Deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d.lgs. n. 9 dicembre 2012, n. 49, nonché dell’art. 10 del medesimo decreto legislativo limitatamente alla parte in cui, al comma 1, prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca individui percentuali del FFO da ripartire in relazione al costo standard. Tale declaratoria di illegittimità costituzionale, determinata esclusivamente da vizi dell’esercizio del potere legislativo delegato, non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe la responsabilità di assicurare, con modalità conformi alla Costituzione, la continuità e l’integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali, indispensabili per l’effettività dei principi e dei diritti consacrati negli artt. 33 e 34 Cost.
Corte Costituzionale, 11 maggio 2017, n. 104
Criteri di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università per l’anno 2014-Costo standard per studente-Questione di legittimità Costituzionale-Illegittimità
SENTENZA N. 104
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Presidente
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Giudice
– [#OMISSIS#] CARTABIA ”
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ”
– [#OMISSIS#] CORAGGIO ”
– [#OMISSIS#] AMATO ”
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ”
– [#OMISSIS#] de [#OMISSIS#] ”
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ”
– Franco [#OMISSIS#] ”
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ”
– [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli «articoli 5, comma 1, lett. c e 4 lett. f)» [[#OMISSIS#]: dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f)], della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), e degli artt. 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, nel procedimento vertente tra l’Università degli Studi di Macerata e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ed altri, con ordinanza dell’11 dicembre 2015, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione dell’Università degli Studi di Macerata nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2017 il Giudice relatore [#OMISSIS#] Cartabia;
uditi l’avvocato [#OMISSIS#] de [#OMISSIS#] per l’Università degli Studi di Macerata e l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza dell’11 dicembre 2015 (r.o. n. 85 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-bis, solleva questioni di legittimità costituzionale «degli articoli 5, comma 1, lett. c e 4 lett. f)» [[#OMISSIS#]: dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f)], della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), in riferimento all’art. 76 della Costituzione; nonché degli artt. 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5», in riferimento agli artt. 33, 34, 76 e 97 Cost.
1.1.– Il TAR rimettente espone di essere stato adito dall’Università degli Studi di Macerata con due ricorsi, per l’annullamento del decreto 9 dicembre 2014, n. 893 (Determinazione del costo standard unitario di formazione per studenti in corso, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49), emanato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze; del decreto 4 novembre 2014, n. 815 (Decreto criteri di Ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università per l’anno 2014), emanato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca; di una nota tecnica recante «Costo standard unitario di formazione per studente in corso (Decreto Ministeriale n. 893 del 09 dicembre 2014)».
Si tratta degli atti che per la prima volta, nell’anno 2014, hanno applicato il nuovo sistema di ripartizione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), ispirato al criterio del costo standard per studente in corso. L’Università degli Studi di Macerata sostiene che il sistema è illegittimo e produrrà effetti gravemente pregiudizievoli per la ricorrente. Il TAR riferisce che la ricorrente reputa che tale sistema sarebbe viziato per l’illegittimità costituzionale delle norme di legge che l’hanno introdotto: la legge n. 240 del 2010 aveva delegato il Governo a delineare, con decreto legislativo, i tratti essenziali del nuovo sistema; ma il d.lgs. n. 49 del 2012 non ha affatto chiarito gli elementi qualificanti del sistema, dato che manca del tutto la specificazione della percentuale del FFO da attribuire in base al nuovo criterio e le modalità di quantificazione del costo standard; invece, la definizione di tali elementi è stata demandata ad atti amministrativi, in violazione dell’art. 76 Cost. e della riserva di legge relativa in materia di ordinamento universitario.
Secondo la ricorrente, «[i] decreti ministeriali impugnati con il ricorso hanno, conseguentemente, definito il sistema di finanziamento in modo illegittimo, in primo luogo, per illegittimità costituzionale delle disposizioni da cui derivano e quindi per vizi propri sia procedurali che sostanziali».
1.2.– Così descritto l’oggetto del giudizio rimesso alla sua cognizione, il TAR ritiene rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente, poiché gli atti dei quali si chiede l’annullamento costituiscono applicazione diretta delle disposizioni del d.lgs. n. 49 del 2012, di cui si assume l’illegittimità per violazione della legge di delega e dell’art. 76 Cost.
1.3.– Le questioni sarebbero altresì non manifestamente infondate.
1.3.1.– La legge n. 240 del 2010 delega il Governo a emanare decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema universitario sotto vari profili, incluso il sistema di finanziamento, nell’ambito, tra l’altro, dei seguenti principi e criteri direttivi: «introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università, cui collegare l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1; individuazione degli indici da utilizzare per la quantificazione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, sentita l’ANVUR» (così l’art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010; l’alinea del comma 4 si richiama al precedente comma 1, lettera b), dello stesso art. 5).
In tal modo, tuttavia, sarebbe definito solo l’ambito oggettivo della delega (introduzione del costo standard, definizione di indici e percentuali), non i principi e criteri direttivi pure richiesti dall’art. 76 Cost.
1.3.2.– In via subordinata, per il caso che la prima questione sia dichiarata infondata, il TAR ne prospetta un’altra, basata sullo stesso parametro costituzionale, ma attinente alle disposizioni del decreto legislativo emanate per l’attuazione della delega predetta.
A tal fine il d.lgs. n. 49 del 2012 avrebbe dovuto definire direttamente gli indici e gli indicatori per la quantificazione del costo standard, nonché la percentuale del FFO da «parametrare» a questo criterio. A ciò, il decreto legislativo ha dedicato gli artt. 8 e 10.
La prima disposizione, dopo avere definito il costo standard, ha previsto che esso sia determinato «tenuto conto della tipologia di corso di studi, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università». In aggiunta, dando seguito al parere critico di una commissione parlamentare, l’art. 8 elenca le voci di costo da considerare per la determinazione del costo standard: «a) attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente; b) servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente; c) dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari; d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari».
Queste sarebbero però voci di costo, non indicatori: stabiliscono «cosa misurare», non «come misurare». L’ultima voce, poi, risulterebbe oltremodo generica, essendo costruita come puro e semplice contenitore residuale.
Per contro, «la scelta fondamentale di “come” costruire il costo standard (e quindi in definitiva di come distribuire le risorse alle Università)» sarebbe rimessa ad atti amministrativi, neppure regolamentari, come il citato decreto ministeriale n. 893 del 2014, il quale avrebbe disciplinato in modo integrale e specifico la modalità di distribuzione delle risorse. «Si è dunque prodotto non solo un abbassamento del livello della fonte normativa, ma una delegificazione non prevista da alcuna norma di rango primario in un ambito che investe, sia pure attraverso l’enunciazione di algoritmi e formule matematiche, scelte altamente politiche in termini di sviluppo del sistema universitario e di redistribuzione delle risorse economiche al suo interno».
L’art. 10 demanda a un decreto ministeriale anche la determinazione delle percentuali del FFO da ripartire in base al costo standard, senza nemmeno fissare «una forbice o un “range” di riferimento»: ciò pure comporta una scelta «altamente politica», da cui dipende il maggiore o minore impatto del criterio nei confronti delle università.
1.3.3.– Sulle stesse disposizioni del d.lgs. n. 49 del 2012 il TAR solleva un’ulteriore questione, in riferimento agli artt. 33, 34 e 97 Cost. e alle riserve di legge ivi previste.
In particolare, la riserva prevista dalle prime due disposizioni costituzionali coprirebbe tutti i profili organizzativi e funzionali del sistema di istruzione, ivi compreso il finanziamento; sicché la materia avrebbe dovuto essere disciplinata non da decreti ministeriali, ma da leggi o atti aventi forza di legge. È citata al riguardo, la sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1998, la quale ha bensì ammesso atti normativi secondari del Governo integrativi della legge, ma al contempo ha negato che al legislatore sia consentito «istituire un potere ministeriale, svincolato da adeguati criteri di esercizio».
Nel caso in esame, invece, il decreto legislativo non ha svolto la necessaria opera di delimitazione dei poteri dell’amministrazione e quest’ultima, con i decreti impugnati, «ha effettuato scelte svincolate da criteri di esercizio “forti” e di natura sostanziale».
2.– Con atto depositato il 24 maggio 2016, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.– Con riguardo alla prima questione, il Presidente del Consiglio dei ministri, richiamato il testo dell’art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010, sostiene che il legislatore ha demandato al decreto legislativo l’introduzione del criterio del costo standard e la determinazione non di tale criterio per intero, ma solo dei parametri («indici per la quantificazione») in base ai quali, con successivi atti, esso sarebbe stato definito.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, la determinazione dei principi e criteri direttivi non deve eliminare ogni margine di scelta nell’esercizio del potere delegato, ma solo circoscriverne il campo, affinché si possano valutare le particolari situazioni da disciplinare. L’art. 76 Cost. è soddisfatto qualora la delega non si limiti a enunciazioni troppo generiche o generali, riferibili ad ambiti normativi vastissimi, o a enunciazioni di finalità insufficienti a indirizzare l’attività del legislatore delegato.
Nel caso, la legge n. 240 del 2010, nell’ambito della più ampia finalità di rilanciare la qualità e l’efficienza del sistema universitario, ha dettato precisi obiettivi, tra cui la revisione della disciplina di contabilità degli atenei, di cui all’art. 5, comma 1, lettera b), da realizzare secondo i principi e criteri direttivi enunciati al comma 4, la cui lettera f), a propria volta, prevede l’introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, al quale collegare l’attribuzione alle università della parte del FFO non legata ai risultati di qualità. Tale previsione sarebbe adeguatamente limitativa della discrezionalità del legislatore delegato.
2.2.– Con riguardo all’art. 8 del d.lgs. n. 49 del 2012, la difesa statale osserva come esso, dopo avere puntualmente definito la nozione di costo standard, ne rinvia la determinazione a un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, «previa esatta e puntuale definizione dei criteri cui attenersi»: così facendo, il decreto legislativo si sarebbe adeguato al parere della VII Commissione permanente del Senato (Istruzione pubblica, beni culturali), espresso durante l’iter di adozione del decreto stesso, il quale peraltro aveva criticato non il rinvio al successivo decreto interministeriale, ma solo la mancata indicazione degli indici per la quantificazione del costo standard. In tal modo, sarebbe stata definita «una precisa ed esatta cornice» entro cui i Ministeri avrebbero potuto procedere a definire il predetto criterio.
L’art 10 del d.lgs. n. 49 del 2012 ha poi devoluto a un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare nell’ambito dell’attività di indirizzo e programmazione del sistema universitario, la definizione delle percentuali del FFO da ripartire «in relazione al costo standard per studente, ai risultati della didattica, della ricerca, delle politiche di reclutamento e agli interventi perequativi ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n. 240».
In proposito, la difesa statale osserva che l’art. 5 della legge n. 240 del 2010 non include nell’oggetto della delega la precisa individuazione delle percentuali del FFO da ripartire secondo il criterio del costo standard, ma si limita a prevedere che a tale criterio sia ricollegata una percentuale della quota del FFO non assegnata ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1. È ragionevole che tale percentuale sia determinata periodicamente dal Ministero competente, tenendo conto anche degli altri indici di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 49 del 2012.
2.3.– In merito alla denunciata violazione degli artt. 33 e 34 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda che la riserva relativa di legge non vieta al legislatore ordinario di rinviare la disciplina ad altre fonti, ma gli impone di fissare precetti idonei a vincolare e indirizzare la normazione secondaria o, comunque, di individuare le linee essenziali della disciplina. Ciò sarebbe avvenuto nel caso in esame, in cui il legislatore avrebbe puntualmente indicato i criteri alla luce dei quali provvedere, con successivo decreto interministeriale, alla definizione del costo standard per studente in corso.
3.– Con atto depositato il 23 maggio 2016, si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Macerata, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate fondate.
3.1.– L’Università premette che il finanziamento degli atenei pubblici si articola in una quota base e in una premiale, legata alle «performance», di peso inferiore ma comunque significativo, oltre che crescente. Nel 2014, l’Università degli Studi di Macerata ha beneficiato di finanziamenti premiali elevati; ma le sue prospettive sono repentinamente peggiorate, a causa degli atti impugnati dinanzi al TAR rimettente, con i quali è stato introdotto, come criterio di riparto della quota base, il costo standard, destinato a soppiantare la spesa storica. Il nuovo criterio, astrattamente giusto, sarebbe stato attuato in modo contraddittorio, irragionevole e discriminatorio, con grave pregiudizio dell’Università ricorrente, alla quale è stato attribuito il costo per studente più basso in assoluto, con gravi conseguenze potenziali, qualora il nuovo sistema dovesse trovare piena attuazione. Ciò, «lungi dal dipendere da criteri meritocratici, o da una corretta stima dei costi che gli atenei devono sostenere», sarebbe invece «il frutto, più o meno casuale, di un sistema cervellotico e assurdamente congegnato dalla burocrazia ministeriale, nel completo silenzio del legislatore».
Le irragionevolezze e contraddizioni di tale sistema sono state denunciate nel ricorso al TAR rimettente, ma molte di esse risalgono «ad un vizio di origine», costituito dalla «assoluta incertezza e ambiguità concettuale del modello di “costo standard” concepito dall’amministrazione». In astratto, il costo standard potrebbe essere inteso in due modi: come costo medio sostenuto dalle università italiane per formare uno studente; oppure come costo medio che una determinata università sostiene per formare un proprio studente. Il legislatore non ha affatto chiarito il concetto di costo standard, mentre l’amministrazione ha «combinato in modo promiscuo e complessivamente contraddittorio i due modelli». Ne sarebbe venuto fuori «un pasticcio, in virtù del quale le Università ricevono un finanziamento che non è commisurato né ai propri costi standard, né al costo medio standard di tutti gli atenei italiani, bensì ad una miscela del tutto incomprensibile dell’uno e dell’altro elemento».
Al di là di tali irragionevolezze e contraddizioni, esemplificate dall’Università degli Studi di Macerata con alcuni dati che la riguardano, la difesa dell’ateneo evidenzia che «una così profonda rivoluzione del sistema di finanziamento pubblico delle Università italiane è stata approvata con atti amministrativi, sulla base di atti legislativi adottati in violazione degli articoli 76, 33, 34 e 97 della Costituzione»: il Parlamento ha approvato una delega «a maglie larghissime», priva di criteri direttivi sull’individuazione del costo standard; il decreto legislativo attuativo ha demandato interamente al livello amministrativo la definizione degli elementi qualificanti del nuovo sistema di finanziamento.
3.2.– L’Università, dopo avere riassunto il contenuto delle norme in questione e i dubbi di legittimità costituzionale del TAR rimettente, condivide le valutazioni di quest’ultimo in punto di rilevanza, giacché gli atti impugnati sono stati adottati in applicazione delle norme predette.
3.3.– Oltre che rilevanti, tutte le questioni sarebbero fondate.
3.3.1.– La delega legislativa, riconducibile all’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010, si limiterebbe a definire l’oggetto del decreto delegato, ma non fisserebbe principi e criteri direttivi, volti a indirizzare il Governo nella disciplina della quantificazione del costo standard e nell’identificazione delle percentuali di finanziamento da distribuire in base a tale criterio, o quantomeno utilizzerebbe al riguardo solo formule generali, ampie e, in definitiva, ambigue.
3.3.2.– «Ancor più fondata» sarebbe la seconda questione di legittimità costituzionale: il potere discrezionale, eccessivamente ampio, attribuito dal Parlamento al Governo avrebbe dovuto essere esercitato con un atto di rango legislativo, che stabilisse sia gli indici e gli indicatori per la quantificazione del costo standard, sia la percentuale del FFO da agganciare a questo criterio. «In altri termini, l’adozione delle scelte politico-istituzionali fondamentali non poteva essere ulteriormente rinviata a fonti secondarie, dovendo trovare compiuta estrinsecazione a livello primario. La sub-delega a fonti secondarie, infatti, non può essere ammessa, ogni qual volta la delega imponga al legislatore delegato di definire con fonte primaria una determinata materia (o parte di essa)».
In primo luogo, per quanto riguarda gli indici di quantificazione del costo standard, lo schema di decreto legislativo inizialmente approvato dal Consiglio dei ministri (nella seduta del 13 gennaio 2012) si limitava addirittura a una mera riproduzione letterale del criterio di delega (corrispondente al vigente art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 49 del 2012) e alla definizione del procedimento per l’emanazione del successivo decreto non regolamentare del Ministro. In occasione dell’esame dello schema, ai fini del parere di competenza della VII Commissione permanente della Camera dei deputati, il Servizio Studi della stessa Camera sottolineò che la mancata individuazione degli indici da parte del decreto delegato poneva un problema di rispetto della delega. Nel testo definitivamente approvato, il Governo ha fatto ricorso «ad un maldestro e posticcio rimedio», inserendo la descrizione delle voci di costo attualmente elencate al comma 2 del citato art. 8. Si sarebbe trattato, però, «di un puro esercizio di stile», che si limita a menzionare ovvie voci di costo, quali il costo per i professori, i segretari, le aule.
Condividendo il rilievo del TAR, secondo cui il decreto delegato avrebbe così individuato solo voci, non indicatori di costo, l’Università soggiunge che la «pochezza dello “spessore” normativo» del decreto stesso sarebbe manifesta, a paragone della densità ben maggiore di altri decreti legislativi in materia di costi standard. In proposito, sono citati il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province).
«Anche a ritenere che il decreto legislativo non dovesse necessariamente contenere formule e algoritmi matematici», come pure avviene di prassi nei corposi allegati tecnici di molti decreti delegati, almeno le scelte di fondo non avrebbero dovuto essere omesse. «Occorre infatti tenere bene a mente che non si discute di tecnicismi, ma di questioni fondamentali per la vita di tutti gli Atenei nazionali, dense di politicità: scegliere un indicatore rispetto ad un altro, significa favorire gli atenei piccoli piuttosto che quelli grandi, quelli con maggiore vocazione umanistica piuttosto che tecnico-scientifica, quelli di recente fondazione piuttosto che quelli tradizionali, ecc.».
In secondo luogo, per quanto riguarda la percentuale di finanziamento da attribuire in base al criterio del costo standard, l’aggiramento della delega sarebbe persino più patente: su tale delicato aspetto, dal quale dipende l’impatto del nuovo criterio sui bilanci delle università, il legislatore delegato si è limitato a ribadire il principio del collegamento tra costo standard e FFO, senza indicare una percentuale, o almeno criteri stringenti per la quantificazione della stessa.
3.3.3.– Fondata sarebbe pure la questione sollevata in riferimento agli artt. 33, 34 e 97 Cost., alla stregua degli argomenti esposti nella sentenza n. 383 del 1998.
Tale sentenza ha abbracciato una interpretazione complessiva degli artt. 33 e 34 Cost. e una lettura unitaria del sistema di istruzione, in tutti i profili funzionali e organizzativi, compresi quelli finanziari. La riserva relativa, che sussiste in questa materia, non esclude l’intervento di fonti secondarie, ma assicura l’intervento del legislatore sulle scelte qualificanti e pretende che a tale compito l’autorità normativa primaria non si sottragga. Invece, il d.lgs. n. 49 del 2012 sarebbe sfuggito a questo compito, omettendo qualsiasi previsione sulla percentuale di risorse da assegnare in base al costo standard, e limitandosi a enunciare criteri generici e insignificanti sulla quantificazione del costo stesso. Quand’anche poi si ritenesse consentito al legislatore di non disciplinare direttamente gli aspetti qualificanti del sistema, ma di demandarli a poteri dell’amministrazione, tali poteri non dovrebbero comunque essere liberi, bensì inseriti in un contesto di scelte normative sostanziali predeterminate, secondo limiti e indirizzi ascrivibili al legislatore: e pure da questo punto di vista il d.lgs. n. 49 del 2012 apparirebbe difettoso, come osservato dal TAR rimettente.
4.– In data 1° marzo 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale insiste per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale.
4.1.– In merito alla questione concernente l’art. 5 della legge n. 240 del 2010, osserva che la delega conferita al Governo può desumersi solo attraverso una lettura d’insieme dell’intero articolo. Il complesso oggetto della delega è definito, in particolare, dal comma 1, lettere a), b), c) e d); mentre, per quanto qui interessa, i principi e i criteri direttivi sono fissati dal successivo comma 4, di cui fa parte la lettera f), specificamente dedicata al costo standard.
Peraltro, prosegue la difesa statale, già l’art. 5, comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), nell’istituire il FFO, faceva riferimento a una «quota di riequilibrio, da ripartirsi sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, […] relativi a standard dei costi di produzione per studente […] tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali». Il primo modello per la determinazione del costo standard, ai sensi della disposizione citata, risale al 1995 (tra i relativi decreti ministeriali sono citati, a titolo di esempio, il decreto 9 febbraio 1998, n. 107, e il decreto 5 maggio 1999, n. 228). Lo scopo della legge n. 240 del 2010, dunque, non sarebbe stato «quello di delegare il Governo a disciplinare puntualmente, con atto avente valore di legge, uno strumento già da tempo esistente»; ma invece «quello di rendere il principio del costo standard parte di un processo più generale», finalizzato alla revisione della contabilità degli atenei. Il costo standard, siccome criterio più equo ed efficiente, dovrebbe sostituire gradualmente la «cosiddetta “quota o spesa storica”», al fine di correggere gli squilibri nel sistema di finanziamento accumulatisi nel corso degli anni.
L’applicazione del costo standard, peraltro, sarebbe «ancorata a elementi di elevata complessità tecnico-scientifica fra loro molto differenziati che sono conformi, a loro volta, a principi generali e ad istituti dell’ordinamento universitario».
Il Presidente del Consiglio fa riferimento, in proposito, all’art. 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, richiamato altresì dalla legge n. 240 del 2010, all’art. 2, comma 1, lettere b) ed e). Il citato art. 1-ter individua nel documento di programmazione triennale – che deve essere coerente con linee generali di indirizzo definite dal Ministro – il principale strumento con cui gli organi universitari decidono i corsi di studio da attivare e il personale da impegnare in essi, osservando determinati requisiti minimi essenziali, in termini di «risorse strutturali ed umane», il cui rispetto ha comportato la definizione, con decreto ministeriale, di appositi standard di docenza per ciascun corso. A questi requisiti minimi fa riferimento, oltre al d.lgs. n. 49 del 2012, anche il decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, recante «Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività, a norma dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240». È all’intero insieme di questa normativa di settore che occorre avere riguardo, anche nell’esaminare la parte della delega riguardante le modalità di calcolo del costo standard.
Infine, la difesa statale osserva che il legislatore delegante ha bensì demandato al Governo l’introduzione del costo standard cui collegare una quota del FFO, ma non gli ha prescritto di determinare tale quota, né ha disposto alcunché sulla fonte con cui procedere a tale determinazione. In mancanza di prescrizioni al riguardo, il rinvio a fonti ministeriali, «nella misura in cui non è vietato o vincolato», sarebbe legittimo e conforme all’art. 76 Cost.
4.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri esamina quindi la questione sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. con riguardo agli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012.
4.2.1.– Il censurato art. 8 avrebbe definito sia il costo standard, sia gli indici di riferimento per calcolarlo, così assicurando all’impianto normativo adeguate garanzie di certezza e stabilità.
La legge delega non avrebbe in alcun modo precluso che «la parte tipicamente tecnica-operativa» della disciplina potesse essere recata da fonti subordinate. Secondo la difesa statale, il decreto ministeriale n. 893 del 9 dicembre 2014 «non ha introdotto principi o istituti nuovi rispetto a quanto delimitato dalla legge delega, né ha operato su un campo lasciato in bianco dalla normativa primaria, ma si è limitato, piuttosto, alla specificazione puntuale delle voci di costo introdotte dal D.Lgs. 49 del 2012 e all’introduzione degli algoritmi necessari per effettuare il calcolo del costo standard unitario». Per la loro specificità tecnica, queste determinazioni sono state lasciate alle amministrazioni in possesso delle competenze e dei dati necessari alla quantificazione con metodo analitico del costo standard: «[s]i tratta di un modus operandi coerente con lo stesso concetto di costo standard, laddove, i possibili criteri di determinazione di tale costo implicano processi di ripartizione di risorse che devono tenere conto di un equilibrio generale [da] un lato e della sostanziale congruità tra le risorse assegnate e gli specifici compiti istituzionali degli atenei dall’altro».
Il Presidente del Consiglio dei ministri procede, quindi, a spiegare il metodo utilizzato per il calcolo del costo standard. Rispetto alle «metodologie generalmente proposte», è stato seguito un approccio misto, in parte «statistico» e in parte «ingegneristico-aziendale», avendo come riferimento sia principi specifici del sistema universitario, come quello dei requi