È possibile beneficiare del trattamento pensionistico per gli studenti universitari orfani maggiorenni in questione senza decurtazioni dal 21 al 26 anno di età, indipendentemente dalla durata legale del corso di studi: ciò sulla base di un’interpretazione letterale del disposto normativo, secondo cui, precisandosi “…e, comunque, non oltre il ventiseiesimo anno d’età”, il Legislatore garantisce, in presenza di orfano studente universitario, il mantenimento del beneficio comunque fino al compimento del ventiseiesimo anno d’età. Presupposto di operatività di tali disposizioni, dunque, verosimilmente animate da spirito di sostegno e di incentivazione alla frequenza degli studi superiori, è da ravvisare nella iscrizione ad un corso di studi presso istituzioni di alta cultura, quali indubbiamente sono le accademie di belle arti, o le università, secondo quanto può agevolmente desumersi dalla disciplina della legislazione primaria e dai princìpi costituzionali.
Corte dei conti reg., Piemonte, 1 febbraio 2016, n. 8
Pensione di reversibilità per studenti universitari orfani maggiorenni – Durata legale corso di studi
PENSIONI
C. Conti Piemonte Sez. giurisdiz., Sent., 01-02-2016, n. 8
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PIEMONTE
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Consigliere [#OMISSIS#] GILI
nella pubblica udienza del 19 gennaio 2016 ha pronunciato
SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 19801 del registro di segreteria promosso dal Sig. M.M., nato a T. il (…), ivi residente in via Bava n. 26, cod. fisc. MLN (…), rappresentato e difeso, per delega a margine del ricorso introduttivo, dagli Avv.ti [#OMISSIS#] BOSSO (c.f.: (…)) e [#OMISSIS#] BOSSO (c.f.: (…)) con elezione di domicilio presso lo studio dei predetti difensori in Torino, Corso Duca degli Abruzzi n. 55,
CONTRO l’INPS, Sede Territoriale di Torino, ex gestione INPDAP, in persona del legale rappresentante pro-tempore;
AVVERSO il provvedimento del citato Ente previdenziale comunicato con racc. del 12 febbraio 2015 (in atti);
PER l’annullamento integrale dell’indebito richiesto con la nota del 12 febbraio 2015 e conseguente restituzione al ricorrente delle somme recuperate a decorrere dal rateo di febbraio 2015, senza accessori;
VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella L. 14 gennaio 1994, n. 19; la L. 21 luglio 2000, n. 205 e, in particolare, gli artt. 5, 9 e 10.
UDITE le parti costituite e comparse come da verbale di udienza.
ESAMINATI gli atti e i documenti di causa.
Svolgimento del processo
Con ricorso giurisdizionale depositato il 3 agosto 2015, il ricorrente esponeva -in fatto- di essere titolare dal 1.10.2003, di pensione indiretta a carico dell’INPDAP, sede di Torino, in quanto coniuge superstite della signora C.C. – già dipendente del Ministero dell’Istruzione Pubblica – deceduta il 18 settembre 2003, mentre era ancora in servizio; che la pensione indiretta era stata inizialmente liquidata con determina del 2 marzo 2004 n. TO022004000076 e,quindi, in via definitiva, con determina del 29 novembre 2005 n. TO022005001689 nella misura del 100% della pensione diretta; che con provvedimento del 30 novembre 2007 l’INPS attribuiva al ricorrente con decorrenza 1 luglio 2007 la pensione di anzianità; che detti trattamenti pensionistici venivano usufruiti in regime di totale cumulabilità con altri redditi dei beneficiari ex art. 1 comma 41 L. n. 335 del 1995, atteso che il ricorrente, al momento della presentazione della domanda di pensione indiretta, aveva accluso documentazione comprovante i propri redditi nonché la vivenza a carico dei figli [#OMISSIS#] M., nato a Moncalieri il 14.11.1979 e M.M., nata a T. il (…), entrambi iscritti all’Università di Torino; che con lettera del 12 febbraio 2015 l’INPS aveva comunicato al coniuge superstite che sulla pensione indiretta era stato accertato un debito di Euro 42.550,74, per rideterminazione della pensione ai sensi dell’art. 1 comma 41 tabella F della L. n. 335 del 1995, in presenza di altri redditi del beneficiario negli anni 2008,2009,2010,2011,2012; che contestualmente veniva preannunciata e praticata, dalla rata scadente il 16 febbraio 2015, una ritenuta cautelare di Euro 104,80 mensili per il recupero dell’indebito di Euro 6.288,00, attraverso la massima rateizzazione possibile; che il residuo debito di Euro 36.262,74 doveva essere rifuso entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta dell’Ente.
Deduceva in diritto il ricorrente che gli indebiti erano sorti per tardiva applicazione da parte dell’Istituto delle norme sulla cumulabilità della pensione ai superstiti con altri redditi (art. 1 comma 41 tabella F della L. n. 335 del 1995) percepiti dal pensionato; che la liquidazione in favore del coniuge superstite di una quota di pensione in misura superiore a quella spettante era da attribuirsi ad esclusivo errore dell’INPDAP che aveva avuto, sin dall’origine, tutti gli elementi per verificare il permanere dei presupposti di cui all’art. 1 comma 41 tabella F della L. n. 335 del 1995), essendo l’ente a conoscenza sia degli ulteriori redditi del percipiente sia del fatto che i figli del ricorrente erano entrambi iscritti all’Università di Torino, sicchè pur in assenza di comunicazioni da parte degli interessati avrebbe potuto e dovuto interrompere l’erogazione della pensione indiretta in misura intera a decorrere dal termine del corso di studi o, quantomeno, dal compimento del 26^ anno d’età, ed assoggettare al regime di parziale divieto di cumulo la quota del padre dalle medesime date; deduceva, quindi, la violazione dell’art. 9 commi 1 e 2 della L. n. 428 del 1985 nonché dell’art. 22 della L. n. 903 del 1965, invocando la irripetibilità degli indebiti ai sensi della sentenza delle SSRR della Corte dei conti n.4/2008, concludendo per la restituzione delle somme illegittimamente trattenute senza accessori.
Con memoria depositata il 7 gennaio 2016 si costituiva in giudizio l’INPS – gestione ex INPDAP – subentrato ex lege in tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo all’INPDAP (soppresso a far data dal 6 dicembre 2011 per effetto dell’art. 21 del D.L. n. 201 del 2011), eccependo l’inapplicabilità in fattispecie dell’art. 206 D.P.R. n. 1092 del 1973 poiché l’indebito conseguiva non già a modifica/revoca di pensione definitiva, bensì all’applicazione della disciplina dettata dall’art.1 comma 41 L. n. 335 del 1995, tabella F, come affermato anche dalla giurisprudenza delle SSRR di questa Corte con sentenza 4/QM/2008; che pertanto, nella specie, posto che alcuna comunicazione era stata effettuata della cessazione dello “status” di studente dell’orfana, irrilevante e, comunque insussistente, era la buona fede del percipiente. L’Ente concludeva chiedendo, quindi, il rigetto del ricorso con rifusione delle spese di lite.
All’udienza odierna la causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo pubblicamente letto e di seguito trascritto ai sensi dell’art. 429 c.p.c.
Motivi della decisione
La fattispecie in esame concerne un indebito formatosi a seguito di rideterminazione della pensione ordinaria indiretta per superamento dei limiti reddituali di cumulo previsti dalla tabella F allegata alla L. n. 335 del 1995.
Risulta, tuttavia, dagli atti che, a prescindere dai livelli di reddito, comunicati all’Ente previdenziale al momento della presentazione della domanda di trattamento pensionistico indiretto, la pensione indiretta è stata erogata con decorrenza 1^ ottobre 2003, in misura intera, vale a dire al 100% dell’importo della pensione diretta, stante la vivenza a carico del ricorrente – coniuge superstite – dei propri figli iscritti all’Università di Torino.
Ciò premesso, il patrono del ricorrente invoca l’irripetibilità delle somme pretese, alla luce della sentenza n. 4/2008/QM delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, poiché l’indebito non sarebbe da imputarsi a colpa del proprio assistito, in quanto questi, sin dalla decorrenza in data 1 ottobre 2003 del trattamento ai superstiti, aveva comunicato all’Ente i propri redditi nonché dell’esistenza in vita dei propri figli, iscritti all’Università di Torino.
Diversamente l’I.N.P.S., gestione ex-INPDAP, conclude per la ripetibilità delle somme contestate, giacché si trattava di un’operazione da correlare all’applicazione, di volta in volta, dell’allegato F, all’art.1, comma 41, della L. n. 335 del 1995, afferente i limiti al cumulo della pensione ai superstiti con i redditi del beneficiario.
Ad avviso del Giudice, la domanda all’esame, per le ragioni di seguito espresse e nei limiti indicati, è meritevole di parziale favorevole determinazione.
L’art. 1, comma 41, della L. 8 agosto 1995, n. 335, ha previsto che ” La disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime A.G.O. è estesa a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime…Gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti di cui all’allegata tabella F. Il trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al presente comma con la pensione ai superstiti ridotta non può essere comunque inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella quale il reddito posseduto si colloca. I limiti di cumulabilità non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli minori di età, studenti ovvero inabili, individuati secondo la disciplina di cui al primo periodo del presente comma. Sono fatti salvi i trattamenti previdenziali più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge con riassorbimento sui futuri miglioramenti.”.
La legge di riforma del sistema previdenziale 08 agosto 1995, n. 335 ha esteso, pertanto, a far tempo dal 17 agosto 1995, data della sua entrata in vigore, a tutte le forme di previdenza esclusive e sostitutive la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti in vigore nel regime obbligatorio gestito dall’INPS, a prescindere dalla data d’inizio della pensione del dante causa.
A tale estensione, in particolare, è stata affiancata l’introduzione di disposizioni che prevedono la riduzione dell’assegno spettante alla presenza di determinati redditi percepiti dal beneficiario del trattamento stesso (c.d. tabella F).
Nella fattispecie, ad escludere l’applicazione dei limiti di cumulabilità di cui alla richiamata disposizione normativa, soccorre la comprovata presenza nel nucleo familiare del beneficiario di figli studenti, non svolgenti attività lavorativa e, quindi, a carico del coniuge superstite.
Per le pensioni civili, la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 82 del T.U.29 dicembre 1973 n. 1092 che recita:” gli orfani minorenni del dipendente civile o militare di cui all’art. 81 ovvero del pensionato hanno diritto alla pensione di reversibilità; la pensione spetta anche agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro o in età superiore a sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti. Ai fini del presente articolo sono equiparati ai minorenni gli orfani maggiorenni iscritti ad università o ad istituti superiori equiparati, per tutta la durata del corso legale degli studi e, comunque, non oltre il ventiseiesimo anno di età”. La circolare INPDAP prot. n. (…) del 5.10.1999 ha poi ulteriormente specificato le condizioni sopradette nei confronti degli orfani studenti universitari, precisando le diverse fattispecie, e per quella in cui può sussumersi l’ipotesi qui in esame, ha ribadito che spetta all’ orfano compreso tra i 18 e 26 anni, purchè iscritto ad un anno accademico compreso nella durata legale del corso di laurea.
Alla luce della normativa citata, rientrando il caso in esame nell’ipotesi di orfano maggiorenne studente universitario, ipotesi disciplinata dal secondo comma dell’art. 82 citato, come modificato dall’art. 1 della L. 21 luglio 1984, n. 391, per concedere il beneficio richiesto è necessaria la condizione dell’iscrizione dell’orfano all’Università per la durata del corso legale degli studi e comunque fino al 26 anno di età.
Ad avviso dell’Ente previdenziale, che richiama giurisprudenza contabile (Sez. Terza Appello, sent. n. 279 del 2004), il beneficio sarebbe condizionato, nella sua durata, ad ambedue i presupposti – vale a dire, durata legale del corso di studi e compimento del 26 anno di età – con la conseguenza che allo spirare di uno dei due presupposti, quale, nel caso di specie il superamento della durata del corso legale degli studi intrapresi, verrebbe a cessare la corresponsione del beneficio anche se non venuto a compimento l’altro presupposto (nel caso di specie il compimento del 26 anno di età).
Ritiene, tuttavia, il giudicante, sulla scorta di indirizzi giurisprudenziali di segno contrario (tra cui, la stessa Sez. Terza Appello, sent. n. 293 del 2003) che possa beneficiarsi del trattamento in questione senza decurtazioni dal 21 al 26 anno di età, indipendentemente dalla durata legale del corso di studi che, nell’occasione, peraltro, è proseguito con l’iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza, con ulteriore prolungamento della durata del corso legale di studi: ciò sulla base di un’interpretazione letterale del disposto normativo sopra richiamato, secondo cui, precisandosi “…e, comunque, non oltre il ventiseiesimo anno d’età”, il Legislatore garantisce, in presenza di orfano studente universitario, il mantenimento del beneficio comunque fino al compimento del 26^ anno d’età.
Presupposto di operatività di tale norma, dunque, verosimilmente animata da spirito di sostegno e di incentivazione alla frequenza degli studi superiori, è da ravvisare nella iscrizione ad un corso di studi presso istituzioni di alta cultura, quali indubbiamente sono le accademie di belle arti, o le Università secondo quanto può agevolmente desumersi dalla disciplina della legislazione primaria (art. 4, comma 1, L. n. 537 del 1993 e art. 2, comma 1, L. n. 508 del 1991) e dai princìpi costituzionali (art. 33 Cost).
Ciò premesso, e’ pacifico ed incontestato, vista la documentazione prodotta agli atti, che M.M., figlia minore dell’odierno ricorrente, sia stata iscritta all’Università – corso di scienze giuridiche – per gli anni compresi fra il 2003 – data di iniziale erogazione della pensione indiretta – ed il 2006, ed al successivo corso integrativo di Laurea in Giurisprudenza per gli anni successivi (v., certificazione agli atti, compresa autocertificazione dell’interessata).
Atteso che i certificati di iscrizione rilasciati dall’Ateneo dimostrano la regolare iscrizione, con il conseguente versamento delle tasse universitarie, appaiono integrati i requisiti che legittimano la concessione della pensione indiretta, l’essere orfano maggiorenne e studente universitario.
Ne consegue, nella specie, che, atteso il compimento del 26^ anno di età di M.M. il 3 marzo 1984, il ricorrente avrebbe avuto comunque titolo a percepire la pensione indiretta senza decurtazioni fino alla stessa data.
E’ evidente quindi, che avendo il ricorrente comunicato l’iscrizione della figlia all’Università, circostanza di fatto astrattamente legittimante il diritto alla prosecuzione dell’erogazione della pensione indiretta in misura intera, non sussistono obiettivamente le condizioni per la riduzione dell’erogazione fino alla data del compimento del 26^ anno d’età della medesima, vale a dire, fino al 3 marzo 2010.
Pertanto il ricorso va parzialmente accolto, riconoscendo il diritto del ricorrente a percepire il trattamento pensionistico indiretto dalla data di iscrizione al corso di Giurisprudenza della figlia e per la durata legale di esso e comunque fino al compimento del 26 anno di età, con conseguente esenzione del ricorrente dall’obbligo di restituire all’INPS le somme percepite fino al 3 marzo 2010.
Ciò premesso, e venendo all’esame della residua domanda, diretta ad ottenere l’annullamento dell’intero indebito richiesto dall’Ente, il giudicante, pur attribuendo pregio alla tesi difensiva secondo cui, di norma, incombe sull’Ente previdenziale un’articolata attività di accertamento e di verifica delle varie partite (ai superstiti), da svolgere in termini puntuali al fine di verificare la ricorrenza e delle condizioni soggettive e di quelle oggettive legittimanti l’an e il quantum di trattamento (es. limiti di età, iscrizione a Corsi Universitari e post universitari, limiti di reddito, non contrazione di nuovo matrimonio, ecc.), è dell’avviso che simili attività debbano coniugarsi con la necessaria collaborazione del pensionato, inserito ex lege nella procedura liquidativa.
Non a caso le stesse SS.RR. nella sentenza n. 4/2008/QM, del 16 – 25 luglio 2008, fanno riferimento a un’attività di “…adeguamento del trattamento economico concretamente erogato…che a sua volta non preclude successivi e parimenti non formalizzati mutamenti (in peius o in melius) qualora nelle consecutive annualità si verifichino e siano accertate modifiche nella composizione del nucleo familiare e/o nell’ammontare della capacità reddituale del beneficiario ex art.1, comma 41, cit…”.
Nella fattispecie de qua non si era in presenza di somme corrisposte in più su un trattamento provvisorio né, tanto meno, d’importi a debito conseguenti a revoca o modifica di trattamenti definitivi di quiescenza.
La doglianza dell’INPS, infatti, discende dall’applicazione dell’art. 1, comma 41, tabella F, della L. n. 335 del 1995, afferente la riduzione del trattamento pensionistico al ricorrere di redditi diversi del beneficiario superiori a determinati importi del trattamento minimo INPS annuo: onde l’ipotesi di causa rientra in quella di cui all’art.9, comma 1 e 2, della L. 7 agosto 1985, n. 428, e 5, del D.P.R. 08 luglio 1986, n. 429.
Queste ultime disposizioni prevedono che la revisione dei pagamenti delle spese fisse di competenza delle Direzioni Provinciali del Tesoro, poi INPDAP/IPOST e ora I.N.P.S., disposte mediante procedure automatizzate, dovrà essere espletata entro il termine di un anno dalle relative lavorazioni.
Tali liquidazioni hanno, quindi, carattere provvisorio sino allo spirare del periodo previsto per la revisione, restando, “…comunque impregiudicata l’azione dell’amministrazione per il recupero, anche dopo tale termine, delle somme indebitamente corrisposte” (art.5, comma 4, del D.P.R. n. 429 del 1986) nell’assenza di talune situazioni di fatto (soggettive ed oggettive) variamente articolate e aventi come minimo comune denominatore la non addebitabilità, al percettore, dell’erogazione non dovuta (principio di settore individuato dalla Giurisprudenza Costituzionale).
La prevalente giurisprudenza (cfr. ex multis Sezione III, sent. n. 268/2006, SS.RR. sent. n.4/2008/QM,), condivisa da questo giudicante, ha interpretato la succitata disciplina nel senso che entro l’anno dalle relative lavorazioni possono essere recuperate le eventuali somme pagate in più e non dovute, senza rilievo della buona fede e dell’affidamento ingenerato nel percipiente, mentre per il periodo successivo la predetta operazione recuperatoria resta subordinata al riscontro dell’assenza dei succitati requisiti.
Ora, la natura e la varietà delle condizioni, personali, familiari e reddituali, contemplate dall’art.1, comma 41, della L. n. 335 del 1995, era alla base del dovere di collaborazione (Corte Cost. sent. n.431/1993), tra il pensionato e l’Ente, discendente, in via generale, dall’art. 86, del T.U. n. 1092/1973 (inserito nel titolo V dedicato ai trattamenti di reversibilità, così come modificato dall’art. 30, della L. n. 177 del 1976), che al 4 comma dispone: ” E’ fatto obbligo agli interessati di comunicare alla competente direzione provinciale del tesoro la cessazione delle condizioni che hanno dato luogo all’attribuzione della pensione o dell’assegno alimentare, nonché il verificarsi di qualsiasi evento che comporti variazione della pensione stessa ovvero soppressione degli assegni accessori”.
Onde, il titolare del trattamento pensionistico indiretto era ed è oggetto di un [#OMISSIS#] obbligo d’informativa, circa il permanere delle condizioni in grado di incidere sullo stesso, al fine di consentire all’Ente previdenziale di operare tempestivamente la sospensione/cessazione e/o riduzione dell’erogazione, obbligo non reso superfluo bensì integrato e completato dall’acquisizione, da parte dell’Ente previdenziale, dei dati reddituali attraverso mirate campagne informative e periodici progetti di verifica, che consentono all’INPS di verificare i presupposti per corrispondere ai contribuenti che ne hanno diritto il giusto trattamento ai superstiti.
Ebbene, nell’ipotesi in discussione, così come chiarito dalle SS.RR., i punti fermi che devono guidare il giudicante nella disamina delle fattispecie in questione, sono i seguenti: 1) quando la corretta individuazione della pensione scaturisce da dati già in possesso dell’amministrazione, poiché trattasi di una revisione automatizzata, l’ente previdenziale ha un anno di tempo per procedere alla riliquidazione, con la conseguente irripetibilità dell’indebito accertato oltre l’anno; 2) qualora, invece,come nella specie, i limiti della cumulabilità vengano superati da eventi di reddito diversi, di cui l’amministrazione non può avere conoscenza, l’indebito è sempre ripetibile nell’ipotesi che il pensionato non assolva all’obbligo di comunicare il nuovo e diverso reddito.
Nella fattispecie in esame rilevano le seguenti circostanze: 1) l’Inpdap, poi Inps ha continuato ad erogare la pensione nella misura intera fino al mese di febbraio 2015 quando, senza la collaborazione del pensionato, è venuto a conoscenza di “determinati redditi percepiti dal beneficiario”; 2) alcuna comunicazione ha effettuato il ricorrente, o chi per lui, del conseguimento di detti redditi, influenti sulla riduzione dell’assegno, dopo il compimento del 26^ anno di età della figlia, studente universitario, e ciò in palese violazione di quanto imposto dall’art. 86 del TU 1092/73 secondo cui “E’ fatto obbligo agli interessati di comunicare alla competente direzione provinciale del tesoro la cessazione delle condizioni che hanno dato luogo all’attribuzione della pensione o dell’assegno alimentare, nonché il verificarsi di qualsiasi evento che comporti variazione della pensione stessa ovvero soppressione degli accessori”; 3) l’Ente previdenziale non era, né poteva essere a conoscenza della predetta circostanza di fatto, in assenza di qualsiasi comunicazione da parte dell’interessato; 4) l’inadempimento dell’obbligo di informativa protrattosi fino al 2015, ha determinato per anni l’erogazione di una pensione in misura non più spettante nonché, conseguentemente, l’erogazione di ratei in favore del coniuge, non ridotti ex L. n. 335 del 1995 tab. F, atteso il divieto di cumulo tra la pensione indiretta e i redditi del beneficiario nei limiti di cui alla tabella F; 5) il coniuge ricorrente non ha mai comunicato i propri maggiori redditi, né un tale accertamento poteva reputarsi superfluo, seguendo le indicazioni della difesa secondo la quale l’INPDAP, informata dal percipiente dei propri maggiori redditi nel 2003, poteva presumere e acquisire successivamente dette consistenze reddituali.
Rileva il giudice che i redditi ulteriori non sono stati comunicati all’Ente previdenziale dal ricorrente, come era doveroso fare ai sensi dell’articolo 86 del D.P.R. n. 1092 del 1973: tale norma prevede, infatti, l’obbligo per i titolari di trattamento pensionistico di riversibilità o indiretto di comunicare all’Inpdap le eventuali variazioni dei redditi percepiti durante il periodo di fruizione del trattamento pensionistico proprio al fine di modificare eventualmente la fascia percentuale di cumulo di cui alla tabella F della L. n. 335 del 1995 e quindi la percentuale di spettanza del trattamento indiretto.
La mancata dichiarazione ha fatto sì che, nel momento in cui l’Inpdap ha avviato la procedura automatizzata di controllo, sono emersi i superiori e diversi redditi che avrebbero dovuto essere dichiarati annualmente all’Inpdap e che invece non sono stati comunicati dall’interessato.
Ciò ha determinato l’erogazione indebita di ratei pensionistici per un apprezzabile arco temporale, per il quale non sussiste la possibilità di configurare la buona fede del pensionato proprio perché lo stesso non ha adempiuto ad un obbligo normativamente previsto cosicché l’Amministrazione è venuta a conoscenza di tali redditi ulteriori attraverso un’operazione di verifica generalizzata.
Sussistendo, quindi, specifici obblighi di comunicazione di dati e qualità personali e familiari posti a carico dei beneficiari, l’omissione da parte dei medesimi, anche se non dolosa, impedisce, però, di considerare come percepiti in buona fede negli importi corrisposti indebitamente.
In sostanza le somme percepite a titolo di trattamento indiretto in violazione dei limiti di cumulabilità dei redditi previsti dalla tabella F della L. n. 335 del 1995 possono essere dichiarate irripetibili soltanto qualora si sia correttamente provveduto alle comunicazioni di legge e sia decorso un termine congruo per considerare utilmente formato un ragionevole affidamento.
Sicchè ne consegue che il ricorso prodotto – per la parte per cui si richiede l’annullamento dell’indebito per periodo ulteriore al mese di marzo 2010 – deve essere respinto, con diritto dell’Amministrazione ad effettuare i recuperi già avviati.
A tal fine, l’Ente previdenziale dovrà prendere a base per il ricalcolo dell’indebito la determina del 29 novembre 2005, con la quale il trattamento pensionistico dovuto all’odierno ricorrente era stato riliquidato in via definitiva.
Quanto alla regolamentazione delle spese del presente giudizio, occorre tener conto del disposto di cui alla disposizione introdotta dall’art. 13, comma 1, del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni con la L. 10 novembre 2014, n. 162, in vigore dal 11 dicembre 2014, e, quindi, al momento dell’instaurazione del presente giudizio, secondo cui, sulla base del nuovo testo dell’art. 92, comma 2, c.p.c., le ipotesi di compensazione delle spese sono limitate ai casi di soccombenza reciproca, ovvero qualora si sia in presenza di novità della questione trattata oppure di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Detta nuova disposizione normativa si applica, a norma dell’art. 13, comma 2, dello stesso D.L. n. 132 del 2014, “ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto”.
La legge di conversione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 261 del 10 novembre 2014, Supplemento Ordinario n. 84, entrando in vigore il giorno successivo, cioè l’11 novembre 2014, in forza dell’art. 1, comma 2, della legge stessa. Il nuovo articolo 92 c.p.c. si applica, quindi, ai procedimenti introdotti a decorrere dall’11 dicembre 2014.
Il ricorso introduttivo del presente giudizio risulta depositato nel mese di agosto 2015.
Ciò premesso, ad avviso del giudice, nella fattispecie scrutinata possono ravvisarsi gli estremi dell’ipotesi di soccombenza reciproca ai fini della compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,
ACCOGLIE PARZIALMENTE
il ricorso nel senso descritto in parte motiva, nel senso che il ricorrente M.M. non è tenuto a restituire all’INPS le somme percepite fino al 3 marzo 2010, e compensa le spese.
Si fissa in 60 giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Torino, il 19 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria 1 febbraio 2016.