Cons. Stato, Sez. VI, 23 dicembre 2020, n. 8277

Procedura di chiamata ai sensi dell'art. 24, comma 6 della legge n. 240/2010 - Destinatari - Locuzione "in servizio nell'Università medesima"

Data Documento: 2020-12-23
Area: Giurisprudenza
Massima

La partecipazione alla procedura di cui all’art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 non può, infatti, essere limitata al personale docente in servizio presso il Dipartimento procedente, dovendo essere estesa anche ai professori di seconda fascia e ai ricercatori a tempo indeterminato “in servizio nell’università medesima” che abbiano conseguito la prescritta abilitazione scientifica, a prescindere dal Dipartimento di afferenza.

Qualora vi siano più professori di seconda fascia o di ricercatori a tempo indeterminato “in servizio nell’università medesima” che abbiano conseguito la prescritta abilitazione scientifica, l’art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 non legittima lo svolgimento di una procedura intuitu personae, in cui il candidato da sottoporre a valutazione è selezionato secondo decisioni di natura essenzialmente fiduciaria, bensì impone l’indizione di una procedura comparativa, di cui deve essere data preventiva pubblicità sul sito dell’Ateneo, aperta alla partecipazione dei docenti in servizio nell’Università (e, quindi, a prescindere dal Dipartimento di afferenza) in possesso dei prescritti requisiti per concorrere al superiore inquadramento professionale.

Contenuto sentenza

N. 08277/2020REG.PROV.COLL.
N. 04597/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4597 del 2019, proposto da 
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] non costituiti in giudizio; 
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), n. 1746/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in dichiarata sostituzione dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con deliberazione del 29 [#OMISSIS#] 2017 il Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, su proposta del Consiglio del Dipartimento di Management e Diritto del 14 dicembre 2016 e previo parere favorevole del Senato accademico– ha approvato lo svolgimento di una procedura di chiamata, ai sensi dell’art. 24, comma 6, della l. n. 240 del 2010, per un posto di professore universitario di prima fascia nel s.c. 12/D1, s.s.d. IUS/10 – Diritto amministrativo, presso il predetto Dipartimento di Management e Diritto.
L’avv. [#OMISSIS#], deducendo essere ricercatore universitario confermato di Diritto amministrativo, in servizio – a tempo definito – presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, con afferenza al Dipartimento di Diritto Pubblico (già Dipartimento di Giurisprudenza) e di avere in data 24 dicembre 2013 conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia nel s.c. 12/D1, s.s.d. IUS/10 – Diritto amministrativo, ha adito la sede giurisdizionale, impugnando sia la delibera del 29 [#OMISSIS#] 2017 cit., sia il comma 1-bis dell’art. 9 del «Regolamento per la disciplina della chiamata dei Professori di prima e seconda fascia ai sensi dell’art. 18, comma 1, e dell’art. 24, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240», L’impugnazione, per quanto potesse occorrere, è stata estesa anche al comma 1 dell’art. 9 del regolamento cit.
A fondamento del ricorso, l’Avv. [#OMISSIS#] ha dedotto l’illegittima limitazione della partecipazione alle procedure di chiamata ex art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 ai ricercatori universitari e ai professori associati, in possesso della prescritta abilitazione scientifica nazionale, afferenti al solo Dipartimento proponente la procedura di chiamata, con esclusione degli altri ricercatori universitari e professori associati in servizio presso diversi Dipartimenti della medesima Università.
Nel [#OMISSIS#] di specie, con gli atti impugnati in prime cure, era stata approvata una procedura di chiamata proposta dal Dipartimento di Management e Diritto, sicché, afferendo il ricorrente al distinto Dipartimento di Diritto Pubblico, allo stesso era stata preclusa la possibilità di prendere parte alla relativa procedura.
Secondo la prospettazione del ricorrente, gli atti impugnati dovevano ritenersi illegittimi:
– per violazione dell’art. 24, commi 5 e 6, della l. n. 240 del 2010, nonché eccesso di potere per violazione del principio del favor partecipationis nelle procedure dirette alla investitura di pubblici uffici e per ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni identiche, tenuto conto che la disciplina primaria di cui all’art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 risultava chiara nel consentire la partecipazione alle procedure di chiamata ivi regolate in favore di tutti i professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio presso l’Università, senza riferimento alcuno all’afferenza al singolo Dipartimento proponente la procedura di chiamata; parimenti, l’art. 24, comma 5, L. n. 240 del 2010, oggetto di rinvio operato dal comma 6, imponeva di dare pubblicità alla procedura sul [#OMISSIS#] dell’Ateneo e non del singolo Dipartimento, al fine di consentire la relativa partecipazione a tutti i soggetti in servizio presso l’Università, titolari della prescritta abilitazione scientifica nazionale; peraltro, facendosi questione di concorso per l’accesso ad un pubblico impiego, avrebbe dovuto assicurarsi la più ampia partecipazione possibile, nonché, avendo i regolamenti sulle chiamate adottati da altri Atenei statali italiani previsto la possibilità di partecipare alle procedure de quibus in favore di tutti i ricercatori universitari di ruolo e di tutti i professori associati in servizio presso i rispettivi Atenei, la limitazione operata dall’Università resistente risultava illegittima anche per ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni identiche; né avrebbe potuto ritenersi che, in presenza di plurimi soggetti legittimati a prendere parte alla procedura di chiamata ex art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010, l’Università fosse [#OMISSIS#] di individuare uno soltanto cui permettere la relativa partecipazione;
– per eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, perché l’applicazione delle disposizioni regolamentari impugnate conduceva a risultati paradossali, impedendo la partecipazione di ricercatori e professionisti afferenti alla medesima Università e, in ipotesi, maggiormente qualificati rispetto a quelli afferenti al Dipartimento proponente la procedura di chiamata de qua.
2. Con motivi aggiunti proposti nell’ambito del giudizio di primo grado la parte ricorrente ha impugnato gli atti della procedura di chiamata ex art. 24, comma 6, L. n. 240/10, nelle more espletata dall’Ateneo, già censurata con ricorso principale, deducendone l’illegittimità in via derivata.
3. L’Ateneo intimato e la parte controinteressata si sono costituiti in giudizio, resistendo al ricorso.
4. Il Tar, a definizione del giudizio, rigettate le eccezioni di rito opposte dalle parti intimate, ha accolto il ricorso, ritenendo che, secondo il disposto di cui all’art.24, comma 6 della Legge n.240 del 2010, alla procedura di chiamata nel ruolo di Professore di I fascia possano partecipare, tra l’altro, i Ricercatori a tempo indeterminato, in servizio nell’Università medesima, che abbiano conseguito la relativa abilitazione scientifica (requisiti posseduti dal ricorrente); né avrebbe potuto argomentarsi differentemente sulla base dell’autonomia riconosciuta [#OMISSIS#] ordinamenti delle Università, dovendo la stessa esplicarsi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, ex art.33, comma 6 Cost.; così come non avrebbe potuto essere disconosciuto o sminuito, [#OMISSIS#] eccezionali disposizioni di legge in deroga, nel [#OMISSIS#] di specie assenti, il principio concorsuale parimenti di matrice costituzionale.
5. Il Prof. [#OMISSIS#], controinteressato in prime cure [#OMISSIS#] qualità di vincitore della procedura di chiamata contestata in giudizio, ha appellato la sentenza del Tar, denunciandone l’erroneità con l’articolazione di due motivi di impugnazione. L’appellante ha, altresì, proposto apposita istanza cautelare, rilevando che, in esecuzione della sentenza appellata, l’Ateneo aveva ripristinato la qualifica di professore associato in capo allo stesso appellante, bandendo una nuova procedura ex art. 24, comma 6, L. n. 240/10.
6. Il ricorrente in primo grado si è costituito in giudizio, svolgendo argomentate controdeduzioni rispetto ai motivi di appello con memoria depositata in data 24 giugno 2019.
7. La Sezione con ordinanza n. 3358 dell’1 luglio 2019 ha rigettato l’istanza cautelare, considerato che, [#OMISSIS#] specie, difettava il periculum in mora necessario per la sospensione dell’esecutività della sentenza, in quanto la [#OMISSIS#] partecipazione alla procedura non comportava un danno in sé.
8. L’appellante ha ulteriormente argomentato le proprie difese con memoria depositata in data 14 ottobre 2019.
9. L’udienza di discussione, originariamente fissata per il giorno 7 aprile 2020, è stata rinviata al 1° ottobre 2020 ai sensi dell’art.84 commi 1 e 2 del D.L. n. 18 del 17/03/2020 conv. in L. n. 27 del 24 aprile 2020.
10. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio in data 9 aprile 2020, depositando in data 31 luglio 2020 documentazione riferita, altresì, [#OMISSIS#] atti posti in essere dall’Ateneo in esecuzione della sentenza appellata.
11. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 1° ottobre 2020.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello è censurata l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere ritenuto che, ai sensi dell’art. 24 L. n. 240/10, la legittimazione a partecipare alle procedure di chiamata ivi previste debba essere estesa a tutti i ricercatori e professori in servizio presso l’Ateneo procedente.
1.1 Invero, secondo la prospettazione dell’appellante, il riferimento ai professori ed ai ricercatori “in servizio nell’università” non significherebbe affatto che la valutazione di cui ai commi 5 e 6 debba essere estesa a tutti i ricercatori e studiosi incardinati presso l’Ateneo nell’ambito del medesimo settore concorsuale per il quale il Dipartimento abbia manifestato l’esigenza di acquisire una risorsa; lo scopo perseguito dal legislatore attraverso la chiamata ex art. 24 della legge n. 240/2010 sarebbe volto a favorire un “upgrade” di un docente già in servizio, venendo incontro alle esigenze didattiche e di ricerca del Dipartimento, dovendo, dunque, tenersi conto del livello dipartimentale del procedimento di chiamata (peraltro, non avente natura di concorso pubblico).
[#OMISSIS#] specie, inoltre, dovrebbe garantirsi l’ampia autonomia riconosciuta alle Università, anche sotto il profilo organizzativo (sia dall’art. 33 Cost. che dall’art. 6 L. n. 168/89 e dall’art. 2, comma 2, lett. a) L. n. 240/10), [#OMISSIS#] specie esercitata dall’Ateneo resistente attraverso la disciplina statutaria, non impugnata dal ricorrente in prime cure, che ha posto al centro delle strutture didattiche i singoli Dipartimenti (cfr. art. 13, comma 3, lett. i) e j), statuto).
Pertanto, il procedimento dei commi 5 e 6 dell’art. 24 della legge n. 240/10, una volta attivato dal Dipartimento, dovrebbe assumere lo stesso ambito per la relativa provvista.
1.2 Il motivo di appello è infondato.
1.3 Il Collegio ritiene di dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale accolto dalla Sezione con sentenza n. 7155/18, le cui argomentazioni devono ritenersi richiamate anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.
Nell’attuale contesto normativo, la copertura dei posti da professore ordinario e associato può avvenire mediante due diverse modalità:
– mediante procedura selettiva aperta a tutti i soggetti in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale e ai professori già in servizio (art. 18, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.); nonché
– per un [#OMISSIS#] della metà dei posti disponibili, attraverso le procedure di selezione di cui all’art. 24, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
Le disposizioni dal [#OMISSIS#] citate consentono alla singola Università, «nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione», di valutare i docenti in servizio presso l’Ateneo medesimo ed in possesso di abilitazione scientifica, ai fini della loro chiamata nel ruolo dei professori associati (se ricercatori a tempo indeterminato) ovvero in quello dei professori di prima fascia (se professori di seconda fascia).
In particolare, il comma 5, riguarda la procedura di valutazione del ricercatore con contratto a [#OMISSIS#], ai fini della sua chiamata nel ruolo di professore associato; il comma 6, transitoriamente, prevede che la medesima procedura di cui al comma 5 possa essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato «in servizio nell’università medesima».
Il legislatore ha affidato all’autonomia regolamentare dell’Università l’attuazione dell’art. 24, commi 5 e 6. [#OMISSIS#] vicenda in esame il comma 1-bis dell’art. 9 del «Regolamento per la disciplina della chiamata dei Professori di prima e seconda fascia ai sensi dell’art. 18, comma 1, e dell’art. 24, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240», prevede che “Nel [#OMISSIS#] in cui nel Dipartimento vi siano più soggetti in possesso della abilitazione nel macrosettore a cui appartiene il settore concorsuale relativo alla procedura valutativa, ai fini della individuazione del candidato da sottoporre a valutazione ai sensi del precedente comma 1, il Dipartimento nomina una commissione istruttoria composta da tre professori di prima fascia inquadrati nel macrosettore a cui appartiene il settore concorsuale relativo alla procedura valutativa stessa. La commissione istruttoria valuta i curricula acquisiti comprensivi delle pubblicazioni scientifiche e di ogni altro elemento utile, e, effettuata la comparazione, propone al Dipartimento, con relazione motivata, il nominativo del candidato ritenuto più titolato da sottoporre a valutazione ai sensi del successivo comma 2. A garanzia della possibilità per tutti i soggetti potenzialmente interessati di presentare la domanda, il dipartimento invita personalmente i soggetti in possesso della abilitazione nel macrosettore a cui appartiene il settore concorsuale relativo alla procedura valutativa a presentare i curricula, comprensivi delle pubblicazioni scientifiche e di ogni altro elemento utile per la valutazione”.
Il tratto differenziale tra le due modalità di accesso è costituito dal fatto che, mentre nel primo [#OMISSIS#] si è in presenza di una procedura avente natura concorsuale – quindi aperta a tutti i candidati interessati –, nel secondo [#OMISSIS#], si prevede un meccanismo di reclutamento eccezionale riservato ai soli “interni”, ovvero al ricercatore o al professore già incardinato presso l’Università. Sennonché, la rinuncia alla massima concorsualità tipica della procedura aperta, non significa affatto che tale peculiare forma di progressione interna sia rimessa a valutazioni “libere” (secondo un criterio intuitu personae) e non trasparenti.
Al riguardo, in primo luogo, si impone un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina primaria in commento: secondo la giurisprudenza costituzionale, il concorso pubblico è la forma generale ed ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione, in quanto meccanismo imparziale che, offrendo le migliori garanzie di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del merito, garantisce l’efficienza dell’azione amministrativa (ex plurimis, sentenza n. 134 del 2014). L’indefettibilità del concorso pubblico come canale di accesso pressoché esclusivo nei ruoli delle pubbliche amministrazioni non è assoluta, ma ad esso può derogarsi solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico (sentenze n.7 del 2015; n. 134 del 2014; n. 217 del 2012). L’area delle eccezioni al principio del concorso è stata delimitata in modo assai rigoroso, in quanto sono ritenute legittime le sole deroghe giustificate dall’esigenza di garantire alla pubblica amministrazione specifiche competenze consolidatesi all’interno dell’amministrazione stessa e non acquisibili dall’esterno.
Forme alternative di reclutamento (progressioni interne, procedure di stabilizzazione, et similia), pur involgendo necessariamente la discrezionalità del legislatore, devono essere predisposte secondo criteri “oggettivi” e senza contraddire il canone di imparzialità dell’amministrazione. Poiché ogni limitazione del precetto costituzionale del pubblico concorso, alterando le condizioni di parità di trattamento degli aspiranti, deve considerarsi del tutto eccezionale, deve preferirsi l’interpretazione secondo cui tutti i candidati “interni” alla stessa Università, in possesso dei medesimi requisiti, devono essere posti in grado di partecipare alla procedura di reclutamento in condizioni di parità. Non sarebbe invece conforme a Costituzione una [#OMISSIS#] che consentisse ad una pubblica amministrazione di potere operare progressioni interne “ad personam”.
In secondo luogo, l’apertura della procedura di reclutamento in esame ai candidati interni all’Ateneo, a prescindere dal Dipartimento di afferenza, trova corrispondenza nel dato sistematico.
Per quanto la disciplina statale non contenga disposizioni riferite alla peculiare situazione di una Università in cui siano in servizio più candidati in possesso dei medesimi requisiti di accesso alla procedura di chiamata diretta, è possibile ovviare a tale lacuna attraverso il ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico in tema di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, suscettibili di orientare l’attività dell’interprete [#OMISSIS#] ricostruzione del significato precettivo da assegnare alle previsioni di diritto positivo.
Il principio di selettività ed il favor per la massima partecipazione possibile alle procedure di investitura dei pubblici uffici – anche in [#OMISSIS#] di progressioni “interne” – trova del resto una precisa conferma anche nelle disposizioni generali in tema di pubblico impiego (art. 35 del d.lgs. 165 del 2001).
La soluzione ermeneutica prescelta, oltre che costituzionalmente orientata e coerente con il “sistema” di diritto amministrativo, è suffragata da precisi elementi positivi.
Viene in particolare rilievo il dato normativo previsto dal comma 5 dell’art. 24 della legge 240/2010, in quanto richiamato dal comma 6, secondo cui «[…] alla procedura è data pubblicità sul [#OMISSIS#] dell’ateneo […]». Questa Sezione, in più di una occasione, ha già evidenziato come la funzione della [#OMISSIS#] sia quella di rendere edotti dell’esistenza della procedura anche soggetti diversi da quelli individuati autonomamente dagli organi universitari, al fine di accordare loro una chance di partecipazione. Qualificare la prescritta formalità alla stregua di una mera pubblicità-notizia ‒ peraltro, secondo una tassonomia di derivazione prettamente privatistica ‒ porterebbe a concludere che tale “notizia” possa esser data anche dopo la conclusione della procedura, poiché nessun limite temporale viene indicato dalla [#OMISSIS#], con la conseguenza di un’inammissibile abrogazione della [#OMISSIS#] in via interpretativa (sentenze n. 2500 del 2018 e n. 1856 del 2017).
Che la platea degli aventi diritto alla partecipazione deve essere rappresentata da tutti i professori di seconda fascia e i ricercatori di ruolo, in possesso della prescritta abilitazione scientifica nazionale, è confermato, infine, dal dato letterale di cui all’art. 24, comma 6, il quale si riferisce espressamente all’«università» e non al dipartimento. Coerentemente, il comma 5 dell’art. 24 (al quale rinvia il comma 6), detta la prescrizione secondo cui «alla procedura è data pubblicità sul [#OMISSIS#] dell’«ateneo» e non sul [#OMISSIS#] del dipartimento.
Sarebbe del resto inspiegabile il motivo per cui l’Ateneo dovrebbe precludersi la possibilità di poter selezionare, tra le proprie risorse, quella ritenuta migliore da promuovere in relazione ad un [#OMISSIS#] insegnamento disciplinare: l’immissione in ruolo del professore associato o ordinario comporta il sorgere di un rapporto di rapporto di lavoro con l’Università, e tali soggetti conservano sempre la possibilità di cambiare dipartimento e ateneo.
1.4 Le considerazioni supra svolte conducono al rigetto del primo motivo di appello.
La partecipazione alla procedura di cui all’art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 non può, infatti, essere limitata al personale docente in servizio presso il Dipartimento procedente, dovendo essere estesa anche ai professori di seconda fascia e ai ricercatori a tempo indeterminato “in servizio nell’università medesima” che abbiano conseguito la prescritta abilitazione scientifica, a prescindere dal Dipartimento di afferenza.
Tale conclusione, peraltro, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non risulta contrastante con quanto statuito dalla Sezione con la sentenza n. 2500 del 2018.
In particolare, tale precedente è intervenuto a soluzione di una controversia avente ad oggetto l’annullamento degli atti di una procedura ex art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010, nell’ambito della quale non era stata assicurata alcuna selezione comparativa del candidato da sottoporre alla valutazione della Commissione all’uopo costituita, sebbene nell’ambito del Dipartimento vi fossero plurimi candidati in possesso dei requisiti previsti dallo stesso art. 24, comma 6, cit.
Come emerge dalla stessa descrizione dei fatti di causa riportata [#OMISSIS#] sentenza n. 2500 del 2018, “Il ricorrente in primo grado censurava l’illegittimità degli atti appena menzionati per violazione dell’art. 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010: in particolare, l’Università avrebbe dovuto proceduto all’espletamento di una procedura di tipo comparativo ai fini dell’individuazione del candidato da parte del dipartimento da sottoporre alla valutazione della Commissione appositamente costituita, atteso che, nel dipartimento di interesse, erano presenti una pluralità di candidati astrattamente in possesso dei requisiti richiesti dalla relativa normativa di settore. [#OMISSIS#] misura in cui gli atti impugnati fossero stati ritenuti conformi all’art. 9, comma 1, del regolamento di Ateneo sulle chiamate, il ricorrente ne richiedeva espressamente l’annullamento per violazione di legge”.
Nel risolvere la controversia, sulla base di un impianto motivazionale del tutto analogo a quello fondante la pronuncia n. 7155 del 2018 e posto alla base, altresì, della presente decisione, la Sezione ha ritenuto che “Sul piano sistematico, per quanto la disciplina statale (così come quella regolamentare di riferimento) non contenga disposizioni riferite alla peculiare situazione di un dipartimento in cui siano in servizio più candidati in possesso dei medesimi requisiti di accesso alla procedura di chiamata diretta, è possibile ovviare a tale lacuna assiologica attraverso il ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico in tema di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento. In base alla loro piana applicazione, l’Università avrebbe dovuto procedere all’espletamento di una procedura di tipo comparativo ai fini dell’individuazione del candidato da parte del Dipartimento da sottoporre alla valutazione della Commissione, atteso che erano presenti una pluralità di candidati astrattamente in possesso dei requisiti richiesti dalla relativa normativa di settore”.
Tale capo di sentenza, nel riferirsi alla “peculiare situazione di un dipartimento in cui siano in servizio più candidati in possesso dei medesimi requisiti di accesso alla procedura di chiamata diretta”, non ha legittimato l’indizione di una procedura comparativa tra i soli docenti afferenti al Dipartimento procedente, ma ha soltanto preso in esame i fatti di causa, come dedotti dalla parte ricorrente in prime cure, caratterizzati dall’effettiva presenza di più docenti nell’ambito del medesimo Dipartimento, in possesso dei prescritti requisiti di professionalità, come tali legittimati a prendere parte alla procedura de qua.
Nell’individuare la regula iuris che l’Ateneo avrebbe dovuto applicare, la Sezione ha, tuttavia, chiaramente evidenziato come “ l’Università avrebbe dovuto procedere all’espletamento di una procedura di tipo comparativo ai fini dell’individuazione del candidato da parte del Dipartimento da sottoporre alla valutazione della Commissione, atteso che erano presenti una pluralità di candidati astrattamente in possesso dei requisiti richiesti dalla relativa normativa di settore”; imponendo, per l’effetto, l’indizione di una procedura comparativa, senza limitarne la partecipazione ai candidati afferenti al Dipartimento procedente.
Si conferma, dunque, l’interpretazione per cui, qualora vi siano più professori di seconda fascia o di ricercatori a tempo indeterminato “in servizio nell’università medesima” che abbiano conseguito la prescritta abilitazione scientifica, l’art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 non legittima lo svolgimento di una procedura intuitu personae, in cui il candidato da sottoporre a valutazione è selezionato secondo decisioni di natura essenzialmente fiduciaria, bensì impone l’indizione di una procedura comparativa, di cui deve essere data preventiva pubblicità sul [#OMISSIS#] dell’Ateneo, aperta alla partecipazione dei docenti in servizio nell’Università (e, quindi, a prescindere dal Dipartimento di afferenza) in possesso dei prescritti requisiti per concorrere al superiore inquadramento professionale.
Applicando gli stessi principi espressi con la sentenza n. 2500 del 2018, si perviene, dunque, al rigetto del primo motivo di impugnazione, avendo l’Ateneo appellato illegittimamente limitato la partecipazione alla procedura ex art. 24, comma 6, cit. ai docenti in servizio presso il Dipartimento proponente la chiamata.
2. Con il secondo motivo di appello viene censurata la sentenza di prime cure [#OMISSIS#] parte in cui ha omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità del ricorso, per omessa impugnazione dell’art. 13 dello Statuto dell’Università resistente.
Premesso che, in ragione dell’effetto devolutivo dell’atto di appello e della tassatività delle fattispecie di rimessione della causa al primo [#OMISSIS#] ex art. 105 c.p.c., il vizio di omessa pronuncia non è idoneo a determinare l’annullamento della sentenza con rinvio al Tar (non configurando una fattispecie di violazione del diritto di difesa della parte), bensì impone di decidere in sede di gravame le censure asseritamente non esaminate in primo grado, si osserva che le doglianze sollevate dalla parte appellante non risultano meritevoli di favorevole apprezzamento.
Ai sensi dell’art. 13, comma 3, lett. i) dello Statuto dell’Università, in particolare, il dipartimento “definisce, su base triennale, le esigenze di reclutamento, articolate per settori scientifico disciplinari, del personale docente e del personale tecnico, amministrativo e bibliotecario, tenendo conto della valutazione della ricerca e dei principi di promozione del merito, al fine di garantire prioritariamente la sostenibilità dell’offerta formativa. Tale sostenibilità è valutata sulla base delle risorse disponibili e in relazione ai programmi di ricerca e alle attività didattiche”, con la previsione, ai sensi della lettera j), che il dipartimento “delibera, sentito il Dipartimento competente per l’area scientifico-disciplinare prevalente, le richieste di concorso o di trasferimento dei professori e dei ricercatori, nell’ambito delle risorse attribuite, nonché le loro chiamate”.
Avendo riguardo al dato letterale, emerge che le disposizioni de quibus non prevedono alcuna limitazione della platea dei candidati legittimati a prendere parte alle procedure comparative ex art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010, bensì individuano soltanto la struttura organizzativa destinataria delle risorse e competente ad assumere le decisioni sul reclutamento del personale docente.
La circostanza per cui la determinazione di bandire una procedura selettiva ex art. 24, comma 6, L. n. 240 del 2010 competa al Dipartimento non significa, tuttavia, che l’organo procedente sia abilitato a consentire la partecipazione alla relativa procedura ai soli docenti in servizio presso il medesimo Dipartimento, rappresentando la legittimazione a concorrente ai fini della progressione in carriera una fattispecie non espressamente regolata dalla relativa previsione statutaria.
In ogni [#OMISSIS#], in applicazione del principio di conservazione dei valori giuridici (applicabile anche in materia amministrativa, come precisato da Consiglio di Stato, sez. III, 25 novembre 2016, n. 4991), a fronte di plurime interpretazioni all’uopo prospettabili, l’atto amministrativo deve essere inteso nel significato conforme alla disciplina sovraordinata, per evitare dubbi di compatibilità con il dato positivo e, quindi, per consentire all’atto medesimo di avere un qualche effetto giuridico.
Pertanto, imponendo la disciplina positiva di cui all’art. 24, comma 6, cit. una selezione comparativa tra i docenti in servizio nell’Università (anziché nel solo Dipartimento), non risultando dirimente l’elemento letterale, l’atto statutario dovrebbe comunque interpretarsi in senso conforme alla disciplina primaria, consentendo la partecipazione alla procedura de qua anche ai ricercatori a tempo indeterminato o ai professori di seconda fascia non afferenti al Dipartimento, ma in servizio presso il medesimo Ateneo.
Ne deriva che, non limitando l’art. 13 Statuto Università la partecipazione alla procedura selettiva per cui è causa ai docenti afferenti al Dipartimento, la sua mancata impugnazione non ha determinato l’inammissibilità del ricorso in primo grado, non essendosi in presenza di un atto presupposto, rimasto inoppugnato -e, dunque, irretrattabile in sede giurisdizionale-, ostativo alla realizzazione della pretesa sostanziale azionata dall’appellante.
3. In definitiva, per le sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto, con conferma della appellata sentenza.
La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese processuali del grado di appello
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#]
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 23/12/2020