Nel processo amministrativo, ai sensi dell’art. 112 comma 5, c.p.a., l’azione di ottemperanza può essere proposta anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza e, ai sensi del successivo art. 114, il giudice amministrativo può fornire tali chiarimenti anche su richiesta del Commissario; peraltro i quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell’ottemperanza devono attenere alle modalità dell’ottemperanza e devono avere i requisiti della concretezza e della rilevanza, non potendosi sottoporre al giudice dell’ottemperanza questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma solo questioni specifiche che siano effettivamente insorte durante la fase di esecuzione del giudicato”. Ed infatti “il codice del processo amministrativo nel disciplinare il giudizio di ottemperanza prevede (che) l’azione di ottemperanza può essere proposta anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza (art. 112 comma 5). Inoltre il successivo art. 114 dispone (comma 7) che nel caso di ricorso ai sensi del comma 5 dell’art. 112,”il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza, anche su richiesta del Commissario”. Da quanto esposto si deve rilevare (come peraltro già fatto presente in altre analoghe controversie definite da questa Sezione (cfr. sentt. n. 6468 del 17/12/2012 e n. 3539 del 10/07/2014) che il ricorso “per ottenere chiarimenti” ha delle sue particolari specificità che conferiscono a tale strumento una natura giuridica diversa dall’azione di ottemperanza intesa tout court” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 2015 n. 5409).
Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2019, n. 7383
Procedura concorsuale posto ricercatore-Chiamata-Art. 24, comma 6, legge 30 dicembre 2010, n. 240-Giudizio di ottemperanza
N. 07383/2019 REG.PROV.COLL.
N. 03800/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3800 del 2019, proposto dalla Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
il professor [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato da se stesso e dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e domiciliato presso il suo Studio in Roma, via Dandolo, n. 19/A e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
del professor [#OMISSIS#] Macchia, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed elettivamente domiciliato presso lo Studio legale [#OMISSIS#] e Partners in Roma, piazza San [#OMISSIS#], n. 101;
e con l’intervento di
e con l’intervento ad adiuvandum
del professor [#OMISSIS#] Sileri, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per chiarimenti rispetto alla esecuzione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 dicembre 2018 n. 7155.
Visto il ricorso proposto nell’ambito della procedura di esecuzione dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dei professori [#OMISSIS#] e Macchia nonché l’intervento ad adiuvandum spiegato dal professor Sileri e la documentazione con detti atti prodotta;
Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, depositate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2019 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Macchia nonché gli avvocati dello Stato [#OMISSIS#] Basilica e [#OMISSIS#] D’[#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso qui in esame l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata ha chiesto, a questo Consiglio di Stato, di ricevere chiarimenti in ordine alla corretta esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 dicembre 2018 n. 7155.
2. – I fatti che hanno dato luogo alla richiesta di chiarimenti qui in esame possono essere sinteticamente riassunti come segue, in ragione di quanto emerge dalla documentazione prodotta in giudizio.
Va premesso che la predetta richiesta di chiarimenti si inserisce nell’alveo processuale del giudizio di ottemperanza relativo alla citata sentenza della Sezione n. 7155 del 2018. Con detta pronuncia la Sezione ha accolto, nella sede di appello ed a seguito della riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III-bis, n. 12310 del 2017, il ricorso proposto dal professor [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] avverso gli atti con i quali era stata disposta la chiamata del professor [#OMISSIS#] Macchia come professore associato presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie della formazione.
In particolare la Sezione ha affermato che:
– alla procedura di chiamata in contestazione, ai sensi dell’art. 24, comma 6, l. 240/2010, che aveva prodotto la nomina del professor [#OMISSIS#] Macchia, non era stata data alcuna preventiva e adeguata pubblicità;
– il suddetto professore, quindi, era stato individuato come unico candidato al quale consentire la partecipazione alla procedura (sebbene vi fossero sei ricercatori che, all’epoca dei fatti, erano in servizio presso l’Ateneo ed erano in possesso della prescritta abilitazione);
– conseguentemente, “l’Università dovrà indire una nuova procedura, assicurando – qualora vi siano una pluralità di candidati in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per accedere alla procedura di chiamata – adeguate procedure valutative di tipo comparativo degli studiosi, definendo preliminarmente le modalità di presentazione delle candidature” (così, testualmente, al punto 4.1 della sentenza di cui al presente incidente di esecuzione).
3. – Riferisce l’Avvocatura generale dello Stato, nell’atto introduttivo del presente ricorso incardinato nella procedura di esecuzione, che in attuazione della sentenza n. 1755 del 2018 ed in seguito all’approvazione del nuovo Regolamento per la disciplina della chiamata dei professori di prima e seconda fascia dell’Ateneo, il Consiglio di amministrazione (dell’Ateneo), con delibera del 29 gennaio 2019 ha stabilito di “dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 7155 del 19.12.2018 mediante l’indizione di una nuova procedura valutativa, ai sensi dell’art. 24 comma 6 della legge 240/2010 presso il Dipartimento di Management e Diritto per il settore concorsuale 12/D1 e scientifico disciplinare IUS/10, da svolgersi con l’applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo “Regolamento per la disciplina della chiamata dei Professori di prima e seconda fascia”, disponendo successivamente, in data 11 febbraio 2019, che il professor Macchia, risultato vincitore della procedura annullata con la sentenza n. 1755/2018, fosse (e quindi tornasse ad essere) inquadrato nella pregressa qualifica di ricercatore confermato per i settori concorsuali 12/D1 e scientifico-disciplinare IUS/10.
Riferisce ancora l’avvocatura erariale che, con decreto rettorale del 2 aprile 2019 veniva indetta una procedura valutativa ai sensi dell’art. 24, comma 6, l. 240/2010 per la chiamata di un professore di ruolo di seconda fascia presso il Dipartimento di Management e Diritto con scadenza del bando alla data del 2 maggio 2019.
Il professor [#OMISSIS#] ha però contestato i suddetti provvedimenti adottati dagli organi di Ateneo, presentando all’università due distinte note.
Con una prima nota il professor [#OMISSIS#] ha sostenuto che l’inquadramento del professor Macchia nel ruolo di ricercatore universitario a tempo indeterminato sia avvenuto in mancanza dei presupposti previsti per la riammissione in servizio di cui all’art. 132 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, osservando, inoltre, che l’ordinamento vigente non consente (più) di coprire posti di ricercatore universitario a tempo indeterminato
Con una seconda nota il professor [#OMISSIS#] contesta la scelta, operata dall’università, di procedere all’esecuzione della sentenza n. 7155/2018 attraverso una rinnovata procedura da svolgersi “ora per ora” piuttosto che “ora per allora”, sostenendo quindi la erroneità della scelta esecutiva operata dall’università che invece avrebbe dovuto limitare la partecipazione alla procedura (esclusivamente) “a tutti coloro i quali avevano i requisiti al tempoin cui era prevista la scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione da parte di [#OMISSIS#] Macchia, ma con valutazione dell’attività didattica, di ricerca scientifica, dei curriculum, ecc. da effettuarsi a quella stessa data (e non oltre)” (così, testualmente, nella nota contestativa inviata dal professor [#OMISSIS#]), giacché detta procedura (“ora per allora”) sarebbe l’unica che garantirebbe la parità di trattamento tra i candidati alla luce del fatto che costoro dovrebbero poter essere esclusivamente gli stessi della procedura annullata in sede giurisdizionale.
Su entrambe le questioni in contestazione, con il ricorso qui in esame, l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata chiede alla Sezione indicazioni in merito alla procedura di ottemperanza più corretta.
4. – Si sono costituiti nel presente giudizio sia il professor [#OMISSIS#] che il professor Macchia prospettando opposte impostazioni e soluzioni rispetto all’oggetto del contenzioso in sede di esecuzione, formulando, conseguentemente, conclusioni di opposto segno.
Ha spiegato intervento ad adiuvandum il professor [#OMISSIS#] Sileri, sostenendo la sussistenza della propria legittimazione ad intervenire nel presente contenzioso in esecuzione in quanto egli, ricorrente vittorioso in un giudizio definito dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza n. 2500/2018, mai eseguita dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, si troverebbe in una situazione “sostanzialmente identica a quella in cui versa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] rispetto alla sentenza (…) n. 7155 del 2018, sempre nei confronti dell’Ateneo e del suo controinteressato [#OMISSIS#] Macchia” (così, testualmente, a pag. 1 della memoria difensiva dell’interventore).
Le parti in contesa hanno presentato ulteriori memorie, anche di replica, confermando le diverse ed opposte posizioni.
5. – Il ricorso espressamente proposto dall’Avvocatura generale dello Stato ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a. deve essere dichiarato inammissibile con riferimento ad entrambe le domande di chiarimenti sottoposte all’esame del Collegio.
In tema di proponibilità del ricorso ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a, si è formato uno stabile orientamento del giudice amministrativo, che il Collegio non ha ragione per non condividere anche in questa sede, ad avviso del quale:
– il “(…) rimedio ex art. 112, comma 5, c.pa., trattasi di un’azione esecutiva di accertamento volta ad eliminare possibili incertezze nella fase di attuazione del rapporto processuale definito con la sentenza passata in giudicato” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2014 n. 1472);
– “I quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell’ottemperanza, dunque, devono attenere alle modalità dell’ottemperanza e devono avere i requisiti della concretezza e della rilevanza, non potendosi sottoporre al giudice dell’ottemperanza questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma questioni specifiche che siano effettivamente insorte durante la fase di esecuzione del giudicato” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2012 n. 5469);
– “(…) nel processo amministrativo, ai sensi dell’art. 112 comma 5, c.p.a., l’azione di ottemperanza può essere proposta anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza e, ai sensi del successivo art. 114, il giudice amministrativo può fornire tali chiarimenti anche su richiesta del Commissario; peraltro i quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell’ottemperanza devono attenere alle modalità dell’ottemperanza e devono avere i requisiti della concretezza e della rilevanza, non potendosi sottoporre al giudice dell’ottemperanza questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma solo questioni specifiche che siano effettivamente insorte durante la fase di esecuzione del giudicato”. Ed infatti “il codice del processo amministrativo nel disciplinare il giudizio di ottemperanza prevede (che) l’azione di ottemperanza può essere proposta anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza (art. 112 comma 5). Inoltre il successivo art. 114 dispone (comma 7) che nel caso di ricorso ai sensi del comma 5 dell’art. 112,”il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza, anche su richiesta del Commissario”. Da quanto esposto si deve rilevare (come peraltro già fatto presente in altre analoghe controversie definite da questa Sezione (cfr. sentt. n. 6468 del 17/12/2012 e n. 3539 del 10/07/2014) che il ricorso “per ottenere chiarimenti” ha delle sue particolari specificità che conferiscono a tale strumento una natura giuridica diversa dall’azione di ottemperanza intesa tout court” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 2015 n. 5409);
– “il ricorso ex art. 112, comma 5, c. proc. amm. non presenta caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza, trattandosi di un ricorso che ha natura giuridica diversa tanto dall’azione finalizzata all’attuazione del comando giudiziale (art. 112, comma 2), quanto dall’azione esecutiva in senso stretto (art. 112, comma 3), e che presuppone dubbi o incertezze sull’esatta portata del comando giuridico oggetto dell’obbligo conformativo; né può essergli attribuita la natura di incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 114, comma 7, ponendosi esso dal punto di vista logico-sistematico al di fuori del vero e proprio giudizio di ottemperanza; pertanto deve ammettersi il rimedio della richiesta di chiarimenti nel suo contenuto proprio di strumento volto a ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, laddove si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che con ciò possano essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare il proprium delle statuizioni rese” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 maggio 2017 n. 2324).
6. – Deriva da quanto sopra, come è stato anche precisato in recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 2018 n. 7089), che l’azione proposta ex art. 112, comma 5, c.p.a.:
a) consente al giudice adito (solamente) di fornire chiarimenti su punti del decisum che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che possono essere introdotte ragioni di doglianze volte a modificare e/o solo integrare il proprium delle statuizioni rese con la decisione di merito (ed è altresì, ovviamente per sua natura e finalità, del tutto inidonea a far valere pretese e domande in ordine a statuizioni che hanno assunto [#OMISSIS#] di cosa giudicata e perciò stesso intangibili);
b) l’art. 34 c.p.a impedisce al giudice di pronunciarsi in ordine a “poteri non esercitati” dall’amministrazione;
c) in particolare, ogniqualvolta l’annullamento produca una nuova attività a cura dell’amministrazione, la possibile riedizione del potere è amplissima e connotata da una estesa discrezionalità;
d) spetta, dunque all’amministrazione competente al riesercizio del potere stabilire modi e termini dell’attività da intraprendere ed eventuali preclusioni alla predetta riedizione del potere senza che il giudice possa – o debba – ingerirsi in tale attività, e ciò in virtù del chiaro disposto dell’art. 34, comma 2, c.p.a. e men che meno senza che possa anticipare un convincimento circa la “esatta via da intraprendere” laddove l’amministrazione si orienti nel senso di riesercitare il potere con modalità entrambe sostenibili;
e) ed infatti la giurisprudenza ha da tempo insegnato che “l’amministrazione non può ex ante rinunciare all’esercizio del potere-dovere di ottemperanza, chiedendo al giudice di sostituirsi ad essa” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 5469 del 2012, cit.).
7. – Orbene nel caso di specie si chiede al Collegio, da parte dell’amministrazione assegnataria del potere da riedizionare e successivamente alla riedizione di detto potere (atteso che, per come risulta in atti, con decreto rettorale del 2 aprile 2019 l’università, in manifesta esecuzione della sentenza n. 1755 del 2018, ha già indetto una procedura nuova valutativa ai sensi dell’art. 24, comma 6, l. 240/2010 per la chiamata di un professore di ruolo di seconda fascia presso il Dipartimento di Management e Diritto), quantomeno attraverso manifestazioni espresse in provvedimenti circa il contenuto della volontà di scelta operata dall’università ai fini dell’esecuzione di giudicato, se detta volontà espressa sia corretta in quanto conforme (o meno) al decisum della sentenza ottemperanda.
Tale domanda, per come si è anche sopra chiarito attraverso i richiami giurisprudenziali espressi, esula dalla platea delle domande proponibili al giudice amministrativo, in particolare in sede di esecuzione.
La richiesta dell’amministrazione, infatti, si compendia in una sorta di controllo di legittimità extragiudiziale da parte del giudice amministrativo in ordine ad atti adottati in esecuzione di un giudicato, avanzata peraltro dalla stessa parte amministrativa che li ha adottati, di talché il giudizio sul quale il Collegio dovrebbe esprimere il proprio avviso si tradurrebbe in un accertamento circa la legittimità dell’operato dell’amministrazione, non contestato giudizialmente da alcuna delle parti interessate, in un ambito procedurale di natura prettamente consulenziale e, per ciò stesso, esulante dalla gamma dei poteri attribuiti al giudice amministrativo nel processo di esecuzione.
D’altronde – ed in conclusione – le espressioni letterali utilizzate dalla Sezione nella redazione del punto 4.1 della sentenza n. 7155 del 2018 (“l’Università dovrà indire una nuova procedura, assicurando – qualora vi siano una pluralità di candidati in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per accedere alla procedura di chiamata – adeguate procedure valutative di tipo comparativo degli studiosi, definendo preliminarmente le modalità di presentazione delle candidature”) non sembrano offrire spunti di dubbio sulla esatta esecuzione del decisum in questione.
8. – In virtù di quanto si è sopra illustrato il ricorso va dichiarato inammissibile, coinvolgendo tale decisione anche la posizione processuale della parte intervenuta.
Stante la novità della questione sottoposta all’esame del Collegio, stima quest’ultimo che sussistano i presupposti, come indicati nell’art. 92 c.p.c., richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per potersi compensare le spese della presente fase del giudizio di esecuzione tra tutte le parti controvertenti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in sede di esecuzione (n. R.g. 3800/2019), lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
Silvestro [#OMISSIS#] Russo, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Giordano [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 28/10/2019
IL SEGRETARIO