Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 4 aprile 2018, n. 196

Studenti universitari-Accesso corsi a numero chiuso-Violazione principio anonimato

Data Documento: 2018-04-04
Area: Giurisprudenza
Massima

L’ avvenuta violazione del principio della regola dell’anonimato determina in astratto l’illegittimità della procedura, quale che siano gli organi che in concreto procedano alla correzione delle prove scritte. Infatti, se in una fase della procedura concorsuale si determina una lesione del principio considerato, questa lesione non può essere sanata dalla circostanza che i soggetti, che procedono alla correzione, siano diversi da quelli che hanno seguito lo svolgimento delle prove scritte, giacché la violazione costituisce, per così dire, una situazione di pericolo senza che sia necessario dimostrare l’avvenuta effettiva alterazione della regola di imparzialità, essendo sufficiente l’astratta possibilità che la valutazione delle prove possa essere stata alterata (Cons. Stato, Ad. plen., 20 novembre 2013, n. 26).

Contenuto sentenza

N. 00196/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00452/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 452 del 2014, proposto da 
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in Palermo, via De Gasperi N. 81; 
Università degli Studi di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in Palermo, via De Gasperi N. 81; 
contro
[#OMISSIS#] Corrao, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Salvatore Cappellano, [#OMISSIS#] Imburgia, [#OMISSIS#] Guccione, [#OMISSIS#] Fiorentino, [#OMISSIS#] Stancampiano, [#OMISSIS#] Panzeca, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Chiara Mesi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Porcaro, [#OMISSIS#] Faraci, [#OMISSIS#] Di Liberti, [#OMISSIS#] Taibi, rappresentati e difesi dall’avvocato [#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Giustizia Amministrativa in Palermo, via F. Cordova N.76; 
[#OMISSIS#] Di Caro non costituita in giudizio; 
nei confronti
[#OMISSIS#] Palizzolo, [#OMISSIS#] Pacinella non costituiti in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA – PALERMO: SEZIONE I n. 00792/2014, resa tra le parti, concernente graduatoria unica concorso di corsi di laurea in medicina e chirurgia e odontoiatria e protesi dentaria a.a. 2013/2014 – diritto ammissione
 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di [#OMISSIS#] Corrao, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Salvatore Cappellano, [#OMISSIS#] Imburgia, [#OMISSIS#] Guccione, [#OMISSIS#] Fiorentino, [#OMISSIS#] Stancampiano, [#OMISSIS#] Panzeca, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Chiara Mesi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Porcaro, [#OMISSIS#] Faraci, [#OMISSIS#] Di Liberti, [#OMISSIS#] Taibi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. [#OMISSIS#] Barone e uditi per le parti l’avvocato dello Stato La Spina, Giovanni [#OMISSIS#] su delega di [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
Gli odierni intimati hanno proposto in prime cure ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca e l’Università degli Studi di Palermo, chiedendo l’annullamento, insieme ad altri atti, della graduatoria unica del concorso e del relativo decreto di approvazione per l’ammissione ai corsi di laurea in medicina e chirurgia e odontoiatria per l’a.a. 2013-2014 adottati dall’Università nella parte in cui i ricorrenti risultano collocati oltre l’ultimo posto utile e quindi non ammessi ai corsi di laurea.
A seguito dell’opposizione al ricorso straordinario, ritualmente notificata da uno dei controinteressati, le parti, allora ricorrenti, si sono costituite in giudizio davanti al TAR, riproponendo le doglianze già fatte valere con il ricorso straordinario, ovverosia la violazione durante lo svolgimento delle prove, della regola dell’anonimato e del principio di segretezza della prova, specificando che i candidati hanno dovuto compilare la scheda anagrafica prima dello svolgimento dei test e l’hanno tenuta esposta sul bando accanto al documento di riconoscimento.
Tali modalità di svolgimento della prova avrebbero consentito conoscenza del codice identificativo, abbinato a ciascun candidato prima della compilazione dei questionari, e ciò avrebbe determinato una rilevante violazione del principio dell’anonimato e possibilità, quantomeno in astratto, dell’alterazione dei risultati della prova.
Il TAR, coerentemente con i suoi precedenti e ritenuti i principi di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 20.11.2013 n. 26, ha accolto il ricorso e ha fatto obbligo all’Università degli studi di Palermo di ammettere i ricorrenti in soprannumero al corso di laurea prescelto per l’a.a. 2013-2014.
Avverso la sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e l’Università degli Studi di Palermo, che, dopo una breve esposizione in fatto, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso stante la mancata impugnazione dei decreti ministeriali 24.4.2013 n. 334 e 12.6.2016 n. 449, nel cui rispetto la commissione giudicatrice ha organizzato lo svolgimento degli esami.
Nessuna censura poteva essere mossa quindi – a giudizio degli appellanti – alle decisioni adottate dalla commissione, che non ha fatto altro che uniformarsi alle prescrizioni dei due decreti citati, né aveva alcuna possibilità di discostarsene. La mancata impugnazione di tali decreti renderebbe l’appello inammissibile.
Le amministrazioni appellanti hanno altresì contestato nel merito che le modalità di svolgimento delle prove previste potessero determinare una violazione del principio dell’anonimato. Infatti, all’esito della prova, si sarebbe determinata la netta separazione tra il documento (da consegnare in busta chiusa all’Università) contente i dati anagrafici del candidato abbinato al codice individuale riportato su ciascun modulo di esame e il modulo medesimo (contenente le risposte date dal candidato), destinato alla correzione presso il CINECA.
Tenuto conto che i moduli, che riportavano il codice individuale, con le risposte erano destinati ad essere valutati in modo oggettivo da un soggetto terzo, del tutto estraneo all’Università, il CINECA, mentre gli altri fogli identificativi rimanevano in possesso dell’Università, non si vedrebbe in quale maniera si sia determinata la violazione del principio dell’anonimato dal momento che i fogli contenenti le “prove scritte” giungevano al CINECA del tutto separati dalla scheda identificativa, contenente anch’essa il codice individuale.
Hanno resistito all’appello gli interessati, che, con un’articolata memoria, ne hanno contestato puntualmente i motivi, concludendo per il rigetto dell’appello perché infondato.
All’udienza del 15.3.2018 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Viene oggi all’esame del Collegio, quindi circa dopo 5 anni dallo svolgimento della procedura concorsuale contestata e l’ammissione degli intimati ai corsi universitari prescelti, l’esame della questione se nello svolgimento delle prove sostenute dagli appellati per l’ammissione ai corsi di laurea in medicina, chirurgia e odontoiatria dell’Università degli Studi di Palermo, si sia determinata o meno la violazione del principio dell’anonimato.
Il primo Giudice, dopo avere richiamato i principi di cui alla sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 20.11.2003 n. 26 e lo specifico precedente dello stesso TAR di cui alla sentenza 28.2.2012 n. 457, ha ritenuto che in effetti si fosse determinata una violazione del principio dell’anonimato per i seguenti motivi: “… risulta dalla documentazione in atti che i candidati hanno dovuto compilare la scheda anagrafica prima dello svolgimento del test e l’hanno tenuta esposta sul banco accanto al documento di riconoscimento; ritenuto che dette modalità di svolgimento della prova hanno consentito la conoscenza del codice identificativo abbinato a ciascun candidato prima della compilazione del questionari con conseguente rilevante violazione del principio dell’anonimato e possibilità quantomeno in astratto dell’alterazione dei risultati della prova”.
Le amministrazioni appellanti, nel criticare con due motivi (che possono esaminarsi congiuntamente) la sentenza appellata, hanno eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso di primo grado, ritenendo che le prove di esame si erano svolte in “piena conformità della procedura seguita alle linee guida ministeriali” e giacché tali linee guida non erano state impugnate, il ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile. Più esattamente si legge nell’appello che nello svolgimento delle prove “non vi è stato alcuno scostamento della Commissione esaminatrice rispetto alle disposizioni per lo svolgimento dei test, fissate a livello ministeriale dai dd.mm.24.4.2013 n. 334 e 12.6.2013 n. 449, essendosi le prove di esame svolte esattamente secondo le modalità stabilite nelle linee guida allegate all’ultimo dei suddetti decreti e versate in atti in primo grado”. E ancora, proseguono gli appellanti “… La compilazione della scheda anagrafica riportante (al pari del modulo con le domande e del foglio con i dati necessari per il successivo accesso al sito) un codice a barre identificativo del singolo candidato era quindi conforme alle prescrizioni della lex specialis della procedura, che a sua volta si uniformava a quanto imposto dai decreti e dalle linee guida ministeriali; del pari era conforme alle linee ministeriali che i citati documenti dovessero senz’altro rimanere sul banco dei candidati per l’intera durata della prova al pari del documento di identità come sempre prescritto dalle citate e non impugnate linee guida ministeriali, espressamente richiamate dal bando di concorso”.
Risulta palese pertanto che l’amministrazione non contesta lo svolgimento dei fatti, così come descritto nella sentenza impugnata, ma eccepisce che lo svolgimento della procedura deve ritenersi legittima in quanto conforme a quanto aveva stabilito con propri atti generali lo stesso Ministero e a quanto era previsto nel bando di concorso.
Il Consiglio non può aderire alle tesi difensive dell’amministrazione.
Dalla semplice lettura della documentazione disponibile risulta che gli appellati hanno concentrato le loro doglianze sull’asserita violazione della regola dell’anonimato e del principio di segretezza della prova, violazione che avrebbe determinato l’illegittimità dei risultati, della graduatoria unica del concorso e quindi del relativo decreto di approvazione.
Ciò posto sembra al Collegio che, nell’esaminare la censura di violazione della regola dell’anonimato e del principio di segretezza della prova, non possa attribuirsi rilevanza alle disposizioni ministeriali con le quali è stato regolato lo svolgimento della procedura concorsuale, giacché ciò che in concreto rileva non è se vi sia stato o meno il rispetto di regole precostituite dall’amministrazione, ma se il principio fondamentale dell’anonimato e della segretezza di rilievo costituzionale, che è immanente a qualunque procedura concorsuale, sia stato in concreto rispettato. Infatti, a differenza di altri casi ricordati nell’appello, gli appellati non avevano mai dedotto in primo grado la violazione del bando o di una qualunque altra norma rilevante, ma le loro critiche si erano appuntate sulla circostanza oggettiva che nell’ambito della procedura contestata si erano determinate almeno a livello potenziale violazioni delle più volte richiamate regole di anonimato e di segretezza.
Il ricorso di primo grado, pertanto, non poteva essere dichiarato inammissibile perché ad avviso del Collegio il giudizio non doveva portarsi sulle regole ministeriali che reggevano la prova, ma sulle modalità concrete di svolgimento della prova stessa, che sempre e comunque debbono in concreto apparire rispettose del pervasivo principio dell’anonimato.
Ciò posto e venendo al secondo motivo di appello, con cui si deduce l’insussistenza nel merito della violazione della regola dell’anonimato, quanto affermato dal primo Giudice risulta, ad avviso del Collegio, convincente; infatti la circostanza che la scheda anagrafica e il documento di riconoscimento siano state tenute esposte sul banco, così che chiunque avrebbe potuto prendere conoscenza del codice identificativo, abbinato a ciascun candidato prima della compilazione dei questionari, costituiva violazione del principio dell’anonimato della prova, determinando quantomeno in astratto l’alterazione dei risultati, con possibilità che si determinassero gli inconvenienti che gli appellati hanno ampiamente illustrato alle pagg. 20 e ss. della loro memoria.
La circostanza, quindi, fatta valere nell’appello che gli elaborati venissero corretti presso una sede diversa dall’Università ed esattamente presso il CINECA non cambia i termini della questione, giacché l’avvenuta violazione del principio della regola dell’anonimato determina in astratto l’illegittimità della procedura, quale che siano gli organi che in concreto procedano alla correzione delle prove scritte. Infatti, se in una fase della procedura concorsuale si determina una lesione del principio considerato, questa lesione non può essere sanata dalla circostanza che i soggetti, che procedono alla correzione, siano diversi da quelli che hanno seguito lo svolgimento delle prove scritte, giacché la violazione costituisce, per così dire, una situazione di pericolo senza che sia necessario dimostrare l’avvenuta effettiva alterazione della regola di imparzialità, essendo sufficiente l’astratta possibilità che la valutazione delle prove possa essere stata alterata (Ad. plen. sentenza n. 26/13).
Il motivo va, quindi, rigettato.
Conclusivamente ritiene il Collegio che l’appello vada rigettato perché infondato.
La natura della controversia consente l’integrale compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Modica de [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Barone, Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Verde, Consigliere 
Pubblicato il 04/04/2018