REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso per revocazione numero di registro generale 6811 del 2015 proposto da Vico [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Menditto, con domicilio eletto presso l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, via Piemonte, 39;
contro
[#OMISSIS#] Chiara Bisacci, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Chara [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso l’avv. [#OMISSIS#] in Roma, Via [#OMISSIS#] Gramsci, 24;
nei confronti di
Università degli Studi di Perugia e Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, in persona dei rispettivi legali rappresentanti “pro tempore”, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; [#OMISSIS#] Provolo, n. c. ;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO -SEZ. VI, n. 2142/2015, resa tra le parti, concernente procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ricercatore universitario;
Visto il ricorso per revocazione, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di [#OMISSIS#] Chiara Bisacci e dell’ Università degli Studi di Perugia e del MIUR;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 21 aprile 2016 il cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati Salvatore Menditto, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Il giudizio ha a oggetto la richiesta di revocazione della sentenza 27 aprile 2015, n. 2142, con la quale questa Sezione ha riformato la sentenza del Tar Umbria n. 459 del 2013 e ha annullato gli atti della procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ricercatore per il settore scientifico -disciplinare IUS/17, Diritto Penale, presso la Facoltà di Giurisprudenza di Perugia.
Esigenze di sintesi, ex art. 3 del cod. proc. amm., consentono di dare per conosciuti i fatti di causa per come riassunti nella sentenza di questa Sezione n. 2142 del 2015, alla quale si fa rinvio.
Appare comunque opportuno rammentare che con la sentenza n. 2142 del 2015 la Sezione ha accolto l’appello proposto dalla attuale resistente, dott. ssa Bisacci, avendo ritenuto fondato il secondo motivo di gravame, con il quale la sentenza di primo grado era stata censurata nella parte in cui aveva omesso di rilevare i rilevanti profili di sviamento che caratterizzavano le operazioni di riesame disposte dalla Commissione in esito ai rilievi sollevati dal Rettore.
Era infatti accaduto che con nota in data 15 marzo 2012 il Rettore aveva riscontrato alcune irregolarità nella valutazione comparativa che aveva visto vincitore il dott. [#OMISSIS#] e aveva perciò invitato la Commissione, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 117 del 2000, a riesaminare gli atti sulla base di tre specifici rilievi:
a)la Commissione aveva ritenuto ammissibile -e conseguentemente valutato- la monografia del dott. [#OMISSIS#] sul “Diritto penale intertemporale” che, invece, in contrasto con le previsioni del bando, non risultava edita né accettata per la pubblicazione: ciò comportava la necessità di non tenere conto del lavoro in questione ai fini della valutazione comparativa, e di procedere a una nuova formulazione della valutazione delle pubblicazioni e della discussione dei titoli del candidato [#OMISSIS#], senza considerare la monografia in questione;
b)la Commissione aveva espresso i giudizi sui titoli e sulle pubblicazioni in modo estremamente sintetico, in contrasto con le prescrizioni del d. m. 28 luglio 2009, n. 89 e con gli stessi criteri di massima ai quali la Commissione si era vincolata, che prevedevano giudizi analitici;
c)il Rettore aveva infine rilevato incoerenza tra i giudizi formulati nell’allegato 1 al verbale n. 4 e la valutazione comparativa finale di cui all’allegato 3 al verbale n. 5.
Nella seduta del 10 maggio 2012 la Commissione si era nuovamente riunita e, dopo avere deciso di espungere la monografia posto che la medesima non poteva essere ammessa a valutazione, aveva proceduto all’integrazione dei giudizi individuali e collegiale riguardanti il dott. [#OMISSIS#] confermando le precedenti risultanze della valutazione comparativa e indicando quale vincitore della procedura l’odierno ricorrente per revocazione.
Con decreto 13 giugno 2012, n. 1002 il Rettore ha approvato gli atti della valutazione comparativa.
La dott. ssa Bisacci ha impugnato gli atti stessi dinanzi al Tar dell’Umbria che, con la sentenza n. 459 del 2013, ha respinto il ricorso.
2.Questa Sezione, con la sentenza 27 aprile 2015, n. 2142, ha accolto l’appello della Bisacci rilevando in particolare (v. punti 3.2. e 3.3. sent. , da pag. 12 a pag. 14) la fondatezza del secondo motivo, con il quale era stata dedotta l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui i primi Giudici avevano “omesso di rilevare i rilevanti profili di sviamento che caratterizzavano le operazioni di riesame delle pubblicazioni del dottor [#OMISSIS#]…
con la nota in data 15 marzo 2012 il Rettore aveva rilevato la non valutabilità della monografia a forma del dottor [#OMISSIS#] e aveva conseguentemente richiesto (inter alia) alla Commissione di rinnovare la valutazione dello stesso dottor [#OMISSIS#], senza tener conto della monografia in parola.
Ora, dall’esame dei verbali inerenti il rinnovo della valutazione emerge in modo evidente che almeno due dei tre Commissari non si siano limitati a trarre le conseguenze – in termini valutativi – dell’espunzione della monografia non valutabile, ma abbiano proceduto a una valutazione del tutto nuova e incondizionatamente favorevole anche delle altre pubblicazioni in precedenza valutate (e non interessate dalla richiamata nota rettorale), chiaramente ispirandosi alla finalità di enfatizzare la [#OMISSIS#] delle pubblicazioni valutabili e – in tal modo – di pervenire comunque a un risultato favorevole al dottor [#OMISSIS#].
E’ stato condivisibilmente osservato al riguardo che:
– mentre in sede di espressione del primo giudizio favorevole la Commissione (dopo aver dato atto dell’esistenza di due filoni ‘minori’ dell’indagine del dottor [#OMISSIS#] – uno sul principio di irretroattività e uno in tema di diritto penale del lavoro -) aveva enfatizzato in modo pressoché esclusivo la [#OMISSIS#] scientifica solo del primo di essi;
– al contrario, in sede di espressione del secondo giudizio favorevole, due dei tre membri della Commissione avevano enfatizzato oltremodo la [#OMISSIS#] dei lavori relativi al filone di indagine in precedenza di fatto sottaciuto, in tal modo palesando in modo piuttosto evidente l’intento di ‘compensare’ in qualche misura (e certamente con intervento surrettiziamente ex post) la sopravvenuta non valutabilità dell’opera monografica.
L’operato in tal modo realizzato dai due commissari è stato caratterizzato da evidenti profili di eccesso di potere per sviamento e ha sortito in modo altrettanto evidente un effetto determinante al fine di confermare la prevalenza del candidato [#OMISSIS#] (al punto che il terzo Commissario, posto in minoranza, ha affidato a una vera e propria dissenting opinion l’esplicitazione delle ragioni per cui non riteneva possibile pervenire alla vittoria del candidato [#OMISSIS#] nonostante l’espunzione ai fini valutativi della monografia da lui prodotta).
3.2. Si osserva al riguardo che la presenza in atti di tale opinione dissenziente non sta a significare (come preteso dall’appellante con il terzo motivo di appello) che gravasse sugli altri Commissari – e a pena di illegittimità – l’obbligo di motivare puntualmente circa le ragioni che li inducevano ad assumere un approccio diverso da quello del terzo Commissario, ma – più semplicemente – costituisce un indice piuttosto evidente (valutabile congiuntamente alle altre circostanze rilevanti del caso) per desumere la sussistenza dei richiamati profili di eccesso di potere realizzati dalla Commissione nel suo complesso in sede di rivalutazione.
3.3. In definitiva, se è certamente corretto il richiamo operato dai primi Giudici all’orientamento secondo cui è tendenzialmente insindacabile in sede giurisdizionale la valutazione tecnica dei titoli e delle pubblicazioni, salvo che ricorrano profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, ovvero un errore di fatto chiaramente rilevabili (in tal senso –ex multis – Cons. Stato, Sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3057; id., Sez. IV, 27 marzo 2008, n. 1248), il punto è che nel caso in esame – e per le ragioni dinanzi richiamate – ricorrono appunto indici univoci i quali depongono nel senso di una siffatta, manifesta contraddittorietà valutativa e di giudizio.
Deve pertanto procedersi alla riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto che «i “commissari di maggioranza” hanno bene espresso e motivato le ragioni per cui l’esclusione dal campo di valutazione della monografia non è idoneo a modificare il giudizio, come pure quello sulla discussione, che, conseguentemente, secondo quanto concordato da tutti e tre i commissari, non è stato rinnovato» (punto 3 della motivazione).
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi Giudici, tale motivazione è stata resa possibile dalla contraddittoria sopravvalutazione ex post di aspetti della produzione scientifica del candidato che, nell’ambito della precedente valutazione, non erano stati invece ritenuti dirimenti (anzi, non erano stati ritenuti in assoluto rilevanti e significativi) ai fini della valutazione stessa.
3.4. L’accoglimento dell’appello per le ragioni dinanzi esposte sub 3.2 , 3.2. e 3.3. risulta di per sé dirimente ed esime il Collegio dall’esame puntuale degli ulteriori profili di doglianza nuovamente articolati avverso i richiamati atti valutativi…”.
3.1. Ciò posto il [#OMISSIS#], con il ricorso odierno, dopo avere riepilogato la vicenda amministrativa e giurisdizionale, di primo e di secondo grado (v. da pag. 2 a pag. 13 ric.), ha strutturato l’atto di revocazione in due parti.
“In via rescindente, sull’errore di fatto” (v. da pag. 15 a pag. 26 ric.), per il dott. [#OMISSIS#] la sentenza della Sezione conterrebbe diversi errori di fatto / errori di percezione (o sviste), rilevanti ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 106 cod. proc. amm. e 395, n. 4), c.p.c. .
I – Un primo errore di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici di appello riguarda la lettura e la conseguente applicazione, al caso di specie, erronea anch’essa, della citata nota rettorale del 15 marzo 2012.
Il Collegio d’appello avrebbe sbagliato nel ritenere che con la nota in questione il Rettore non avesse prescritto di riesaminare anche le altre pubblicazioni valutate in precedenza, ma solo di trarre le conseguenze dall’espunzione della monografia, non valutabile.
La Sezione avrebbe letto la nota in argomento in maniera difforme rispetto al suo contenuto effettivo.
Con la nota citata la Commissione era stata invitata a una nuova formulazione delle valutazioni delle pubblicazioni e della discussione del candidato [#OMISSIS#] (che tenesse conto della non valutabilità della monografia), sicché la Commissione ha proceduto in modo legittimo a una valutazione nuova di tutte le pubblicazioni del candidato e a una nuova e più ampia analisi della produzione scientifica del [#OMISSIS#].
Del resto, l’espunzione della monografia poco doveva spostare in ordine alla valutazione della produzione scientifica complessiva del candidato, posto che i temi e gli argomenti trattati nella monografia erano già stati anticipati e sviluppati nelle pubblicazioni precedenti.
Di qui il dedotto travisamento delle risultanze della nota rettorale, riconducibile a un vero e proprio abbaglio dei sensi.
Sub II, un secondo errore del Collegio di appello atterrebbe alla percezione delle risultanze dei giudizi formulati dai commissari nelle due sedute, ante e post nota del Rettore.
Esso si rinviene nella circostanza che il giudice afferma quanto segue:
-al netto della monografia, i filoni di indagine “minori” del dott. [#OMISSIS#] sono due: uno sul principio di irretroattività, l’altro sul diritto penale del lavoro;
-in sede di prima valutazione, ante nota rettorale, i commissari esterni avrebbero enfatizzato in via esclusiva il filone sul principio di irretroattività, di fatto dicendo poco o nulla sul filone giuslavoristico;
-viceversa, in sede di seconda valutazione, post nota rettorale, i commissari medesimi avrebbero enfatizzato oltremodo il filone in precedenza sottaciuto, vale a dire quello in tema di diritto penale del lavoro.
Detta asserzione è afflitta da un errore di fatto macroscopico.
Dagli atti emerge in particolare che il prof. Padovani, nell’esprimere il proprio giudizio individuale in sede di seconda valutazione, non ha affatto enfatizzato il secondo filone, vale a dire quello del diritto penale del lavoro –sicurezza del lavoro.
La stessa cosa può dirsi per quanto riguarda il Presidente della Commissione, il prof. Romano, alla luce di un raffronto tra il verbale n. 4 e il verbale n. 6 della Commissione medesima.
A giudizio del ricorrente, il Collegio d’appello avrebbe finito per confondere il filone sul diritto penale del lavoro –sicurezza del lavoro, con quello sul principio di irretroattività, in sede di primo giudizio “di fatto sottaciuto”, essendosi la Commissione concentrata principalmente sulla monografia.
In altri termini la Sezione, incorrendo in un evidente errore di fatto, avrebbe inteso come “filone di indagine in precedenza di fatto sottaciuto” quello concernente il diritto penale del lavoro, mentre i commissari Padovani e Romano si sono espressi in maniera diffusa, in sede di seconda valutazione, sulla produzione scientifica rientrante nell’altro filone, quello dell’irretroattività penale, con conseguente riconducibilità dell’affermazione operata in sentenza nella categoria dell’abbaglio dei sensi.
Del resto –e si passa così al profilo sub III, connesso strettamente, peraltro, all’errore di percezione denunciato sub II-, il fatto che il filone sul principio di irretroattività non fosse stato preso in considerazione in un primo momento è del tutto naturale posto che la produzione scientifica rientrante in quel filone anticipava temi e argomenti poi confluiti nella monografia.
Dall’esame congiunto dei profili connessi sub II e III emerge il contrasto tra la realtà descritta nella sentenza di appello e la realtà, prevalente nel giudizio di revocazione, di cui agli atti del processo, la quale ultima induce a escludere che vi sia stata –come viceversa si afferma in sentenza, al p. 3.3. , “in finem”- una sopravvalutazione “ex post” di aspetti della produzione scientifica del candidato che, nell’ambito della precedente valutazione, non erano stati invece ritenuti dirimenti (anzi, non erano stati ritenuti in assoluto rilevanti e significativi) ai fini della valutazione stessa.
Sub IV si rimarca che il primo giudizio del prof. Romano, laddove, in relazione al “filone giuslavoristico”, il candidato è ritenuto “ricercatore attento e colto”, appare più enfatico del secondo, ove tale giudizio sparisce, sicché dagli atti si ricava il contrario di quanto rilevato in sentenza a proposito dell’enfatizzazione dei secondi giudizi rispetto ai primi.
Per il dott. [#OMISSIS#] tutti gli errori segnalati sono riconducibili al paradigma normativo di cui all’art. 395, comma 1, n. 4) del c.p.c. in quanto, oltre a essere errori di fatto, vertono su questioni non controverse e sono decisivi, dal che discende la necessità di riformare in via rescindente la sentenza impugnata, e ciò “al netto della infondatezza degli altri motivi del ricorso in appello non scrutinati dal Consiglio di Stato…”.
In via rescissoria il ricorrente per revocazione (v. pagine da 26 a 36 ric.) “passa…a dimostrare la piena correttezza della sentenza del Tar n. 459/2013 e la connessa infondatezza del gravame della dott. ssa Bisacci”, da respingere, considerata l’assenza di qualsivoglia sviamento, la regolarità e l’imparzialità dei lavori della Commissione e la legittimità dell’esito della procedura.
“Per tuziorismo” infine il [#OMISSIS#] ripropone il motivo di ricorso incidentale rivolto all’annullamento della nota rettorale del 15 marzo 2012.
3.2. La dot. ssa Bisacci si è costituita per resistere deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso e chiedendo inoltre al Collegio “di condannare il ricorrente non solo al pagamento delle spese del giudizio ma anche al pagamento di una somma a titolo di responsabilità processuale aggravata”.
In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno illustrato le rispettive posizioni con memorie conclusive. Con memoria di replica del 31 marzo 2016 la difesa della dott. ssa Bisacci, rilevato di essere stata accusata dal ricorrente di “artifici semantico –retorici”, di “aggiustare il tiro” e addirittura di “pochezza delle memorie”, e ritenuto sconvenienti i toni usati dal difensore, ha chiesto la cancellazione delle espressioni sopra riferite ai sensi dell’art. 89 c.p.c. .
All’udienza del 21 aprile 2016 il ricorso è stato discusso e quindi trattenuto in decisione.
4. Il ricorso è inammissibile nella sua fase rescindente.
In via preliminare e in termini generali va rammentato che in base a quanto dispone l’art. 395, n. 4), c. p. c. , al quale l’art. 106 del c.p.a. fa rinvio, l’impugnazione per revocazione è consentita se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (e questo errore vi è quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare).
La giurisprudenza ha evidenziato le caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio in grado di rimettere in discussione il contenuto di una sentenza segnalando l’esigenza di interpretarle in maniera rigorosa, allo scopo di evitare che tale eccezionale istituto processuale possa, nei fatti, dilatare a dismisura e ad arbitrio delle parti il giudizio di merito, attraverso un uso distorto ed abusivo che trasformi la revocazione in un grado ulteriore di giudizio.
In particolare va rilevato che, come correttamente rammenta la resistente, sulla base di una elaborazione giurisprudenziale ormai sedimentata, il che esime questo Collegio dal segnalare precedenti specifici (salvo Cons. Stato, Ad. plen. , nn. 5 del 2014, 1 del 2013 –v. , ivi, citazioni giurisprudenziali ulteriori- e 2 del 2010), l’errore di fatto revocatorio si realizza quando esso:
-cade su una serie di circostanze che non hanno costituito punti controversi fra le parti, in relazione alle quali il giudice si sia espressamente pronunciato;
-consiste in una errata percezione del fatto oggettivamente ed immediatamente rilevabile (la giurisprudenza parla di “immediatezza” e di “semplice rilevabilità” dell’errore di fatto revocatorio, senza necessità cioè di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche), fermo restando che non costituisce errore di fatto revocatorio un vizio di assunzione del fatto, o un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo oppure una valutazione erronea delle risultanze probatorie;
-deriva da una pura e semplice errata (o mancata) percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere sussistente un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
-verte su un elemento decisivo della decisione da revocare. L’errata percezione deve avere avuto, cioè, un ruolo determinante rispetto alla decisione da revocare. Occorre che vi sia un rapporto di causalità necessaria tra l’erronea od omessa percezione fattuale e documentale e la pronuncia in concreto adottata dal Giudice, dal che consegue la non rilevanza dell’errore qualora la sentenza si fondi su fatti, quantunque erronei, che non siano decisivi in sè stessi ai fini del decidere, ma debbano essere valutati entro un più ampio e complesso quadro probatorio tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
L’errore di fatto revocatorio si sostanzia dunque in una svista (un “abbaglio dei sensi”) che abbia provocato nel Giudice l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio, determinando un contrasto evidente tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa.
4.1. Ciò posto, calando i princìpi rammentati sopra nel caso di specie, dall’esame degli atti e dei documenti di causa, e dalla lettura della sentenza della Sezione n. 2142 del 2015, il Collegio ritiene che questo Consiglio di Stato non sia incorso in alcun errore di fatto revocatorio ex art. 395/4) del cod. proc. civ. , e ciò per le considerazioni che seguono.
4.1.1. Per quanto riguardo in primo luogo il profilo di doglianza dedotto sopra, al p. 3.1.I. (sulla lettura della nota rettorale del 15 marzo 2012 data dal Collegio d’appello), appare opportuno rammentare che il Tar aveva respinto il secondo motivo di ricorso prendendo le mosse da una lettura della nota rettorale del 15.3.2012 secondo la quale andava compiuta una nuova valutazione delle pubblicazioni scientifiche, ossia di tutte le pubblicazioni, anche di quelle minori, fermo l’obbligo della Commissione di non tenere conto della monografia.
Questa Sezione, con la sentenza n. 2142 del 2015, ha preso le mosse invece dall’assunto interpretativo per cui la nota del Rettore del 15.3.2012 andava letta nel senso che il rinnovo della valutazione da parte della Commissione implicava essenzialmente l’espunzione della monografia, ritenuta non valutabile, ma non si estendeva a una valutazione del tutto nuova delle (altre) pubblicazioni, tale da consentire di modificare, a seguito di una “nuova formulazione delle valutazioni” e in particolar modo per effetto di un’enfatizzazione decisiva ed “ex post” della produzione scientifica “minore”, i giudizi già espressi sulle pubblicazioni, appunto, minori, con conseguente conferma del risultato della valutazione comparativa.
Ad avviso di questa Sezione non poteva ritenersi consentita una valutazione del tutto nuova delle pubblicazioni, fermo il divieto di prendere in considerazione la monografia, che permettesse una modifica dei giudizi estesa pure alle altre pubblicazioni (minori) in precedenza comunque valutate e non interessate dalla nota rettorale.
Questa è la “lettura”, nel senso valutativo / interpretativo del termine, della nota rettorale dalla quale questa Sezione muove nel motivare, ai punti 3.2. e 3.3. della sentenza n. 2142 del 2015, sulla fondatezza della seconda censura d’appello, imperniata sulla deduzione di rilevanti profili di sviamento che hanno caratterizzato le operazioni di riesame delle pubblicazioni del dottor [#OMISSIS#].
Ciò posto, risulta evidente come, nella specie, non venga in rilievo un errore di fatto revocatorio.
Viene in rilievo invece un punto di partenza interpretativo che si concretizza nell’apprezzamento di una risultanza processuale.
Indipendentemente da un’analisi sulla esattezza o meno della lettura della nota rettorale, analisi che esula chiaramente dall’ambito decisionale del Collegio in questa sede di giudizio di revocazione, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, che fa riferimento a un “evidente travisamento delle risultanze”, quella che viene contestata dal ricorrente [#OMISSIS#] è una lettura e, quindi, una interpretazione della nota del Rettore, con la conseguenza che non si rientra nella categoria dell’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4), del c.p.c. .
Non ricorre infatti l’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4), del c.p.c. nelle ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio non censurabile mediante la revocazione che, altrimenti, si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (giurisprudenza consolidata: v. , “ex multis”, di recente, Cons. Stato, Sez. III, n. 5127 del 2015, p. 15.).
Ebbene nella specie potrebbe, tutt’al più, porsi una questione di erronea lettura o interpretazione di un documento; di apprezzamento inesatto di una risultanza processuale e quindi, in definitiva, di errore di giudizio, irrilevante però ai fini di cui all’art. 395, n. 4) del c.p.c. .
4.1.2. Quanto poi alle deduzioni del ricorrente riassunte sopra al p. 3.1.II, III e IV, esaminabili in modo congiunto dato che presentano somiglianze significative, parimenti non si fa questione di errori di fatto revocatori ex art. 395/4) c.p.c. , ma le considerazioni da svolgere sono in parte diverse.
Nel muovere dall’assunto interpretativo illustrato sopra, al p. 4.1.1. , la Sezione evidenzia che due commissari su tre hanno enfatizzato oltremodo, in maniera decisiva per giungere a un risultato (ancora) favorevole al [#OMISSIS#], la [#OMISSIS#] delle pubblicazioni esaminabili (facendosi riferimento in sentenza, implicitamente ma non per ciò solo meno sicuramente, alle pubblicazioni sul diritto intertemporale e sul diritto penale del lavoro).
L’enfatizzazione operata dalla Commissione si è concretizzata in un’azione contrassegnata da profili evidenti di eccesso di potere per sviamento e, come si è accennato sopra, ha avuto un’efficacia determinante al fine di confermare la prevalenza del dottor [#OMISSIS#].
Questa Sezione ravvisa nel comportamento della Commissione sintomi evidenti di eccesso di potere e accoglie il motivo d’appello con cui era stata censurata la circostanza che due commissari su tre, a seguito dei rilievi del Rettore, nel rinnovare i giudizi, individuali e collegiale, sulle pubblicazioni del [#OMISSIS#], anziché limitarsi, come avrebbero dovuto, a espungere la monografia dichiarata in modo legittimo come non valutabile, si erano spinti a enfatizzare i propri giudizi rinnovati, rispetto a quanto operato in precedenza, esprimendo, nella seduta del 10 maggio 2012 (cfr. verbale n. 6), giudizi nuovi, diversi e molto più lusinghieri rispetto a quanto fatto nella seduta del 9 febbraio 2012 (cfr. verbale n. 4), con riferimento alle opere c.d. minori del dottor [#OMISSIS#], e ciò allo scopo, come detto, di compensare la “sopravvenuta non valutabilità” di un titolo oggettivamente rilevante come la monografia.
Pare anche il caso di rammentare che:
-il Commissario Padovani aveva scritto nel primo giudizio (cfr. verbale n. 4 del 9 febbraio 2012) che la produzione minore del dott. [#OMISSIS#] è suddivisa in due filoni e solo con riguardo al secondo, rappresentato da una cospicua serie di interventi sulla disciplina della sicurezza del lavoro, aveva affermato che “il candidato conferma la propria capacità di analisi critica e la propria attitudine alla ricerca”; successivamente (cfr. verbale n. 6 del 10 maggio 2012), tale giudizio era stato enfatizzato passando dalla rilevata “attitudine alla ricerca” a una più marcata “originalità dell’impostazione”; allo stesso modo anche i lavori ricondotti al primo filone, su irretroattività, retroattività e diritto penale intertemporale, ai quali si era accennato in precedenza solo per rilevare che si trattava di una serie di lavori “preparatori o propedeutici” a problemi e a questioni che saranno poi ripresi nel contesto sistematico della monografia, sono stati rivalutati con espressioni del tipo: “importanti contributi”, “originale e stimolante analisi”, “studioso particolarmente brillante”. Quanto, infine, agli “ulteriori lavori”, dapprima nemmeno menzionati, il prof. Padovani afferma che gli stessi “confermano pienamente le ottime qualità e l’attitudine alla ricerca del candidato”;
-il prof. Romano aveva scritto nel primo giudizio (cfr. verbale n. 4) che nella produzione minore il dott. [#OMISSIS#] “mette in luce doti di ricercatore attento e colto”, mentre nel ripetere il giudizio (cfr. verbale n. 6, pagine 7 e 8) la produzione minore diviene motivo di diffusi elogi a vantaggio del candidato : “ottimo livello…”, “punte di grande interesse…”, “notevoli…i saggi…”, “importante lavoro…”, “saggi corposi e brillanti…” e così via.
In questo contesto, la “dissenting opinion” del terzo commissario, prof. Brunelli, ovvero l’esplicitazione delle ragioni per cui il Brunelli, a seguito dell’espunzione della monografia, non riteneva possibile far vincere nuovamente il [#OMISSIS#]; la “dissenting opinion” si diceva ha integrato per la Sezione un indice evidente -insieme con le altre circostanze sopra rilevate- per poter desumere la sussistenza di profili di eccesso di potere nell’azione compiuta dalla Commissione, venendo in questione una contraddittorietà valutativa e di giudizio manifesta, atteso che la motivazione del (nuovo) giudizio, ricavabile dal verbale n. 6, che indica quale vincitore il dottor [#OMISSIS#], costituisce il risultato, illegittimo, di una “contraddittoria sopravvalutazione “ex post” di aspetti della produzione scientifica del candidato -gli aspetti della produzione scientifica “minore” riguardavano come si è rilevato sia il diritto intertemporale e sia il diritto penale del lavoro- che, nella prima valutazione, non erano stati ritenuti dirimenti, anzi, non erano stati ritenuti in assoluto rilevanti e significativi, ai fini della valutazione stessa” (v. sent. Cons. Stato, Sez. VI, n. 2142 del 2016, p. 3.3.).
La “svista” in cui sarebbe incorsa la Sezione, consistente nell’avere confuso il filone di interesse della produzione minore del candidato [#OMISSIS#] relativo al diritto penale del lavoro con quello concernente il principio di irretroattività (si veda a questo riguardo l’affermazione della sentenza impugnata sub p. 3.2. –fine pag. 12 –inizio pag. 13-, secondo cui in sede di espressione del primo giudizio favorevole la Commissione, dopo avere dato atto dell’esistenza di due filoni minori dell’indagine del [#OMISSIS#], uno sul principio di irretroattività e uno sul diritto penale del lavoro, aveva enfatizzato in modo pressoché esclusivo la [#OMISSIS#] scientifica solo del primo di essi, mentre in sede di secondo giudizio favorevole due dei tre membri della commissione “avevano enfatizzato oltremodo la [#OMISSIS#] dei lavori del filone d’indagine in precedenza sottaciuto”, manifestando così l’intento di compensare “ex post” la sopravvenuta non valutabilità dell’opera monografica); la svista, consistente nell’inversione del primo con il secondo filone d’indagine, ancorché per ipotesi sussistente, e riconosciuta dalla stessa dott. ssa Bisaccia a pag. 21 della memoria 27 novembre 2015; la svista non verte di certo su un elemento decisivo della controversia e non ha indotto il Collegio di appello a decidere sulla base di un presupposto di fatto falso, atteso che l’enfatizzazione della produzione scientifica minore del dott. [#OMISSIS#] in sede di seconda valutazione, lamentata dall’appellante e censurata dal Collegio condividendo le osservazioni della Bisacci, come emerge dalla sentenza n. 2142 del 2015, esaminata nella sua interezza, riguarda non soltanto il filone sul diritto intertemporale ma attiene alla produzione minore del [#OMISSIS#] considerata nel suo complesso.
In particolare, come rilevato in maniera condivisibile dalla resistente Bisacci, il ricorrente [#OMISSIS#] focalizza la sua attenzione su una singola frase della sentenza estrapolandola dal contesto generale all’interno del quale questa si colloca.
Da una parte, il Collegio d’appello richiama il secondo motivo come esposto puntualmente nella parte in Fatto della sentenza e incentrato su una valutazione indebita, della produzione scientifica diversa dalla monografia, del tutto nuova rispetto a quella