L’art. 10, comma 5, terzo periodo, Legge 240/2010 si applica allorquando non vi sia alcun procedimento penale relativo ai fatti per cui si procede sul piano disciplinare, nonché qualora l’Amministrazione ritenga di procedere nonostante la pendenza di un procedimento penale vertente, in tutti o in parte, sugli stessi fatti, e che, dall’altro lato, sia sempre contemplata la possibilità, ove ritenuta necessaria per esigenze istruttorie, di sospendere il procedimento disciplinare sino all’esito di quello penale, fermo restando tuttavia il limite temporale di cui all’art. 9, comma 2, terzo periodo, Legge 19/1990.
TAR Lazio, Sez. III-ter, 9 dicembre 2025, n. 22173
La sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale è possibile in forza dell’art. 9, comma 2, Legge 19/1990 anche nei procedimenti a carico di professori e ricercatori universitari
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4888 del 2025, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università Cattolica del Sacro Cuore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS e OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
del provvedimento di destituzione adottato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in data 29 gennaio 2025, notificato a -OMISSIS-o tramite PEC il 19 febbraio 2025;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2025 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I.1. Il dott. -OMISSIS-, Ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (SSD MED/11 – Malattie apparato cardiovascolare), all’inizio del 2020 è stato attinto da un provvedimento cautelare restrittivo della libertà personale nell’ambito di un procedimento penale in materia di criminalità organizzata.
Avendo appreso ciò dai mezzi di informazione, l’Ateneo di appartenenza ha dapprima (con D.R. n. -OMISSIS- del 15 gennaio 2020) provveduto a sospenderlo cautelativamente dallo stipendio e dal servizio – con riconoscimento di un assegno alimentare pari al venti per cento della retribuzione annua – e ha poi (con note del Rettore nn. -OMISSIS- del 10 febbraio 2020, indirizzata l’una al Collegio di Disciplina e l’altra all’interessato) avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti, reputando che le condotte contestate potessero integrare la violazione degli artt. 10 dello Statuto e 24 del Codice Etico e dar luogo alla sanzione della destituzione.
Il Collegio di Disciplina, nella seduta del 5 marzo 2020, ritenuto necessario attendere gli sviluppi del procedimento penale per potersi pronunciare sugli addebiti disciplinari, ha proposto di sospendere il procedimento disciplinare sino alla sentenza definitiva; il Senato Accademico (nell’adunanza del 6 aprile 2020) ha condiviso tale proposta e il Consiglio di Amministrazione (nelle adunanze del 22 aprile 2020 e del 27 maggio 2020) ha provveduto in conformità.
All’esito del giudizio di primo grado, il dott. -OMISSIS- è stato condannato dal Tribunale di Crotone (udienza del 2 maggio 2022) alla pena di otto anni e sei mesi di reclusione per il delitto previsto e punito dall’art. 416-bis cod. pen. (associazione di tipo mafioso).
La Corte d’Appello di Catanzaro (udienza del 18 marzo 2024), in parziale riforma della decisione di prime cure, lo ha assolto per un capo di imputazione e, riqualificatone un altro nel reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. (concorso c.d. esterno nell’associazione di tipo mafioso), lo ha condannato alla pena di sette anni e quattro mesi di reclusione.
Dopo aver rigettato alcune istanze volte ad ottenere una maggiorazione dell’assegno alimentare (dal venti al cinquanta per cento dello stipendio), il Consiglio di Amministrazione, nell’adunanza del 26 settembre 2024, ha deliberato la prosecuzione del procedimento disciplinare, alla luce dell’imminente scadenza del termine quinquennale contemplato dall’art. 9 L. 19/1990.
Il Rettore, con note prot. -OMISSIS- del 12 novembre 2024 (indirizzate, nuovamente l’una al Collegio di Disciplina e l’altra al dott. -OMISSIS-), ha conseguentemente dato nuovo impulso al procedimento disciplinare.
Il Collegio di Disciplina, in data 21 novembre 2024, ha dunque invitato il dott. -OMISSIS- a presentarsi (tramite collegamento da remoto) per la data del 5 dicembre 2024.
Quest’ultimo ha sollecitato un differimento della seduta nell’attesa del deposito delle motivazioni della pronuncia d’appello, nonché rappresentando la sua impossibilità di collegarsi in ragione del suo stato di custodia cautelare agli arresti domiciliare (con annesso di divieto di intrattenere contatti con persone diverse da quelle con lui conviventi e con il difensore).
Il Collegio di Disciplina, ritenuto necessario concludere il procedimento e preso atto che il diritto di difesa avrebbe potuto comunque essere esercitato tramite la presentazione di memorie (facoltà di cui il dott. -OMISSIS- non aveva inteso avvalersi), ha formulato parere nel senso dell’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione.
Detto parere è stato condiviso dal Senato Accademico nell’adunanza del 20 gennaio 2025 e dal Consiglio di Amministrazione nell’adunanza del 29 gennaio 2025.
Con D.R. n. -OMISSIS- emesso in pari data (e comunicato all’interessato il 19 febbraio 2025), al dott. -OMISSIS- è stata irrogata la sanzione disciplinare della destituzione.
I.1.1. Con ricorso notificato il 15 aprile 2025 e depositato il 17 aprile 2025, il dott. -OMISSIS- ha impugnato in questa Sede il richiamato provvedimento disciplinare, affidandosi ai seguenti motivi di censura:
– «1.- VIOLAZIONE DELL’ART. 10, COMMA 2 DELLA L. 30.12.2010 N. 240 IN RELAZIONE ALL’ART. 7 DELLA L. 241/1990 E DELL’ART. 3 DEL D.R. N. 1100 DEL 17.07.2014 E/O DELL’ART. 3 DEL D.R. N. 7658 DEL 01.07.2021 NONCHÉ DELL’ART. 9 DELLA L. 19/1990; ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI IN TEMA DI PROCEDIMENTO DISCIPLINARE, PER ILLOGICITÀ E CONTRADDITTORIETÀ E TRAVISAMENTO»: con tale motivo il ricorrente sostiene che il procedimento disciplinare sarebbe radicalmente viziato sotto i seguenti diversi profili:
— omessa notifica del suo avviso di inizio;
— omessa formulazione di una proposta da parte del Rettore al Collegio di Disciplina;
— mancato rispetto del termine perentorio di centottanta giorni fra il suo inizio e la sua conclusione.
– «2.- VIOLAZIONE DELL’ART. 10, COMMA 2 DELLA L. 30.12.2010 N. 240 IN RELAZIONE ALL’ART. 3 DEL D.R. N. 1100 DEL 17.07.2014 E/O DELL’ART. 3 DEL D.R. N. 7658 DEL 01.07.2021 NONCHÉ DEGLI ARTT. 3 E 7 DELLA L. 241/1990; ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI IN TEMA DI PROCEDIMENTO DISCIPLINARE; ILLOGICITÀ E CONTRADDITTORIETÀ NONCHÉ TRAVISAMENTO E DIFETTO DI MOTIVAZIONE; OMESSA ISTRUTTORIA; VIOLAZIONE DELL’ART. 9 DELLA L. 19/1990»: con quest’ulteriore motivo, parte ricorrente lamenta che:
— la contestazione disciplinare sarebbe stata illegittimamente generica e non circostanziata (in ordine sia ai fatti commessi sia alle norme violate);
— il suo diritto di difesa sarebbe stato violato per non avergli consentito di comparire innanzi al Collegio di disciplina;
— non sarebbe in ogni caso sussistente l’illecito disciplinare, stante la non definitività della condanna penale e l’esito del giudizio d’appello, che aveva comunque rivisto in senso migliorativo la sua posizione processuale;
– «3.- VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 87 E 89 R.D. 31 AGOSTO 1933, N. 1592 IN RELAZIONE ALL’ART. 10, COMMA 2, DELLA L. 240/2010 E DELL’ART. 3 DEL D.R. N. 1100 DEL 17.07.2014 E/O DELL’ART. 3 DEL D.R. N. 7658 DEL 01.07.2021 ANCHE IN RELAZIONE ALL’ART. 3 DELLA L. 241/1990; TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI; DIFETTO DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ; ECCESSO DI POTERE; OMESSA ISTRUTTORIA»: da ultimo, il ricorrente si duole dell’assenza di antigiuridicità e colpevolezza della condotta, nonché della sproporzione della sanzione irrogata.
I.1.1.1. Parte ricorrente ha avanzato altresì istanza cautelare.
I.2. L’Ateneo intimato si è costituito in giudizio al fine di resistere al ricorso, depositando documentazione e memoria con cui è stato, in particolare, dedotto che l’avviso di inizio del procedimento disciplinare sarebbe stato notificato al ricorrente; è stata altresì diffusamente contestata la fondatezza del gravame, di cui è stato perciò invocato il rigetto.
I.2.1. Il dott. -OMISSIS- ha depositato una memoria con cui ha lamentato che la suddetta notifica sarebbe stata illegittimamente effettuata presso il suo indirizzo di residenza anziché presso la casa circondariale presso cui era al tempo ristretto in regime di custodia cautelare, il che gli avrebbe impedito di averne conoscenza; ha in ogni caso insistito per l’accoglimento del ricorso o almeno per la concessione di misure cautelare.
I.3. Alla camera di consiglio del 14 maggio 2025, fissata per la trattazione della domanda di tutela cautelare, parte ricorrente vi ha infine rinunciato per un abbinamento al merito.
I.4. Fissata, a seguito di ciò, l’udienza di discussione, l’Ateneo ha depositato documentazione atta a provare la definitività della condanna del dott. -OMISSIS- all’esito del giudizio di legittimità nonché una memoria con cui ha ulteriormente argomentato in ordine all’infondatezza del ricorso, del quale ha altresì eccepito l’improcedibilità per avere il ricorrente omesso di impugnare il provvedimento con cui gli è stata riconosciuta l’indennità di buonuscita a seguito della destituzione (dal che deriverebbe l’acquiescenza alla medesima).
I.4.1. Parte ricorrente ha depositato una replica con cui ha controdedotto alla predetta eccezione di rito e insistito sulla fondatezza della proposta impugnazione.
I.5. All’udienza pubblica del 29 ottobre 2025, il ricorso è stato discusso e spedito in decisione.
DIRITTO
II.1. Il Collegio reputa il ricorso destituito di giuridico fondamento e, pertanto, da respingere (il che consente di prescindere dall’eccezione di improcedibilità formulata dall’Ateneo).
II.2. Il primo motivo è infondato sotto tutti i profili in cui si articola.
II.2.1. Risulta ex actis che l’avviso di inizio del procedimento disciplinare è stato notificato al ricorrente presso il suo indirizzo di residenza (cfr. doc. 6 Ateneo), sicché non sussiste la denunziata violazione procedimentale dell’omessa notifica del richiamato atto di impulso.
II.2.1.1. Al riguardo, il ricorrente obietta che tale notifica non sarebbe valida, poiché al tempo in cui fu effettuata egli si trovava ristretto in carcere.
Tale obiezione non può essere condivisa giacché, «in tema di notificazione al detenuto, a differenza di quanto previsto dal codice di procedura penale, manca nel codice di rito civile una disciplina ad hoc, dovendosi pertanto applicare le regole ordinarie» (Cass. civ., Sez. III, ord. 28 aprile 2025, n. 11210) e costituisce jus receptum che le regole sulle notificazioni poste dal codice di procedura civile si applichino anche alla notifica degli atti del procedimento amministrativo (cfr., ad esempio, art. 21-bis L. 241/1990).
La contestata notificazione è stata perciò validamente ed efficacemente eseguita presso l’indirizzo di residenza del ricorrente.
Una volta che l’atto sia legalmente entrato nella sfera di conoscibilità dell’interessato, l’effettiva conoscenza non assume rilevanza giuridica in quanto, anche qualora mancasse, ciò sarebbe a lui oggettivamente imputabile.
II.2.2. La doglianza in esame non è fondata neppure laddove denunzia che il Rettore, nell’avviare il procedimento, avrebbe omesso di formulare una proposta alla Collegio di disciplina (come richiesto dall’art. 10, comma 2, L. 240/2010).
L’assunto è documentalmente smentito: il Rettore, dopo aver dato atto che, «come reso noto dagli organi di stampa il Dott. -OMISSIS-, in data 15 gennaio 2020, è stato accusato di associazione mafiosa e tratto in arresto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sulle presunte ingerenze di cosca di ‘ndrangheta “Grande Aracri” sulle attività del Comune di Cutro» e che «stante la rilevanza delle condotte riconducibili al Dott. -OMISSIS-, dalle quali discenderebbe sia il venir meno del rapporto di fiducia posto a fondamento del vincolo di lavoro che la violazione dei principi comuni di comportamento di cui agli artt. 10 dello Statuto e 24 del Codice etico dell’Università Cattolica […]» ha espressamente «propo[st]o di adottare nei confronti dello stesso la sanzione della destituzione da ogni tipologia di incarico presso l’Università Cattolica» (cfr. doc. 5 Ateneo).
II.2.3. Infine, il motivo non è suscettibile di condivisione nemmeno nella parte in cui lamenta la violazione del termine perentorio di centottanta giorni (fra l’avvio del procedimento disciplinare e la sua conclusione) di cui all’art. 10, comma 5, L. 240/2010.
La sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale è sempre possibile in forza dell’art. 9, comma 2, L. 19/1990 e, perciò, legittimamente l’Ateneo l’ha disposta (giustificandola per il fatto che il Collegio di disciplina ha ritenuto «di non disporre, a oggi, di elementi sufficienti a pronunciarsi sul merito dell’incolpazione, né dei tempi […] o dei poteri necessari e sufficienti a svolgere un autonomo approfondimento istruttorio»: v. doc. 8 Ateneo).
II.2.3.1. La contraria tesi del ricorrente postula (invero non espressamente, ma necessariamente) che nei procedimenti disciplinari a carico di Professori e Ricercatori universitari non sarebbe applicabile la menzionata ipotesi di sospensione, poiché esclusa dal richiamato art. 10, comma 5, L. 240/2010.
Una siffatta prospettazione non può essere condivisa, in quanto essa non si concilia con il dato normativo globalmente considerato: deve difatti ritenersi che, da un lato, l’art. 10, comma 5, terzo periodo, L. 240/2010 si applichi allorquando non vi sia alcun procedimento penale relativo ai fatti per cui si procede sul piano disciplinare, nonché qualora l’Amministrazione ritenga di procedere nonostante la pendenza di un procedimento penale vertente, in tutti o in parte, sugli stessi fatti, e che, dall’altro lato, sia sempre contemplata la possibilità, ove ritenuta necessaria per esigenze istruttorie, di sospendere il procedimento disciplinare sino all’esito di quello penale, fermo restando tuttavia il limite temporale di cui all’art. 9, comma 2, terzo periodo, L. 19/1990.
II.2.3.1.1. Alla luce di quanto da ultimo rilevato, non inficia la legittimità dell’operato dell’Amministrazione il fatto che il procedimento disciplinare sia stato riavviato per evitare che il quinquennio decorresse senza che tale procedimento fosse stato concluso: dal momento che la legge stabilisce un termine oltre il quale la sospensione non può protarsi, era doveroso (e non illegittimo) da parte dell’Ateneo evitare che tale termine spirasse senza aver definito il procedimento.
Né assume alcuna rilevanza che la prosecuzione sia stata “occasionata” da un’istanza del ricorrente (volta ad ottenere una maggiore percentuale dell’assegno alimentare in godimento), trattandosi di un’iniziativa che l’Ateneo ha comunque legittimamente (se non doverosamente) intrapreso.
II.3. Il secondo motivo è anch’esso infondato nel suo complesso.
II.3.1. Come evidenziato anche dalla Difesa dell’Ateneo, «la contestazione disciplinare deve contenere le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, la condotta addebitata, con la precisazione che “l’accertamento relativo al requisito della specificità […] va condotto considerando che in sede disciplinare la contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale né si ispira ad uno schema precostituito, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano il rapporto esistente fra le parti, sicché ciò che rileva è l’idoneità dell’atto a soddisfare l’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa” (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. L, 19 marzo 2024, n. 7272, ma v. anche, in questo senso, Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 2021, n. 560)» (in questi termini Cons. Stato, Sez. VII, 5 novembre 2024, n. 8823).
Non risulta perciò suscettibile di positivo apprezzamento la doglianza relativa alla genericità della contestazione, dato che il Rettore, dopo aver richiamato il fatto che il ricorrente era «stato trattato in arresto con l’accusa di associazione mafiosa in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro, nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sulle presunte ingerenze della cosca di ‘ndrangheta “Grande Aracri” sulle attività del Comune di Cutro», ha «formalmente contestat[o]» tali «condotte […] ascritte» allo stesso ricorrente (cfr. doc. 6 Ateneo): il richiamo delle condotte ascritte in sede penale è da reputarsi sufficientemente specifico ai fini della corretta instaurazione del procedimento disciplinare.
Così come è da ritenersi univocamente univoco, alla luce delle condotte contestate, il richiamo agli artt. 10 dello Statuto e 24 del Codice Etico dell’Università.
Il primo di tali articoli stabilisce difatti che «l’Università Cattolica è una comunità di docenti, studenti, personale amministrativo e tecnico, improntata al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e delle libertà personali e collettive, nonché ai principi della solidarietà» (comma 1) e che i docenti sono tenuti «al rispetto dei principi e dei contenuti del Codice etico dell’Università Cattolica» (comma 2-bis) nonché «al rispetto dei principi e dei contenuti del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni previsto dalle norme vigenti» (comma 3).
Il secondo articolo – applicabile anche in forza del primo – dispone che «nell’esercizio dei doveri istituzionali e delle cariche accademiche delle quali sia eventualmente investito, nell’uso delle risorse che gli siano state messe a disposizione e, più in generale, nello svolgimento delle relazioni con l’Ateneo, il docente osserva le disposizioni di legge, nonché quanto prescritto dallo Statuto, dal presente Codice e dai regolamenti dell’Università Cattolica» (comma 1).
Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, dal canto suo (richiamato dall’art. 10, comma 3, dello Statuto, e in virtù di esso quindi applicabile), prevede che «il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare» (art. 3, comma 1).
L’art. 1, comma 2, lett. e), del regolamento sulla procedura disciplinare applicabile ai docenti (richiamato dall’art. 24, comma 1, del Codice Etico, e in forza di esso dunque applicabile), stabilisce infine che «costituiscono infrazioni disciplinari: […] atti in genere che, comunque, ledano la dignità e il decoro della figura del docente e/o dell’Università Cattolica».
Il rispetto delle norme penali poste a presidio di interessi essenziali dello Stato e della Comunità (quali quelle volte a contrastare la criminalità organizzata) è inequivocabilmente imposto dalle disposizioni richiamate e la loro violazione rileva all’evidenza sul piano disciplinare.
II.3.1.1. Il Rettore, contrariamente, a quanto sostenuto dal ricorrente (pag. 12) non ha affermato che le condotte in questione «potrebbero» costituire un illecito disciplinare: l’utilizzo del condizionale non era da intendersi riferito alla rilevanza disciplinare delle condotte, bensì alla sussistenza di queste ultime.
Ciò risulta pienamente ragionevole dato che, per un verso, nel momento in cui è stata formulata la contestazione, delle condotte in questione l’Ateneo aveva preso conoscenza soltanto tramite gli organi stampa (con conseguente necessità di approfondimenti, che ha poi indotto a sospendere il procedimento in attesa degli sviluppi penali) e, per altro verso, in ogni caso il procedimento penale in tale momento era ancora alla fase delle indagini preliminari, con la conseguente possibilità che nelle successive fasi potesse emergere una estraneità ai fatti.
Non era stato, per contro, manifestato alcun dubbio sul fatto che le condotte sarebbero state disciplinarmente rilevanti qualora accertate.
II.3.2. La censura non è fondata neppure laddove si duole della violazione del diritto di difesa del ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare, per essergli stato impedito di comparire personalmente innanzi al Collegio di Disciplina in data 5 dicembre 2024.
È infatti dirimente rilevare che il ricorrente, a tal fine, avrebbe potuto richiedere al giudice – ex art. 284 cod. proc. pen. – l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura per il tempo necessario (e tale autorizzazione è dovuta qualora si tratti di esercitare il diritto di difesa: cfr. Cass. pen., Sez. V, 10 dicembre 2018-11 febbraio 2019, n. 6540).
Il fatto che il ricorrente non abbia inteso avvalersi di tale facoltà riconosciutagli dalla legge non può inficiare la legittimità del procedimento disciplinare, soprattutto a fronte delle obiettive esigenze di speditezza dovute all’approssimarsi dello scadere del quinquennio di cui all’art. 9, comma 2, terzo periodo, L. 19/1990.
II.3.3. La doglianza è altresì infondata nella parte in cui contesta la sussistenza dell’illecito disciplinare alla luce della non definitività della sentenza penale di secondo grado, nonché dell’andamento della vicenda processuale penale.
II.3.3.1. Sotto il primo profilo, va ribadito che il più volte richiamato art. 9 L. 19/1990 pone un contemperamento fra l’esigenza di attendere l’esito definitivo del giudizio penale e quella di non protrarre eccessivamente il procedimento disciplinare, sicché l’Amministrazione era tenuta (come ha fatto) a valutare autonomamente le risultanze penali.
D’altra parte, l’ordinamento conosce dei meccanismi di riapertura del procedimento disciplinare in caso di contrasto sopravvenuto con l’esito definitivo del giudizio penale (cfr., ad esempio, art. 55-ter, commi 2 e 3, d.lgs. 165/2001): la problematica, peraltro, non si pone nel caso di specie, dato che la sentenza d’appello è divenuta definitiva a seguito del pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione.
II.3.3.2. Sotto il secondo profilo va osservato che, ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare così come contestato, risulta radicalmente ininfluente il diverso titolo di reato (da associato a concorrente esterno), che rimane comunque di notevole disvalore, la riduzione di pena (da otto anni e sei mesi a sette anni e quattro mesi), che permane significativamente elevata.
D’altra parte, «la giurisprudenza amministrativa consolidata ritiene che nel giudizio impugnatorio di una sanzione disciplinare non possono essere sindacate, in quanto espressione di ampia discrezionalità, la valutazione dei fatti dei quali il dipendente è ritenuto responsabile ed il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate, non potendo il giudice amministrativo sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’Amministrazione, se non in presenza di gravi vizi del procedimento ovvero di palese travisamento dei fatti o evidente irragionevolezza» (Cons. Stato, Sez. VII, 15 gennaio 2024, n. 516).
I gravi vizi del procedimento sono stati esclusi nell’esame delle censure (e sottocensure) sin qui esaminate e non è ravvisabile alcun travisamento dei fatti o alcuna manifesta irragionevolezza.
II.4. Il terzo (ed ultimo) motivo è altresì privo di fondamento, poiché «con riferimento all’entità della sanzione in concreto irrogata, deve ricordarsi che, come già detto e secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la valutazione della gravità della condotta addebitata costituisce espressione di ampia discrezionalità amministrativa in via generale non sindacabile in sede di legittimità salvo che nelle ipotesi di eccesso di potere nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità o il travisamento dei fatti (cfr. ex multis e fra le più recenti, Cons. Stato, Sez. II, n. 4999/2022, 2594/2022, n. 948/2022 e n. 667/2022; Sez. IV, n. 2629/2021 e n. 235/2021; Sez. I, n. 613/2022 e n. 209/2022), circostanze queste che con ogni evidenza nella fattispecie non ricorrono» (così, condivisibilmente, Cons. Stato, Sez. II, 17 giugno 2024, n. 5434).
A fronte della oggettiva gravità delle condotte contestate, la proporzionalità della sanzione è da reputarsi all’evidenza sussistente (risultando, per converso, inadeguata la sanzione meno grave che avrebbe alternativamente potuto essere irrogata, vale a dire la sospensione sino ad un anno) e non assume alcuna rilevanza in senso contrario l’assenza di precedenti disciplinari.
II.4.1. L’antigiuridicità e la colpevolezza della condotta, infine, sono intrinsecamente sussistenti a fronte di un giudicato penale di condanna.
II.5. Conclusivamente, il ricorso dev’essere respinto alla luce dell’infondatezza delle censure che sono state proposte.
II.6. La regolamentazione delle spese di lite avviene in applicazione del criterio della soccombenza, con liquidazione nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente alla refusione, in favore dell’Ateneo resistente, delle spese di lite, che liquida in € 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge, se e nella misura in cui siano dovuti.
La presente sentenza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che ne darà comunicazione alle parti costituite.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2025 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente FF
OMISSIS, Referendario
OMISSIS, Referendario, Estensore
Pubblicato il 9 dicembre 2025

