In generale, il giudice amministrativo – anche in sede di cognizione – può comunque determinare se, nel caso di fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento, sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso avente effetti ex nunc (cfr. Cons. Stato, Sez VI, 10 maggio 2011, n. 2755; Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13).
Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 aprile 2018, n. 2133
Abilitazione scientifica nazionale–Rimozione atto con effetti ex tunc o ex nunc
N. 02133/2018 REG.PROV.COLL.
N. 08004/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 8004 del 2017, proposto ex art. 112 del c.p.a. dalla signora [#OMISSIS#] Coco, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa [#OMISSIS#], n. 2;
contro
Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Il signor [#OMISSIS#] Argirò, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 9716/2017, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per accertare l’elusione della sentenza del TAR Lazio, sez. III, n. 1983 del 12 febbraio 2016, perché il MIUR ha attribuito alla ricorrente l’abilitazione scientifica nazionale (ASN) per il settore concorsuale 12/G1 (Diritto Penale), seconda fascia, a decorrere dalla pubblicazione del provvedimento di rivalutazione, sul sito del MIUR, in data 22 dicembre 2016, giorno successivo alla rinnovata valutazione compiuta dalla “Commissione in diversacomposizione” designata in esecuzione della citata sentenza n. 1983/2016, anziché a decorrere dal 6 febbraio 2014, ossia dalla pubblicazione degli esiti dell’ASN indetta con DDG del MIUR n. 222/2012 e, comunque, da una data antecedente al 13 ottobre 2016, data di scadenza del termine per presentare domanda di partecipazione alla procedura valutativa di chiamata per un posto di professore di ruolo di II fascia presso l’Università La Sapienza;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del MIUR;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 22 marzo 2018 il cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato Angelo [#OMISSIS#] e l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Visti gli articoli 60 e 74 cod. proc. amm.;
Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e ritenuto, a scioglimento della riserva formulata al riguardo, di potere definire il giudizio nel merito con sentenza in forma semplificata, per le peculiarità della vicenda;
Sentite sul punto le parti costituite;
Richiamato quanto esposto dalla parte appellante negli atti difensivi e dato atto che il Ministero si è limitato a chiedere il rigetto dell’appello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, la dottoressa [#OMISSIS#] Coco ha impugnato la sentenza del TAR Lazio – Roma, Sez. III, n. 9716 del 12 settembre 2017, che – a spese compensate – ha respinto il ricorso con cui ella ha lamentato l’elusione della precedente sentenza del TAR n. 1983 del 2016, poiché il MIUR, in sede di esecuzione di tale sentenza, le ha conferito l’abilitazione scientifica nazionale (ASN) per il settore concorsuale 12/G1 (Diritto Penale), seconda fascia, soltanto a decorrere dalla data del 22 dicembre 2016, di pubblicazione del provvedimento di rivalutazione sul sito del MIUR, anziché da una data antecedente al 13 ottobre 2016, di scadenza del termine per partecipare alla “procedura valutativa di chiamata”, per un posto di professore di II fascia all’Università La Sapienza (nel frattempo indetta).
Le circostanze che hanno condotto al presente giudizio sono descritte, nella sentenza impugnata, nei termini sintetizzati di seguito.
La dottoressa Coco ha presentato la domanda per l’abilitazione alle funzioni di professore universitario di seconda fascia per il settore concorsuale 12/G1 – “Diritto Penale”, nell’ambito della procedura indetta con decreto direttoriale (DDG) del MIUR n. 222 del 20 luglio 2012.
La commissione ha espresso nei suoi confronti una prima valutazione di non idoneità.
La candidata ha impugnato il giudizio negativo e gli atti ulteriori della procedura, dinanzi al TAR del Lazio, il quale, con la sentenza n. 1983 del 2016, ha accolto il ricorso e ha annullato il diniego di ASN, disponendo che, “in esecuzione della sentenza”, la posizione dell’interessata dovesse essere riesaminata da una commissione in diversa composizione entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della pronuncia, ovvero dalla sua notificazione, se antecedente.
Vista l’inerzia del MIUR, la dottoressa Coco, in data 28 luglio 2016, ha sollecitato il Ministero a rinnovare il procedimento, ma soltanto il 21 dicembre 2016 la nuova commissione ha rivalutato la posizione della candidata, ribaltando il giudizio dato dalla prima commissione e formulando un giudizio positivo unanime di abilitazione alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale “de quo”.
Il MIUR ha, tuttavia, conferito l’abilitazione a decorrere dal 22 dicembre 2016, vale a dire dal giorno successivo alla rinnovata valutazione, ed ha constatato che gli effetti ex lege della abilitazione si producono sino al 22 dicembre 2022 (pur se la data della pubblicazione degli originari esiti della procedura di ASN indetta con il DDG del MIUR n. 222/2012 risale al 6 febbraio 2014).
L’interessata ha dedotto che tale decorrenza degli effetti le avrebbe causato un grave pregiudizio, poiché, nelle more della procedura di rivalutazione, ha presentato una domanda di partecipazione alla procedura valutativa di chiamata per un posto di professore di ruolo di seconda fascia presso il Dipartimento di Studi Giuridici, Filosofici ed Economici della Facoltà di Giurisprudenza (procedura indetta con decreto del Rettore dell’Università “La Sapienza” in data 15 settembre 2016 ai sensi dell’art. 24, commi 5 e 6, della l. n. 240/2010).
Nel gennaio del 2017, la dottoressa Coco ha chiesto al MIUR, in riforma del provvedimento adottato, e “in esecuzione” della citata sentenza n. 1983 del 2016, di conferirle l’ASN con decorrenza dal 6 febbraio 2014 e, comunque, da una data, anteriore al 13 ottobre 2016, utile al fine di partecipare alla procedura valutativa indetta dall’Università “La Sapienza”.
Con la sentenza n. 9716 del 2017, il TAR ha respinto il ricorso di primo grado, con cui la dottoressa Coco ha lamentato l’elusione della sentenza, in quanto il MIUR, nel conferirle l’ASN a decorrere dal 22 dicembre 2016, ossia dalla pubblicazione del provvedimento, anziché a decorrere dalla data del provvedimento annullato (o, quantomeno, da una data utile per partecipare alla procedura valutativa), avrebbe leso il principio di effettività della tutela giurisdizionale, essendo, la funzione primaria ed essenziale del giudizio, quella di attribuire alla parte vittoriosa l’utilità che le spetta.
1.2. La sentenza ha argomentato come segue:
– la ricorrente ha proposto l’azione di ottemperanza per ottenere dal TAR una “pronuncia manipolativa” non prevista dal c.p.a, la quale, in sostituzione della decorrenza determinata dal MIUR, determini una “decorrenza retroattiva del nuovo giudizio della Commissione”;
– l’interesse concreto al quale è legata l’azione proposta concerne la pretesa di essere ammessa (ovvero di non essere esclusa d)alla “procedura valutativa di chiamata” alla Sapienza, che sta al di fuori del “thema decidendum” e dell’oggetto definito dalla sentenza n. 1983 del 2016: “rispetto a essa, l’interesse a partecipare utilmente alla procedura si manifesta come interesse di mero fatto, sul quale né la pronuncia di questo TAR né, ancor prima, il rinnovato giudizio valutativo (della) nuova Commissione possono avere un’incidenza che non sia meramente indiretta e occasionale”;
– di regola, l’atto amministrativo, per il principio di legalità, non produce effetti retroattivi riferibili a situazioni di fatto antecedenti alla sua adozione ma, al pari di quanto accade, sempre di regola, per gli atti normativi, dispone soltanto per l’avvenire.
Al riguardo il TAR, nel richiamare il dibattito sui limiti entro i quali può essere emanato un atto amministrativo aventi effetti retroattivi, ha sottolineato che l’effetto abilitativo, vale a dire il bene della vita domandato in sede giudiziale, non può che essere determinato dalla nuova valutazione del dicembre del 2016 e non può essere riferito ad una situazione di fatto preesistente, “sicché sarebbe illogico pensare a un’abilitazione operante in un tempo anteriore alla riedizione del giudizio valutativo (che non può equipararsi ad un mero atto di accertamento, stante, appunto, il suo carattere “valutativo”) che è l’atto a cui l’effetto favorevole va riferito “ex nunc;il giudicato di annullamento è certamente retroattivo, ma limitatamente all’effetto demolitario, essendo pacifico che l’annullamento giurisdizionale ha effetto “ex tunc” ma esso non può però estendersi, in via conformativa e interpretativa, al nuovo atto, quale espressione di un potere valutativo che, al momento dell’adozione della sentenza, non era stato ancora esercitato; in ogni caso non è evincibile dalla sentenza alcuna statuizione, neanche implicita, in ordine alla retroattività degli effetti della “futura” valutazione”.
Il TAR ha inoltre rilevato che – quando un interesse legittimo pretensivo è leso da un atto o dall’inerzia – è ‘inevitabile’ il soddisfacimento ritardato dell’interesse fatto valere: “esula dai poteri del giudice dell’ottemperanza la possibilità di modulare gli effetti del successivo atto amministrativo riservato alla P.A., in funzione dell’interesse concreto del ricorrente, peraltro occasionato nelle specie da vicende del tutto estranee all’oggetto del giudicato”.
Infine, il TAR ha osservato che il retrodatare gli effetti della abilitazione scientifica nazionale “provocherebbe conseguenze irragionevoli, dal momento che in alcuni casi l’abilitazione conseguente alla sentenza sarebbe del tutto inutile, in quanto rilasciata in un momento in cui la durata massima legale della stessa, decorrente dal momento di “retrodatazione”, sarebbe ormai irrimediabilmente scaduta; tale rischio è invece certamente evitato dall’efficacia “ex nunc” della nuova valutazione, che consente nella specie alla ricorrente di poter beneficiare del titolo abilitativo per la sua intera durata, fino alla fine del 2022”.
L’interessata, con l’appello in esame, ha riproposto le deduzioni già formulate in primo grado ed ha rappresentato che:
– il Ministero – con atti di data 1° e 31 luglio 2016 – ha nominato la commissione per la rivalutazione dei candidati in esecuzione di sentenze concernenti altri candidati, ma non le ha trasmesso per tempo anche gli atti riguardanti la propria posizione;
– ella ha presentato in data 15 ottobre 2016 la domanda di partecipazione alla “procedura valutativadi chiamata” alla Sapienza, poiché possedeva tutti gli altri relativi requisiti per essere ammessa e confidava che avrebbe ottenuto in tempo anche la necessaria abilitazione in questione, sollecitata con la diffida del 4 ottobre 2016, volta ad ottenere la più rapida esecuzione della sentenza del TAR n. 1983/2016 (in tempo utile per presentare il requisito entro il termine di scadenza del 15 ottobre).
Nel riproporre le censure di primo grado, l’appellante ha dedotto che:
– l’attribuzione dell’ASN a decorrere dalla data della nuova valutazione farebbe ricadere in suo danno i tempi del processo di cognizione (un anno e sei mesi) e quelli (più di nove mesi, anziché i sessanta giorni fissati dal TAR con la sentenza n. 1983 del 2016) della esecuzione del giudicato, penalizzandola rispetto a chi ha partecipato alla medesima procedura ed ha conseguito tempestivamente l’abilitazione, dal momento che il giudizio deve attribuire alla parte vittoriosa l’utilità che le compete;
– la sentenza di primo grado avrebbe errato nel dubitare della ammissibilità dell’azione proposta;
– “il giudice dell’ottemperanza è il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che dal quel giudicato trovano origine”;
– poiché sono stati a suo tempo annullati gli atti lesivi del suo interesse pretensivo, l’Amministrazione avrebbe dovuto riprovvedere “ora per allora”, in modo da consentire alla interessata di conseguire il bene della vita, poiché si deve adeguare, per quanto possibile, lo stato di fatto e di diritto alla situazione antecedente alla emanazione dell’atto annullato;
– la regola della ‘retroattività del giudicato’ sarebbe un principio generale applicabile anche nel caso di lesione di interessi pretensivi, per evitare che la durata del processo vada a scapito della parte vittoriosa;
– sarebbe irrilevante l’assenza, nella pronuncia oggetto di esecuzione, di una statuizione esplicita sulla retroattività del giudicato;
– poiché l’interesse all’abilitazione è correlato all’ottenimento dell’incarico di professore, “il bene sostanziale della vita sotteso al ricorso avverso al diniego di abilitazione è senz’altro riconducibile anche a quello di poter partecipare, al pari degli altri soggetti abilitati nella medesima tornata (2012), alle chiamate ed ai concorsi per ricoprire effettivamente i posti di professore che vengono banditi dalle Università nel periodo di validità (2014-2020) che avrebbe dovuto avere il provvedimento illegittimamente pretermesso dal MIUR”;
– il procedimento di chiamata pendente presso l’Università La Sapienza non sarebbe al di fuori del themadecidendum, poiché il Ministero era stato edotto dell’indizione del distinto procedimento di chiamata undici giorni prima della scadenza del termine;
– la sentenza impugnata avrebbe errato nel considerare che la pretesa della interessata si porrebbe “in contrasto con il principio di parità di trattamento e con la normativa che predetermina una durata fissa ed inderogabile dell’abilitazione scientifica” e che – mediante la retrodatazione al febbraio 2014 – vi sarebbe l’”abnorme ampliamento della durata legale massima del titolo”, poiché la pretesa è quella di retrodatare l’abilitazione al 6 febbraio 2014, con computo da tale data del termine finale di efficacia di sei anni;
– non potrebbero esservi disparità di trattamento con gli altri candidati che hanno partecipato alla medesima tornata del 2012 e sono risultati vittoriosi davanti al TAR in altri giudizi.
Con l’appello, è infine chiesto che il Ministero sia condannato al pagamento, a titolo di astreinte, di una somma di denaro per ogni ulteriore ritardo nella esecuzione.
Il MIUR si è costituito in giudizio e si è limitato a chiedere il rigetto dell’appello.
Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e vada respinto.
In linea di principio, si deve ritenere che – quando si tratti della tutela spettante all’interesse legittimo – la retroattività dell’esecuzione del giudicato non possa essere intesa in senso assoluto, ma vada ragionevolmente parametrata alla disciplina applicabile in materia, alle circostanze del caso concreto e alla natura dell’interesse coinvolto (Cons. Stato, Ad. plen. n. 11 del 2016).
Nella specie, in seguito alla sentenza di annullamento del TAR n. 1983 del 2016, pronunciata con salvezza dei provvedimenti ulteriori dell’Autorità amministrativa, sono indubbiamente rimasti ‘spazi liberi valutativi’ in capo all’Amministrazione.
L’obbligo di conformazione risultava cioè circoscritto alla rivalutazione motivata della posizione della ricorrente, vittoriosa nel giudizio di cognizione, rivalutazione che avrebbe potuto condurre, eventualmente, anche a un risultato sfavorevole alla candidata.
Il Collegio ritiene perciò corretta e da condividere la statuizione della sentenza impugnata con la quale, tenuto conto anche del “carattere valutativo”, e non di “mero accertamento”, del giudizio riformulato, l’effetto abilitativo scientifico viene collegato al momento della rivalutazione operata, con conseguente legittimità dell’atto che ha dichiarato l’abilitazione con effetti ex nunc, anziché, come preteso dalla ricorrente, ex tunc.
Ad avviso del Collegio, la sentenza appellata ha correttamente ritenuto infondata la pretesa della ricorrente di ottenere, dal giudice amministrativo, una pronuncia che avrebbe comportato una statuizione sostanzialmente “manipolativa sul piano temporale” degli effetti dellaabilitazione, individuati legittimamente dal MIUR con la decorrenza dalla data della pubblicazione della nuova, favorevole, valutazione (22 dicembre 2016).
In mancanza di statuizioni ulteriori, specifiche e puntuali, assenti, nel caso in esame, nella sentenza n. 1983 del 2016, il riferimento, inserito nella decisione di cognizione, alla rivalutazione discrezionale da compiersi entro il termine (ordinatorio) di sessanta giorni, non basta per considerare violato o comunque eluso il giudicato, ove la rivalutazione, favorevole, sia stata effettuata in concreto oltre il termine suddetto.
Bene poi in sentenza viene posta in risalto la inammissibilità di una “retroattività (o retrodatazione, o retroazione) variabile dell’effetto abilitante, in relazione ai singoli casi e ai singoli occasionali interessi perseguiti”, il che, può aggiungersi, ove accadesse, contrasterebbe proprio con quei principi di certezza nei rapporti giuridici dei quali parte appellante sollecita l’osservanza nel sottolineare la penalizzazione, ingiusta e ingiustificata, sofferta – rispetto ad altri candidati della “tornata 2012” in posizione analoga -, dovuta al “fattore tempo”, in quanto legata al fatto oggettivo che per rivalutare la sua posizione il MIUR ha impiegato quasi dieci mesi mentre il TAR, nel “dispositivo sostanziale” della motivazione della sentenza del 2016, aveva disposto, quale obbligo di conformazione, il riesame della posizione della ricorrente entro sessanta giorni: ma a quest’ultimo riguardo, sui possibili rimedi risarcitori “da durata del procedimento” attivabili dall’appellante si dirà brevemente più avanti.
E’ innegabile poi che sussista una correlazione tra l’interesse all’ASN e alla partecipazione a procedure di chiamata riservate agli abilitati.
Tuttavia, non si tratta della stessa cosa, sicché, plausibilmente, nella sentenza impugnata si è ritenuto che l’interesse perseguito in concreto con il ricorso ex art. 112 del c.p.a. esulasse dall’ambito del “thema decidendum” che aveva formato oggetto di esame e valutazione da parte del TAR nel 2016.
Il MIUR, nell’adeguare la situazione di fatto e di diritto alle statuizioni della sentenza del 2016, dichiarando la ricorrente abilitata soltanto a decorrere dal 22 dicembre 2016 e fino al 22 dicembre 2022, non ha dunque eluso la decisione del TAR.
Con riferimento alle specifiche argomentazioni prodotte dall’appellante a sostegno della propria pretesa di emanare un atto aventi effetti ‘ora per allora’, ritiene inoltre la Sezione quanto segue.
In sede di esecuzione di una sentenza di annullamento, l’Amministrazione a volte deve e a volte può emanare un atto avente effetti ‘ora per allora’.
Ad esempio, quando si tratta di un concorso e uno dei vincitori sia stato escluso perché risultato in sede amministrativa privo di un requisito per la nomina (in realtà sussistente o non necessario, per la successiva sentenza di annullamento dell’esclusione), per basilari esigenze di parità di trattamento dei candidati l’Amministrazione deve attribuire ‘ora per allora’ al vincitore in giudizio la medesima decorrenza giuridica della conseguente nomina, rispetto a quelle che hanno riguardato gli altri vincitori.
Altre volte, quando si tratti di colmare il ‘vuoto’ conseguente alla sentenza amministrativa che abbia annullato con effetti ex tunc un atto generale, l’Amministrazione ben può determinare ovvero applicare ‘ora per allora’ il sopravvenuto provvedimento, quando sia stato annullato un provvedimento impositivo di prezzi, di tariffe o di aliquote (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 21 ottobre 1997, n. 1145 e, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4487; § 21.2; Cons. St., sez. III, 7 marzo 2016, n. 927; Cass., Sez. Un., 1° ottobre 1982, n. 5030).
In generale, il giudice amministrativo – anche in sede di cognizione – può comunque determinare se, nel caso di fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento, sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso avente effetti ex nunc (cfr. Cons. Stato, Sez VI, 10 maggio 2011, n. 2755; Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13).
Anche in considerazione del principio di effettività della tutela del ricorrente vittorioso (richiamato dall’art. 1 del c.p.a.), in rapporto alla consistenza dei poteri comunque esercitabili dall’Amministrazione a seguito della rilevata illegittimità del suo provvedimento, il giudice amministrativo – con la sentenza di cognizione o d’ottemperanza – nell’esercizio dei propri poteri conformativi e se del caso di merito può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto.
Tale ampio potere del giudice amministrativo deve però tenere conto della normativa applicabile nella materia in questione e non deve condurre a conseguenze incongrue o asistematiche.
Con riferimento al caso di specie, la legge ha previsto che l’abilitazione scientifica nazionale ha efficacia per sei anni.
Il provvedimento ministeriale ha natura costitutiva di uno status e consente che il titolare della abilitazione possa avvalersene per una durata temporale predeterminata dalla legge.
Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, non si può sostenere che “l’attribuzione della abilitazione a decorrere dalla data della nuova valutazione farebbe ricadere in suo danno i tempi del processo di cognizione e quelli della esecuzione del giudicato, con penalizzazione rispetto a chi ha partecipato alla medesima procedura”.
Infatti, al termine del rinnovato procedimento, il provvedimento attribuisce lo status di abilitato per l’intero periodo di sei anni, esattamente come avviene per i candidati risultati abilitati al termine dell’originario procedimento.
Al contrario, la decorrenza ‘retroattiva’ della abilitazione – disposta al termine del rinnovato procedimento – comporterebbe che essa in sostanza avrebbe effetti per un periodo di tempo inferiore a quello di sei anni, previsto dalla legge, in contrasto col principio di tipicità dell’atto amministrativo e dei suoi effetti.
Non ha rilievo, nella specie, la circostanza di fatto che l’interessata – in pendenza del rinnovato procedimento che poi si è concluso per lei favorevolmente – ha ritenuto di partecipare ad una selezione (sperando di superarla), quando ancora era priva del relativo requisito di partecipazione (costituito proprio dalla abilitazione nazionale).
A parte il fatto che l’interessata ha posto a conoscenza il Ministero di tale circostanza (e cioè di tale partecipazione in assenza del requisito richiesto) undici giorni prima della scadenza del termine di presentazione della domanda (con impossibilità di definire il procedimento in tale limitatissimo tempo), vi è la netta diversità tra i due procedimenti.
Per quanto rileva nel presente giudizio, ritiene la Sezione che – allorquando occorra un titolo abilitativo per partecipare ad un concorso o ad una selezione – i tempi di definizione del procedimento riguardante l’abilitazione e i tempi e le vicende degli eventuali relativi contenziosi non possano avere alcuna attinenza rispetto all’esigenza che siano ammessi al concorso o alla selezione soltanto coloro che abbiano i requisiti alla data di scadenza delle relative domande.
Pertanto, la diversità del procedimento abilitativo rispetto a quello indetto dalla Università La Sapienza, nonché la possibilità per l’appellante di avvalersi della abilitazione conseguita nei successivi sei anni, inducono la Sezione a considerare non accoglibile la pretesa dell’appellante, di considerare giusta e consentita dal sistema una sentenza del giudice amministrativo che incida sugli effetti tipici dell’abilitazione, disciplinata dalla legge come atto costitutivo di un peculiare status per sei anni, solo dopo il suo conseguimento (non potendosi neppure concepire una retroattività ‘condizionata’ dell’abilitazione, all’esito positivo del diverso procedimento di chiamata indetto dall’Università La Sapienza).
Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Tenuto conto della mancanza di una difesa di merito del MIUR, della oggettiva controvertibilità delle questioni trattate e dell’andamento complessivo della vicenda, sussistono ragioni eccezionali per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 8004 del 2017, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Spese del secondo grado del giudizio compensate.
Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 marzo 2018, con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Giordano [#OMISSIS#], Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
Pubblicato il 06/04/2018