati prima del XVI secolo) di denegare le autorizzazioni – che è un potere direttamente attribuito dalla legge – sopravviverebbe all’eventuale annullamento della delibera impugnata, la quale non fa altro che individuare, come previsto dal regolamento di Unipd, una tipologia di incarichi esterni che essa ritiene a priori non autorizzabili perché tali da concretizzare un potenziale conflitto di interessi con l’Ateneo patavino. Ne consegue che l’annullamento della delibera impugnata sarebbe strutturalmente privo dell’attitudine a produrre alcun concreto effetto utile favorevole a Unimercatorum, perché ad essa sopravviverebbe il potere, attribuito dalla legge al Rettore, di denegare le autorizzazioni. Ciò si rileva, naturalmente, nella denegata ipotesi in cui si potesse ritenere che l’interesse che Unimercatorum fa valere in giudizio – che è interesse a sostenere la sua offerta formativa con docenti strutturati di Unipd – si presti a essere riconosciuto come interesse meritevole di protezione giurisdizionale” (cfr. pag. 9 della memoria di costituzione dell’Università di Padova del 21 marzo 2025);
d) ha inoltre reiterato “l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché proposto a contestazione dell’esercizio dell’autodichia che ad essa spetta ex art. 33, comma 6, Cost., e che per definizione è densamente connotata da discrezionalità amministrativa. Certamente la delibera impugnata non ha travalicato gli argini di manifesta illogicità o arbitrarietà che abilitano il Giudice a sindacarne l’esercizio, essendosi Unipd limitata a irregimentare le dinamiche di un fenomeno concorrenziale, secondo le coordinate della scienza in materia” (cfr. ancora pag. 9 della memoria di costituzione dell’Università di Padova del 21 marzo 2025).
Per il resto l’Università di Padova ha insistito anche per la reiezione nel merito della domanda annullatoria proposta dall’Universitas Mercatorum.
11. Si sono costituite nel giudizio di appello anche le università telematiche Pegaso s.r.l. e San Raffaele Roma s.r.l. (entrambe intervenenti ad adiuvandum nel giudizio di primo grado) al fine di aderire alle ragioni di doglianza articolate con l’atto di appello.
12. All’esito della camera di consiglio calendarizzata in data 25 marzo 2025 per la trattazione dell’istanza cautelare, il Collegio ha respinto la domanda di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza ex art. 98 c.p.a. per assenza del periculum in mora e ha contestualmente onerato l’Università di Padova di procedere ad alcuni incombenti istruttori ex artt. 64 co. 4 e 65 co. 2 c.p.a. (in particolare a fornire: (i) “alcune informazioni supplementari circa l’esatta composizione soggettiva della platea di studenti che nell’anno accademico 2021/2022 – come risulta dal Rapporto ANVUR 2023 sul sistema della formazione superiore e della ricerca (cfr. doc. n. 4 depositato con l’appello) – sono transitati dalle università “tradizionali” alle università telematiche (platea che in base a detto Rapporto ammonta a 101.000 studenti, pari al 45,2% del totale degli studenti iscritti alle università telematiche nell’anno accademico 2021/2022)”; (ii) “l’indicazione (ove disponibile) dell’età-media degli studenti ricompresi nella suddetta percentuale del 45,2%, al fine di chiarire se (e in che misura) tale percentuale includa prevalentemente studenti-lavoratori che hanno da tempo cessato di frequentare le università “tradizionali” oppure, invece, studenti più giovani rientranti nel normale target delle università “tradizionali”).
13. L’Università di Padova ha assolto agli incombenti istruttori assegnati nei limiti della documentazione disponibile.
14. È poi seguito il deposito di documenti, memorie conclusionali e di replica nel rispetto dei termini di cui all’art. 73, co. 1, c.p.a.
15. All’udienza pubblica del 11 novembre 2025 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
DIRITTO
16. In limine litis, vanno innanzitutto scrutinate le eccezioni di inammissibilità del gravame sollevate dalla parte resistente.
17. Tali eccezioni vanno disattese, in quanto:
(i) l’atto amministrativo impugnato nella presente vicenda giudiziaria lede interessi di cui non è titolare soltanto il corpo docenti, bensì anche l’Universitas Mercatorum, posto che la delibera consiliare gravata impedisce ex ante all’appellante di esercitare il diritto – previsto dall’art. 23 della legge n. 240 del 2010 – di stipulare contratti di insegnamento con i professori dell’Università di Padova, in ciò ravvisandosi, pertanto, una lesione diretta ed immediata di una situazione giuridica soggettiva immediatamente riconducibile all’università appellante;
(ii) quanto precede basta a respingere, inoltre, anche l’eccezione secondo cui l’odierna impugnativa sarebbe basata su una prospettiva di pregiudizio meramente “ipotetica e decontestualizzata”; ed infatti, la circostanza che in passato l’Universitas Mercatorum non si sia avvalsa della collaborazione di docenti provenienti dall’Università di Padova, non significa affatto che l’atto impugnato sia privo di una sua lesività. Basti osservare, al riguardo, che l’atto impugnato conculca un diritto pienamente appartenente alla sfera giuridica dell’Universitas Mercatorum, un diritto quindi già di per sé concreto e attuale (con la precisazione che l’attualità del diritto va valutata in relazione alla sua effettiva esistenza sul piano giuridico, e non alla frequenza statistica con cui esso è stato esercitato in passato, non potendosi escludere che tale diritto venga esercitato in futuro);
(iii) la perdurante facoltà del rettore dell’Università di Padova di negare al singolo docente (sulla base di una valutazione caso per caso) l’autorizzazione all’insegnamento presso un’università telematica ai sensi dell’art. 6, commi 10 e 11, della legge n. 240 del 2010, non basta certamente ad escludere il persistente interesse dell’appellante all’annullamento della delibera consiliare ora impugnata; tale delibera prevede, infatti, un automatismo inibitorio in forza del quale nessun incarico di insegnamento presso università telematiche può mai essere autorizzato (irrilevanti essendo, quindi, le peculiarità di ogni singolo caso concreto), sicché viene introdotto un regime amministrativo nettamente più sfavorevole rispetto a quello previsto dall’art. 6, commi 10 e 11, della legge n. 240 del 2010 (in base al quale l’incarico di insegnamento presso un’università telematica può essere autorizzato, laddove il rettore rilevi – in base ad una valutazione caso per caso – che esso non comporta alcuna concreta situazione di conflitto di interessi);
(iv) l’odierna impugnativa non implica alcun inammissibile sconfinamento nella valutazione di merito dell’azione amministrativa di un’istituzione universitaria, né alcuna violazione dell’autonomia organizzativa garantita alle università dall’art. 33, co. 6, Cost., posto che le doglianze della parte appellante – lungi dall’impingere il merito amministrativo – investono invece lo spazio di discrezionalità amministrativa che l’Università di Padova ha esercitato con la delibera impugnata; come emerge chiaramente dagli atti, infatti, il thema decidendum consiste nella conformità (o meno) di tale atto di esercizio della discrezionalità amministrativa con i vincoli di legge dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010 e con il principio di proporzionalità, il che rientra pleno iure nell’alveo della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
Ne discende, pertanto, che l’impugnativa provvedimentale da cui scaturisce il presente giudizio è senz’altro ammissibile.
18. Tanto chiarito, si può a questo punto scrutinare il merito dell’appello.
19. Attesa la stretta connessione esistente tra i primi due ordini di censure sopra esposti, il Collegio ritiene opportuno procedere ad una trattazione contestuale degli stessi.
In estrema sintesi, con i primi due ordini di censura l’Universitas Mercatorum si duole del fatto che la delibera impugnata – lì dove prevede un divieto generalizzato e astratto (per l’intero corpo docenti dell’Università di Padova) di svolgere attività di insegnamento per conto di università private telematiche – vìola apertamente:
(i) sia il dettato normativo dell’art. 6, co. 10-bis, della legge n. 240 del 1990, il quale prevede un regime di libertà di svolgimento – previa autorizzazione del rettore – di altri incarichi (anche di insegnamento per altri atenei) senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici o privati anche a scopo di lucro, purché siano svolti in regime di indipendenza, non comportino l’assunzione di poteri esecutivi individuali, non determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza e comunque non comportino detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate;
(ii) sia il principio di proporzionalità, atteso che lo stesso obiettivo perseguito dall’Università di Padova (id est quello di evitare che i propri professori possano svolgere un’attività didattica parallela concretamente pregiudizievole per gli interessi dell’ateneo di appartenenza) avrebbe potuto perseguirsi con il regime autorizzatorio “caso per caso” contemplato direttamente dalla legge.
A conferma di quanto precede, l’appellante sottolinea che i dati statistici risultanti dal rapporto ANVUR non forniscono alcuna evidenza di un concreto pregiudizio (per gli interessi delle università tradizionali) che possa giustificare l’adozione di un divieto generalizzato e automatico.
20. Le censure sono fondate.
21. Il punto dirimente della presente controversia è il significato da assegnare alla nozione di “conflitto di interesse” su cui si regge l’intero regime legale delle cause di incompatibilità dei professori universitari (cfr. art. 6 della legge n. 240 del 2010).
Di tale nozione sono possibili, in linea di principio, due diverse letture.
Una prima lettura è quella secondo la quale il conflitto di interesse che osta allo svolgimento di un’attività di insegnamento soggetta ad autorizzazione può essere un conflitto anche soltanto potenziale.
Una seconda lettura è, invece, quella secondo la quale il conflitto di interesse deve essere necessariamente attuale.
Ove si aderisse alla prima lettura, la delibera consiliare impugnata nel presente giudizio sarebbe legittima.
Se si aderisse, invece, alla seconda lettura, tale delibera disvelerebbe invece un evidente vizio di legittimità per tutte le ragioni più avanti esposte.
Orbene, in base all’esame delle disposizioni dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010 (“stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo”), appare chiaro che il legislatore ha accolto una nozione di conflitto di interesse in senso esclusivamente attuale (e non meramente potenziale).
Ed infatti:
(i) il comma 10 dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010 prevede che “i professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”;
(ii) il comma 10 bis dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010 prevede, poi, che “i professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì assumere, previa autorizzazione del rettore, incarichi senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici o privati anche a scopo di lucro, purché siano svolti in regime di indipendenza, non comportino l’assunzione di poteri esecutivi individuali, non determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza e comunque non comportino detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”.
Quando il legislatore fa riferimento al “conflitto di interesse” nella materia de qua, quindi, egli chiarisce sempre ciò che non può “comunque” mancare ai fini della delineazione del conflitto, e cioè un “detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali” dell’università di appartenenza.
Ne emerge, quindi, ai fini che qui rilevano, una fattispecie di conflitto di interesse che non può mai essere disgiunta dalle sue concrete esternalità negative.
Il conflitto c’è se – ed in quanto – l’assunzione dell’incarico esterno provochi un detrimento concreto e attuale per l’ateneo di appartenenza.
La delibera impugnata entra in frizione con questo assetto deontico voluto dal legislatore, in quanto stabilisce ex ante – a prescindere da qualsiasi concreta valutazione (caso per caso) dell’effettivo detrimento procurato all’attività didattica – che l’attività di insegnamento svolta per università telematiche sia sempre e comunque in conflitto di interessi.
In breve, la delibera impugnata adotta una nozione di conflitto di interesse di tipo potenziale che contrasta con la nozione di tipo attuale assunta invece dal legislatore.
22. Né è stato dimostrato che la concorrenza delle università telematiche stia attualmente cagionando all’Università di Padova (e più in generale alle università pubbliche tradizionali) un concreto pregiudizio su larga scala che giustifichi il divieto generalizzato ora impugnato.
I dati acquisiti in sede istruttoria attestano, infatti, che non c’è stato alcun significativo “transito” di studenti dall’Università di Padova alle università telematiche e che la “popolazione” studentesca delle università telematiche è prevalentemente composta da studenti-lavoratori, sicché il target di studenti delle due tipologie di università (tradizionali e telematiche) è radicalmente diverso.
In particolare:
(i) è emerso che soltanto il 38,1% degli studenti iscritti a una Università telematica ha un’età ricompresa fra i 17 e i 26 anni, sicché le Università telematiche attraggono principalmente studenti più adulti (ben il 61,9% ha un’età superiore ai 26 anni), i quali ricercano modalità per conciliare le esigenze di studio con le esigenze lavorative e familiari;
(ii) il numero degli studenti transitati dall’Università di Padova alle università telematiche negli anni accademici 2021-2022, 2022-2023, 2023-2024 e 2024-2025, è sempre stato piuttosto esiguo: 19 studenti nell’a.a. 2021-2022, 22 studenti nell’a.a. 2022/23, 17 studenti nell’a.a. 2023/24; soltanto 7 studenti nell’a.a. 2024/25; si tratta, pertanto, di un fisiologico fenomeno di mobilità studentesca tra un ateneo ed un altro, rispetto al quale non si ravvisa alcuna patologica forma di free riding o concorrenza sleale.
A ciò si aggiunga che la stessa Università di Padova – nell’affermare nel presente giudizio che “i dati a disposizione confermano la dinamica concorrenziale esaminata nel rapporto A.n.v.u.r. 2023” – dichiara poi che “i numeri (ad oggi) esigui dei trasferimenti dei propri ex-studenti non sono che la prova del fatto che Unipd riesce a rimanere attrattiva per i propri studenti in forza dei propri investimenti sul piano organizzativo e, specialmente, nel reclutamento e nella formazione di un corpo docente di eccellenza” (cfr. pag. 2 della memoria depositata in data 10 ottobre 2025).
Emerge un quadro, quindi, nel quale il numero dei “transiti” di studenti dall’Università di Padova alle università telematiche – per stessa ammissione della parte appellata – è ancora molto esiguo, ciò che esclude che sia in atto una pericolosa dinamica concorrenziale da arginare attraverso un divieto automatico e generalizzato.
Ciò non esclude ovviamente il rischio che tale dinamica possa innescarsi in futuro, ma è evidente che il regime autorizzatorio (basato su atti di nulla osta rilasciati di volta in volta in considerazione peculiarità del caso concreto) è perfettamente idoneo a governare e presidiare eventuali fenomeni di free riding.
23. Per tutto quanto sopra esposto, pertanto, la delibera impugnata risulta inficiata sia da un vizio di violazione di legge (cfr. art. 6 della legge n. 240 del 2010) sia da un vizio di eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità.
La natura assorbente e dirimente dei vizi riscontrati consente di prescindere dallo scrutinio dei residui ordini di censure sollevati dalla parte appellante (id est le doglianze basate su una supposta disparità di trattamento tra le università private telematiche e le università private “tradizionali”, nonché sul comune livello di oneri organizzativi ed economici delle università tradizionali e delle università telematiche).
Ne discende che l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va annullata la delibera dell’adunanza del consiglio di amministrazione dell’Università degli Studi di Padova n. 10 del 26 settembre 2023, nella parte in cui la stessa ha stabilito – in attuazione dell’art. 3 del Regolamento Incarichi – che l’assunzione di incarichi di insegnamento presso le università telematiche costituisce sempre un’“attività concorrenziale con l’Università di Padova” (come tale vietata).
24. Per quel che concerne il governo delle spese di lite dei due gradi di giudizio, il Collegio ravvisa giustificati motivi per disporne la compensazione, tenuto conto della peculiarità e novità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto dispone – in riforma della sentenza appellata – l’annullamento della delibera del consiglio di amministrazione dell’Università degli Studi di Padova n. 10 del 26 settembre 2023, nei sensi e termini indicati in parte motiva.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2025 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere, Estensore
Pubblicato il 26 novembre 2025

