Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2017, n. 3756

Abilitazione scientifica nazionale-Giudizio di ottemperanza-Giudicato

Data Documento: 2017-07-27
Area: Giurisprudenza
Massima

Quando il giudicato viene a incidere su di un atto indivisibile che, oltre ad essere caratterizzato da una pluralità di destinatari, abbia un contenuto inscindibile sicché non possa essere scisso in distinte ed autonome determinazioni, ovvero su un atto collettivo, che, parimenti, non possa essere ritenuto, all’esito del giudicato di annullamento, esistente per taluni o inesistente per altri, l’individuazione della sfera di efficacia soggettiva della sentenza amministrativa di annullamento dipende a seconda che si abbia riguardo alla sua parte cassatoria dell’atto, ovvero a quella ordinatoria. In ordine alla prima, gli «effetti della sentenza» non possono che prodursi erga omnes; in ordine alla seconda, l’«autorità del giudicato» ‒ e i vincoli conformativi che esso comporta ‒ fa stato unicamente inter partes (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6964; Sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4977; Sez. V, 6 marzo 2000, n. 1142; Sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; Sez. V, 9 aprile 1994, n. 276; Sez. IV, 18 luglio 1990, n. 561).

Contenuto sentenza

N. 03756/2017 REG.PROV.COLL.
N. 09736/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 117 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 9736 del 2016, proposto da: 
GIOVANNI IUDICA, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13; 
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
COMMISSIONE PER L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE, non costituita in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA – SEZ. III BIS n. 10278/2016;
 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] dell’Avvocatura Generale dello Stato;
 1.– Con il ricorso promosso in primo grado, l’odierno appellante premetteva: – di aver partecipato alla procedura di abilitazione scientifica nazionale per il conseguimento dell’idoneità alla funzione di professore universitario di seconda fascia per i settori concorsuali di rispettivo interesse, nella tornata 2012; – di essere stato dichiarato non idoneo, pur avendo riportato tre giudizi favorevoli su cinque dei componenti, in applicazione dell’art. 8, comma 5, del d.P.R. n. 222/2011, il quale, all’epoca, disponeva nel senso che «la commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti»; – che, con sentenza n. 13121 del 2015, confermata dal Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza n. 470 del 2016, il TAR del Lazio, nel pronunciarsi su ricorso proposto da altro candidato, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 8, comma 5, del d.P.R. n. 222/2011; – che, a seguito di detta sentenza, il Ministero appellato, pur appositamente diffidato, non è intervenuto in via di autotutela per ritirare i giudizi di non idoneità fondati sull’applicazione della norma regolamentare annullata (postulante la maggioranza qualificata dei 4/5) e per riconoscere il conseguimento della idoneità a coloro che, come i ricorrenti, avevano riportato 3 giudizi favorevoli su 5, in forza dell’estensione degli effetti dell’annullamento a tutti i possibili destinatari, ancorché non fossero parti di quel giudizio. Su queste basi, il ricorrente deduceva l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione in relazione al predetto atto di diffida per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. 7.8.1990, n. 241, e per violazione del principio di trasparenza.
2.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza impugnata, ha respinto il ricorso.
3.– Il ricorrente in primo grado ha quindi proposto appello, chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, di dichiarare l’illegittimità del silenzio-inadempimento tenuto dall’amministrazione e per l’effetto condannare l’amministrazione a provvedere nonché adottare ogni statuizione necessaria al fine di soddisfare la fondata pretesa sostanziale del ricorrente.
4.– Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca si è costituito in giudizio, chiedendo che l’appello sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.
5.‒ All’udienza del 22 giugno 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
6.‒ L’appello va respinto.
6.1.‒ Va premesso che, quando il giudicato venga a incidere su di un atto indivisibile che, oltre ad essere caratterizzato da una pluralità di destinatari, abbia un contenuto inscindibile sicché non possa essere scisso in distinte ed autonome determinazioni, ovvero su un atto collettivo, che, parimenti, non possa essere ritenuto, all’esito del giudicato di annullamento, esistente per taluni o inesistente per altri, l’individuazione della sfera di efficacia soggettiva della sentenza amministrativa di annullamento dipende a seconda che si abbia riguardo alla sua parte cassatoria dell’atto, ovvero a quella ordinatoria. In ordine alla prima, gli «effetti della sentenza» non possono che prodursi erga omnes; in ordine alla seconda, l’«autorità del giudicato» ‒ i vincoli conformativi che esso comporta ‒ fa stato unicamente inter partes (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6964; sez. IV, 5/09/2003, n. 4977; sez. V, 6 marzo 2000, n. 1142; sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; sez. V, 9 aprile 1994, n. 276; sez. IV, 18 luglio 1990, n. 561).
6.2.‒ Deve aggiungersi che l’annullamento della regola della maggioranza qualificata per il superamento dell’esame abilitativo non travolge automaticamente i provvedimenti applicativi (ovvero il giudizio negativo che peraltro il ricorrente non riferisce di avere impugnato). La situazione che qui ricorre è infatti quella dell’effetto invalidante (e non travolgente), e per far valere l’invalidità dell’atto successivo occorre coltivare con successo una sua distinta impugnazione. La connessione tra due atti si connota per l’assenza di una relazione unica e necessaria sol che si pensi ‒ per quanto si tratti di questione che esula dal thema decidendum ‒ che il ripristino della regola della maggioranza semplice, incidendo sulle modalità di formazione della volontà collegiale, avrebbe comportato la regressione del procedimento alla fase valutativa discrezionale precedente l’assegnazione dei giudizi individuali.
6.3.‒ Il principio della preclusione della estensione degli effetti del giudicato ai soggetti rimasti estranei al giudizio lascia aperta la possibilità che l’Amministrazione riesamini la propria determinazione alla luce dei principi contenuti nel giudicato riguardante gli altri soggetti, nell’esercizio degli ordinari poteri di autotutela, esternando e motivando adeguatamente le ragioni di pubblico interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.9.2005 n. 4697 e 10 febbraio 2004 n. 496). Nel contempo va tuttavia rimarcato che la stessa Amministrazione non ha l’obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su una istanza diretta a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela, che costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui essa è titolare per la tutela dell’interesse pubblico e che è incoercibile dall’esterno mediante l’istituto del silenzio-inadempimento ovvero lo strumento di tutela offerto dall’art. 117 c.p.a. La stessa giurisprudenza secondo cui l’obbligo di provvedere, oltre che nei casi stabiliti dalla legge, sussiste anche in fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento, non ha invero mai riguardato il riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati e rimasti inoppugnati (bensì le istanze volte ad ottenere atti di contenuto favorevole, ovvero diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall’adozione dei quali il richiedente possa trarre indirettamente vantaggi: cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318).
6.4.‒ Correttamente dunque il giudice di prime cure ha ritenuto che non sussisteva, alcun obbligo per l’amministrazione di provvedere esplicitamente sull’istanza del ricorrente.
7.‒ Le spese di lite seguono la soccombenza, secondo la regola generale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite in favore della controparte costituita, che si liquidano in € 1.500,00.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore 
Pubblicato il 27/07/2017