L’art. 34, co. 7, del d.p.r. 11 luglio 1980, n. 382, prevede che “I ricercatori confermati permangono nel ruolo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Essi sono collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo alla data di compimento del predetto limite di età”.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2476
Ricercatori universitari-Collocamento a riposo
N. 02476/2018REG.PROV.COLL.
N. 05035/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5035 del 2013, proposto da:
Seconda Università degli Studi di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Salvatore Della Corte, con domicilio eletto presso la Studio Della Corte S.r.l. in Roma, via [#OMISSIS#] Veneto, 169;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la CAMPANIA – NAPOLI – SEZIONE SECONDA, n. 1763/2013, resa tra le parti, concernente collocamento a riposo per raggiunti limiti di età.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2018 il Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi, per l’appellante, l’Avvocato dello stato [#OMISSIS#] Guizzi e, per l’appellato, l’Avvocato [#OMISSIS#] Di Gioia, in dichiarata delega dell’Avvocato Salvatore Della Corte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Campania, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], ricercatore confermato per il Settore Scientifico Disciplinare MED/09 – Medicina Interna – presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Seconda Università degli Studi di Napoli, ha impugnato il decreto rettorale n. 321 del 29 marzo 2012, con il quale è stato disposto il suo collocamento a riposo per sopraggiunti limiti di età, a decorrere dal 1° novembre 2012, in quanto compiva il 65° anno di età alla data del 16.04.2012.
Con un unico articolato motivo di ricorso il ricorrente ha censurato la violazione dell’art. 24 del D.L. n. 201 del 2011, convertito in L. n. 214 del 2011, dell’art. 34, co. 7 del D.P.R. n. 382 del 1980, dei principi di affidamento e buon andamento, nonché dedotto il vizio di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, erroneità della motivazione e perplessità.
In particolare, il ricorrente ha rilevato, in primo luogo, che l’art. 24, del D.L. n. 201 del 2011, nell’innovare la disciplina in materia di trattamenti pensionistici, ha ridefinito, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione prevedendo, tuttavia, un regime transitorio in base al quale il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore del decreto medesimo, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale previgente normativa e può chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto. Sulla base di tale disciplina transitoria, dunque, l’applicazione della nuova disciplina sarebbe correlata alla maturazione di entrambi i requisiti (di età e di anzianità contributiva) entro la data espressamente indicata; ciò con la conseguenza che, avendo esso ricorrente, a quella data (31 dicembre 2011), maturato e anzi, superato il requisito dell’anzianità contributiva ma non ancora compiuto i sessantacinque anni di età (requisito che avrebbe maturato solo il 16 aprile 2012), avrebbe dovuto trovare applicazione la nuova disciplina introdotta dal c.d. decreto salva Italia.
Il ricorrente ha altresì evidenziato che l’art. 34 del D.P.R. n. 382 del 1980 prevede che i ricercatori confermati permangono nel ruolo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età e sono collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo alla data di compimento del predetto limite di età; per effetto dell’innalzamento del requisito dell’età lavorativa introdotto dalla nuova previsione normativa di cui al già citato art. 24, D.L. n. 201 del 2011, tale disposizione dovrebbe essere adeguata ed interpretata nel senso che il collocamento a riposo non potrà che decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo alla data del compimento del sessantaseiesimo anno di età.
Infine, il ricorrente ha lamentato la lesione del legittimo affidamento, in quanto, anche in considerazione di varie note e circolari confermanti la propria tesi, avrebbe confidato nella propria permanenza in servizio sino all’inizio dell’anno accademico successivo al compimento dei sessantasei anni.
Il T.A.R. ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la deduzione con la quale è stata censurata la violazione dell’art. 24 del D.L. n. 201 del 2011, convertito in L. n. 214 del 2011.
In particolare, il primo giudice ha censurato l’operato dell’Amministrazione, per aver fatto applicazione dell’art. 34 del D.P.R. n. 382 del 1980, violando l’art. 24, del D.L. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011, opinando che la disciplina precedente (D.P.R. n. 382/1980) non potesse trovare applicazione, perché alla data del 31.12.2011 l’interessato non aveva raggiunto il 65° anno di età, e ciò appunto alla stregua della norma transitoria dell’art. 24 citato.
Avverso tale decisione ha interposto gravame la Seconda Università degli Studi di Napoli, articolando un unico motivo d’appello.
Si è costituito in giudizio il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], resistendo al gravame e riproponendo le doglianze del ricorso di primo grado, sia nella parte accolta, che in quella ritenuta assorbita.
Con memoria conclusiva dell’8 marzo 2018, il resistente ha poi eccepito l’inammissibilità del ricorso in appello, per avere la Seconda Università degli Studi di Napoli, a suo dire, prestato acquiescenza alla pronuncia di primo grado, poiché, con decreto rettorale n. 490 del 3.05.2013, essa non solo ha eseguito, senza riserva alcuna, la sentenza gravata, ma ha altresì adottato un nuovo e diverso provvedimento di collocamento a riposo, a far data dall’1.11.2013. In ogni caso, nella specie sussisterebbe anche l’evidente carenza di interesse a ricorrere in capo all’Amministrazione, risultando, allo stato, definitivamente travolto l’originario provvedimento di collocamento a riposo, per l’ormai superato 1.11.2012, ed in ogni caso ormai totalmente definita la vicenda sub iudice, con l’intervenuto definitivo collocamento a riposo dell’appellato sin dall’1.11.2013. Di conseguenza, il ricorso in appello dovrebbe essere dichiarato improcedibile.
Nell’udienza del 19.04.2018, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. Prima di esaminare nel merito la vicenda sub iudice, vanno affrontate le eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità sollevate dall’appellato.
2. Le stesse non meritano accoglimento.
2.1. Per quanto riguarda la presunta acquiescenza alla sentenza impugnata, va rilevato, infatti, che l’Amministrazione ha annullato il precedente provvedimento del 29.03.2012 ed emesso il nuovo provvedimento del 3.05.2013, al dichiarato fine di eseguire una sentenza esecutiva e, quindi, in ottemperanza a quest’ultima.
Ritiene il Collegio che, nella specie, non sia riavvisabile alcuna volontà di prestare inequivocabilmente acquiescenza alla sentenza esecutiva, ciò in quanto “la spontanea esecuzione della sentenza di primo grado non può configurarsi come acquiescenza alla stessa, salvo che non sussistano univoci elementi da cui possa desumersi la volontà di accettare la decisione di primo grado” (in tal senso, C.d.S., sez. VI, 2 maggio 1999 n. 222; sez. V, 14 aprile 1997; sez. IV, 6 giugno 1994 n. 475), elementi univoci che non sono riconoscibili nel caso di specie.
2.2. Parimenti infondato è il rilievo dell’appellato, per cui il ricorso in appello dovrebbe essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse. Come insegna la giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis, Cons. Stato Sez. V, 03-06-2013, n. 3035) “nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto nuova, che comunque muta radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso; tuttavia tale sopravvenienza deve essere tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno per il ricorrente o per l’appellante qualsiasi residua utilità della pronuncia del giudice, anche soltanto strumentale o morale; inoltre la relativa indagine deve essere condotta dal giudice con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria d’improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda”.
Ebbene, nella specie, non può essere esclusa qualsiasi residua utilità della pronuncia del giudice, permanendo in capo all’Amministrazione l’interesse ad una esatta ricostruzione della carriera dell’interessato, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche sotto l’eventuale profilo della liquidazione del trattamento di fine rapporto e degli emolumenti pensionistici.
3. Ciò chiarito, va quindi esaminato il merito della vicenda oggetto di causa.
Con l’unico articolato motivo di gravame, l’appellante deduce che, diversamente da come ritenuto dal primo giudice, nella specie, il limite di età da considerare per il collocamento a riposo sarebbe quello previsto dall’art. 34, co. 7, D.P.R. 382 del 1980, ovvero quello del compimento del sessantacinquesimo anno di età.
A tale previsione, infatti, andrebbe fatto riferimento per individuare, relativamente ai ricercatori universitari, il regime di collocamento a riposo, che l’art. 24, co. 4 del D.L. n. 2012 del 2011, con l’inciso “… fermo restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza …” ha dimostrato di voler fare salvo, allorché ha disciplinato l’incentivazione al proseguimento dell’attività lavorativa nell’ambito della riforma pensionistica, fatta propria dalla L. n. 214 del 2011, con la conseguenza che il sistema di incentivazione resta per detta categoria di dipendenti preclusa.
4. Ritiene il Collegio che l’assunto dell’Amministrazione sia fondato.
L’art. 34, co. 7 del D.P.R. n. 382 del 1980 prevede: “I ricercatori confermati permangono nel ruolo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Essi sono collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo alla data di compimento del predetto limite di età”.
Secondo la tesi accolta dal primo giudice, per effetto dell’innalzamento del requisito dell’età anagrafica introdotto dall’art. 24, co. 6, D.L. n. 201/2011, la previsione normativa dell’art. 34 citato dovrebbe essere adeguata ed interpretata nel senso che il collocamento a riposo non può che decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo dalla data di compimento del sessantaseiesimo anno di età, ciò in quanto, nella specie, non ricorrerebbe la fattispecie prevista dall’art. 24, co. 3 del D.L. n. 201 del 2011, per cui “il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla norma vigente, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale normativa …”, avendo l’interessato, alla data del 31 dicembre 2011, sì maturato il requisito dell’anzianità contributiva, ma non quello dell’età, avendo compiuto i sessantacinque anni solo il 16 aprile dell’anno successivo (2012).
A parere del Collegio, tale tesi ricostruttiva del quadro normativo d’interesse nel caso in esame non appare condivisibile, poiché il fatto che, con le nuove previsioni dell’art. 24 del D.L. n. 201 del 2011, siano mutati i presupposti per conseguire il diritto alla pensione non può determinare un automatico travolgimento delle disposizioni speciali che stabiliscono l’età massima di servizio per alcune categorie di dipendenti pubblici, compresi i ricercatori universitari, trattandosi di norme che rispondono a specifiche esigenze del settore in cui quel personale opera, esigenze che il legislatore ha ritenuto meritevoli di un’autonoma regolamentazione e di non voler mettere in discussione, facendole salve con la previsione normativa di cui all’art. 24, co. 4, D.L. n. 201 del 2011: “Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza …”.
In tale contesto, correttamente, la Seconda Università degli Studi di Napoli, ha disposto il collocamento a riposo dell’interessato a partire dal 1° novembre 2012, a seguito del compimento di sessantacinque anni di età alla data del 16 aprile 2012.
L’innalzamento dell’età anagrafica giusta art. 24, co. 6, D.L. n. 201/2011, invero, non può risolversi in un ostacolo all’obbligo di disporre il collocamento a riposo d’ufficio ai sensi dell’art. 34, co. 7, D.P.R. n. 382/1980, differibile nel tempo solo in caso di mancata maturazione del diritto alla pensione, ipotesi non ricorrente nel caso di specie.
Né tanto meno, detto effetto può conseguire alla disciplina transitoria dettata dall’art. 24, co. 3, D.L. n. 201/2011, che è una disposizione coerente con la necessità di tenere conto della spettanza del diritto al trattamento pensionistico maturato nel previgente regime, senza però che questo possa implicare un’incompatibilità con lo speciale limite di età per la permanenza in servizio già in precedenza operativo per i ricercatori universitari e tuttora vigente, medesima considerazione che vale, poi, anche per quanto riguarda il disposto dell’art. 24, co. 14 del D.L. n. 201/2011, il quale prevede che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e del regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi ai soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza [#OMISSIS#], ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Conclusivamente, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso in primo grado.
Considerata la novità e la particolarità della questione trattata, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del presente grado di giudizio tra le parti.
Il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in appello va posto a carico dell’appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, respinge il ricorso in primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in appello va posto a carico dell’appellato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 24/04/2018