Consiglio di Stato, Sez. VI, 1 ottobre 2014, n. 4877

Diniego nulla osta trasferimento da università straniera-Legittimità test preselettivo

Data Documento: 2014-10-01
Area: Giurisprudenza
Massima

Dall’esame degli artt. 1, lett. a), e 4, della legge 2 agosto 1999, n. 264, non emerge in alcun modo che l’obbligo di sostenere il test d’ingresso alle facoltà a numero chiuso operi limitatamente al primo anno di corso, dovendosi, invece, ritenere-stante l’inequivoco disposto normativo- che detto obbligo sussista anche (in assenza di condizioni esimenti) nel caso di domanda di accesso dall’esterno ad anni di corso successivi al primo.

L’ordinamento comunitario garantisce- a talune condizioni- il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle mere procedure di ammissione, né dispone la libera iscrizione a facoltà universitarie dopo l’iscrizione presso un’università di uno degli stati membri. Lo stesso art. 165 TFUE (ora art. 149 TCE) non prevede al riguardo un’armonizzazione delle disposizioni nazionali, e demanda all’Unione solo il compito di promuovere azioni di incentivazione e di esprimere raccomandazioni. E’ perciò compatibile con esso che gli Stati prevedano la necessità del superamento, ai fini dell’accesso, di una prova selettiva nazionale ulteriore rispetto a quella eventualmente superata presso un ateneo di altro stato membro.

Contenuto sentenza

N. 04877/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00197/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 197 del 2013, proposto da
Ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca e dall’Università degli Studi dell’Aquila, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
contro
Masotta [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Cantelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Orazio [#OMISSIS#] e Salvatore [#OMISSIS#] Napoli, con domicilio eletto presso Salvatore Napoli in Roma, via [#OMISSIS#] Riboty 23; 
Masotta [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati Orazio [#OMISSIS#] e Salvatore [#OMISSIS#] Napoli, con domicilio eletto presso Salvatore Napoli in Roma, via [#OMISSIS#] Riboty 23; 
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Iacoletti [#OMISSIS#], Marinucci [#OMISSIS#], Alfonsi Tiziano e Alfonsi [#OMISSIS#], rappresentati e difesi dall’avvocato Orazio [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via [#OMISSIS#], n. 7
per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del lazio, sezione iii-bis, n. 9985/2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori [#OMISSIS#] Masotta, [#OMISSIS#] Masotta, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Iacoletti, [#OMISSIS#] Marinucci, Tiziano Alfonsi e [#OMISSIS#] Alfonsi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 luglio 2014 il Cons. [#OMISSIS#] Contessa e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Urbani Neri, nonché gli avvocati Orazio [#OMISSIS#], Salvatore [#OMISSIS#] Napoli, [#OMISSIS#] e Cantelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le amministrazioni appellanti riferiscono che con decreto rettorale n. 1044/2009 l’Università degli studi dell’Aquila aveva reso noto che, per i corsi di laurea in odontoiatria per l’anno accademico 2009/2010, si erano liberati quarantadue posti per gli anni di corso successivi al primo.
Gli odierni appellati, riferendo di aver frequentato i primi anni del corso di laurea in Medicina, Farmacia e Medicina dentaria – Specializzazione Medicina dentaria presso l’Università dell’Ovest ‘Vasile Goldis’ di Arad (Romania), chiedevano quindi l’iscrizione agli anni di corso successivi al primo presso l’Università degli studi dell’Aquila.
L’Università appellante, con distinti decreti adottati nel corso del mese di settembre del 2009 accoglieva in un primo momento le richieste in tal modo formulate.
Tuttavia, con nota in data 26 ottobre 2009, il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca rilevava che la procedura delineata dall’Università degli studi dell’Aquila per l’ammissione agli anni di corso successivi al primo di studenti già iscritti e frequentanti università di altri Paesi dell’Unione europea si ponesse in contrasto con le previsioni di cui alla legge 2 agosto 1999, n. 264 (‘Norme in materia di accessi ai corsi universitari’).
Al riguardo gli organi ministeriali osservavano – ai fini che qui rilevano – che le disposizioni di legge in tema di prova unica nazionale per l’accesso alle facoltà a numero chiuso devono essere interpretate nel senso che il superamento di tale prova si renda necessario anche per l’iscrizione ad anni di corso successivi al primo e anche nei confronti di studenti (di nazionalità italiana o di altri Paesi UE) provenienti da università di altri Paesi UE i quali abbiano superato in quei Paesi la prova per l’accesso al primo anno di corso.
Pertanto, con il provvedimento in data 6 novembre 2009 (impugnato in primo grado) il Rettore dell’Università degli studi dell’Aquila disponeva l’annullamento dei decreti di immatricolazione adottati alcuni mesi prima, “ritenuto doveroso annullare il provvedimento, in ossequio alla citata nota ministeriale”.
Con successivi provvedimenti – attuativi del decreto rettorale da ultimo richiamato – gli organi dell’Università appellante procedevano a revocare gli atti con cui gli odierni appellati erano stati autorizzati a proseguire gli studi in Italia, pure in assenza del superamento del test d’ingresso.
Il provvedimento in questione (e la nota ministeriale che lo aveva preceduto) veniva, quindi, impugnato dai signori [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Masotta, nonché dai signori [#OMISSIS#], Iacoletti, Marinucci, [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Alfonsi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio il quale, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso e annullava i provvedimenti impugnati.
Ai fini della compiuta ricostruzione della vicenda di causa giova qui sottolineare che il decreto rettorale in data 6 novembre 2009 (con il quale, su impulso del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, era stato annullato il precedente decreto del 22 settembre 2009 con cui era stata disposta l’iscrizione ai corsi degli odierni appellati) è stato altresì impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato da altri studenti interessati alla presente vicenda (si tratta dei signori [#OMISSIS#] e Marrazzo).
Ebbene, con decreto del Presidente della Repubblica in data 20 giugno 2011 (reso in conformità al parere della seconda Sezione di questo Consiglio di Stato, n. 1553/2011, adottato all’esito dell’adunanza di Sezione del 20 aprile 2011) è stato accolto il ricorso straordinario proposto dai signori [#OMISSIS#] e Marrazzo ed è stato conseguentemente annullato il decreto rettorale in data 6 novembre 2009.
Tornando alle vicende sottese al presente ricorso, si osserva che la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 9985/2012 è stata impugnata in appello dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e dall’Università degli studi dell’Aquila i quali ne hanno chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
Con un primo motivo (rubricato ‘Violazione e falsa applicazione del comb. disp. degli articoli 1 e 4 legge 2 agosto 1999, n. 264, nonché dell’art. 2 del Decreto rettorale 1466/2010 (Bando)’) le Amministrazioni appellanti lamentano che il primo Giudice avrebbero erroneamente interpretato ed applicato le disposizioni di cui alla legge n. 264 del 1999 in tema di prova unica nazionale per l’accesso alle Facoltà a numero chiuso.
In particolare, il primo giudice avrebbe omesso di considerare che le disposizioni di legge che rendono necessario il superamento del test di ingresso per poter accedere ai corsi delle università a numero chiuso sono da intendere nel senso di estendere tale vincolo a tutti i casi di ‘accesso’ alle facoltà a numero chiuso, ivi compreso – quindi – il caso in cui gli studenti richiedenti abbiano già frequentato anni di analoghi corsi di studio presso università di Paesi dell’UE.
E il necessario, previo superamento del test di ingresso era altresì previsto dal decreto rettorale n. 1466/2010 (ossia, dal bando di indizione della procedura all’origine dei fatti di causa).
D’altronde, stante il richiamato vincolo legislativo, deve ritenersi che non sussista alcun margine valutativo in capo alle università italiane in ordine al se imporre o meno il test di ingresso per ammettere gli studenti alle facoltà a numero chiuso.
Con il secondo motivo di ricorso (‘Violazione e falsa applicazione degli articoli 18, n. 1; 21, n. 1; e 165, n. 2, secondo trattino del TFUE – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in vigore dal 1° dicembre 2009 (già articoli 12, n. 1; 18, n. 1 e 149, n. 2, secondo trattino, CE, numerazione del Trattato di Amsterdam, 1997, citati dal TAR’) le amministrazioni appellanti chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha negato la compatibilità con il diritto dell’Unione europea dell’opzione interpretativa secondo cui i vincoli legislativi in tema di prova unica nazionale per l’accesso alle facoltà a numero chiuso trovano applicazione anche nei confronti di studenti già iscritti presso università di altri Paesi dell’Unione europea (in specie laddove – come nel caso in esame – essi abbiano a propria volta già sostenuto presso tali Paesi specifiche prove di ammissione).
Al riguardo le amministrazioni appellanti richiamano la giurisprudenza comunitaria secondo cui resta riservata alla legislazione degli Stati membri la disciplina dell’ingresso agli studi universitari, anche se tale disciplina non può risolversi nell’adozione di discipline che rendano impossibile o estremamente gravoso per i cittadini di altri Paesi dell’Unione europea accedere – in condizione di piena parità – agli studi in questione (ovvero che impongano discriminazioni al fine dell’accesso). Osservano, inoltre, che la normativa italiana in tema di accesso alle facoltà a numero chiuso non reca alcuna forma di discriminazione in base alla nazionalità, pacifico essendo che essa trovi indistinta applicazione sia nei confronti dei cittadini italiani che di quelli stranieri.
Inoltre, il primo giudice avrebbe omesso di considerare:
– che la giurisprudenza della Corte di giustizia UE ammette come titoli di studio idonei a consentire la fruizione del regime di mutuo riconoscimento solo quelli che giungono all’esito di un percorso di studi di durata almeno triennale e che consentono l’accesso a professioni regolamentate;
– che, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2005/36/CE in tema di riconoscimento dei diplomi, gli odierni appellati non sono in possesso di un titolo di studio o di formazione di cui sia possibile richiedere il riconoscimento in Italia, previo esperimento del giudizio di equipollenza;
– che la giurisprudenza della Corte di giustizia UE riconosce la compatibilità con il diritto dell’Unione europea di una normativa nazionale (quale quella di cui alla l. 264 del 1999) che impone talune condizioni per l’iscrizione ai corsi di studio anche nei confronti dei cittadini dello Stato di destinazione – nel caso in esame, l’Italia – i quali intendano tornare presso il proprio Paese dopo periodi di studio all’estero. Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, la fissazione di tali condizioni risulterà comunque conforme con l’ordinamento comunitario, a condizione che esse risultino giustificate da condizioni oggettive di interesse generale e che non siano suscettibili di influire, in base a un giudizio di proporzionalità, sulla libertà di circolazione intracomunitaria.
Del resto, la più rigorosa interpretazione che qui viene suggerita è, ad avviso delle Amministrazioni appellanti, quella che più adeguatamente può impedire (e con misure non irragionevoli e del tutto giustificate) il verificarsi di situazioni di vera e propria ‘discriminazione alla rovescia’ in danno degli studenti italiani i quali si siano doverosamente sottoposti al più volte richiamato test d’ingresso di cui alla legge n. 264 del 1999.
Si sono costituiti in giudizio i signori [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Masotta, nonché i signori [#OMISSIS#], Iacoletti, Marinucci, [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Alfonsi i quali hanno concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Con ordinanza n. 423 del 6 febbraio 2013 questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza in epigrafe osservando che “alla luce dell’orientamento ripetutamente espresso dalla Sezione (…) l’appello è assistito da consistenti elementi di fumus e che sussistono gli estremi del periculum;
[inoltre] quanto alla censura riproposta dagli appellanti, l’atto di autotutela è intervenuto a breve distanza (circa due mesi) dal provvedimento annullato”.
Alla pubblica udienza del 1° luglio 2014 le parti costituite hanno precisato le proprie conclusioni e il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e dall’Università degli studi dell’Aquila avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato accolto il ricorso proposto da alcuni studenti (i quali avevano frequentato i primi anni del corso di laurea in Medicina, farmacia e medicina dentaria – specializzazione medicina dentaria – presso un’università della Romania) e, per l’effetto, sono stati annullati i provvedimenti con cui l’Università degli studi dell’Aquila aveva annullato in autotutela il provvedimento con il quale era stata inizialmente ammessa la loro iscrizione ad anni successivi al primo del corso di laurea in Odontoiatria.
2. Il ricorso è fondato.
3. Prima di esaminare nel merito la res controversa (e, in particolare, la questione relativa alla compatibilità con il diritto dell’Unione europea di una normativa nazionale – quale quella di cui alla legge n. 264 del 1999 – la quale sembra imporre l’obbligo di sostenere le prove di accesso alle facoltà italiane a numero chiuso anche agli studenti che abbiano svolto i primi anni di corso presso università di altri Paesi dell’Unione europea a che chiedano di iscriversi ad anni di corso successivi al primo presso università italiane) il Collegio deve farsi carico dell’esame di una questione preliminare.
Si tratta della questione (su cui si concentra la memoria degli appellati depositata in data 31 maggio 2014) relativa agli effetti sortiti sul presente giudizio dall’annullamento in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato del decreto del Rettore dell’Università dell’Aquila n. 1952/2009 con cui – come si è osservato in narrativa – era stato annullato il precedente decreto rettorale che aveva ammesso l’iscrizione ai corsi degli odierni appellanti e di numerosi altri soggetti.
Nella tesi degli appellati, l’annullamento in sede di ricorso straordinario (proposto dai signori [#OMISSIS#] e Marrazzo) del decreto rettorale n. 1952/2009 (si tratta del medesimo provvedimento impugnato nel primo grado del presente giudizio) avrebbe privato – e con effetto ex tunc – il decreto in questione di qualunque rilevanza giuridica. Conseguentemente, la decisione del Capo dello Stato avrebbe fatto rivivere il decreto rettorale n. 1044/2009 (ossia, il provvedimento – annullato in sede di autotutela su impulso ministeriale – in base al quale l’Università degli Studi dell’Aquila aveva accolto le domande di trasferimento di studenti iscritti ai corsi di laurea in Odontoiatria provenienti da Paesi comunitari).
Né potrebbe negarsi che la decisione adottata dal Capo dello Stato sortisca i propri effetti anche nei confronti degli odierni appellati, essendo il decreto presidenziale del giugno 2011 intervenuto su un atto a contenuto generale, in quanto tale rivolto a una platea indeterminata di soggetti.
Gli appellati concludono sul punto nel senso dell’inammissibilità dell’appello, dal momento che l’illegittimità del decreto rettorale n. 1952/2009 sarebbe stata già definitivamente accertata dal Capo dello Stato, con la conseguente rimozione dall’ordinamento giuridico del provvedimento all’origine della presente vicenda contenziosa.
3.1. L’eccezione non può essere condivisa.
Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto sul punto dagli appellati, il provvedimento rettorale n. 1952/2009, operando in via di autotutela su un novero ben identificato di posizioni individuali formatesi all’indomani dell’accoglimento delle domande di trasferimento ai sensi del precedente decreto n. 1044/2009, non presentava le caratteristiche di un atto a contenuto generale, bensì di un atto amministrativo plurimo e ad effetti scindibili (ancorché trasfuso in un documento formalmente unico).
Il carattere scindibile degli effetti sortiti dal decreto rettorale di autotutela e il fatto che esso intervenisse su un fascio di rapporti distinti e ben individuabili comporta che l’annullamento disposto in sede di ricorso straordinario sul ricorso dei signori [#OMISSIS#] e Marrazzo esaurisse i propri effetti nella sfera giuridica dei ricorrenti e non risultasse idoneo a sortire [#OMISSIS#] erga omnes (i.e.: nei confronti di tutti i soggetti inizialmente interessati dalla portata dispositiva del decreto rettorale n. 1044/2009, oggetto di annullamento in autotutela).
3. Allo stesso modo è infondata l’eccezione di improcedibilità per cessazione della materia del contendere del ricorso sollevata dai signori [#OMISSIS#], Iacoletti, Marinucci, Tiziano Alfonsi e [#OMISSIS#] Alfonsi in relazione alla previsione di cui al comma 2-bis dell’articolo 4 del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (come introdotto dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), secondo cui “conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”.
3.1. Al riguardo si osserva in primo luogo che la disposizione in esame non risulterebbe comunque idonea – qualunque sia l’interpretazione che se ne fornisca – a supportare una sentenza di improcedibilità per cessata materia del contendere, atteso che tale ipotesi di definizione del giudizio può verificarsi solo laddove il fatto estintivo si verifichi “nel corso del giudizio” (in tal senso, da ultimo, il comma 5 dell’articolo 34 del Cod. proc. amm.).
Evidentemente, si tratta di un’evenienza che non ricorre nel caso di specie, atteso che i provvedimenti impugnati in primo grado risalgono all’anno 2009, mentre la disposizione da cui deriverebbe la cessazione della materia del contendere risale all’anno 2005.
3.2. In secondo luogo si osserva che, anche nel merito, l’argomento non può essere condiviso, stante l’evidente non applicabilità della disposizione dinanzi richiamata alla presente vicenda contenziosa.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la domanda di trasferimento all’origine dei fatti di causa non presupponeva un’abilitazione professionale o un qualche ‘titolo’ in senso lato, in tal modo rendendo inconferente il richiamo alla previsione di cui al comma 2-bis dell’articolo 4 del decreto-legge n. 115 del 2005.
Del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha stabilito che la disposizione da ultimo richiamata resti circoscritta all’idoneità degli aspiranti ad una professione priva di ‘numero chiuso’ e non richiedente, quindi, procedure di selezione finalizzate al conferimento di un numero limitato di posti (in tal senso: Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013, n. 3001; id., VI, 15 febbraio 2012, n. 768).
Ne consegue anche per questa regione l’inconferenza del richiamo normativo in questione in relazione alla presente vicenda contenziosa, atteso che: i) nella presente vicenda non si fa questione dell’accesso a una professione (bensì, a tutto concedere, dell’accesso a un determinato corso di studi); ii) la peculiarità della presente vicenda è appunto rappresentata dal fatto che l’ammissione ai corsi all’origine dei fatti di causa sia prevista, appunto, secondo il criterio del ‘numero chiuso’.
4. Ed ancora, non possono trovare accoglimento i motivi di ricorso già articolati in primo grado dai signori [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Masotta, nonché dai signori [#OMISSIS#], Iacoletti, Marinucci, [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Alfonsi e nella presente sede riproposti con semplice memoria per non essere stati esaminati dal primo giudice (in tal senso, comma 2 dell’articolo 101 del Cod. proc. amm.).
4.1. E’ infondato il motivo con cui gli appellati lamentano che, in sede di adozione del provvedimento impugnato in primo grado, l’Università degli studi dell’Aquila non avrebbe applicato in modo corretto i generali principi in tema di esercizio dell’autotutela, con particolare riferimento alla necessaria comparazione dei diversi interessi – pubblici e privati – che nel singolo caso vengano in rilievo.
Nella tesi degli appellati una siffatta comparazione sarebbe risultata tanto più necessaria in considerazione del fatto che il decreto rettorale n. 1044/2009 (e i relativi provvedimenti attuativi) aveva conferito loro un’utilità finale – l’ammissione ai corsi – e che gli stessi appellati non avrebbero potuto essere privati di tale utilità senza alcuna previa comparazione fra i diversi interessi in gioco.
4.1.1. L’argomento in questione non può trovare accoglimento alla luce del consolidato principio secondo cui l’annullamento d’ufficio di un provvedimento deve essere sorretto da autonome e attuali ragioni di pubblico interesse solo se incida su interessi che risultano consolidati, per il tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento annullato e per l’ affidamento sulla sua legittimità ingenerato nei suoi destinatari, in quanto atto proveniente dalla pubblica amministrazione (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 20 febbraio 2014, n. 781).
Ebbene, le condizioni in parola risultano pacificamente assenti nel caso di specie, se solo si consideri il brevissimo lasso di tempo trascorso fra l’adozione del (favorevole) decreto rettorale annullato in autotutela – 22 settembre 2009 – e l’adozione del successivo (e sfavorevole) decreto di annullamento – 6 novembre 2009 -.
Né può essere condiviso l’argomento secondo cui il decreto oggetto di annullamento avrebbe prodotto in favore degli odierni appellati effetti di fatto irreversibili, che l’amministrazione avrebbe omesso di valutare in tutte le relative implicazioni.
Al riguardo si osserva in primo luogo che il presunto carattere di irreversibilità non appare ravvisabile nel caso in esame (atteso che la riconosciuta possibilità di iscrizione ben poteva ammettere la possibilità di un contrariusactus).
In secondo luogo si osserva che l’argomento appena richiamato mira, a ben vedere, a rendere necessario un giudizio di bilanciamento fra i diversi interessi in gioco anche in ipotesi in cui – come nel caso in esame – il brevissimo lasso di tempo trascorso prima dell’adozione dell’atto di autotutela non renda necessario una siffatta valutazione.
In definitiva, l’argomento in questione – laddove condiviso – finirebbe per compromettere la stessa [#OMISSIS#] del principio secondo cui il fattore temporale sortisce un effetto cruciale nel determinare il quantum motivazionale (e di ponderazione degli interessi) in concreto richiesto a fronte dell’adozione di provvedimenti di autotutela.
4.2. Ancora, è infondato il motivo con cui si è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 della legge 11 luglio 2002, n. 148 (recante ‘Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l’11 aprile 1997, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno’).
In particolare, se – per un verso – è vero che, ai sensi della richiamata normativa la competenza in ordine alle valutazioni di equivalenza in tema di periodi di studio universitario all’estero spettano agli Atenei in virtù del principio di autonomia universitaria, è pur vero che – per altro verso – nel caso in esame non sussistessero effettivi margini di valutazione per ammettere l’invocato transito.
Ed infatti (per le ragioni già illustrate e per quelle che fra breve si illustreranno) ostavano a tale transito le ragioni impeditive evidenziate dal Ministero con la nota in data 26 ottobre 2009 e integralmente condivise e fatte proprie dall’Università appellante con il successivo decreto rettorale del 6 novembre 2009.
4.3. E ancora, è infondato il motivo basato sulla ritenuta violazione delle previsioni di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (recante ‘Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania’).
Al riguardo ci si limita qui a ribadire che la pretesa degli appellati non era volta ad ottenere il riconoscimento di un qualifica professionale in senso proprio (in senso conforme alla direttiva 2005/36/CE e alla conseguente normativa nazionale di recepimento), bensì al diverso fine – estraneo al campo di applicazione della richiamata direttiva – di ottenere il riconoscimento di alcuni periodi di studio svolti all’estero.
4.4. E ancora, è infondato l’ulteriore motivo con cui si è lamentato che le amministrazioni appellanti abbiano operato un travisamento dei fatti rilevanti ai fini del decidere per non aver considerato che gli odierni appellati aspirassero – in definitiva – ad ottenere posti che, in caso di mancata assegnazione in loro favore, sarebbero comunque rimasti vacanti e inoptati.
Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che la richiamata circostanza di fatto, anche se valutata con la massima attenzione, non risulterebbe comunque idonea a superare l’invincibile dato ostativo rappresentato dal mancato superamento del necessario test di ammissione ai corsi per cui è causa.
5. Nel merito – come anticipato in precedenza – il ricorso è fondato.
5.1. Al riguardo il Collegio si limita a richiamare il consolidato orientamento secondo cui le disposizioni in tema di prova unica nazionale per l’accesso alle facoltà a numero chiuso (con particolare riguardo agli articoli da 1 a 4 della legge n. 264 del 1999) devono essere interpretate nel senso che il superamento di tale prova si renda necessario anche per l’iscrizione ad anni di corso successivi al primo e anche nei confronti di studenti (di nazionalità italiana o di altri Paesi UE) provenienti da università di altri Paesi dell’Unione europea i quali abbiano superato in quei Paesi stessi la prova per l’accesso al primo anno di corso.
5.2. In particolare, questa Sezione ha già avuto modo (nell’ambito di controversie parimenti relative al richiesto passaggio presso facoltà di odontoiatria di università italiane di studenti che avevano frequentato i primi anni del corso di presso l’Università ‘Vasile Goldis’ della Romania) di esaminare – e respingere – il motivo secondo cui il diniego di ammissione al secondo anno di corsi di studenti che non avessero sostenuto la prova di ingresso concretasse una violazione dei princìpi comunitari in tema di libera circolazione e di soggiorno di cui all’art. 165 del TFUE – già: art. 149 TCE – (sul punto –ex plurimis -: Cons. Stato, VI, 24 maggio 2013, n. 2866; id., VI, 18 settembre 2013, n. 4657; id., VI, 31 luglio 2014, n. 4057).
Giova ribadire al riguardo che le pretese vantate dai ricorrenti in primo grado (volte al riconoscimento della procedura di ammissione già superata presso alcune Università della Romania e della conseguente frequenza ai corsi) non rinvengono alcun fondamento nell’ambito del diritto comunitario.
Sotto tale aspetto si osserva che, anche ad ammettere l’equipollenza ‘finale’ fra il corso di studi frequentato in Romania dagli appellati e l’omologo corso di studi italiano, l’ordinamento comunitario si limita a garantire – a talune condizioni – il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali, ma non anche delle mere procedure di ammissione (in alcun modo armonizzate al livello comunitario).
Del resto, lo stesso art. 149 TCE (divenuto art. 165 ed espressamente richiamato nell’ambito della pronuncia in esame) esclude qualunque forma di armonizzazione delle disposizioni nazionali in tema di percorsi formativi, demandando alla Comunità il limitato compito di promuovere azioni di incentivazione e raccomandazioni.
Giova sottolineare al riguardo che:
– altra cosa è il riconoscimento delle qualifiche professionali, disciplinato a livello comunitario dalla direttiva 2005/36/CE (recepita nell’ordinamento nazionale attraverso il decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206), mentre
– ben altra cosa è il c.d. ‘riconoscimento accademico’, il quale consente al possessore di un diploma di continuare gli studi o di avvalersi di un titolo accademico in un altro Stato membro. Questo secondo tipo di riconoscimento non conosce, allo stato attuale dell’evoluzione del diritto comunitario, misure di armonizzazione o di ravvicinamento delle legislazioni e resta interamente rimesso alle scelte normative dei singoli Stati membri. Se ciò è vero per il c.d. ‘riconoscimento accademico’ in senso proprio, a fortiori è vero in relazione alle previsioni (che qui vengono in rilievo) di cui alla l. n. 264 del 1999 circa l’accesso ai corsi di laurea e l’individuazione dei presupposti e delle condizioni per l’accesso agli anni dei corsi di laurea successivi al primo;
– lo stesso articolo 149 del TCE si limita a fissare quale obiettivo meramente tendenziale dell’operato della Comunità quello di favorire la mobilità degli studenti e di promuovere il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio. Tuttavia, lo stesso articolo 149, al comma 4, chiarisce che l’azione della Comunità si limita all’adozione di mere ‘azioni di incentivazione’, “ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri“.
Il medesimo comma 4, al secondo trattino, stabilisce che, in subiecta materia, gli Organi comunitari possano, altresì adottare raccomandazioni (che, come è noto, sono annoverate fra gli atti non vincolanti degli Organi comunitari).
Conseguentemente, la sentenza in epigrafe è meritevole di riforma per aver ritenuto l’illegittimità de iure communitario dei provvedimenti impugnati in primo grado (peraltro, pienamente giustificati in base alla normativa nazionale di rango primario) in relazione ai quali nessuna disposizione del diritto comunitario primario o derivato poneva vincoli di sorta.
5.3. Una volta impostati nei termini richiamati infrasub 5.2. i termini concettuali della questione e una volta ribadito – conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia – che la materia dell’ingresso agli Istituti universitari rientra nell’ambito del dominio riservato dei singoli Stati membri (in tal senso: CGCE, Grande Sezione, sent. 23 maggio 2007 in causa C-11/07, Morgan), si osserva che non potrebbe giungersi a conclusioni diverse rispetto a quelle appena delineate neppure in base all’orientamento giurisprudenziale volto a scrutinare la legittimità dei vincoli all’accesso in base al giudizio di ‘estrema gravosità’.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la particolare modalità delineata dall’ordinamento italiano al fine di regolare l’accesso alle facoltà c.d. ‘a numero chiuso’ (attraverso prove di cultura generale impostate sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore e sulla base dell’accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi) non risulta eccessivamente gravosa per uno studente proveniente da un Paese terzo e non presenta un grado di selettività eccessivo rispetto a quanto necessario al fine di approntare “misure adeguate a garantire le previste qualità, teoriche e pratiche, dell’apprendimento” (in tal senso: Corte cost., sentenza 29 settembre 1998, n. 383).
5.4. Per le medesime ragioni non può essere condiviso l’argomento svolto dagli appellati secondo cui il sistema in tal modo ricostruito eccederebbe quanto strettamente necessario per garantire la qualità dell’attività didattica.
Al riguardo ci si limita ad osservare che non è stato offerto alcun argomento tale da far ritenere che la generalizzata imposizione dell’obbligo di sostenere il test d’ingresso (si badi: in condizioni di assoluta parità fra tutti gli aspiranti, a prescindere dalla nazionalità) eccederebbe quanto necessario per conseguire il richiamato obiettivo.
5.5. L’appello in epigrafe, inoltre, è meritevole di accoglimento laddove ha affermato che dal combinato disposto degli articoli 1 e 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 in relazione alla previsione di cui al d.m. 22 ottobre 2004, n. 270 emerge in via indefettibile l’obbligo di sostenere il test di ingresso per ‘l’accesso‘ alle facoltà a numero chiuso (l’articolo 4 della l. 2 agosto 1999, n. 264, cit. richiama la nozione – di fatto equivalente ai fi