Sussiste occultamento da parte del docente universitario in relazione allo svolgimento di attività incompatibili essendo ravvisabile un quid pluris, oltre al semplice silenzio nei confronti dell’Università, costituito dalla falsa dichiarazione di non essere in situazione di incompatibilità (connessa al regime di lavoro a tempo pieno) resa dal convenuto alle cliniche presso le quali ha svolto attività libero-professionale.L’omissione della richiesta di autorizzazione all’amministrazione, sia pure caratterizzata da trascuratezza e superficialità, anche gravi, non è di per sé sufficiente ad integrare gli estremi del doloso occultamento, ma perché questo sussista, occorre che trasparisca dal comportamento del dipendente e dalle altre circostanze del caso concreto la preordinata intenzione di nascondere all’amministrazione il fatto dannoso.La quantificazione del danno ex art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 va calcolata con riferimento alla retribuzione lorda, in conformità all’orientamento secondo il quale il profilo dell’onere tributario, involgendo il rapporto tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, non interferisce con il giudizio di responsabilità, poiché il giudizio davanti alla Corte di conti non risponde ad un’azione di ripetizione d’indebito, nell’ambito della quale può assumere rilievo la quantificazione dell’indebito stesso al lordo o al netto delle ritenute fiscali, ma verte sull’accertamento della responsabilità erariale del convenuto nell’ambito della quale il riferimento al trattamento retributivo rappresenta il criterio per la quantificazione del danno derivante dalla violazione dei doveri di servizio.
Corte dei conti reg., Liguria, 29 ottobre 2015, n. 88
Professore associato – Docenti a tempo pieno – Incompatibilità – Personale medico-universitario – Regime di esclusiva
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
composta dai Magistrati:
COCCOLI dr. [#OMISSIS#] Presidente
[#OMISSIS#] dr.ssa [#OMISSIS#] Giudice
[#OMISSIS#] dr. [#OMISSIS#] Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 19582 del registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale della Corte dei Conti
per la Liguria nei confronti di [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], nato a Piacenza il 26 novembre 1946, rappresentato e difeso
dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli atti e i documenti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 14 ottobre 2015, il relatore dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per il
convenuto, e il Pubblico Ministero nella persona del V.P.G. dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto in
FATTO
Il prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con sentenza del Tribunale di Milano del 28 ottobre 2010 (confermata quasi integralmente in
appello), veniva condannato per i reati previsti e puniti dagli artt. 81, 110, 640 n. 2, 61 n. 7 e 61 n. 2 del codice
penale, per comportamenti relativi alla sua attività libero-professionale di neurochirurgo presso la Clinica “[#OMISSIS#]
[#OMISSIS#]” di Milano convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale.
Il [#OMISSIS#] era professore associato di neurochirurgia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di
Genova dal 17 luglio 1991, ed aveva optato per il regime lavorativo a tempo pieno, ex art. 11 del D.P.R. n. 382/80.
Pertanto, lo svolgimento di attività libero-professionale extra moenia da parte del medesimo era incompatibile con
la docenza universitaria a tempo pieno.
Egli aveva invece stipulato, con decorrenza dal 9 aprile 2004, un contratto per tale attività con la Clinica “[#OMISSIS#]
[#OMISSIS#]” di Milano, dichiarando falsamente di non essere in situazione di incompatibilità, e risulta inoltre che il suo
primo intervento chirurgico effettuato presso tale struttura risale al 18 giugno 2002.
Risultava inoltre dal procedimento penale che il medesimo svolgeva attività anche presso altre strutture private, e
dalla relazione del Preside di Facoltà emergeva che dal 1° novembre 2003 vi erano state carenze e omissioni nello
svolgimento dell’attività didattica, che risultava anzi del tutto assente.
Il convenuto aveva percepito presso la Clinica “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” compensi pari a € 218.438,07; inoltre, aveva posto in
essere attività incompatibili con la condizione di docente universitario a tempo pieno, avendo svolto, nello stesso
periodo, attività libero-professionale presso numerose strutture (n. 11 cliniche, case di cura e ospedali privati, n. 8
società assicurative, n. 1 fondo privato assicurativo sanitario, n. 1 società commerciale) percependo compensi per
€ 747.912,93.
Con atto del 16 ottobre 2014, la Procura Regionale della Corte dei Conti per la Liguria ha citato in giudizio
l’interessato per rispondere del danno erariale di € 966.351,00, somma che equivale a quanto percepito dal
convenuto per le attività incompatibili poste in essere (€ 218.438,07 + € 747.912,93, e da conferirsi all’Università
degli Studi di Genova. Tale somma va computata al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali.
Si chiede altresì la condanna al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, nonché delle
spese di giudizio.
Si argomenta nell’atto di citazione in merito al fatto per cui l’oggetto del presente giudizio è costituito dal danno
erariale causato dallo svolgimento di attività incompatibili con la condizione di docente universitario a tempo pieno,
ed è dunque differente dal danno provocato dall’omissione di ogni attività di insegnamento presso l’Ateneo
genovese, che è stato oggetto del giudizio conclusosi con la condanna del prof. [#OMISSIS#] al pagamento di €
70.313,34 con rivalutazione monetaria e interessi legali, e al pagamento delle spese, con sentenza n. 100 del 31
luglio 2014 di questa Sezione giurisdizionale.
Sono diversi, infatti, il petitum, la causa petendi e le persone coinvolte (in quel caso erano stati citati in giudizio,
oltre all’odierno convenuto, anche i soggetti che avrebbero dovuto controllare l’attività didattica, poi prosciolti da
questa Sezione). Si ritiene pertanto infondata l’obiezione della difesa, in sede di deduzioni, che ha sostenuto
sussistere l’improcedibilità o l’estinzione del diritto di azione.
Né, ad avviso della Procura, è intervenuta la prescrizione. L’atto di costituzione in mora è stato notificato il 4 luglio
2011; l’attività incompatibile è venuta a conoscenza dell’Amministrazione soltanto con l’arresto del [#OMISSIS#], in
relazione a reati commessi appunto nell’esercizio di tale attività.
Anteriormente a tale data, il [#OMISSIS#] aveva taciuto all’Università le proprie attività esterne in violazione di un preciso
obbligo giuridico.
Quale dies a quo per il calcolo della prescrizione, si fa pertanto riferimento al giugno 2008 (arresti domiciliari del
[#OMISSIS#], e denuncia per danno erariale trasmessa dal Rettore).
Vi è stato occultamento doloso da parte del convenuto, consistente nel citato silenzio nei confronti dell’Università,
nonché, come risulta dai relativi contratti, nella falsa dichiarazione di non essere in situazione di incompatibilità,
resa alla Clinica “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” e a quasi tutte le diverse strutture presso le quali ha esercitato abusivamente la
propria attività.
Né si può ritenere che il [#OMISSIS#] fosse in buona fede, essendo la normativa chiarissima, e il dolo è dimostrato dalle
false dichiarazioni rese.
Nelle proprie difese, il convenuto svolge le argomentazioni di seguito riportate.
Si eccepisce in primo luogo l’inammissibilità e l’improcedibilità della domanda attorea, sulla base del principio del
ne bis in idem, avendo tale domanda lo stesso oggetto di quella sulla quale si è pronunciata la sentenza n.
100/2014, e coprendo il giudicato il dedotto e il deducibile. Viene poi eccepita la prescrizione quinquennale. Nel
merito si nega la sussistenza del dolo e dell’occultamento, che non può coincidere con l’omissione di
comunicazione; il convenuto aveva ritenuto di agire in maniera lecita, trattandosi di prestazioni occasionali e
sporadiche, che egli riteneva compatibili. Le varie cliniche sapevano che il convenuto era professore universitario;
l’Università sembrava accettare la situazione. Si contesta ancora la quantificazione del danno, chiedendo sia
calcolata al netto e non al lordo delle ritenute (e pari dunque a € 404.863,00).
All’odierna udienza l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per il convenuto, e il Pubblico Ministero, nella persona del V.P.G. dr.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], hanno concluso come in atti, ulteriormente argomentando. La difesa ha insistito in merito
all’identità della causa petendi; ha sottolineato che il danno oggi contestato era già noto nel precedente processo;
ha affermato l’unicità dell’azione e dell’obbligazione risarcitoria, e eccepito la prescrizione. Il Pubblico Ministero
ha sostenuto trattarsi di due azioni diverse; ha negato la prescrizione (nella messa in mora si cita espressamente
l’art. 53 del D.lgs. n. 165/2001, e non occorre una esatta quantificazione); le somme vanno calcolate al lordo e non
al netto, come da giurisprudenza.
Considerato in
DIRITTO
Occorre in primo luogo prendere in esame l’eccezione, sollevata dalla difesa del convenuto, relativa alla
prescrizione.
La costituzione in mora, da parte della Procura, con atto del 22 giugno 2011, notificato il 4 luglio 2011, ha per
oggetto la “erronea percezione degli emolumenti in misura intera conseguente alla omessa istanza di
autorizzazione allo svolgimento di incarichi retribuiti presso casa di cura privata in Milano in violazione degli art. 15
del D.P.R. n. 382/1980; 53 del D.lgs. n. 165/2001 ed art. 60 del D.P.R. n. 3/1957”.
Il riferimento all’art. 53 del D.lgs. n. 165/2001 comprende dunque anche il comma 7 di tale articolo, il quale
testualmente recita: “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o
previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione
verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori
universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio
dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi
sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente
svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio
dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività
o di fondi equivalenti”.
Pertanto, sotto tale profilo deve ritenersi validamente interrotta la prescrizione relativamente alle somme de quibus,
in quanto ricomprese ex se nella norma citata.
Occorre però osservare quanto segue.
In atto di citazione, si contesta al convenuto di avere svolto attività libero-professionale presso la Clinica “[#OMISSIS#]
[#OMISSIS#]”, e presso altre, numerose strutture (n. 11 cliniche, case di cura e ospedali privati; n. 8 società assicurative; n.
1 fondo privato assicurativo sanitario; n. 1 società commerciale), e si chiede la condanna al pagamento, a favore
dell’Università di Genova, delle somme così percepite.
L’atto di messa in mora si riferisce però, testualmente, allo “svolgimento di incarichi retribuiti presso casa di cura
privata in Milano”, e non ad altri incarichi; la prescrizione è stata pertanto interrotta, da tale messa in mora, soltanto
in relazione a quanto percepito da cliniche site in Milano.
Relativamente agli altri emolumenti illecitamente percepiti, deve invece ritenersi intervenuta la prescrizione, che
non risulta validamente interrotta dalla messa in mora di cui si tratta.
Non si può infatti, in primo luogo, ritenere validamente contestata l’obbligazione risarcitoria con riferimento a n. 8
società assicurative, n. 1 fondo privato assicurativo sanitario e n. 1 società commerciale (tutti soggetti che non si
possono certamente identificare come “cliniche”); ma la stessa considerazione va svolta relativamente alle n. 9
cliniche, case di cura e ospedali privati, che non hanno sede in Milano.
Dalle visure delle Camere di Commercio, versate in atti, risultano infatti le seguenti localizzazioni:
– Casa di cura [#OMISSIS#]: Torino;
– Casa di cura privata Città di Bra: Bra (CN);
– Casa di cura privata Le Terrazze s.r.l.: Cunardo (VA);
– Casa di cura Sant’[#OMISSIS#] s.r.l.: Casale Monferrato (AL);
– Cliniservice s.r.l. con unico socio: Roma;
– Istituti clinici Zucchi s.p.a.: Monza;
– Ente religioso provincia lombardo veneta – gestione Ospedale San [#OMISSIS#]: Venezia-Lido (VE);
– Villa Serena s.p.a.: Genova;
– Congregazione delle Suore ministre degli infermi: Roma.
Soltanto due cliniche sono in Milano: Eukos s.p.a. e Casa di cura San Giovanni s.r.l., (oltre ovviamente alla Clinica
“[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” alla quale è riferita la prima notitia damni).
La somma validamente contestata al convenuto va dunque limitata a € 218.438,07 ricevuti dalla Clinica “[#OMISSIS#]
[#OMISSIS#]” di Milano, secondo la quantificazione emersa all’esito dell’istruttoria e indicata in atto di citazione, nonché a
€ 13.327 ricevuti da Eukos s.p.a., ed a € 74.972 ricevuti dalla Casa di cura San Giovanni s.r.l. (fonte: Agenzia delle
Entrate). Il totale ammonta dunque a € 306.737,07.
Per quanto riguarda il dies a quo per il calcolo della prescrizione, correttamente la Procura fa riferimento al giugno
2008 (arresti domiciliari del [#OMISSIS#], e denuncia per danno erariale trasmessa dal Rettore); in precedenza
sussisteva l’occultamento. A differenza, infatti, che nel caso del giudizio sulla stessa vicenda (ma per un diverso
danno), di cui alla sentenza n. 100 del 31 luglio 2014 di questa Sezione giurisdizionale, vi è stato, con riferimento
alle somme oggi contestate, un quid pluris, oltre al semplice silenzio nei confronti dell’Università, costituito dalla
falsa dichiarazione di non essere in situazione di incompatibilità (connessa al regime di lavoro a tempo pieno) resa
dal convenuto alle cliniche presso le quali ha svolto attività libero-professionale.
In ogni caso, va osservato che, nelle more del presente giudizio, all’udienza del 23 settembre 2015, questa
Sezione ha pronunciato sentenza n. 83/2015 (depositata il successivo 22 ottobre), nella quale in materia analoga a
quella odierna (incarichi a professori universitari), si è argomentato che l’omissione della richiesta di
autorizzazione all’Amministrazione, sia pure caratterizzata da trascuratezza e superficialità, anche gravi, non è di
per sé sufficiente ad integrare gli estremi del doloso occultamento, ma perché questo sussista, occorre che
trasparisca “dal comportamento del dipendente e dalle altre circostanze del caso concreto la preordinata
intenzione di nascondere all’amministrazione il fatto dannoso”.
Nel caso dell’odierno convenuto, ritiene il Collegio che “nel contesto comportamentale del soggetto agente si
rinvengano elementi idonei a far ritenere l’intenzionalità del silenzio e la sua preordinazione a nascondere il
danno” (sent. n. 83 cit.), come emerge da quanto esposto in narrativa e argomentato in parte motiva, e pertanto
ricorrerebbe comunque l’occultamento doloso anche in assenza di false dichiarazioni.
Quanto all’obiezione della difesa, relativa alla violazione del principio del ne bis in idem, per l’asserita identità del
precedente e del presente giudizio, si osserva essere diversi il petitum e la causa petendi: nel primo giudizio, il fatto
genetico del danno è costituito dall’omissione dell’attività di insegnamento, a fronte della percezione degli
emolumenti quale professore; nel secondo (e presente) giudizio, è costituito invece dallo svolgimento di attività
incompatibili con la condizione di docente a tempo pieno. Si tratta dunque di altro e ulteriore danno.
Non possono poi che essere confermate le considerazioni svolte nella sentenza n. 100/2014, in merito alla
sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo: “quanto all’elemento soggettivo, altrettanto difficilmente si può
ritenere che l’interessato non percepisse l’anomalia della situazione, e l’evidente vantaggio per sé, con altrettanto
evidente danno per l’erario”; e, parimenti, in merito al computo delle somme dovute al lordo delle ritenute fiscali e
previdenziali, come da giurisprudenza: la quantificazione del danno va calcolata con riferimento alla retribuzione
lorda, in conformità all’orientamento già espresso da questa Sezione, secondo il quale il profilo dell’onere
tributario, involgendo il rapporto tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, non interferisce con il giudizio di
responsabilità (Sezione Liguria, n. 50/2013 e n. 85/2014), poiché “il giudizio davanti a questa Corte non risponde
ad un’azione di ripetizione d’indebito, nell’ambito della quale può assumere rilievo la quantificazione dell’indebito
stesso al lordo o al netto delle ritenute fiscali, ma verte sull’accertamento della responsabilità erariale del
convenuto nell’ambito della quale il riferimento al trattamento retributivo rappresenta il criterio per la
quantificazione del danno derivante dalla violazione dei doveri di servizio”.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, pertanto, questa Sezione giurisdizionale deve pronunciare sentenza di
condanna in conformità alle richieste formulate dal Pubblico Ministero, ma limitatamente a € 306.737,07 come
sopra motivato. Va inoltre disposta la condanna al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.
La condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, definitivamente pronunciando,
CONDANNA
il convenuto al pagamento della somma di € 306.737,07 da conferirsi all’Università degli Studi di Genova, con
rivalutazione monetaria e interessi legali, questi ultimi a decorrere dal deposito della presente sentenza.
Condanna altresì il medesimo al pagamento delle spese, che fino al deposito della presente sentenza, si liquidano
in € 426,25 (quattrocentoventisei/25).
Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 14 ottobre 2015.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to ([#OMISSIS#]) f.to(Coccoli)
deposito in segreteria 29/10/2015
p. il direttore della segreteria
f.to([#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Casciani)