La norma dell’art. 6, comma 7, l. 15 febbraio 1958 n. 46 non può essere interpretata nel senso che – essendo imprescrittibile il sottostante diritto a pensione – il superamento del termine di novanta giorni per l’impugnazione del provvedimento amministrativo del diniego di riscatto, a fini pensionistici, dei periodi di studio avrebbe il solo effetto di impedire l’annullamento dei relativi atti amministrativi, ma lascerebbe integra la possibilità di accertamento giudiziale del diritto al riscatto. Si deve invece ritenere che la disposizione richiamata abbia stabilito un vero e proprio termine decadenziale, di talché il ricorso proposto trascorsi novanta giorni dalla comunicazione dei provvedimenti in materia di riscatto deve essere dichiarato inammissibile. La previsione del termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi di diniego di riscatto ha l’evidente finalità di rendere certa e intangibile una situazione che si riverbera sul trattamento di quiescenza al momento in cui un dipendente viene collocato a riposo. Trattandosi di un termine perentorio, non appare possibile ipotizzare una rimessione in termini, peraltro riconosciuta in giurisprudenza solo in ipotesi eccezionali connesse a situazioni o cause non imputabili al ricorrente, quali il caso fortuito o la forza maggiore, considerato che, ove si ammettesse tale possibilità in via generale, si finirebbe per escludere la certezza del diritto.
Corte dei conti reg., Sardegna, 6 dicembre 2017, n. 150
Riscatto dei periodi di studio – Termine decadenziale impugnazione provvedimenti di diniego
Sent. N. 150/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23.986 del registro di Segreteria, proposto dalla signora L. M., nata a Omissis il Omissis, residente in Omissis, Omissis, contro l’ Università degli Studi di Cagliari.
Udito, nella pubblica udienza del 23 novembre 2017, l’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], in rappresentanza dell’ Università degli Studi di Cagliari. Non presente né rappresentata la ricorrente.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Ritenuto in
FATTO
Con atto depositato in data 13 giugno 2017, la signora L. M. ha proposto ricorso avverso il provvedimento dell’ Università degli Studi di Cagliari n. 58496 del 7 novembre 2016, con il quale erano state respinte le domande, prot. n. 10694 del 31 agosto 1992, e prot. 18090 del 30 settembre 2003, presentate per ottenere il riscatto, ai fini pensionistici, del corso triennale di Infermiere professionale frequentato presso la USL n. 16 di Iglesias dal luglio 1982 al luglio 1985, conclusosi col conseguimento del relativo diploma, in data 27 novembre 1985.
La ricorrente ha allegato al ricorso il diploma di maturità scientifica conseguito nell’anno scolastico 1973-1974 e, dunque, precedente il corso specializzante frequentato presso la Scuola per Infermieri professionali “[#OMISSIS#] di Piemonte”, istituita con Decreto Interministeriale del 30 luglio 1937.
Dal ricorso e dalla documentazione allegata non è dato evincere quando la ricorrente abbia assunto servizio presso l’ Università degli Studi.
A sostegno della pretesa, la signora L. M. ha richiamato alcune pronunce della Corte Costituzionale (sent. n. 133/1991; n. 280/1991; n. 426/1990 e n. 178/1993), le sentenze di questa Sezione n. 146/2014 e n. 41/2016 ed ha precisato che l’Amministrazione di appartenenza non avrebbe fatto applicazione dei criteri dettati dalla circolare INPDAP n. 2 del 17 giugno 1998 ai fini del riconoscimento del diritto al riscatto.
Il ricorso è stato notificato all’ Università in data 19 settembre 2017.
L’ Università degli Studi di Cagliari si è costituita in giudizio a ministero dell’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], depositando memoria difensiva in data 13 novembre 2017, con la quale sono state formulate conclusioni di inammissibilità del ricorso in via pregiudiziale, ovvero di rigetto nel merito per infondatezza.
A sostegno delle rassegnate conclusioni, premesso che la ricorrente era stata nominata infermiere professionale di ruolo a decorrere dal 24 settembre 1987 (Decreto Rettorale n. 2741), è stato sostenuto quanto segue.
Con nota del 5 ottobre 2016 (assunta al protocollo generale d’Ateneo al n. 44717 dell’11.10.2016), la signora L. M. aveva chiesto, ai sensi dell’art. 22 e seguenti della L. 241/90, e successive modifiche e integrazioni, di poter esercitare il proprio diritto di accesso al documento con il quale aveva, a suo tempo, chiesto il riscatto del corso triennale di Infermiere professionale, necessario per il riconoscimento ai fini pensionistici del detto periodo (istanze presentate il 31 agosto 1992 e il 30 settembre 2003).
L’Amministrazione universitaria, con nota. prot. n. 558496, del 28.10.2016, respingeva le domande di riscatto, provvedendo a trasmettere il provvedimento all’interessata a mezzo raccomandata A/R, ricevuta l’11.11.2016 (come risulta dalla cartolina di avviso di ricevimento, versata in atti).
Pertanto, la ricorrente aveva l’onere di presentare il ricorso entro il termine di novanta giorni, previsto dagli articoli 71, comma 2, del R.D. n. 680/1938 e 6, comma 7, della legge n. 46/1958, a pena di decadenza (al riguardo sono state richiamate le sentenze n. 356/2012 e 469/2012, emesse da questa Sezione).
È stato, altresì eccepito il difetto di contraddittorio, non avendo la ricorrente medesima chiamato in giudizio l’INPS, al fine di rendere opponibile all’Istituto la sentenza che eventualmente accerti il diritto al riscatto, per le conseguenze che questo avrebbe sul diritto e sulla misura del trattamento pensionistico.
Nel merito, è stato sostenuto che erroneamente la ricorrente riterrebbe applicabili gli articoli 24 della l. n. 1646/1962 e 69 del r.d. n. 680/1938, specificamente diretti a disciplinare la materia per il personale iscritto alla ex CPDEL e, in quanto tali, non estensibili ai dipendenti universitari, iscritti alla Cassa Dipendenti dello Stato.
Per questi ultimi troverebbe applicazione l’art. 13, comma 1, del DPR n. 1092/1973, che limiterebbe, anche nell’interpretazione da ultimo data dal Giudice delle Leggi (sentenza n. 52/2000), la possibilità del riscatto a corsi di studi svolti presso istituti o scuole riconosciuti di livello superiore (post-secondario), quando il relativo diploma o titolo di studio di specializzazione o di perfezionamento sia richiesto, in aggiunta ad altro titolo di studio, per l’ammissione in servizio di ruolo o per lo svolgimento di determinate funzioni.
Orbene, il titolo di studio di scuola secondaria superiore non potrebbe che essere il diploma di scuola media superiore, che deve essere posseduto dall’interessato prima dell’accesso al corso di studi di natura universitaria o post-secondaria, diploma mai depositato, ad opera della ricorrente, presso gli uffici dell’Amministrazione.
All’udienza del 23 novembre 2017, l’Avvocato [#OMISSIS#], per l’ Università , ha integralmente richiamato le conclusioni in atti, insistendo affinché sia acclarata l’eccepita decadenza e, in caso contrario, affinché sia disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS.
Considerato in
DIRITTO
1. In via preliminare, va esaminata l’eccezione di decadenza formulata dalla convenuta Amministrazione Universitaria.
Al riguardo deve essere ricordato che a mente degli articoli 71, comma 2, del R.D. 3 marzo 1938 n. 680 (recante Ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali) e art. 6, comma 7, della legge 15 febbraio 1958 n. 46 (recante Nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato) è stato previsto il termine di novanta giorni, decorrenti dalla data della comunicazione del provvedimento con il quale si concede o si nega il riscatto, per presentare ricorso alla Corte dei conti.
La giurisprudenza contabile ha nettamente distinto le ipotesi relative alla presentazione della domanda di riscatto (cfr., da ultimo, questa Sezione, sentenza n. 126 del 27/10/2017), da presentarsi, a pena di decadenza, almeno due anni prima del raggiungimento del termine previsto per la cessazione dal servizio (ex art. 147 DPR n. 1092/1973), dalla impugnazione del provvedimento amministrativo che tale riscatto ha negato.
Sul punto, già da lungo tempo, è stato affermato il principio che la norma dell’art. 6, comma 7, l. 15 febbraio 1958 n. 46 non può essere interpretata nel senso che – essendo imprescrittibile il sottostante diritto a pensione – il superamento del termine avrebbe il solo effetto di impedire l’annullamento dei relativi atti amministrativi, ma lascerebbe integra la possibilità di accertamento giudiziale del diritto al riscatto (cfr. Sez. giurisdiz. Toscana, sentenza n. 341 del 21-06-1996), dovendosi ritenere, per contro, che la disposizione richiamata abbia stabilito un vero e proprio termine decadenziale, di talché il ricorso proposto trascorsi novanta giorni dalla comunicazione dei provvedimenti in materia di riscatto deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi, poi, del combinato disposto degli artt. 149 (“Definizione della domanda di computo”) e 255 (“Norme sul controllo e sull’impugnabilità dei provvedimenti in materia di riscatto ”) del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, la disposizione di cui al succitato art. 6, comma 7, della legge n. 46/1958 è applicabile anche ai provvedimenti relativi alle domande di riscatto di periodi di studio, rientrando dette domande nella previsione dell’art. 147 (“Servizi e periodi computabili a domanda”) dello stesso d.P.R. n. 1092/1973.
Ed invero, la Corte Costituzionale, con sentenza 14 gennaio 1975 n. 8, ha considerato pienamente compatibile con il carattere di imprescrittibilità del diritto a pensione l’imposizione di un termine di decadenza per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso provvedimenti negativi (in tutto o in parte), del riscatto di servizi e di studi, considerata la diversa natura e struttura del diritto al riscatto e di quello a pensione.
Più di recente (cfr. ordinanza del 27 novembre – 4 dicembre 2000, n° 544), lo stesso Giudice delle Leggi, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta con riferimento al predetto settimo comma dell’art. 6, ha sottolineato che il disposto normativo, nella parte in cui stabilisce il termine di decadenza di novanta giorni dalla notifica per l’impugnativa innanzi alla Corte dei Conti dei provvedimenti in materia di riscatto di servizi, è stato già oggetto di scrutinio da parte di questa Corte, che, con le ordinanze n. 126 del 1992 e n. 120 del 1991, ha dichiarato manifestamente infondate le rispettive questioni di costituzionalità, sollevate anche sotto il profilo di un’ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento tra la disciplina della pensione (non soggetta a termini decadenziali quanto all’impugnativa dei relativi provvedimenti) e quella del riscatto “che è ad essa finalizzato”, evidenziando, a tal fine, la “diversità tra il diritto di pensione e diritto al riscatto, il cui esercizio è ragionevolmente sottoposto ad un termine di decadenza, compatibile con la sua funzione.
Peraltro, come già statuito da questa Sezione (cfr. sentenza n. 469 del 17/10/2012) la previsione del termine decadenziale ha l’evidente finalità di rendere certa e intangibile una situazione che si riverbera sul trattamento di quiescenza al momento in cui un dipendente viene collocato a riposo e che, trattandosi di un termine perentorio, non appare possibile ipotizzare una rimessione in termini, peraltro riconosciuta in giurisprudenza solo in ipotesi eccezionali connesse a situazioni o cause non imputabili al ricorrente, quali il caso fortuito o la forza maggiore, considerato che, ove si ammettesse tale possibilità in via generale, si finirebbe per escludere la certezza del diritto.
Alla luce delle considerazioni che precedono deve quindi ritenersi che la signora L. M. sia incorsa nella decadenza comminata dalla legge, avendo ella ricevuto la comunicazione del provvedimento di diniego l’11 novembre 2016 ed avendo proposto ricorso solo in data 13 giugno 2017 (a sette mesi di distanza), con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Né può essere considerata causa idonea ad impedire la rilevata decadenza il fatto che, all’epoca della prima istanza, sussistessero incertezze interpretative sulla riscattabilità del periodo in questione, in quanto trattasi di circostanza, all’evidenza, non idonea ad impedire l’esercizio del diritto in sede giurisdizionale (cfr. Sezione Sardegna, sentenza n. 356 del 02/07/2012).
Quanto alle spese, ritiene questo Giudice di dover fare applicazione dell’art. 31, comma 3, del D.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, in forza del quale si può procedere alla compensazione delle stesse tra le parti, tra gli altri casi quando, come è avvenuto nella specie, si definisca il giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla signora L. M..
Spese compensate.
Fissa in venti giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 23 novembre 2017.
Depositata in Segreteria il 06/12/2017