Sulle domande di riscatto, di ricongiunzione e sistemazione contributiva, presentate all’amministrazione attiva anteriormente al 1 giugno 2004 permane la competenza dell’Università, nonostante l’emanazione del d.l. 30 giugno 1994, n. 479 (istitutivo dell’INPDAP) e della l. 8 agosto 1995, n. 335 che aveva istituito presso l’Istituto la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato. Ne consegue che spettava all’ Università pronunciarsi sull’istanza presentata in sede amministrativa, ma ciò non comporta l’estromissione dal giudizio dell’INPS.L’istituto del riscatto, applicato ai corsi di studio richiesti per il conseguimento di diplomi abilitanti all’esercizio di attività professionali specifiche, consente di computare ai fini pensionistici – previo pagamento del previsto contributo – periodi che, pur non avendo dato luogo a prestazioni lavorative a favore dell’ente datore di lavoro, hanno tuttavia rappresentato una indispensabile fase propedeutica all’espletamento del servizio, nelle ipotesi in cui il diploma costituisca requisito richiesto per il posto ricoperto.La normativa applicabile, come interpretata dalla giurisprudenza costituzionale, consente il riscatto del periodo, corrispondente al corso di studio di infermiere professionale, frequentato presso una scuola convitto istituita ai sensi degli artt. 130 e 131 Testo Unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, purché il diploma conseguito fosse prescritto per l’ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera.Ai fini della sussistenza del diritto al riscatto dei corsi di studio a fini pensionistici, per quanto possa ritenersi che la qualificazione “specializzante” del corso di infermiere professionale sia stata assunta in legge, da sempre la giurisprudenza contabile ha statuito che la natura specializzante deve coesistere con l’altro requisito normativamente richiesto, ovvero il possesso di diploma di scuola secondaria superiore, essendo tali elementi i necessari presupposti affinché si verifichi il “ritardo” nell’accesso al lavoro cui è stata, dal legislatore prima e dalla giurisprudenza poi, ricollegata la possibilità del riscatto stesso.Non può ritenersi sostitutivo del titolo di istruzione secondaria superiore l’avvenuta ammissione al terzo anno di un istituto di secondo grado che, seppur previsto quale requisito utile ai fini della frequentazione del corso di infermiere professionale, quantomeno da una certa data in poi, non rientra tra i presupposti ritenuti indispensabili dalla legislazione e dalla giurisprudenza, ai fini del riscatto.
Corte dei conti reg., Sardegna, 10 marzo 2017, n. 33
Riscatto dei periodi di studio – Corso di studi infermiere professionale
Sent. N. 33/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23.806 del registro di Segreteria, proposto dal signor E. S. (C.F. Omissis), nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dagli Avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (CF: PTTLNE65D70B354Y; PEC: [#OMISSIS#].avvpettinau@legalmail.it ), presso il cui studio, sito in Cagliari, Piazza Gramsci n° 18, ha eletto domicilio, contro l’INPS (CF: 80078750587) e l’ Università degli Studi di Cagliari.
Uditi, nella pubblica udienza del 22 febbraio 2017, l’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] nell’interesse del ricorrente, l’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], in rappresentanza dell’ Università degli Studi, e l’Avvocato [#OMISSIS#] DOAper l’INPS.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Ritenuto in
FATTO
Con atto depositato in data 7 settembre 2016, il signor E. S. ha proposto ricorso avverso il silenzio rigetto dell’ Università degli Studi di Cagliari, con il quale era stata respinta la domanda, presentata in data 30 novembre 1988, al fine di ottenere il riscatto, ai fini pensionistici, del corso di Infermiere professionale tenuto dalla USL n. 20 di Cagliari nel periodo 8 ottobre 1982 – 27 luglio 1985, conclusosi col conseguimento del relativo diploma, in data 26 luglio 1985.
Il ricorrente ha specificato di essere stato in possesso del biennio di scuola secondaria professionale “[#OMISSIS#]” di Cagliari, nel periodo in cui aveva frequentato il corso specializzante, presso la Scuola per Infermieri professionali “[#OMISSIS#] di Piemonte”, istituita con Decreto Interministeriale del 30 luglio 1937.
Nella sessione estiva dell’anno scolastico 1989/1990 aveva conseguito il Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale, cui ha fatto seguito, nel 2006, il Diploma di Laurea in Infermieristica.
Detti titoli sono stati conseguiti in costanza di servizio, posto che dal 21 agosto 1987 il signor E. S. veniva assunto in ruolo, in quanto vincitore di concorso pubblico, per titoli ed esami, a n. 14 posti di Infermiere professionale.
A sostegno della pretesa il ricorrente ha richiamato alcune pronunce della Corte costituzionale (sent. n. 133/1991; n. 280/1991; n. 426/1990 e n. 178/1993) che avrebbero inciso sull’art. 24 della l. n. 1646/1962 e sull’art. 69 del r.d. n. 680/1938, riconoscendo pieno valore, ai fini del riscatto, alla preparazione professionale acquisita in corsi di studio, dopo il conseguimento del diploma di scuola media superiore, quando la stessa sia indispensabile per accedere al posto ricoperto.
Detto orientamento sarebbe stato da ultimo ribadito dalla Consulta con la sentenza n. 52/2000, in riferimento all’art. 13, comma 1, del DPR n. 1092/1973.
E’ stato, conclusivamente richiesto l’accoglimento del ricorso, con condanna alle spese del giudizio da liquidarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.
L’ Università degli Studi di Cagliari si è costituita in giudizio a ministero dell’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], depositando memoria difensiva in data 10 febbraio 2017, con la quale sono state formulate conclusioni di inammissibilità del ricorso in via pregiudiziale, ovvero di rigetto nel merito per infondatezza.
A sostegno delle rassegnate conclusioni, premesso che con istanza del 30 novembre 1988 il ricorrente aveva chiesto il riscatto del periodo corrispondente alla durata legale del corso di infermiere professionale, unitamente al servizio non di ruolo prestato presso le USL n. 11 di Isili e presso la USL n. 21 di Cagliari (per periodi differenti rispetto alla frequentazione della scuola), è stato sostenuto quanto segue.
La domanda originariamente presentata in sede amministrativa (nel 1988) era stata redatta su uno stampato che l’Amministrazione metteva a disposizione dei nuovi assunti affinché venissero inseriti i periodi di servizio non di ruolo suscettibili di riscatto agli effetti della pensione e che, conseguentemente, venivano prese in considerazione alla richiesta di cessazione dal servizio. Pertanto, il Sig. E. S. era consapevole che, con riferimento alla carriera, l’Amministrazione sarebbe intervenuta limitatamente alla richiesta di ricongiunzione e non anche a quella di riscatto. Di talché, il ricorrente avrebbe prestato acquiescenza all’operato dell’Amministrazione, non avendo presentato ulteriori richieste o rivendicazioni per quasi trenta anni. In ogni modo, l’ Università avrebbe dato risposta alla diffida presentata il 23 giugno 2016 per il tramite dello Studio legale, pur non avendo più competenza in merito (come ribadito dalla Sezione Sardegna, da ultimo, con sentenza n. 10/2017), facendo presente che il periodo non poteva essere riscattato ai sensi della normativa vigente alla data di presentazione dell’istanza.
Nel merito, è stato sostenuto che erroneamente il ricorrente riterrebbe applicabili gli articoli 24 della l. n. 1646/1962 e 69 del r.d. n. 680/1938, specificamente diretti a disciplinare la materia per il personale iscritto alla ex CPDEL e, in quanto tali, non estensibili ai dipendenti universitari, iscritti alla Cassa Dipendenti dello Stato.
Per questi ultimi troverebbe applicazione l’art. 13, comma 1, del DPR n. 1092/1973, che limiterebbe, anche nell’interpretazione da ultimo data dal Giudice delle Leggi (sentenza n. 52/2000), la possibilità del riscatto a corsi di studi svolti presso istituti o scuole riconosciuti di livello superiore (post-secondario), quando il relativo diploma o titolo di studio di specializzazione o di perfezionamento sia richiesto, in aggiunta ad altro titolo di studio, per l’ammissione in servizio di ruolo o per lo svolgimento di determinate funzioni.
In ogni caso, la pronuncia della Consulta del 2000, avrebbe subordinato la possibilità di riscattare i periodi di studio al possesso di un diploma di scuola media superiore, unitamente al requisito del titolo imprescindibile per accedere alla qualifica. Tali condizioni non ricorrerebbero nel caso di specie, non essendo il ricorrente, per sua stessa ammissione in possesso di tale diploma, al momento della frequentazione della scuola.
L’INPS si è costituito in giudizio con il patrocinio degli Avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], depositando all’uopo memoria difensiva in data 6 febbraio 2017, con la quale, in via preliminare è stato eccepito il difetto di legittimazione passiva dell’Istituto, in quanto l’istanza del ricorrente era stata avanzata all’amministrazione datoriale il 30 novembre 1988.
L’INPS, difatti, sarebbe subentrato nella gestione dei trattamenti pensionistici del personale Universitario a far data dal 1 giugno 2004, permanendo la competenza dell’ Università alla definizione delle domande di riscatto, computo, ricongiunzione e sistemazione contributiva per le istanze presentate anteriormente alla predetta data. Di talché, in ipotesi di accoglimento del ricorso, eventuali spese di lite dovrebbero gravare sull’amministrazione statale.
Nel merito è stata sostenuta l’infondatezza della pretesa attrice in quanto, dal combinato disposto degli artt. 13 del d.P.R. n. 1092/1973, 8 comma 1 lett. B della l. n. 274/1991, e 2 del D.Lgs n. 184/1997, si evincerebbe che il beneficio de quo spetti solo per la frequenza di un corso di livello universitario; per contro, tale non sarebbe quello seguito dal ricorrente. Inoltre, secondo l’Istituto previdenziale, le ipotesi ammesse a riscatto dovrebbero essere considerate tipiche e tassative, con esclusione dell’interpretazione e/o applicazione analogica delle disposizioni che le prevedono.
Alla luce delle precedenti considerazioni è stato chiesto il rigetto del ricorso. In via subordinata è stato chiesto che, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso, sia ordinato al ricorrente il pagamento del relativo onere da riscatto. In ogni caso, con il favore delle spese, o comunque l’esenzione da eventuali spese di lite.
All’udienza del 22 febbraio 2017, l’Avvocato [#OMISSIS#], per l’INPS, ha insistito affinché, in ipotesi di eventuale accoglimento della domanda, non siano addebitate all’Istituto le spese legali, in quanto l’INPDAP non era competente a pronunciarsi sulla domanda. Ha, inoltre, precisato che all’epoca della proposizione della stessa, il silenzio serbato dall’Amministrazione sarebbe dovuto essere impugnato davanti al TAR, allora competente.
L’Avvocato [#OMISSIS#], per l’ Università , ha specificato che la domanda in sede amministrativa era stata presentata prima della entrata in vigore della legge n. 241/1990, di talché il silenzio equivaleva a rifiuto e si consolidava. Ha, inoltre, avanzato dubbi sulla effettiva operatività della circolare richiamata dall’INPS ai fini dello spostamento della competenza. Nel merito del ricorso ha integralmente richiamato le conclusioni in atti.
L’Avvocato [#OMISSIS#], nell’interesse del ricorrente, ha depositato un’autocertificazione del sig. E. S. con allegata copia delle pagelle scolastiche relative al biennio di scuola media superiore presso l’Istituto Professionale “[#OMISSIS#]”, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Sia l’Avvocato [#OMISSIS#] che l’Avvocato [#OMISSIS#] si sono opposti alla produzione, eccependo la tardività della stessa. Gli atti sono stati acquisiti al fascicolo.
Considerato in
DIRITTO
1. In via preliminare, va precisato che, in applicazione dell’art. 429 c.p.c., come modificato dall’art.53 del D.L. 25 giugno 2008 n.112 convertito nella legge 6 agosto 2008 n.13 (cfr. art.56 D.L. citato), nel caso in esame si rende necessaria la fissazione di un termine di trenta giorni per il deposito della sentenza comprensiva della motivazione.
2. Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dall’INPS. Al riguardo, va precisato che sulla domanda avanzata a suo tempo dal ricorrente, non si erano pronunciate né l’ Università degli Studi di Cagliari, né l’allora INPDAP. Peraltro, va osservato che, sulle domande di riscatto, di ricongiunzione e sistemazione contributiva, presentate all’amministrazione attiva anteriormente al 1° giugno 2004 permaneva la competenza dell’ Università , nonostante l’emanazione del D.Lg. 30 giugno 1994 n. 479 (istitutivo dell’INPDAP) e della L. 8 agosto 1995 n. 335 art. 2, comma 1 che aveva istituito presso l’Istituto la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato. Difatti, ai sensi del successivo comma 3 della norma richiamata, era previsto un regime transitorio durante il quale “le Amministrazioni centrali e periferiche, in attesa della definizione dell’assetto organizzatorio per far fronte ai compiti di cui ai commi 1 e 2, continuano ad espletare in regime convenzionale le attività connesse alla liquidazione dei trattamenti di quiescenza dello Stato”.
Per ciò che attiene, nel particolare, al personale universitario, come risulta dalla circolare INPDAP n. 23 del 30 marzo 2004, versata in atti dall’INPS, in forza di apposita convenzione stipulata tra le Università e l’allora l’INPDAP, sono rimaste a carico delle università medesime le competenze per la definizione di tutti i provvedimenti pensionistici relativi al personale dell’ Università cessato dal servizio anteriormente al 1° giugno 2004, nonché la definizione delle domande di riscatto, ricongiunzione, computo e sistemazione contributiva presentate anteriormente alla predetta data del 1° giugno 2004, come è nel caso in esame.
Ne consegue che spettava all’ Università pronunciarsi sull’istanza presentata in sede amministrativa, ma ciò non comporta l’estromissione dal giudizio dell’INPS.
Non può, infatti, negarsi, in conformità a pronunce già emesse da questa Sezione (cfr., tra le altre Sez. Sardegna, n. 447 del 2004 e n. 584 del 2005), che la parte ricorrente sia portatrice un interesse giuridicamente rilevante a vocare in giudizio l’Istituto, quanto meno al fine di rendere opponibile allo stesso un giudicato eventualmente favorevole, che potrebbe esplicare effetti, anche se indiretti, sull’operato dell’INPS, competente al pagamento della pensione.
Pertanto, l’eccezione non merita accoglimento.
3. Ancora in via preliminare, con riferimento all’eccepita inammissibilità del ricorso, formulata dall’Amministrazione Universitaria, per intervenuta acquiescenza e mancata riproposizione dell’istanza, va compiuto un duplice ordine di considerazioni.
Da un lato rileva la circostanza che, come emerge chiaramente dall’atto introduttivo del giudizio, il riscatto in questione è stato sollecitato ai fini pensionistici, richiedendosi un provvedimento anche ai fini di poter accedere alla pensione. Né può essere dimenticato, come peraltro affermato dall’ Università nella memoria di costituzione che, quantomeno per prassi, le istanze, ancorché presentate all’atto dell’assunzione, proprio in occasione della cessazione dal servizio venivano prese in considerazione.
Ciò conduce alla conclusione che, all’evidenza, non può sostenersi che il ricorrente vi abbia prestato acquiescenza (mancando peraltro una pronuncia amministrativa sul punto) ma che il sollecito della istanza originariamente proposta e l’esigenza di un provvedimento al riguardo, sia occasionata dall’approssimarsi del momento in cui il ricorrente medesima potrà maturare il diritto a pensione, soggetto a scadenze più stringenti in forza della normativa intervenuta negli ultimi anni.
Né può essere dimenticato che la nota del 2016, con la quale l’ Università ha dato risposta alla diffida inoltrata da parte attrice, non possa essere valutata alla stregua di un parere, ma assuma la consistenza di un vero e proprio diniego, divenendo l’unico provvedimento emesso dall’Amministrazione competente al riguardo.
Ne consegue che l’eccezione deve essere disattesa.
3. Venendo all’esame nel merito, va osservato in primo luogo che possono acquisirsi agli atti del processo i documenti depositati da parte attrice nel corso dell’udienza, nonostante a dette produzioni si siano opposte le difese delle convenute amministrazioni.
Difatti, per quanto verrà in appresso argomentato, va ritenuto che gli stessi, non essendo destinati a provare i fatti principali del diritto dedotto in giudizio (nel caso costitutivi), non incorrano nelle preclusioni di legge (cfr. articoli 183 c.p.c. e 152, lettera e, del D.lgs. 26 agosto 2016, n.174), essendo al più annoverabili tra gli atti destinati a provare i fatti cosiddetti secondari, ossia quei fatti che non potrebbero mai implicare la proposizione, o la modificazione, di una domanda o di una eccezione, ma potrebbero rilevano indirettamente per la decisione della causa (potendo dagli stessi desumersi, specialmente attraverso il meccanismo delle presunzioni, l’esistenza, l’inesistenza o un modo di essere dei fatti principali).
Ciò premesso, va rammentato che l’istituto del riscatto, applicato ai corsi di studio richiesti per il conseguimento di diplomi abilitanti all’esercizio di attività professionali specifiche, consente di computare ai fini pensionistici – previo pagamento del previsto contributo – periodi che, pur non avendo dato luogo a prestazioni lavorative a favore dell’ente datore di lavoro, hanno tuttavia rappresentato una indispensabile fase propedeutica all’espletamento del servizio, nelle ipotesi in cui il diploma costituisca requisito richiesto per il posto ricoperto.
Per ciò che attiene, in particolare, alla frequentazione del corso di studio di infermiere professionale, l’articolo 24 della legge del 22/11/1962, n. 1646, aveva già previsto la possibilità, ancorché limitata al personale iscritto alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali, di poter riscattare l’allora biennio, corrispondente al predetto corso, frequentato presso una scuola convitto istituita ai sensi degli artt. 130 e 131 del testo unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265 (come è nel caso di specie), purché il diploma conseguito fosse prescritto per l’ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera.
Il Legislatore, con legge n. 124 del 25 febbraio 1971, aveva, poi, apportato modifiche sui requisiti di ammissione alle scuole per infermieri professionali prevedendo, per l’accesso alle predette scuole, il possesso del diploma di istruzione secondaria di primo grado e, a partire dall’inizio dell’anno scolastico 1973-74, anche di un certificato attestante l’ammissione al terzo anno di scuola secondaria di secondo grado o titolo equipollente, dopo il conseguimento del diploma di istruzione secondaria di primo grado (cfr. art. 2).
In seguito, con D.P.R. n° 867/75, il corso di studi per il conseguimento del diploma di Stato di infermiere professionale è stato ripartito in tre anni scolastici, a decorrere dall’anno scolastico 1975-76, mentre nulla è stato innovato per i requisiti richiesti per essere ammessi alla frequentazione.
Intervenute diverse pronunce della Corte Costituzionale, con le quali era stata affermata l’illegittimità costituzionale delle norme relative ai riscatti dei periodi di studio per il conseguimento di determinati titoli, ove queste non prevedessero la facoltà di valorizzazione dei periodi corrispondenti a quei corsi di specializzazione e para-universitari, il cui diploma fosse richiesto come condizione per partecipare ai concorsi e per l’ammissione in servizio in determinati profili professionali (sentenze n. 765/1988; n. 535/1990 e n. 52/2000; n. 133/1991, e diverse altre), il Legislatore, nel prendere atto di detto indirizzo, seppur limitatamente al personale iscritto alle Casse amministrate dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza, ha emanato la legge 8 agosto 1991 n. 274 (recante, tra l’altro, modifiche e integrazioni degli ordinamenti delle Casse in argomento), che all’art. 8, comma uno, ha previsto la possibilità del riscatto di periodi (non inferiori a un anno) corrispondenti alla durata legale dei corsi di formazione professionale, seguiti dopo il conseguimento del titolo di studio di istruzione secondaria superiore, e riconosciuti dallo Stato, dalle Regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano” (cfr. lettera b).
Emerge con chiarezza, vuoi dalle pronunce della Consulta, vuoi dall’intervento specifico del Legislatore, la generale tendenza a valorizzare la frequenza di tutti quei corsi che hanno ritardato l’accesso al lavoro dei dipendenti pubblici che ricoprono determinate posizioni funzionali, rispetto ad altre qualifiche che richiedono un titolo di minor valore, e a compensare la professionalità acquisita per l’ingresso in servizio, qualora i relativi titoli di studio siano richiesti come condizione necessaria ed indispensabile per il posto da ricoprire.
Peraltro, in tutti le occasioni, è stato costantemente affermato il principio, come sancito espressamente dal Legislatore, che il riscatto fosse consentito solo a condizione che i corsi professionali fossero frequentati dopo aver conseguito il diploma di istruzione secondario superiore.
Anche questa Sezione (cfr. sentenze n. 146 del 2 luglio 2014 e 41 del 18 marzo 2015), nel ritenere che le pronunce della Consulta abbiano ampliato e completato il contenuto delle norme censurate, nel senso di riconoscere meritevole di considerazione, ai fini dell’istituto del riscatto, la preparazione professionale, acquisita dagli interessati quando la stessa sia indispensabile per accedere al posto ricoperto (seppure limitatamente alle norme censurate, in particolare art. 69 del r.d. n. 680 del 1938, e art. 24 della legge n. 1646 del 1962), ha sempre valutato che la frequenza dei corsi sia avvenuta previo possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore.
In tale linea si colloca anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 52 del 9-15 febbraio 2000 la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, ha affermato il seguente principio (già espresso con l’ordinanza n. 210 dell’8-16 gennaio 2000): “nell’attuale assetto normativo, che consente il riscatto dei corsi di studi superiori, l’omessa previsione della riscattabilità di un periodo di studi integra una violazione della Costituzione, per irragionevolezza, quando ricorrono le seguenti due condizioni: a) il corso di studi abbia natura universitaria o post-secondaria (accompagnato in questo caso dal precedente possesso di titolo di studio di scuola secondaria superiore); b) il relativo diploma ovvero la frequenza con profitto e con superamento di prova finale di corso di specializzazione (di livello post-secondario) siano richiesti per l’ammissione a determinati ruoli o per lo svolgimento di determinate funzioni o per la progressione in carriera”.
Seppure nel caso in esame possa ritenersi che la qualificazione “specializzante” del corso di infermiere professionale sia stata assunta in legge, ancorché con previsione settoriale, da sempre la giurisprudenza contabile ha statuito che la natura specializzante deve coesistere con l’altro requisito normativamente richiesto, ovvero il possesso di diploma di scuola secondaria superiore, essendo tali elementi i necessari presupposti affinché si verifichi il “ritardo” nell’accesso al lavoro cui è stata, dal Legislatore prima e dalla giurisprudenza poi, ricollegata la possibilità del riscatto (cfr. Sezione Terza Centrale, sentenze n. 347/2002 e n. 198/2012).
Ciò premesso deve essere rilevato che, nel caso di specie, manca uno dei requisiti fondamentali affinché possano trovare applicazione i principi enucleabili dalle pronunce del Giudice delle Leggi e ulteriormente ribaditi, in fase applicativa dall’INPDAP, all’epoca competente in materia, con nota informativa n. 2, del 17 giugno 1998 (ove si legge, chiaramente che nell’ipotesi in cui l’interessato sia in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e abbia iniziato il corso a partire dall’anno scolastico 1975/76, qualora non sia stato emanato alcun provvedimento di riscatto, il periodo corrispondente al biennio dovrà essere valorizzato ai sensi dell’art. 24 della L.1646/62).
Difatti, dalla documentazione versata in atti dal ricorrente, emerge con evidenza che egli ha conseguito sia il diploma di scuola media superiore, sia la laurea in infermieristica in costanza di rapporto di impiego e, dunque, successivamente alla frequentazione del corso.
Né può ritenersi sostitutivo del titolo di istruzione secondaria superiore l’avvenuta ammissione al terzo anno di un istituto di secondo grado, che seppur previsto quale requisito utile ai fini della frequentazione del corso di infermiere professionale, quantomeno da una certa data in poi, non rientra tra i presupposti ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza richiamata, o dalla legislazione settorialmente intervenuta.
Ne consegue che vengono meno le ragioni che hanno consentito, in assenza di un puntuale intervento legislativo in merito, e in applicazione estensiva dei principi enunciati dalla Corte costituzionale, il riconoscimento ai fini del riscatto di periodi di studio che per così dire, sostituiscano la frequentazione di corsi universitari, ma tra i quali non possono essere ricompresi, all’evidenza, quelli frequentabili, o frequentati, senza aver acquisito il diploma di scuola secondaria superiore (diploma in senso proprio), non essendo ravvisabile in tali fattispecie l’esigenza di “compensare”, attraverso la possibilità del riscatto, il ritardo nell’ingresso al lavoro derivato dalla frequentazione di corsi specializzanti, dopo il diploma di cui si è detto.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Quanto alle spese, va evidenziato che trattasi di ricorso depositato dopo l’entrata in vigore dell’art. 92 c.p.c., nel testo risultante dall’art. 13, del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modif. in legge 10 novembre 2014, n. 162, in forza del quale la compensazione, totale o parziale può essere disposta esclusivamente quando vi è soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Non versandosi in tali ipotesi, sono da porre a carico della parte soccombente le spese del giudizio, da liquidare tenuto conto del valore della causa, della non particolare difficoltà della controversia e della durata del processo. Le stesse, in assenza di apposita notula e considerata la complessità della causa e l’attività svolta, in applicazione dei criteri dettati dal DM 10 marzo 2014, n. 55, si liquidano equitativamente in euro ottocento, incluso il rimborso spese forfettarie (ex art. 2, comma 2 DM citato), al netto di IVA e oneri di legge, per ciascuna delle convenute Amministrazioni.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso proposto dal signor E. S..
– condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’ Università degli Studi di Cagliari, delle spese di giudizio, che si liquidano nell’importo di € 800,00 (euro ottocento/00) al netto di IVA e oneri di legge;
– condanna altresì il ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese di giudizio, che si liquidano nell’importo di € 800,00 (euro ottocento/00) al netto di IVA e oneri di legge.
Fissa in trenta giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 22 febbraio 2017.
Depositata in Segreteria il 10 marzo 2017.