TAR Lombardia (Milano), Sez. V, 9 dicembre 2025, n. 4037

Il collegio di disciplina può ritenere i fatti contestati meritevoli di una sanzione più grave rispetto a quella proposta dal Rettore

Data Documento: 2025-12-09
Autorità Emanante: TAR Lombardia
Area: Giurisprudenza
Massima

L’art. 10 Legge n. 240/2010 non solo non contempla un principio di reformatio in peius, ma, anzi, prevedendo espressamente che il collegio di disciplina esprima il parere sulla proposta avanzata dal Rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatto sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare, ammette che il collegio di disciplina possa ritenere i fatti contestati meritevoli di una sanzione più grave rispetto a quella proposta dal Rettore.

Contenuto sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1490 del 2025, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi di Pavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell’Università e della Ricerca, non costituito in giudizio;
nei confronti
Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
– del Decreto Rettorale rep. 608/2025 del 26.02.2025 con cui è stata decretata la destituzione del ricorrente “senza perdita del diritto a pensione o ad assegni e con decorrenza dalla data di repertoriazione del decreto”;
– della delibera del Consiglio di Amministrazione rep. n. 40/2025 del 25/02/2025 di adozione della sanzione della destituzione del ricorrente dal rapporto di impiego con l’Università degli Studi di Pavia e del parere ivi riportato espresso dal Collegio di Disciplina nella seduta del 17.02.2025, comunicati al ricorrente con raccomandata del 27.2.2025 e ricevuti il 3.3.2025, nonché di ogni altro atto ad essi presupposto, connesso e/o conseguente ed in particolare – in quanto occorra – del riavvio del procedimento disciplinare e contestuale contestazione di addebiti prot. 107318 del 13.6.2024 a firma del Rettore dell’Università di Pavia, del provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare del 4.7.2024 a firma del Rettore dell’Università di Pavia, del provvedimento di sospensione dal servizio del 24.12.2024 prot. 0244647 a firma del Rettore dell’Università di Pavia, della contestazione di addebiti prot. n. 51015 del 14.01.2025 a firma del Rettore dell’Università di Pavia inviata in pari data e ricevuta il 23.1.2025, della proposta di sanzione del Rettore del 23.1.2025 prot. n. 11270 inviata in pari data e ricevuta il 5.2.2025, della modifica della proposta di sanzione disciplinare intervenuta oralmente nel corso dell’audizione del ricorrente del 4.2.2025 di cui viene dato atto nel parere del Collegio di Disciplina del 17.2.2025, nonché, dell’art. 4 del D.R. n. 2206/2014, come modificato dal D.R. 1765/2016, nella parte in cui non prevede il termine di trenta giorni di cui all’art. 10, comma 2 della L. n. 240/2010 per la trasmissione degli atti al collegio di disciplina con la formulazione di motivata proposta.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università degli Studi di Pavia e di Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2025 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Rettore dell’Università degli Studi di Pavia che gli ha irrogato la sanzione della destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni.
2. A sostegno del ricorso, ha articolato due motivi.
2.1. Con il primo motivo vengono formulate tre censure:
– la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto i fatti alla base della destituzione sarebbero i medesimi del procedimento disciplinare avviato nel 2021 e archiviato nel 2022;
– il mancato rispetto del termine per l’avvio del procedimento, giacché la comunicazione degli atti al collegio di disciplina con la formulazione della motivata proposta di sanzione disciplinare ai sensi dell’art. 10 comma 2 della L. 240/2010 è datata 23.1.2025, ossia 72 giorni dopo la dichiarata presa di conoscenza dei fatti oggetto di procedimento disciplinare (e, comunque, anche volendo prendere come dies a quo la data della sentenza del GIP, ossia il 16.12.2024, 38 giorni dopo).
– la violazione dell’art. 117, DPR n. 3/1957, in quanto l’Università, pur essendo a conoscenza del procedimento penale, avrebbe riavviato il procedimento disciplinare; inoltre, le contestazioni mosse il 13 giugno 2024 e il 14 gennaio 2025 sarebbero generiche.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce:
– il difetto di motivazione del provvedimento sanzionatorio in ragione della sua modifica da “sanzione non inferiore a mesi dieci di sospensione dal servizio” alla inflitta destituzione;
– la sproporzione della sanzione in ragione dei comportamenti addebitati al prof.-OMISSIS-;
– l’insussistenza dei fatti oggetto di addebito.
3. Si sono costituite l’Università degli Studi di Pavia e la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, insistendo per il rigetto del ricorso; la Fondazione ha dedotto la propria estraneità al giudizio.
4. Con ordinanza n. 563/2025, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare.
5. Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3282/2025, ha accolto l’appello cautelare proposto dal Prof.-OMISSIS- ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito da parte di questo Tribunale.
6 In vista della trattazione del ricorso nel merito, le parti hanno svolto attività difensiva.
7. All’udienza pubblica del 1° dicembre 2025, a seguito della discussione tra le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo, in quanto parte ricorrente non ha impugnato atti, né censurato comportamenti, riconducibili alla suddetta Fondazione.
2. Nel merito, il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. Quanto alla dedotta violazione del principio del ne bis in idem, sul presupposto che i fatti alla base della destituzione sarebbero i medesimi del procedimento disciplinare avviato nel 2021 e archiviato nel 2022, si osserva quanto segue.
2.1.1. Per giurisprudenza consolidata, il principio del ne bis in idem vieta che un’identica condotta sia sanzionata più volte a seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 7 novembre 2018 n. 6281; Cass. civ., Sez. lav., 17 ottobre 2024, n. 26936).
Nel caso di specie, dopo la prima contestazione non si è verificata una consumazione del potere disciplinare, in quanto l’Università non applicato alcuna sanzione, essendo stato il procedimento archiviato in fase procedimentale. Tale circostanza impedisce di per sé la qualificazione della riedizione del procedimento disciplinare in termini di violazione del principio del ne bis in idem (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 luglio 2025, n. 6097).
2.1.2. In ogni caso, l’archiviazione nel 2022 del primo procedimento disciplinare, fondata sul rilievo del collegio di disciplina che le attività istruttorie non avessero consentito di raccogliere denunce circostanziate da parte di soggetti di identità nota, non precludeva la riapertura del procedimento. Invero, gli elementi alla base della contestazione del 2021 e di quella del 2024 sono senz’altro diversi: la prima aveva ad oggetto segnalazioni in questionari anonimi; la seconda, denunce su episodi specifici e circostanziati, contenuti nelle dichiarazioni rese alla competente Procura. Anche sotto tale profilo, pertanto, non si ravvisa alcuna violazione del ne bis in idem.
2.2. La censura relativa al mancato rispetto del termine per l’avvio del procedimento è parimenti destituita di fondamento.
Al riguardo, deve osservarsi che, dalla documentazione versata in giudizio, risulta che l’Ateneo, dopo aver avuto notizia, da un articolo su un quotidiano locale del 1° giugno 2024, di fatti potenzialmente rilevanti sul piano disciplinare (oltre che penale), ha tempestivamente avviato il procedimento con la missiva del 13 giugno 2024 (Doc. 5 di parte ricorrente).
La raccomandata A/R del 14 gennaio 2025 (Doc. 8 del ricorrente), non costituisce la comunicazione di avvio del procedimento, bensì è finalizzata ad integrare la contestazione di addebiti del 13 giugno 2024, sulla base degli elementi tratti a seguito dell’accesso agli atti del procedimento penale. Ed infatti, la suddetta raccomandata del gennaio 2025 riporta testualmente le deposizioni agli atti del processo penale, volte a circostanziare le condotte del Prof.-OMISSIS- di possibile rilevanza disciplinare.
Ne consegue che, per effetto della contestazione del 13 giugno 2024, l’Università ha rispettato nel caso di specie il termine di trenta giorni previsto dall’art. 10, comma 2, L. n. 240/2010.
2.3. In merito alla lamentata violazione dell’art. 117, DPR n. 3/1957, deve osservarsi quanto segue.
Anzitutto, come dedotto dall’Ateneo resistente (e risultante dall’atto di contestazione del 13 giugno 2024), dalla lettura dell’articolo di stampa del 1° giugno 2024 l’Università ha potuto ragionevolmente dedurre che il prof.-OMISSIS- fosse implicato nelle vicende denunciate, il che era sufficiente per l’apertura del procedimento disciplinare.
L’organo procedente non poteva invece conoscere con certezza, al momento della contestazione del giugno 2024, lo stato del procedimento avviato dalla competente Procura, e segnatamente se fosse stata esercitata l’azione penale: sul punto, occorreva infatti svolgere una verifica presso gli uffici competenti, vieppiù in assenza di comunicazioni al riguardo da parte del soggetto interessato.
Occorre a tal proposito precisare che, per consolidato orientamento, l’art. 117 del d.P.R. n. 3/1957 deve essere interpretato nel senso che il dovere dell’Amministrazione di non dare inizio al procedimento disciplinare, o di sospendere il procedimento già avviato, sorge solo nel momento in cui viene esercitata l’azione penale (con gli atti tipizzati dal vigente codice di procedura penale, ai quali segue l’assunzione della qualità di imputato), con conseguente assunzione della qualifica di imputato da parte del soggetto sottoposto anche al procedimento disciplinare (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 25 ottobre 2024, n. 665; Cons. Stato, Sez. III, 27 febbraio 2019, n. 1393; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2009, n. 1).
Orbene, nel caso di specie risulta dagli atti che, in data 4 luglio 2024, l’Università, avendo avuto contezza dell’esercizio dell’azione penale (ossia della richiesta di rinvio a giudizio) anche a seguito della richiesta del legale del Prof.-OMISSIS- del 24 giugno 2024 (Doc. 10 di parte resistente), ha tempestivamente sospeso il procedimento disciplinare (Doc. 11 resistente), per poi riavviarlo soltanto in data 14 gennaio 2025 a seguito della sentenza ex art. 444 c.p.p. (Doc. 5 del ricorrente).
Per le ragioni esposte, non si riscontra nel caso di specie alcuna violazione dell’art. 117 del d.P.R. n. 3/1957.
3. Il secondo motivo di gravame è infondato.
3.1. Con riferimento al difetto di motivazione del provvedimento sanzionatorio in ragione della sua modifica da “sanzione non inferiore a mesi dieci di sospensione dal servizio” alla inflitta destituzione, il Collegio osserva quanto segue.
L’art. 10 l. n. 240/2010 regola il potere disciplinare delle università nei confronti del proprio corpo docente. Il procedimento si articola nei seguenti segmenti:
– l’atto di impulso spetta al rettore, il quale è chiamato, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura, a trasmettere, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, gli atti al collegio di disciplina, “formulando motivata proposta” (art. 10, comma 2, l. n. 240/2010);
– l’istruttoria compete al collegio di disciplina che, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, uditi il rettore e l’incolpato, deve esprimere un “parere sulla proposta avanzata dal rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare” e trasmettere gli atti al consiglio di amministrazione per l’assunzione delle conseguenti deliberazioni (art. 10, comma 3, l. n. 240/2010);
– la decisione spetta al consiglio di amministrazione (nella composizione priva della rappresentanza studentesca), che, entro trenta giorni dalla ricezione del parere, infligge la sanzione ovvero dispone l’archiviazione del procedimento, conformemente al parere vincolante espresso dal collegio di disciplina (art. 10, comma 4, l. n. 240/2010).
Tanto premesso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui non si ravvisano motivi per discostarsi, l’art. 10 della legge n. 240/2010 non solo non contempla un principio di reformatio in peius, ma, anzi, prevedendo espressamente che il collegio di disciplina esprima il parere sulla proposta avanzata dal Rettore “sia in relazione alla rilevanza dei fatto sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare” (co. 3), ammette che il collegio di disciplina possa ritenere i fatti contestati meritevoli di una sanzione più grave rispetto a quella proposta dal Rettore (Cons. Stato, Sez. VI, 1 settembre 2016, n. 3789; in senso conforme T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 27 giugno 2025, n. 4787).
Nel caso di specie, inoltre, il collegio di disciplina ha ampiamente motivato in relazione alla consistenza delle circostanze emerse dall’istruttoria, approfondendo in circa dodici pagine del parere del 17.2.2025 (Doc. 3 ricorrente) i fatti contestati e la valutazione di questi ultimi.
Il collegio ha poi adeguatamente argomentato sulla gravità dei fatti, evidenziando che le condotte addebitate al Professore “tradiscono nella misura più grave le finalità istituzionali dell’Ateneo”, apparendo “al più elevato livello contrastanti con il Codice etico dell’Università” e “in aperta violazione del Codice di comportamento dell’Università”, nonché in “gravissima deviazione dalle regole comportamentali e deontologiche relative ai docenti universitari”. Il Collegio ha poi ritenuto che “il disvalore insito nelle condotte poste in essere dal prof.-OMISSIS- è caratterizzato da un approfittamento del ruolo del docente realizzatosi attraverso abusi vessatorie e umilianti, che contraddicono al più estremo livello i doveri del docente e rendono il prof.-OMISSIS- inidoneo a rivestire tale ruolo”.
Le considerazioni esposte nel parere risultano, ad avviso di questo Giudice, idonee a sorreggere, sul piano motivazionale, la proposta di applicare la sanzione della destituzione del Professore; ne consegue l’infondatezza della censura in esame.
3.2. Con riguarda alla denunciata sproporzione della sanzione disciplinare in ragione dei comportamenti addebitati al prof.-OMISSIS-, il Collegio osserva quanto segue.
3.2.1. In primo luogo, per costante giurisprudenza, la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati ai fini dell’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento (Cons. Stato, sez. II, 30 giugno 2023 n. 6410 e 21 marzo 2022, n. 2004; sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629; 10 febbraio 2020, n. 1013 e 4 ottobre 2018, n. 5700).
Si tratta di valutazioni connotate da ampia discrezionalità, anche in ordine alla scelta della sanzione più grave, in quanto spetta all’Amministrazione, in sede di deliberazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, apprezzando autonomamente i fatti rispetto alle varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 26 gennaio 2024, n. 857 e 8 ottobre 2020, n. 5969; sez. IV, 27 luglio 2020, n. 4761 e 28 ottobre 2019).
3.2.2. Nel caso in questione, come sopra evidenziato, il collegio di disciplina ha ampiamente motivato circa la gravità dei fatti che hanno condotto all’applicazione della sanzione della destituzione, e le argomentazioni sul punto (poc’anzi riportate) non appaiono affette da manifesta illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti.
3.2.3. La circostanza che in sede penale, nella sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. il Giudice abbia ritenuto di derubricare l’originaria contestazione, “tenuto conto della minore lesività delle condotte oggetto del procedimento”, non appare dirimente, dato che il procedimento disciplinare è autonomo rispetto a quello penale e può condurre all’applicazione di sanzioni anche qualora venisse esclusa la sussistenza di responsabilità penali (Cons. Stato, Sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1094). Sotto altro profilo, l’Amministrazione può trarre dagli atti del procedimento penale elementi rilevanti per la sua (autonoma) valutazione sulla sussistenza dell’illecito disciplinare (Cons. Stato, Sez. II, 26 luglio 2023, n. 7309); ciò che ha fatto, nel caso di specie, l’Ateneo resistente per giungere all’applicazione della sanzione ritenuta più congrua.
3.2.4. Neppure rileva la circostanza che, in data 29.4.2022, l’Università abbia archiviato il precedente procedimento avviato nei confronti del Prof.-OMISSIS-.
Invero, come evidenziato supra – nell’analisi del primo motivo di ricorso – gli elementi alla base della precedente contestazione del 2021 erano diversi, trattandosi di anonime segnalazioni che non hanno consentito di pervenire ad una ricostruzione attendibile dei fatti con il materiale istruttorio all’epoca raccolto. Il procedimento disciplinare avviato nel giugno del 2024, che ha portato all’irrogazione della destituzione, invece, si fonda su denunce alla Procura aventi ad oggetto episodi specifici e circostanziati, la cui consistenza è stata approfondita dagli organi competenti in sede disciplinare – a seguito della sospensione del procedimento – anche alla luce delle risultanze del procedimento penale.
Ne consegue l’infondatezza della doglianza in esame.
3.3. A sostegno della censura sulla insussistenza dei fatti oggetto di addebito, parte ricorrente afferma che la sentenza di patteggiamento intervenuta in sede penale non può avere alcun rilievo – neppure a livello indiziario – in ordine alla sussistenza dei comportamenti addebitatigli; inoltre, il quadro “probatorio” nel caso di specie sarebbe opinabile.
3.3.1. Sul punto, giova ribadire che, per costante giurisprudenza, il giudizio disciplinare non è vincolato dalle valutazioni effettuate in sede penale, in quanto si tratta di due giudizi autonomi fra loro e operanti su piani diversi; pertanto, lo stesso fatto imputabile all’inquisito può essere giudicato lecito dal punto di vista penale ed illecito sotto l’aspetto disciplinare (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV 3 maggio 2011, n. 2643).
Ciò non toglie che l’organo istruttore in sede disciplinare possa acquisire gli esiti del giudizio penale, per poi procedere ad un’autonoma valutazione della fondatezza dei fatti addebitati (cfr., oltre alla già citata Cons. Stato n. 7309/2023: Cons. Stato, Sez. II, 23 giugno 2025, n. 5457).
Nel caso di specie, il collegio di disciplina ha in effetti analizzato autonomamente il compendio delle deposizioni raccolte in sede penale, come emerge dalla circostanziata ricostruzione in fatto svolta nel parere del 17.2.2025, giungendo a ritenere, con ampia e articolata motivazione, sufficientemente dimostrati i fatti addebitati al Prof.-OMISSIS- e posti alla base del provvedimento di destituzione.
3.3.2. Il denunciato richiamo alla sentenza di patteggiamento e alla qualificazione giuridica dei fatti ivi contenuta non è comunque idoneo ad inficiare la legittimità del parere del collegio di disciplina e del conforme provvedimento sanzionatorio.
Invero, appare evidente che l’organo disciplinare abbia autonomamente valutato gli elementi istruttori per giungere all’addebito di responsabilità.
Innanzitutto, è lo stesso collegio a precisare, nel parere del 17.2.2025, che la contestazione degli addebiti si riferisce alla sentenza di patteggiamento soltanto come fatto dotato di valore indiziario (pag. 7).
In ogni caso, si osserva che tutta la (ampia) Parte II (da pag. 8 a pag. 20) del parere de quo è dedicata alla ricostruzione dei fatti contestati, alla loro valutazione e al giudizio sulla loro gravità.
Il collegio di disciplina non si è, quindi, affatto limitato a richiamare la sentenza ex art. 444 c.p.p., ma ha compiuto un autonomo e consistente accertamento finalizzato a verificare la sussistenza dell’illecito, giungendo a ritenere che “le accuse, per la loro coerenza oltre che per le qualità soggettive delle persone offese e per la condotta da esse tenuta rispetto alla denuncia dei fatti, costituiscano una prova piena di responsabilità e non possano essere relegate al rango di meri e inconcludenti elementi indiziari” (pag. 15), e a reputare non convincenti le giustificazioni fornite dal Prof.-OMISSIS- e dalla sua difesa (pag. 15 e ss.).
3.3.3. Per altro, non pare che l’istruttoria possa ritenersi carente in ragione della mancata audizione dei soggetti denuncianti, in quanto – come già osservato supra – l’Università poteva legittimamente trarre dagli atti del procedimento penale gli elementi rilevanti per le proprie valutazioni sul piano disciplinare.
3.3.4. Ad avviso di questo Giudice, quindi, in base al contenuto del parere del 17.2.2025, i fatti contestati e posti a fondamento della sanzione impugnata possono ritenersi sufficientemente dimostrati in forza del motivato richiamo a tutti gli elementi raccolti dal collegio di disciplina.
Ne consegue l’infondatezza del motivo di gravame.
4. Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni esposte, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
5. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; non v’è luogo a provvedere su di esse con riguardo al Ministero dell’Università e della Ricerca, non costituito in giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– dichiara il difetto di legittimazione passiva della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo;
– respinge il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, nella misura di euro 2.000,00 (duemila/00) per compensi, oltre accessori di legge, in favore dell’Università degli Studi di Pavia, e nella misura di euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge, in favore della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo; nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2025 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Referendario, Estensore

Pubblicato il 9 dicembre 2025