Vanno rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:
a) se gli artt. 21, 22 e 24 della direttiva 2005/36/CE impongano ad uno Stato membro, in cui vige l’obbligo di formazione a tempo pieno ed il correlato divieto di contemporanea iscrizione a due corsi di laurea, il riconoscimento automatico di titoli che siano invece conseguiti, nello Stato membro di provenienza, contemporaneamente o in periodi parzialmente sovrapponibili;
b) se, nel caso di risposta affermativa, l’art. 22, lett. a), e l’art. 21 della direttiva 2005/36/CE possano interpretarsi nel senso che all’Autorità dello Stato membro al quale è chiesto il riconoscimento sia comunque consentito verificare la condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità di siffatta formazione non siano inferiori a quelli della formazione continua a tempo pieno
Consiglio di Stato, Sez. III, 14 novembre 2017, n. 5249
Titolo di studio estero–Riconoscimento–Contemporanea iscrizione a due corsi di laurea – Ammissibilità–Requisiti minimi–Livello di formazione–Verifica–Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
N. 05249/2017 REG.PROV.COLL.
N. 02556/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2556 del 2017, proposto dal Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione III quater, n. 9800/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2017 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati dello Stato [#OMISSIS#] Piracci;
I FATTI PROCESSUALI
In data 26.03.2013, il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], cittadino italiano, ha presentato, ai fini dell’esercizio in Italia della professione di odontoiatra, una prima istanza di riconoscimento avente ad oggetto il titolo denominato “Doktor der Zahnheilkunde”, rilasciato il 08.01.2013 dalla Università di Medicina di Innsbruck. A corredo di tale domanda erano stati presentati una serie di documenti, tra i quali, ai fini che qui rilevano, si segnala il certificato di
conformità rilasciato in data 27.02.2013 dall’Autorità competente austriaca (ossia, l’Ordine austriaco degli Odontoiatri). In tale documento, viene attestato che il citato titolo di odontoiatra “soddisfa i requisiti minimi dell’art. 34 della direttiva 200513610E”.
Preso atto di ciò, con decreto dirigenziale del 20.05.2013 il Ministero ha riconosciuto — secondo il sistema dell’automatismo di riconoscimento – il titolo di “Doktor der Zahnheilkunde”, in possesso dell’istante, quale titolo di odontoiatra ai fini dell’esercizio in Italia della relativa professione.
Tuttavia, a distanza di circa un anno e mezzo, ossia in data 16.10.2014, il dott. [#OMISSIS#] ha avanzato – al fine di esercitare in Italia anche la professione di medico chirurgo – un’istanza di riconoscimento avente ad oggetto il titolo denominato “Doktor der Gersamten Heilnunde”, rilasciato 20.08.2014 sempre dall’Università di Medicina di Innsbruck. Tra la documentazione esibita in quella sede, si segnala la certificazione di conformità rilasciata il 18.09.2014 dalla competente Autorità austriaca, in cui viene attestato che il titolo in questione “soddisfa tutti i requisiti prescritti dall’art. 24 della direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali” e che detto diploma “corrisponde al diploma relativo al conferimento del titolo accademico di Medico Chirurgo (…) per l’Austria di cui all’allegato 5.1.1. della Direttiva 2005/36/CE”.
Di fronte a tale seconda domanda di riconoscimento, l’Amministrazione ha constatato che, da un lato, il sopra citato titolo di odontoiatra, già riconosciuto, è stato conseguito l’8.1.2013, e, dall’altro, il titolo di medico chirurgo è stato conseguito 20.8.2014. Risultava quindi che quest’ultimo diploma era stato rilasciato al termine di un corso di laurea la cui durata, pari a 15 mesi, era stata ben inferiore a quella minima di 6 anni indicata per il titolo di medico chirurgo dall’art. 24 della direttiva 2005/36/CE.
Pertanto, con nota del 4.12.2014 prot. 66801, il Ministero si è rivolto all’Autorità competente austriaca, chiedendo di sapere come il titolo di medico chirurgo conseguito dal dott. [#OMISSIS#] nel 2014 potesse soddisfare tutti i requisiti di cui al citato art. 24, considerata la durata della formazione che – alla luce della documentazione agli atti – risultava essere stata di soli 15 mesi. Con tale nota l’Amministrazione si è contestualmente rivolta anche all’interessato, al quale è stato rappresentato che, laddove la competente Autorità austriaca non avesse fornito riscontro entro il termine di 30 giorni, l’Amministrazione si sarebbe comunque espressa in merito all’ istanza di riconoscimento sulla scorta della documentazione agli atti.
Poiché detta Autorità straniera non aveva provveduto a fornire le informazioni richieste entro i termini prescritti, con nota del 6.3.2015 prot. 12369, attesa la carenza di elementi sostanziali per il perfezionamento dell’iter istruttorio, sono stati comunicati al dott. [#OMISSIS#] i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di riconoscimento del titolo di medico chirurgo.
Successivamente, il 31.3.2015, è pervenuta la lettera dell’Autorità austriaca datata 19.3.2015, che ha confermato che il titolo di medico chirurgo in possesso del dott. [#OMISSIS#] “soddisfa tutti i requisiti prescritti dall’art. 24 della direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali” e che “corrisponde al diploma relativo al conferimento del titolo accademico di Medico Chirurgo (…) per l’Austria di cui all’allegato 5.1.1. della Direttiva 2005/36/CE”. Nella medesima lettera l’Ordine austriaco dei Medici ha altresì precisato: “dalla certificazione dei periodi di formazione rilasciata dall’Università di medicina di Innsbruck e presentata dal Dr. (…) [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] risulta che egli ha iniziato gli studi di medicina umana il 21.3.2006 e il ha completati il 20.08.2014. Dalla certificazione dei periodi di formazione rilasciata dall’Università di medicina di Innsbruck risulta inoltre che egli ha iniziato gli studi di odontoiatria 11 7.9.2004 e il ha completati l’8.1.2013”.
Sulla scorta di tale comunicazione, il Ministero ha quindi potuto appurare che l’interessato, poco dopo l’iscrizione alla Facoltà di odontoiatria presso l’Università. di Innsbruck, si è contestualmente ivi iscritto anche alla Facoltà di medicina e chirurgia, frequentando contemporaneamente i due corsi di laurea presso il medesimo Ateneo.
Preso atto di ciò, con nota del 27.05.2015 prot. 27250, è stato trasmesso al dott. [#OMISSIS#] provvedimento finale di diniego, nel quale è stato fatto presente che “la direttiva 2005/36/CE non prevede in alcuna situazione che si possano effettuare contemporaneamente più corsi di formazione”.
L’interessato ha proposto ricorso al Tar Lazio, lamentando che il diniego espresso dal Ministero si porrebbe in aperto contrasto con il principio di riconoscimento automatico dei titoli di medico specialista di cui all’art. 21 della direttiva 2005/36/CE (corrispondente all’art. 31 del d.lgs. n. 206/2007) emanato in attuazione del principio di libertà di stabilimento di cui all’art. 39 TCE. Ha aggiunto, il ricorrente, che le condizioni minime di formazione di cui all’art. 21, comma 1 della Direttiva, indicate nell’art. 24 della stessa, sarebbero state espressamente riconosciute come sussistenti nel percorso formativo svolto dal ricorrente dall’apposita certificazione dell’Ordine dei Medici Austriaco. Il ricorrente ha inoltre rilevato che tale determinazione contrasterebbe con altre determinazioni del Ministero su tre casi analoghi.
Il Tar ha accolto il ricorso. Ha affermato, in particolare, il Tar, che “ciò che rileva ai fini del riconoscimento, in particolare del titolo di medico è che lo stesso sia stato riconosciuto come soddisfacente i requisiti minimi previsti dalla Direttiva CE sul riconoscimento degli stessi e che implica che il ricorrente abbia seguito un cursus studiorum tale a far sì che l’Ordine dei Medici Austriaco abbia potuto rilasciare la relativa certificazione”.
La sentenza è ora appellata dal Ministero della Salute. Secondo il Ministero appellante la direttiva 2005/36/CE (recepita in Italia col D.lgs. del 6 novembre 2007, n. 206) individua tassativi requisiti formativi che devono essere garantiti dagli Stati membri al fine del rilascio di un titolo di medico di base. In proposito, l’art. 24, disciplinante la “Formazione medica di base”, stabilisce in particolare ai commi 2 e 3: “2. La formazione medica di base comprende almeno sei anni di studi o 5 500 ore d’insegnamento teorico e pratico dispensate in un’università o sotto la sorveglianza di un’università. (…) …” Nel caso di specie numerosi esami svolti dal dott. [#OMISSIS#] sarebbero stati contestualmente valutati sia ai fini del rilascio del titolo di odontoiatra, sia ai fini del rilascio del titolo di medico chirurgo. Tale procedura costituirebbe un modus operandi previsto dalla legislazione interna dell’Austria, ma che – secondo l’appellante – si porrebbe in netto contrasto con quanto disciplinato dalla menzionata direttiva 2005/36/CE, comportando peraltro una sostanziale discriminazione tra i cittadini austriaci e i cittadini comunitari di altri Paesi – tra cui l’Italia – ove è espressamente vietata la simultanea iscrizione a due corsi di laurea.
Nel giudizio nessuno si è costituito per l’appellato.
Con ordinanza cautelare n. 02498/2017, la Sezione “Ritenuto che la questione relativa al riconoscimento, nello Stato italiano, del diploma di laurea in medicina conseguito dall’appellato presso università austriaca a seguito di un corso di studi parzialmente seguito contemporaneamente al corso di laurea in odontoiatria meriti l’approfondimento proprio dell’esame nel merito;” e che, nelle more, sia giusto prevalga “l’interesse pubblico ad ammettere all’esercizio della professione medica esclusivamente soggetti sulla cui legittimazione professionale non esistono dubbi”, ha sospeso l’efficacia della sentenza di primo grado.
La causa è stata, da ultimo, trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 12 ottobre 2017.
DIRITTO
Il Collegio ritiene che ai fini della decisione degli appelli sia necessario sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione Europea una questione pregiudiziale di corretta interpretazione del diritto euro-unitario, ai sensi dell’art. 267 comma 3, TFUE.
La rilevanza del rinvio pregiudiziale ai fini del giudizio risulta in maniera evidente dalla circostanza che una eventuale risoluzione della questione pregiudiziale nel senso indicato dalle parte pubblica appellante potrebbe determinare l’accoglimento dei motivi di appello diretti a contestare la violazione, da parte del giudice di prime cure, della direttiva 2005/36/CE.
La formulazione del quesito richiede la preliminare ricostruzione del quadro normativo europeo e nazionale
Il quadro normativo europeo
Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del trattato, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l’altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale. Inoltre, l’articolo 47, paragrafo 1 del trattato prevede l’approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli.
In attuazione dell’art. 47 cit. è stata approvata la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, concernente “il riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri”, che fissa le regole con cui uno Stato membro, che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri (in seguito denominati «Stati membri d’origine») e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione.
L’art. 21 comma 1 della direttiva prevede che “1. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell’assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di farmacista e di architetto, di cui all’allegato V e rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.6.2 e 5.7.1, conformi alle condizioni minime di formazione di cui rispettivamente agli articoli 24, 25, 31, 34, 35, 38, 44 e 46, e attribuisce loro, ai fini dell’accesso alle attività professionali e del loro esercizio, gli stessi effetti sul suo territorio che hanno i titoli di formazione che esso rilascia.”
Ai sensi dell’art. 24 della direttiva 1. L’ammissione alla formazione medica di base è subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tali studi, a istituti universitari. 2. La formazione medica di base comprende almeno sei anni di studi o 5500 ore d’insegnamento teorico e pratico dispensate in un’università o sotto la sorveglianza di un’università.
La direttiva è stata attuata in Italia con il D.Lgs. 09/11/2007, n. 206.
L’art. 21, della fonte citata, di recente modificato dall’art. 20, comma 1, lett. a), nn. 1) e 2), D.Lgs. 28 gennaio 2016, n. 15, a decorrere dal 10 febbraio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 47, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 15/2016, prevede che “1. Al fine dell’applicazione dell’articolo 18, comma 1, per l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata sono ammessi al riconoscimento professionale le qualifiche professionali che sono prescritte da un altro Stato membro per accedere alla corrispondente professione ed esercitarla. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione ammessi al riconoscimento sono rilasciati da un’autorità competente in un altro Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato”.
La normativa italiana rilevante
Il Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592, tutt’ora vigente, prevede che “salvo il disposto dell’art. 39, lettera c), è vietata l’iscrizione contemporanea a diverse Università e a diversi Istituti di istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola”
La normativa austriaca
Per quanto può ricavarsi dal ricorso di primo grado del ricorrente, il sistema universitario austriaco consente, in via generale, agli studenti di frequentare contemporaneamente due o più corsi di studio. Tale possibilità è consentita per il corso di medicina dal combinato disposto delle seguenti norme: § 78, comma 1, Universitatsgesetz 2001 (legge in materia di Università) (…); § 25, comma 3, Studienrechtliche Bestimmungen Humanmedizin (disposizioni per lo studio in medicina umana) (..)”.
La questione pregiudiziale
Non sfugge al Collegio che il sistema di riconoscimento automatico delle qualifiche professionali, previsto, per quanto riguarda la professione di medico, agli articoli 21 e 24 della direttiva 2005/36, non lascia alcun margine discrezionale agli Stati membri. Ragion per cui, il cittadino di uno Stato membro, in quanto sia titolare di uno dei titoli di formazione e dei certificati complementari che figurano nell’allegato V, deve poter esercitare la professione di medico in un altro Stato membro senza che quest’ultimo possa imporgli di ottenere o di dimostrare requisiti di formazione supplementare (Corte di Giustizia Sez. IX, Sent., 30/04/2014, n. 365/13, seppur con riferimento alla professione di architetto).
Nel caso di specie tuttavia la questione è diversa.
Il dubbio è se la formazione a tempo parziale, scaturente e deducibile dalla possibilità di contemporanea frequenza di due o più corsi universitari, soddisfi o meno i requisiti minimi previsti dall’art. 24 e dell’allegato V della direttiva 2005/36/CE, e se in questo caso lo Stato membro al quale è chiesto il riconoscimento abbia o meno il diritto di verificare se la formazione acquisita a tempo parziale nello Stato membro di provenienza sia effettivamente corrispondente a quella minima prevista dalle norme citate.
Si tratta in altri termini di chiarire, in via pregiudiziale, se l’automatismo di cui all’art. 21 opera anche quando vi sia il ragionevole sospetto, a cagione della contemporanea frequenza di più corsi di studio, che la formazione universitaria sia avvenuta a tempo parziale.
Sul punto rileva l’art. 22 lett. a) della direttiva, ove è previsto che “gli Stati membri possono autorizzare una formazione a tempo parziale alle condizioni previste dalle autorità competenti; queste ultime fanno sì che la durata complessiva, il livello e la qualità di siffatta formazione non siano inferiori a quelli della formazione continua a tempo pieno”.
La disposizione tuttavia non chiarisce se, ed eventualmente in che modo, le Autorità competenti dello Stato membro possano verificare, ai fini del riconoscimento, la condizione che la formazione presso lo Stato membro di provenienza non sia stata inferiore a quelli della formazione continua a tempo pieno.
Il rischio, in assenza di meccanismi di verifica, è evidentemente quello di generare una sostanziale discriminazione tra i cittadini austriaci e i cittadini comunitari di altri Paesi – tra cui l’Italia – ove è espressamente vietata la simultanea iscrizione a due corsi di laurea.
I quesiti che si sottopongono alla Corte di Giustizia sono dunque i seguenti:
Se gli artt. 21, 22 e 24 della direttiva impongano ad uno Stato membro, in cui vige l’obbligo di formazione a tempo pieno ed il correlato divieto di contemporanea iscrizione a due corsi di laurea, il riconoscimento automatico d titoli che siano invece conseguiti, nello Stato membro di provenienza, contemporaneamente o in periodi parzialmente sovrapponibili
Se, nel caso di risposta affermativa, l’art. 22 lett. a) e l’art. 21 della direttiva possano interpretarsi nel senso che all’Autorità dello Stato membro al quale è chiesto il riconoscimento sia comunque consentito verificare la condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità di siffatta formazione non siano inferiori a quelli della formazione continua a tempo pieno.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dispone:
1) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti ivi indicati;
2) la sospensione del presente giudizio;
3) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in [#OMISSIS#], in merito e in ordine alle spese
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] Bellomo, Consigliere
Lydia [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Spiezia, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore, Consigliere
Pubblicato il 14/11/2017