L’articolo 63, comma 1, d. lgs. 30 marzo 2001 n.165, specifica che “sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni…”, eccezion fatta per alcune categorie di lavoratori e per le controversie concernenti le procedure di concorso. Rimangono però devolute al Giudice amministrativo, secondo i principi generali, le controversie in cui sia impugnato un atto cd di macro organizzazione, ovvero un atto con il quale l’amministrazione definisca le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi. In questo caso, infatti, viene fatta valere una posizione di interesse legittimo, rispetto alla quale il rapporto di lavoro non costituisce l’effettivo oggetto del giudizio e gli effetti pregiudizievoli derivano direttamente dall’atto presupposto di cui si contesta la legittimità: in tali termini, fra le molte, Cass. civ., SS.UU., 27 febbraio 2017 n.4881 e Id., 13 giugno 2011 n.12895. Rimane invece al Giudice ordinario la giurisdizione sugli atti cd di micro organizzazione, ovvero sugli atti con i quali l’amministrazione, al pari di quanto potrebbe fare un qualunque datore di lavoro privato, disciplina lo svolgimento del singolo rapporto;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2018, n. 583
Alta formazione artistica musicale e coreutica-Atti di macro e micro organizzazione-Riparto di giurisdizione
N. 00583/2018REG.PROV.COLL.
N. 04834/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 c.p.a.;
sul ricorso numero di registro generale 4834 del 2017, proposto dalla signora:
[#OMISSIS#] Bakanova, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Dei Rossi, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Belli, 36;
contro
il Ministero dell’istruzione dell’universita’ e della ricerca, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
signor [#OMISSIS#] Zosi, non costituito in giudizio;
per l’annullamento ovvero la riforma,
previa adozione di misure cautelari
della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione III bis 12 aprile 2017 n.4509, resa fra le parti, che ha pronunciato sul ricorso n°1049/2017 R.G., proposto per l’annullamento:
a) del decreto 21 novembre 2016 n.3000 del Direttore generale per la programmazione, il coordinamento ed il finanziamento delle istituzioni della formazione superiore del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – MIUR, nella parte in cui non ha disposto per la ricorrente appellante l’inserimento nella graduatoria nazionale definitiva per il conferimento di incarichi per l’insegnamento della materia “Canto” di cui al d.m. 30 giugno 2014 n.526;
b) di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;
nonché per l’accertamento dell’obbligo del MIUR di provvedere sulla istanza 26 ottobre 2016 della ricorrente stessa in tal senso.
In particolare, la sentenza impugnata ha dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario sulla domanda di annullamento e respinto la domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione dell’universita’ e della ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2018 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato [#OMISSIS#] Dei Rossi e l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
Rilevato che:
– il d.l. 12 settembre 2013 n.104 convertito nella l. 8 novembre 2013 n.128 reca all’art. 19 una serie di misure a favore delle istituzioni di “Alta formazione artistica, musicale e coreutica”- AFAM, e in particolare al comma 2 prevede che “Il personale docente che non sia già titolare di contratto a tempo indeterminato nelle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, che abbia superato un concorso selettivo ai fini dell’inclusione nelle graduatorie di istituto e abbia maturato almeno tre anni accademici di insegnamento presso le suddette istituzioni alla data di entrata in vigore del presente decreto è inserito, fino all’emanazione del regolamento di cui all’articolo 2, comma 7, lettera e), della legge 21 dicembre 1999, n. 508, in apposite graduatorie nazionali utili per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento a tempo determinato in subordine alle graduatorie di cui al comma 1 del presente articolo, nei limiti dei posti vacanti disponibili. L’inserimento è disposto con modalità definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.”;
– in attuazione del comma 2 citato, è stato emanato il d.m. MIUR 30 giugno 2014 n.526, volto a costituire le relative graduatorie;
– il d.m. in questione, all’art. 2 comma 1 riproduce in sostanza il disposto della legge, nel senso che “Fino all’emanazione del regolamento di cui all’articolo 2, comma 7, lettera e), della legge 21 dicembre 1999, n. 508, è inserito nelle graduatorie di cui all’articolo 1 il personale docente che non sia già titolare di contratto a tempo indeterminato nelle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, di cui agli articoli 1 e 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n. 508, e che sia incluso in graduatorie d’istituto costituite a seguito di concorso selettivo e che, alla data del presente decreto, abbia maturato, a decorrere dall’anno accademico 2001-2002, almeno tre anni accademici di insegnamento, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o con contratto di collaborazione, ai sensi dell’articolo 273 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ovvero con contratto di collaborazione continuata e continuativa o altra tipologia contrattuale nelle medesime istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica”;
– lo stesso art. 2, al comma 2, prevede poi che “Ai fini della valutazione dei requisiti di cui al comma 1, si considera anno accademico l’aver svolto 180 giorni di servizio con incarico a tempo determinato o con contratto di collaborazione di cui all’articolo 273 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297”. Al comma 3, prevede però requisiti più gravosi, introducendo una restrizione che non è nella legge: “Ai fini della valutazione dei requisiti di cui al comma 1, per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa” comunemente detti “co.co.co” – “e per altre tipologie contrattuali, si considera anno accademico l’aver svolto almeno 125 ore di insegnamento nei corsi accademici di primo o di secondo livello”;
– per conseguenza di tale disparità di trattamento fra i docenti titolari di contratto co.co.co. e quelli titolari di contratto di altro tipo, molti aspiranti all’ingresso delle graduatorie ne furono esclusi;
– tale è stata la sorte della ricorrente appellante, la quale è docente precaria AFAM, è stata a suo tempo esclusa dalle graduatorie, da ultimo con provvedimento definitivo del MIUR 28 ottobre 2014 n.8226, che non riteneva all’epoca di impugnare (doc. 9 in I grado ricorrente appellante);
– per contro, altri docenti, estranei a questo processo e destinatari di identico provvedimento di esclusione lo impugnarono avanti questo Giudice amministrativo, unitamente al presupposto d.m. MIUR 526/2014;
– i relativi ricorsi vennero accolti con alcune sentenze di questo Giudice, fra le quali, citata dalla ricorrente appellante, la sentenza sez. VI 9 agosto 2016 n.3554, che ha annullato il d.m. 526/2014 nella parte indicata;
– ciò posto, la ricorrente appellante deduce che gli effetti favorevoli di tale ultima sentenza, che ha consentito ai ricorrenti vittoriosi di essere inseriti in graduatoria, sarebbero stati estesi dal MIUR, con provvedimenti puntuali in tal senso, anche a vantaggio di altri docenti AFAM, che pure non avevano impugnato l’esclusione disposta a suo tempo nei loro confronti;
– ha pertanto impugnato in primo grado uno di tali atti, il decreto 21 novembre 2016 n.3000 (doc. 1 in I grado ricorrente appellante); ha poi parallelamente presentato l’istanza 26 ottobre 2016 (doc. 2 in I grado ricorrente appellante), richiedendo l’estensione del giudicato anche nei suoi confronti;
– con la sentenza meglio indicata in premesse, il TAR ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di annullamento del decreto 3000/2016, qualificato come atto di micro organizzazione del rapporto di lavoro, sottratto come tale alla giurisdizione amministrativa; ha respinto la domanda di accertamento dell’illegittimità del presunto silenzio rifiuto formatosi sulla domanda 26 ottobre 2016;
– contro tale sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello in cui evidenzia l’asserita esatta identità fra la propria situazione e quella dei docenti ricorrenti vittoriosi;
– ha resistito l’amministrazione, con atto 24 agosto 2017, e chiesto che il ricorso sia respinto;
– la Sezione, con ordinanza 18 ottobre 2017 n.4535, ha dato atto che per entrambe le domande, rispettivamente ai sensi dell’art. 105 comma 2 e dell’art. 117 comma 6 bis c.p.a., è prevista la decisione in camera di consiglio e ha provveduto a fissarla alla data di oggi e nelle more ha disposto istruttoria, sugli esatti termini dell’estensione a soggetti terzi da parte del MIUR del giudicato di annullamento del d.m. 526/2014 di cui sopra;
– l’ordinanza predetta risulta comunicata alla parte interessata lo stesso 18 ottobre 2017, anche se alla richiesta istruttoria, il MIUR non ha dato risposta;
– con memoria 29 dicembre 2017, la ricorrente appellante ha ribadito le proprie asserite ragioni;
– alla camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2018, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione, e a fronte della domanda cautelare contenuta negli atti si è riservata la possibilità di pronunciare sentenza in forma semplificata;
– come il Collegio osserva, ai sensi dell’art. 64 comma 2 c.p.a., deve ritenersi provato, in quanto non specificamente contestato (né è stata eseguita l’ordinanza istruttoria da cui sarebbero potute emergere risultanze di segno contrario), il fatto storico presupposto da tale ordinanza, ovvero che lo stesso MIUR abbia operato una estensione anche a soggetti non parte del relativo giudizio del giudicato di annullamento del d.m. 526/2014;
– ciò premesso, vanno esaminati per chiarezza i principi di diritto che disciplinano l’intera controversia, quanto ad entrambe le domande dedotte in giudizio;
– come è noto, in base all’art. 63 comma 1 d. lgs. 30 marzo 2001 n.165, “Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni…”, eccezion fatta per alcune categorie di lavoratori e per le controversie concernenti le procedure di concorso, che qui pacificamente non rilevano. Rimangono però devolute al Giudice amministrativo, secondo i principi generali, le controversie in cui sia impugnato un atto cd di macro organizzazione, ovvero un atto con il quale l’amministrazione definisca le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi. In questo caso, infatti, viene fatta valere una posizione di interesse legittimo, rispetto alla quale il rapporto di lavoro non costituisce l’effettivo oggetto del giudizio e gli effetti pregiudizievoli derivano direttamente dall’atto presupposto di cui si contesta la legittimità: in tali termini, fra le molte, Cass. civ. SS.UU. 27 febbraio 2017 n.4881 e 13 giugno 2011 n.12895. Rimane invece al Giudice ordinario la giurisdizione sugli atti cd di micro organizzazione, ovvero sugli atti con i quali l’amministrazione, al pari di quanto potrebbe fare un qualunque datore di lavoro privato, disciplina lo svolgimento del singolo rapporto;
– per altri versi, va osservato che la tutela del singolo lavoratore nei confronti degli atti di macro organizzazione non è limitata alla possibilità di impugnarli quando essi siano in concreto emanati e incidano sul rapporto di lavoro che lo riguarda. Si può infatti ipotizzare anche la situazione particolare e differenziata in cui lo stesso lavoratore diventi titolare di un interesse legittimo che gli consente di richiedere di provvedere in materia, ovvero di richiedere che un atto di tal tipo sia emanato, ovvero che gli vengano motivate le ragioni per cui non si ritiene di emanarlo: sul principio, si veda ad esempio la citata Cass. civ. 12895/2011;
– applicando i suddetti principi al caso concreto, l’appello va respinto nella parte in cui contesta la pronuncia con cui il Giudice di primo grado ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di annullamento del decreto 21 novembre 2016 n.3000. È infatti evidente che il decreto stesso riguarda solo le posizioni di singoli lavoratori, ai quali, per ragioni presupposte che in quella sede non sono palesate, ha ritenuto di estendere gli effetti favorevoli del giudicato in questione: si tratta quindi di un atto di micro organizzazione, rispetto al quale il Giudice di primo grado ha correttamente affermato la giurisdizione del G.O.;
– va invece accolta la domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere sull’istanza presentata il giorno 26 ottobre 2016 dalla ricorrente appellante;
– in primo luogo, essa, correttamente intesa, è volta a provocare l’emanazione di un atto di macro organizzazione in senso proprio. La ricorrente appellante chiede infatti che il Ministero proceda a riconsiderare in modo complessivo la posizione di tutti i docenti della sua categoria, e spieghi se, per qual ragione ed entro quali limiti ritenga di estendere loro gli effetti del giudicato favorevole: ciò rientra con altrettanta evidenza nel concetto di “linee fondamentali” dell’organizzazione degli uffici;
– in secondo luogo, la ricorrente appellante è da ritenere titolare di un interesse legittimo all’emanazione di un atto del genere. La sua posizione infatti è differenziata rispetto a quella degli altri consociati anzitutto per il fatto di essere una appartenente alla categoria di cui si tratta, e in secondo luogo perché, in base a quanto è stato provato in causa, alcuni suoi colleghi, singolarmente considerati, hanno ricevuto il beneficio in esame, da cui il suo interesse all’atto di carattere generale che di siffatta estensione è il presupposto logico;
– la soccombenza reciproca è giusto motivo per compensare le spese dell’intero giudizio;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe (ricorso n.4834/2017), così provvede:
respinge l’appello quanto all’impugnazione della declaratoria di difetto relativo di giurisdizione sulla domanda di annullamento del decreto 21 novembre 2016 n.3000 del Direttore generale per la programmazione, il coordinamento ed il finanziamento delle istituzioni della formazione superiore del MIUR;
accoglie l’appello quanto alla domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere e per l’effetto dichiara l’obbligo del MIUR di provvedere ai sensi e nei limiti di cui in motivazione sull’istanza 26 ottobre 2016 della ricorrente appellante;
compensa per intero fra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] de [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Giordano [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 29/01/2018