La pretesa allo svolgimento dell’attività assistenziale in posizione strutturata, con le connesse corrispondenze funzionali di cui al comma 4 dell’art. 102, d.p.r. 11 luglio 1980, n. 382, e correlata indennità, è perciò di certo tutelabile in capo al docente universitario medico, ma non può dirsi che essa si fondi su una posizione di incondizionato diritto, non potendo l’ente ospedaliero adempiere obbligatoriamente se vi sia l’impedimento obbiettivo della non disponibilità della struttura o del correlato posto di organico. La posizione suddetta si individua di conseguenza come tutelabile a titolo di interesse legittimo, poiché corrispondente all’esercizio di un potere che, pur se attribuito anche al fine di assicurare al meglio l’interesse pubblico specifico alla integrazione della funzione assistenziale nell’esercizio della docenza medica, si esprime attraverso un atto organizzativo e non di gestione del personale, anche se con effetto riflesso sulla posizione soggettiva degli interessati. Tale atto di organizzazione, invero, è indefettibile, poiché per la concreta istituzione delle strutture e del correlato posto in organico è necessario ponderare più fattori, quali la disponibilità delle necessarie risorse umane e materiali, la coerenza con gli obbiettivi di programmazione generale e settoriale del servizio sanitario nel territorio, la compatibilità con le risorse finanziarie date, la dimensione ottimale di efficienza.
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 27 febbraio 2015, n. 159
Personale azienda ospedaliera universitaria-Attività assistenziale in ambito accademico-Posizione giuridica soggettiva-Interesse legittimo
N. 00159/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00708/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 708 del 2013, proposto da:
[#OMISSIS#] Gruttadauria, rappresentato e difeso dagli avv. [#OMISSIS#] Pavone, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso [#OMISSIS#] Lo [#OMISSIS#] in Palermo, via M. Stabile n. 151;
contro
Universita’ degli Studi di Catania, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Palermo, via De Gasperi n. 81;
nei confronti di
Azienda Osped. Univers. “V. [#OMISSIS#] Ferrarotto Santo Bambino” di Catania, rappresentata e difesa dall’Avv. [#OMISSIS#] Russo, con domicilio eletto presso [#OMISSIS#] Paruta in Palermo, p.zza V. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] n. 33;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA – SEZ. STACCATA DI CATANIA: SEZIONE III n. 01095/2013, resa tra le parti, concernente lavoro – mancato riconoscimento trattamento primariale – richiesta risarcimento danni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università degli Studi di Catania e di Azienda Ospedaliera Universitaria “V. [#OMISSIS#] Ferrarotto Santo Bambino” di Catania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati N. [#OMISSIS#], S. Pavone, F. Russo e l’Avvocato dello Stato [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il professor [#OMISSIS#] Gruttadauria, ordinario di chirurgia generale all’Università degli studi di Catania e all’epoca titolare dell’incarico di primario presso la Divisione di chirurgia dell’ospedale Garibaldi, il 10 giugno 1997 venne colpito da infermità, a seguito della quale il Rettore ( sulla base del parere della Comm. medica legale) gli revocò le funzioni primariali per inidoneità fisica.
Il docente impugnò il provvedimento avanti al TAR Catania il quale con sentenza 2086/2000 annullò la revoca per mancata valutazione della possibilità per l’interessato di svolgere attività chirurgica in via indiretta.
Avverso tale decisione l’Università di Catania propose un appello (sostenendo che il capo della équipe operatoria debba essere in grado di intervenire personalmente, in qualità di primo operatore) che questo Consiglio con la decisione n. 200/2002 ha accolto, stabilendo peraltro che, non avendo l’infermità assolutamente inciso sulla capacità psichica ed intellettiva del cattedratico, l’Università poteva continuare ad avvalersi delle sue capacità scientifiche e didattiche.
Con atto di diffida del 2008 il prof. Gruttadauria intimava all’Università di provvedere all’assegnazione entro 60 giorni di un incarico di responsabilità e gestione dei programmi infra o interdipartimentali finalizzati all’integrazione delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.lgs. n. 517/1999, con corrispondente trattamento economico primariale, con effetto retroattivo alla data di cessazione delle funzioni assistenziali e appunto primariali.
Quindi – essendo l’Università rimasta silente – propose ricorso avverso il silenzio tenuto dalla P.A..
Il TAR Catania con sentenza 244/2009 dichiarò che l’Università aveva obbligo di concludere il procedimento avviato a istanza di parte.
L’Università, sentita la ASP, dichiarò che il conferimento di incarico richiesto dal docente non era possibile ostandovi ragioni organizzative.
Avendo l’interessato proposto ricorso per esecuzione del giudicato, il TAR nominò un commissario ad acta, ma anche questi non ritenne possibile conferire l’incarico in questione.
Con sentenza n. 586/2010 il T.A.R. ha rigettato quindi il ricorso ritenendo correttamente assolto da parte dell’Università “ l’onere di provvedere” di cui alla precedente sentenza n. 244/09.
Avverso la decisione n. 586/2010 il prof. Gruttadauria propose un appello che questo Consiglio con la sentenza n. 146/2013 ha rigettato, rilevando che la PA aveva provveduto sull’istanza.
Con la stessa sentenza il Consiglio chiarì che non residuavano pretese patrimoniali azionabili dall’interessato e dichiarò comunque la carenza di legittimazione passiva dell’Università.
Nelle more di quel giudizio il docente ( ormai posto in quiescenza per limiti di età dal 2010) ha azionato avanti al TAR una richiesta risarcitoria, che il TAR con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto.
A sostegno del decisum il Tribunale ha essenzialmente rilevato che con la sentenza CGA n. 146/2013, ormai in giudicato, era già stata esclusa la fondatezza delle pretese dell’interessato.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma.
Si è costituita in resistenza l’Università la quale deduce l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame.
Si è costituita in resistenza anche l’intimata Azienda Ospedaliera Universitaria.
Le Parti hanno depositato memorie insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
All’Udienza del 22 ottobre 2014 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L’appello non è fondato e va pertanto respinto, con integrale conferma della gravata sentenza, il che consente di prescindere dall’esame delle eccezioni in [#OMISSIS#] versate dall’Avvocatura erariale.
Con il primo motivo di impugnazione l’appellante sostiene che – diversamente da come ritenuto dal TAR – dalla sentenza n. 146/2013 di questo Consiglio non discende alcuna preclusione all’accoglimento della domanda risarcitoria proposta dal docente.
Infatti il giudizio concluso da quella sentenza aveva ad oggetto esclusivo la legittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza proposta dall’interessato per vedersi assegnate funzioni primariali (alternative a quelle direttamente assistenziali) con conseguente estraneità a quel processo – secondo la normativa di [#OMISSIS#] all’epoca applicabile – di ogni ulteriore questione risarcitoria.
Il mezzo non può essere favorevolmente scrutinato.
Nel proporre appello avverso la sentenza n. 586/2010 ( con la quale il TAR Catania aveva respinto il ricorso per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sua precedente sentenza n. 244/2009) il prof. Gruttadauria aveva espressamente richiesto che l’Università fosse condannata a corrispondergli gli arretrati stipendiali ( con relativi accessori) spettantigli dal 10.6.1997, in relazione all’omesso conferimento di un incarico primariale di responsabilità e gestione ai sensi dell’art. 5 comma 4 del D. L. vo n. 517 del 1999.
Tale richiesta fu confermata (successivamente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo che ha espressamente ammesso l’azione risarcitoria nell’ambito del [#OMISSIS#] camerale sul silenzio) nella memoria del 5.9.2012 nel contesto della quale l’interessato insiste infatti per l’accoglimento della domanda “anche” a titolo risarcitorio.
Di tali richieste di parte la sentenza di questo Consiglio n, 146 del 2013, più volte richiamata, ha riscontrato l’infondatezza rilevando che “ l’Amministrazione ha ottemperato mediante emissione di un provvedimento di rigetto, all’esito negativo di una ricerca volta a soddisfare l’istanza dell’interessato; pertanto non residua in capo al ricorrente alcuno spazio per ulteriori domande, neppure di ordine patrimoniale, ostando l’esito del presente giudizio”.
In sostanza il Consiglio, come puntualmente evidenzia l’Avvocatura, ha ritenuto legittimi i provvedimenti adottati dall’Università per respingere la richiesta di incarico primariale e poi impugnati dal docente per violazione e elusione del giudicato: e da ciò ha tratto la conclusione che per il docente stesso ogni pretesa, anche soltanto patrimoniale, era quindi preclusa.
Come è noto, secondo la [#OMISSIS#] giurisprudenza della Suprema Corte, l’autorità del giudicato copre sia il dedotto che il deducibile, ovvero non soltanto le questioni di fatto e di diritto investite esplicitamente dalla decisione (c.d. giudicato esplicito), ma anche le questioni che – sebbene non investite esplicitamente dalla decisione – costituiscano comunque presupposto logico essenziale ed indefettibile della decisione stessa (c.d. giudicato implicito), restando salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si è formato.
Anche la giurisprudenza amministrativa, per parte sua, è concorde nell’affermare che ai sensi dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione ed il bene della vita che ne forma oggetto; entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, pur non dedotte in giudizio, costituiscano un presupposto logico ed indefettibile della decisione stessa, restando salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove, verificatisi dopo la formazione del giudicato. ( cfr. IV Sez. n. 6212 del 2013).
Quanto sopra, ovviamente, tenendo conto del fatto che il giudicato non si estende ad ogni proposizione contenuta in una sentenza con carattere di semplice affermazione incidentale, in quanto per aversi giudicato implicito è necessario che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, e dunque che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza attenga a questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile.
Nel caso all’esame però deve escludersi che il rigetto delle pretese patrimoniali dell’interessato disposto dalla sentenza n. 146/2013 possa essere considerato un obiter dictum, in quanto la sentenza stessa – come si è detto sopra – correla tale pronuncia negativa proprio al riconoscimento della legittimità di quei provvedimenti di diniego che l’interessato riteneva invece elusivi o violativi del dictum contenuto nella originaria sentenza emessa dal TAR nel [#OMISSIS#] camerale sul silenzio.
Ed in effetti, non solo sul piano sostanziale è facile riconoscere l’identità delle richieste patrimoniali ( arretrati / risarcimento) versate nel presente giudizio e in quello di esecuzione; ma altresì sul piano formale non può non evidenziarsi che la causa petendi azionata dall’interessato e cioè la ragione di fondo delle sue domande giudiziali è la medesima, attenendo all’obbligo contrattuale dell’Amministrazione di corrispondergli quanto dovuto a seguito dell’illegittimo omesso conferimento dell’incarico primariale.
Il mezzo in rassegna va quindi disatteso, il che comporta la conferma della sentenza gravata e l’impossibilità di riesaminare qui la questione sostanziale sottoposta dall’interessato.
Al riguardo va ovviamente ribadito che esula dalla presente controversia ogni questione riferibile alla revoca delle funzioni assistenziali e primariali disposta dal Rettore nell’anno 2000, in quanto nel giudizio conclusosi con la sentenza di questo Consiglio n. 200 del 2002 è stata già definitivamente acclarata la legittimità delle decisioni organizzative all’epoca assunte dall’Ateneo a fronte della inidoneità fisica del docente e pertanto l’inesistenza dei presupposti obiettivi e subiettivi per l’affermazioen di eventuale responsabilità risarcitoria in capo all’Amministrazione.
Nel presente giudizio si controverte infatti unicamente delle conseguenze risarcitorie derivanti dal disconoscimento del diritto ( vantato dall’interessato e pretermesso dall’Amministrazione) al conferimento di un incarico di responsabilità o gestione di programmi finalizzati alla integrazione delle attività assistenziali didattiche e di ricerca, in sostituzione appunto del precedente incarico primariale di direzione di struttura ospedaliera complessa.
Sennonché la sentenza n. 146 del 2013 ha già accertato in via principale che l’Università – interpellate le aziende sanitarie e ricevutane l’indisponibilità all’attivazione dei suddetti programmi per ragioni obiettive connesse anche alla ristrutturazione aziendale imposta dalla riforma sanitaria regionale di cui alla legge reg. n. 5 del 2009 – ha posto in essere ogni adempimento esigibile, con ciò già qualificando obiettivamente la posizione giuridica dell’interessato in termini ( non di diritto soggettivo) ma di interesse legittimo di stampo pretensivo, destinato nella specie a soccombere a fronte di scelte organizzative di stampo discrezionale insindacabili nel merito, se non sotto profili di illogicità o irrazionalità nella specie non ravvisati.
D’altra parte la giurisprudenza amministrativa, opportunamente richiamata dalla azienda intimata, ha sul punto da tempo chiarito che “La pretesa allo svolgimento dell’attività assistenziale in posizione strutturata, con le connesse corrispondenze funzionali di cui al comma 4 dell’art. 102 D.P.R. n. 382 del 1980 e correlata indennità, è perciò di certo tutelabile in capo al docente universitario medico, ma non può dirsi che essa si fondi su una posizione di incondizionato diritto, non potendo l’Ente ospedaliero adempiere obbligatoriamente se vi sia l’impedimento obbiettivo della non disponibilità della struttura o del correlato posto di organico.
La posizione suddetta si individua di conseguenza come tutelabile a titolo di interesse legittimo, poiché corrispondente all’esercizio di un potere che, pur se attribuito anche al fine di assicurare al meglio l’interesse pubblico specifico alla integrazione della funzione assistenziale nell’esercizio della docenza medica, si esprime attraverso un atto organizzativo e non di gestione del personale, anche se con effetto riflesso sulla posizione soggettiva degli interessati.
Tale atto di organizzazione, invero, è indefettibile, poiché per la concreta istituzione delle strutture e del correlato posto in organico è necessario ponderare più fattori, quali la disponibilità delle necessarie risorse umane e materiali, la coerenza con gli obbiettivi di programmazione generale e settoriale del servizio sanitario nel territorio, la compatibilità con le risorse finanziarie date, la dimensione ottimale di efficienza (cfr., esemplificativamente, art. 1 comma 2 lett. e), D.L.vo n. 517 del 1999; art. 3 comma 71 D.P.C.M. 24 maggio 2001 citati).” ( cfr. in termini VI Sez. n. 2779 del 2011).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto.
Avuto riguardo alla complessità della vicenda sostanziale sussistono però motivi per disporre la compensazione delle spese di questo grado del giudizio tra tutte le Parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti spese e onorari di questo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Carlotti, Consigliere
[#OMISSIS#] Barone, Consigliere
[#OMISSIS#] Corbino, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)