L’atto di citazione deve essere preceduto dalla procedura pre-processuale relativa all’invito a dedurre, che deve essere preventivamente rivolto ai soggetti che si intendono convenire in giudizio i quali hanno la facoltà di produrre deduzioni e/o chiedere al procuratore regionale una audizione al fine di chiarire aspetti di quanto addebitato.La natura giuridica e la funzione dell’invito a dedurre lo identificano come atto pre-processuale, destinato ad assolvere una duplice funzione: per un verso, consentire all’invitato una preventiva difesa per svolgere le proprie argomentazioni che potrebbero rilevarsi idonee al fine di superare il prospettato addebito e, quindi, la citazione in giudizio e, per altro aspetto, garantire la massima possibile completezza istruttoria, al fine di evitare, con indubbio vantaggio in termini di economia di giudizio, di attivare procedimenti che non abbiano un elevato grado di fondatezza della pretesa e/o di consentire, con le preventive giustificazioni e i chiarimenti della vicenda controversa, una più puntuale prospettazione, sia quanto ai soggetti che quanto al contenuto della pretesa risarcitoria.Il “disservizio”, come autonoma figura di danno erariale a contenuto patrimoniale, si correla esclusivamente al “pubblico servizio”, quale unico fenomeno amministrativo con cui risulta – anche concettualmente – compatibile. Il disservizio, in effetti, esprime una carenza qualitativa particolarmente grave del servizio pubblico, più che la sua (carente) esecuzione materiale; esprime, cioè, un servizio che esiste solo formalmente, come servizio apparente, desostanziato delle sue caratteristiche essenziali di pubblica utilità, ovvero un servizio privo dei necessari requisiti essenziali e, quindi, scadente (nel caso di specie, il Collegio ritiene di escludere la sussistenza del danno da disservizio in quanto l’alterazione del servizio è rimasta circoscritta al fatto che l’utenza ha dovuto pagare un prezzo cospicuamente maggiorato per ottenerlo, con regolare espletamento di tutte le altre operazioni nelle quali si compendia il servizio stesso).Il c.d. “danno diretto”, quale parte di più immediata evidenza del c.d. “danno emergente”, è da intendersi come il complesso delle risorse impiegate per eliminare le distorsioni provocate dalle condotte dei convenuti (nel caso di specie, il danno contestato deriva dall’utilizzo delle risorse e della struttura, nonché dell’attività lavorativa e di tre unità di personale dell’Università per un determinato tempo al fine di appurare cosa fosse successo e per ricondurre alla legalità la gestione del Master, tenuta in maniera del tutto irregolare dagli odierni convenuti).
Corte dei conti reg., Lazio, 3 febbraio 2015, n. 82
Danno all’immagine – Danno da disservizio – Ricercatori universitari – Utilizzo immagine università per fini extra-istituzionali
GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Lazio Sez. giurisdiz., Sent., 03-02-2015, n. 82
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
composta dai seguenti magistrati:
[#OMISSIS#] LUPI – PRESIDENTE f.f.
[#OMISSIS#] TORRI – CONSIGLIERE
Cristiana [#OMISSIS#] – CONSIGLIERE rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul giudizio di responsabilità iscritto al n. 73801/R del registro di segreteria, instaurato ad istanza del Procuratore regionale nei confronti del Dott. F.R., nato a R. il (…) e del Dott. M.L., nato a R. il (…), assistiti e rappresentati dall’avv. [#OMISSIS#] Cesetti, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Roma viale [#OMISSIS#] Mazzini 41.
Uditi nella pubblica udienza del giorno 20 gennaio 2015, con l’assistenza del Segretario dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], il relatore dott.ssa Cristiana [#OMISSIS#], l’Avv. [#OMISSIS#] Cesetti per i convenuti ed il PM nella persona del Vice procuratore generale dott. [#OMISSIS#] Crea.
Visto l’Atto di citazione in data 17 luglio 2014.
Esaminati gli atti del giudizio.
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Svolgimento del processo
Nell’atto di citazione si rappresenta che alla Procura della Corte dei conti veniva trasmessa, in data 4 gennaio 2013, da parte del Comando Provinciale dei carabinieri di Roma, segnalazione di un presunto danno erariale.
Successivamente la Procura conosceva della pendenza di un procedimento penale a carico di due ricercatori universitari (p.p. n. 9850/11 RGNR), conseguente alla medesima vicenda, denunciata anche dal Rettore dell’Università “La Sapienza” Prof. [#OMISSIS#] Frati, e concernente irregolarità amministrativo-contabili rilevate nella gestione del Master di II livello in Management dell’Energia e dell’Ambiente – Master MEA (v. nota Rettore prot. 0073635 del 15.11.2011).
In pratica accadeva che a seguito della denuncia di una studentessa del Master Mea a.a. 2010/11, gestito dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica ed
Aerospaziale della Facoltà di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Roma, che rappresentava di non riuscire a scaricare interamente ai fini delle detrazioni fiscali sul reddito, gli importi pagati per la frequenza è emerso che tutti i 23 studenti che avevano frequentato il Master per l’a.a. 2010/11 avevano pagato un importo di 7.000,00 Euro, mentre il Master universitario indicava nel bando l’importo di 2.000,00 Euro quale quota di partecipazione.
Al fine di accertare cosa fosse accaduto l’Università ha istituito un’apposita commissione, composta da tre unità di personale, dai cui lavori è risultato che in internet era presente un ulteriore bando del master Mea di secondo livello, promosso e gestito dall’associazione Mea Academy, che prospettava la medesima offerta formativa, ma ad un costo per studente ben maggiore (appunto 7000,00 Euro in luogo di 2.000,00 Euro). Al riguardo la commissione ha ascoltato in prima battuta, il 13/12/2011, e, successivamente, il 16/03/2012, il Direttore e l’organizzatore del Master MEA per l’a.a. 2010/2011, nelle persone degli ingegneri M.L. e F.R., rispettivamente ricercatore a tempo determinato finanziato con fondi CIRPS, nominato direttore del master per l’a.a 2010/2011, e ricercatore a tempo determinato finanziato con fondi dipartimentali.
Alla luce delle risultanze dell’indagine condotta, come da verbali in atti, è emerso che pur in assenza di convenzioni o autorizzazioni dell’Università di Roma, esisteva per l’a.a. 2010/2011, una gestione parallela a quella del master ufficiale MEA bandito dall’Università con D.R. n. 1429 del 22/11/2010.
Tale gestione parallela del master MEA di II livello risulta essere stata promossa con il logo di Mea Academy (autonoma associazione di ex studenti del master MEA) ed ATEE affiancato a quello universitario della Sapienza ed è stata e diffusa mediante un link dal sito del Dipartimento al sito Mastermea.
Secondo la prospettazione della Procura il Master universitario è stato reso fruibile agli studenti ad un costo maggiore per opera dell’ing. F.R., il quale si è occupato attivamente dell’organizzazione del Master e della selezione degli studenti; ed è risultato essere anche Presidente di Mea Academy.
Riferisce la Procura attrice che risultano quindi “prevalenti i profili di responsabilità a carico dell’ing. R. scaturenti sia dalla condotta che dall’abusiva attività organizzativa e gestionale, ammessa dal prenominato e univocamente confermata dagli studenti ascoltati; viceversa minore sembra essere l’apporto causale dell’ing. L. all’attività illecita fin qui descritta essendosi concretizzata nel mero concorso nell’attività del R. e nell’omesso controllo in ragione della qualità di direttore del Master per l’a.a. 2010/2011”.
Specificamente la Procura rimprovera ai convenuti ingegneri L. e R., l’aver utilizzato la rendita di posizione e di immagine dell’Università nella quale essi operavano, sia pure a tempo determinato, per realizzare finalità extra istituzionali, l’uso non autorizzato e comunque abusivo di segni distintivi dell’Università Sapienza di Roma, la falsificazione e/o alterazione di documenti informatici, con pregiudizio dell’immagine dell’Università La Sapienza di Roma, e della pubblica fede nei segni distintivi dell’Istituzione con conseguenti profili di truffa a danno degli studenti.
Da tale attività illecita la Procura fa derivare quello che definisce un “danno da disservizio” e che quantifica in complessivi 8.000,00 Euro, parametrandolo equitativamente nei costi conseguenti alla necessità di nominare una commissione interna che verificasse cosa fosse effettivamente accaduto e ripristinasse la legalità del Master.
Con due distinte memorie depositate in data 31 dicembre 2014 si sono costituiti in giudizio gli odierni convenuti, con il patrocinio dell’Avvocato Cesetti, il quale per il R., conclude in via pregiudiziale con richiesta di dichiarare l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio per omessa o irregolare notifica dell’invito a dedurre; in via pregiudiziale gradata, sospendere il presente giudizio in attesa dell’accertamento penale dei fatti ; in via preliminare dichiarare la nullità dell’atto introduttivo e nel merito, respingere ogni avversa domanda.
Quanto al L. il difensore propone le medesime conclusioni del R., fatta salva l’eccezione relativa alla mancata conoscenza dell’invito a dedurre, ed aggiunta la richiesta di accertare e dichiarare il difetto di titolarità passiva del Dott. M.L..
Alla odierna pubblica udienza tutte le parti hanno, quindi, concluso secondo i rispettivi atti.
La Procura ha dato lettura della richiesta di rinvio a giudizio dei convenuti per truffa ed altri reati ed ha depositato la stessa in udienza, avendola ricevuta soltanto lo scorso 16 gennaio. Quanto all’eccezione di inammissibilità della citazione per difetto di notifica dell’invito a dedurre ha osservato che la Cassazione è pacifica nel ritenere che con riguardo all’erronea indicazione del nome del destinatario nell’avviso debba essere fatta querela di falso.
L’Avvocato Cesetti per il R. ha evidenziato che la mancata notifica dell’invito non è dovuta soltanto alla cancellazione del nome, ma anche ad altre circostanze, in particolare al fatto che l’atto non risultava giacente nell’ufficio postale indicato nell’avviso di raccomandata. Con riferimento al procedimento penale pendente ed in relazione alla complessità dei fatti ritiene sia opportuna la sospensione del giudizio. Rileva poi che la commissione non ha lavorato bene e che non è adeguatamente provata la quantificazione del danno, perché non consente un controllo di riscontro.
Per L. dichiara che la Procura lo chiama per omissione di controllo, ma lui è responsabile del suo Master, di cui era direttore, e non c’entra nulla con il fatto che i ragazzi hanno pagato di più a causa della truffa del R..
Motivi della decisione
Il presente giudizio ha per oggetto la richiesta, formulata dalla Procura Regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Lazio, di risarcimento del danno provocato all’Erario del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca per attività illecita posta in essere dai ricercatori odierni convenuti in esecuzione Master di II livello in Management dell’Energia e dell’Ambiente – Master MEA per l’anno accademico2010/11.
Sul punto, vanno, in primo luogo esaminate le questioni preliminari e, fra tutte, per prima l’eccezione di nullità dell'”invito a dedurre” e conseguente improcedibilità e/o inammissibilità dell’azione proposta con la citazione all’esame, per mancata utile notifica al convenuto F.R. dell’invito a dedurre, in quanto effettuata ex art. 140 c.p.c., ma il cui atto non sarebbe mai pervenuto nella sfera di conoscenza dell’interessato.
In sostanza, detto convenuto assume che l’atto introduttivo del giudizio risulta emesso in violazione dell’art. 5 D.L. n. 453 del 1993, convertito in L. n. 19 del 1994, e modificato con L. n. 639 del 1996, il quale prescrive, con carattere di tassatività, che l’atto di citazione sia preceduto dalla procedura pre-processuale relativa all'”invito a dedurre”, che deve essere preventivamente rivolto ai soggetti che si intendono convenire in giudizio i quali hanno la facoltà di produrre deduzioni e/o chiedere al P.R. una audizione al fine di chiarire aspetti di quanto addebitato: invito che nella specie non sarebbe mai pervenuto alla conoscenza dell’interessato.
La natura giuridica e la funzione dell’invito a dedurre, più volte chiarite in giurisprudenza lo identificano come atto pre-processuale, destinato ad assolvere una duplice funzione: per un verso, consentire all’invitato una preventiva difesa per svolgere le proprie argomentazioni che potrebbero rilevarsi idonee al fine di superare il prospettato addebito e, quindi, la citazione in giudizio e, per altro aspetto, garantire la massima possibile completezza istruttoria (sentenze n.7/QM/98; n.14/QM/99; n. 1QM/2005; Sezione I centrale n. 282/A del 7 agosto 2002) al fine di evitare, con indubbio vantaggio in termini di economia di giudizio, di attivare procedimenti che non abbiano un elevato grado di fondatezza della pretesa e/o di consentire, con le preventive giustificazioni e i chiarimenti della vicenda controversa, una più puntuale prospettazione, sia quanto ai soggetti che quanto al contenuto della pretesa risarcitoria.
Ciò detto, l’eccezione prospettata si appalesa fondata e deve essere accolta.
Posta, infatti, per espressa previsione del citato art. 5 D.L. n. 453 del 1993, conv. in L. n. 19 del 1994, l’obbligatorietà della procedura pre-processuale dell’invito a dedurre, essa deve essere non solo espletata, ma anche correttamente espletata, in modo tale, cioè, che la notifica dell’atto consenta di verificare l’effettiva conoscenza ovvero la ragionevole presunzione di conoscenza da parte dell’invitato.
Nella fattispecie oggetto dell’odierno giudizio, invece, come eccepito dalla relativa difesa, non risulta che l’atto contenente l’invito a dedurre rivolto al sig. F.R. sia mai pervenuto al medesimo, attesa l’irregolarità della notifica dell’atto effettuata ex art. 140 c.p.c.. Secondo, infatti, la [#OMISSIS#] giurisprudenza in materia, la notifica compiuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c. si considera corretta se risultano poste in essere tutte le formalità previste (il deposito di copia dell’avviso da notificare nella casa comunale, l’affissione dell’avviso del deposito sulla porta dell’abitazione o dell’ufficio del destinatario e l’invio di una raccomandata con l’avviso di ricevimento). Solo dalle suddette formalità consegue l’effetto di conoscibilità legale nei confronti del destinatario.
A conferma del fatto che solo l’integrale adempimento di tutte le suddette formalità configuri in concreto l’efficacia giuridica della notifica, giovi richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c. nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa, enunciando, come presupposto, il principio inverso secondo cui deve essere garantita l’effettiva conoscenza o conoscibilità dell’atto.
Nella fattispecie in esame dagli atti emerge che l’ufficiale giudiziario in data 4 febbraio 2014, non rinvenendo nella residenza del sig. R. né il destinatario dell’atto né persona idonea ai sensi dell’art 139 c.p.c., ha proceduto ad effettuare la notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. con il deposito dell’atto presso la casa comunale, l’affissione dell’avviso e la spedizione della raccomandata contenente l’avviso del deposito dell’atto; non risulta, però, la consegna di detta raccomandata al destinatario, né risulta che dell’atto stesso abbia avuto, altrimenti, effettiva conoscenza che gli avrebbe consentito di esercitare il proprio diritto di difesa in quella sede.
Riferisce infatti il difensore – documentando detta affermazione con tabulati di ricerca ottenuti dall’ufficio postale – che il suo assistito si è recato all’Ufficio postale indicato per il ritiro, ma la copia dell’atto non è stata rinvenuta per un disguido, probabilmente imputabile al servizio postale e comunque provato in atti all’interessato.
Nessuna rilevanza a parere del Collegio può essere attribuita alle osservazioni del Procuratore in udienza circa il fatto che i tabulati in atti possano essere stati ottenuti da internet piuttosto che dall’Ufficio postale, in quanto dagli stessi si evince che il convenuto ha ricercato l’atto e malgrado dimostri di essersi adoperato, non è riuscito ad acquisirne conoscenza.
Di conseguenza, devesi pronunciare la nullità della notifica dell’invito a dedurre effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. con conseguente inevitabile inammissibilità dell’azione di responsabilità amministrativa nei confronti del sig. R. per lesione del diritto di difesa e del contraddittorio nella fase pre-processuale; lesione che, peraltro, non può essere sanata con la costituzione del convenuto nel giudizio di responsabilità amministrativa, comunque, instaurato a suo carico.
Ciò detto resta assorbita, in quanto ininfluente, ogni altra eccezione e considerazione del convenuto in quanto, in accoglimento della specifica eccezione, devesi dichiarare l’inammissibilità della citazione nei suoi confronti. Essendo, inoltre, tale pronuncia di mero [#OMISSIS#] non si fa luogo alla liquidazione di diritti e onorari del difensore dello stesso.
Quanto alla domanda attrice formulata nei confronti del convenuto L., la stessa risulta fondata e deve essere accolta per i motivi che seguono.
Innanzi tutto ritiene il Collegio che le evidenziate problematiche non sono influenzabili dall’esito del giudizio penale, pendente presso il Tribunale di Roma, stante l’irrilevanza in concreto – ai fini che ne occupa – della qualificazione gius-penalistica dei fatti dedotti nel presente giudizio e l’autonomia di questo Giudice di accertare sia l’elemento psicologico della censurata condotta, che l’elemento oggettivo del danno (v., in proposito, anche il restrittivo orientamento assunto sulla sospensione ex art. 295 c.p.c. dalle SS.RR. di questa Corte con le ordinanze n.1 e n.3 del 2012, che hanno esteso anche ai giudizi di responsabilità amministrativo-contabile il “Regolamento necessario di competenza”, ex art. 42, secondo periodo, c.p.c.) .
Ciò stante, il Collegio respinge la richiesta di sospensione del presente giudizio, ex art. 295 c.p.c., formulata dalla difesa nella relativa memoria di costituzione in giudizio, ribadita in aula, all’odierna pubblica udienza.
Pur prescindendo dalla rilevanza penale della vicenda, devesi concordare con l’assunto attoreo circa la responsabilità da addebitare al convenuto, evidenziata dall’istruttoria posta in essere dalla commissione nominata in seno all’università, da cui sono emersi significativi elementi di conoscenza che ben possono costituire idoneo supporto probatorio. Specificamente è risultato che il Master di II livello, del quale il L. era stato nominato Direttore, è stato gestito in modo distorto rispetto a quelle che erano le statuizioni contenute nel bando dell’Università. In particolare gli studenti hanno versato la somma di 7.000,00 Euro in luogo dei 2.000,00 Euro previsti dal bando universitario alla società MEA Academy che a sua volta ha riversato al sistema Infostud i 2.000,00 Euro dovuti.
Il bando prevedeva invece che il denaro dovesse essere versato dagli studenti direttamente al sistema Infostud.
E’ evidente in atti che il contributo causale alla gestione illecita del Master parallelo del convenuto R. è stata più incisiva, in quanto lo stesso si occupava dell’organizzazione del Master parallelo, della selezione degli studenti, del sito internet, ma il L., che svolgeva la sua attività di ricercatore nella medesima sede, che si avvaleva della collaborazione del R. e che aveva l’incarico di Direttore del Master MEA per l’a.a. 2010/2011, non può ritenersi esente dalla responsabilità, quantomeno a titolo di colpa grave, della gestione illecita del Master stesso, almeno sotto il profilo della totale omissione di controllo.
Pertanto il Collegio ritiene che trovino riscontro in atti le circostanze descritte circa le condotte illecite dei convenuti, che si appalesano idonee a supportare validamente il prospettato addebito di responsabilità amministrativa.
Al riguardo tuttavia va precisato che risulta essere impropria la qualificazione da parte della Procura del danno di cui è causa come “danno da disservizio”.
La più recente giurisprudenza ha infatti ribadito che “il “disservizio”, come autonoma figura di danno erariale a contenuto patrimoniale, si correla esclusivamente al “pubblico servizio”, quale unico fenomeno amministrativo con cui risulta -anche concettualmente – compatibile.
Il “disservizio”, in effetti, esprime una carenza qualitativa particolarmente grave del servizio pubblico, più che “la sua (carente) esecuzione materiale” (v. Sez. Giur. Reg. Umbria sent. n.152/1996); esprime, cioè, un servizio che esiste solo formalmente, come servizio apparente, “desostanziato delle sue caratteristiche essenziali di pubblica utilità” (v. ancora Sezione Umbria sent. n.1087/1998), ovvero “un servizio privo dei necessari requisiti essenziali e, quindi, scadente” (v. nuovamente Sez. Umbria sentt. n.39/2002 e n.371/2004)” (v. III Appello n. 798/2012 del 21 novembre 2012).
Nell’odierno giudizio il danno contestato deriva dall’utilizzo delle risorse e della struttura, nonché dell’attività lavorativa e di tre unità di personale dell’Università per un determinato tempo al fine di appurare cosa fosse successo e per ricondurre alla legalità la gestione del Master, tenuta in maniera del tutto irregolare dagli odierni convenuti.
Con specifico riferimento alla vicenda all’esame, il Collegio ritiene di escludere la sussistenza del “danno da disservizio” in senso stretto in quanto l’alterazione del servizio è rimasta circoscritta al fatto che l’utenza ha dovuto pagare un prezzo cospicuamente maggiorato per ottenerlo, con regolare espletamento di tutte le altre operazioni nelle quali si compendia il servizio stesso.
Nel caso di specie, essendo le risorse delle quali i convenuti potrebbero essersi appropriati ai fini del loro personale arricchimento quelle dell’utenza (i 5000,00 Euro pagati in più da ciascuno studente), e non essendo raggiunta la prova del dolo che avrebbe potuto – almeno in tesi – condurre ad affermazioni e valutazioni circa lo svolgimento illecito della funzione, l’unica voce di danno che assume davvero rilievo, ed è provata in atti, è il c.d. “danno diretto”, da intendere come il complesso delle risorse impiegate per eliminare le distorsioni provocate dalle condotte dei convenuti.
Trattasi di un danno da riconoscere e correlare, sul piano etiologico, alla condotta gravemente colposa dei due ricercatori, ed il suo ristoro concorre ad eliminare, almeno per ciò che attiene alla “perdita subita” (ex art. 1223 c.c.), le conseguenze negative della condotta stessa, limitate alla sola restituzione delle somme indebitamente spese dall’amministrazione per ricondurre il master alla legalità, quale parte di più immediata evidenza del c.d. “danno emergente” (ex precitato art. 1223 c.c.).
Nel caso di specie quindi l’Amministrazione definisce danno da disservizio e la Procura fa proprio senza commentare (anzi facendo pedissequo rinvio alla nota dell’Università), il danno diretto, derivato dalle spese conseguenti all’attività illecita di taluni dipendenti, nella specie i due ricercatori a contratto odierni convenuti, per gli accertamenti effettuati e per le spese derivate dal personale a ciò dedicato.
Tale danno è evidentemente sussistente e provato in atti e non può che essere quantificato in via equitativa ex articolo 1226 c.c., stante l’impossibilità di provare il danno stesso “nel suo preciso ammontare”.
Al riguardo pertanto nessuna rilevanza può essere attribuita alle osservazioni del difensore in udienza circa “l’insufficiente prova” del danno, sia perchè la Procura attrice da indicazione chiara dei criteri di quantificazione e dei parametri di riferimento utilizzati per valutare l’importo in 8.000,00 Euro, sia perché nella specie è in re ipsa la necessità di fare ricorso a criteri equitativi.
Il Collegio ritiene quindi che il danno sia provato nella misura massima indicata nell’atto introduttivo, cioè in Euro 8.000,00.
In relazione all’apporto causale minore imputabile alla condotta del convenuto L. tuttavia il Collegio ritiene addebitabile allo stesso un importo pari ad Euro 3.000,00.
Attesa la soccombenza, il convenuto è, altresì, condannato al pagamento, sulla somma addebitata, degli interessi legali, dal deposito della presente sentenza all’effettivo pagamento e alle spese di giustizia.
P.Q.M.
la Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, in composizione collegiale, definitivamente decidendo,
DICHIARA
in [#OMISSIS#], la inammissibilità dell’azione della Procura regionale, di cui alla citazione in epigrafe, nei confronti del convenuto F.R..
Non si fa luogo alla liquidazione delle spese legali.
ACCOGLIE
la domanda attrice per il convenuto M.L. a titolo di responsabilità amministrativa, al pagamento in favore del Ministero dell’Università e della Ricerca, del complessivo danno erariale di Euro 3.000,00 (Euro tremila/00), compresa la rivalutazione monetaria.
Il suddetto è, altresì, condannato al pagamento, sulla somma addebitata, degli interessi legali, dal deposito della presente sentenza all’effettivo pagamento e alle spese di giustizia che si liquidano in Euro 388,58 (trecentottantotto/58).
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 20 gennaio 2015.
Depositata in Cancelleria 3 febbraio 2015.