Corte dei conti reg., Sicilia, 3 febbraio 2015, n. 121

Pensione di reversibilità per studenti universitari orfani maggiorenni – Irripetibilità e buona fede

Data Documento: 2015-02-03
Area: Giurisprudenza
Massima

Nessun affidamento incolpevole può essere tutelato quando il superstite non ottemperi agli obblighi di comunicazione legislativamente imposti, poiché il trattamento di reversibilità si caratterizza dall’essere suscettibile di modifiche anche in peius al mutamento della situazione reddituale dell’avente diritto, come, peraltro, disciplinato dal secondo comma dell’art. 86 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, laddove si afferma che “qualora dette condizioni (soggettive per il conseguimento del trattamento di riversibilità) vengano meno, la pensione di riversibilità è revocata”. Dunque, il mancato assolvimento degli obblighi di comunicazione posti a carico del beneficiario legittima il recupero di eventuali indebiti da parte dell’amministrazione in base agli ordinari criteri di ripetibilità, mancando in tal caso i presupposti per l’applicazione al riguardo di disposizioni speciali mitigatrici e derogatrici.Sui percettori di pensione, e, in particolare, di pensione di riversibilità, sussiste l’obbligo di comunicazione di qualsiasi evento che comporti la cessazione del pagamento ovvero la variazione della pensione stessa con l’immediata conseguenza che il puntuale accertamento dell’an e del quantum riferiti ai limiti di cumulabilità in argomento richiede per sua natura la collaborazione del beneficiario, il cui mancato assolvimento degli obblighi di comunicazione normativamente imposti non può creare alcun legittimo affidamento del percettore stesso nella giustezza del trattamento percepito, e non può dunque comportare qualificata tutela in caso di percezione di indebito per superamento dei limiti di reddito in questione, tanto più laddove si consideri che, non essendo prevista una predeterminata cadenza temporale per l’assolvimento del predetto obbligo di dichiarazione, l’amministrazione non posta a conoscenza del sopravvenire di un evento rilevante ragionevolmente prosegue nell’immodificata erogazione del trattamento in corso, senza che possa essere attribuito a sua negligenza il progressivo accumularsi di eventuali indebiti derivanti da erronea liquidazione.

Contenuto sentenza

PENSIONI
C. Conti Sicilia Sez. giurisdiz., Sent., 03-02-2015, n. 121
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte dei conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di pensione, iscritto al n. 59030 del registro di segreteria, proposto da B. F. nata a OMISSIS , rappresentata e difesa dall’avv. [#OMISSIS#] Gullo ed elettivamente domiciliata in Messina, via Cratamene is. 312, presso lo studio dell’avv. Antonimo Mangiò;
Contro
– INPS (ex gestione INPDAP) sede provinciale di Messina, rappresentata e difesa dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], giusta procura speciale alle liti conferita con atto del Notaio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] del 16 febbraio 2012, elettivamente domiciliato in Palermo, via F. [#OMISSIS#] 59;
VISTI il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19 e la L. 14 gennaio 1994, n. 20; la L. 21 luglio 2000, n. 205;
VISTI il ricorso e gli altri atti e documenti di causa;
UDITO, alla pubblica udienza del 28 gennaio 2015, l’avv. [#OMISSIS#] Gullo per la ricorrente e l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per delega orale dell’avv. [#OMISSIS#] per l’INPS.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in segreteria il 30 giugno 2011 e ritualmente notificato alla controparte, la sig.ra B. F. vedova di L. T. G. dal 20 settembre 2000, in quiescenza dal 1 settembre 2007, lamenta di aver ricevuto dall’INPDAP di Messina, la nota prot. n. 1552/2011 del 20 gennaio 2011, con la quale si comunicava, l’avvio della procedura di recupero della somma complessiva di Euro 54.662,69, di cui Euro 4.789,47 quali somme in più percepite, a titolo di compartecipazione, ai sensi dell’art. 82 del D.P.R. n. 1092 del 1973, dal sig. L. T. G. figlio del defunto sig. L.T. G., marito della ricorrente, ed Euro 49.873,22 per somme corrisposte in più sulla pensione iscrizione n. 12829882R, con una ritenuta cautelare di Euro 157,66, per il primo importo (Euro 4.789,47), ed un’altra ritenuta cautelare di Euro 142,49 per il secondo importo (Euro 49.873,22).
Tale indebito nascerebbe dal fatto che la sig.ra B. a norma dell’art. l, comma 41, della L. n. 335 del 1995, avrebbe diritto alla corresponsione della pensione di reversibilità nella misura pari al 50% della pensione stessa percependo redditi propri superiori a cinque volte il minimo INPS.
Nel ricorso parte ricorrente mette in evidenza, come la stessa non abbia dato causa all’errore nella determinazione della pensione; che alla morte del marito percepiva una retribuzione, quale insegnante di ruolo, superiore a cinque volte il minimo INPS; che tale circostanza era ben nota all’istituto previdenziale (l’INPDAP allora competente) atteso che al fine di ottenere la pensione di riversibilità aveva dovuto produrre documentazione attestante la situazione patrimoniale e reddituale; che al fine di ottenere la sua pensione diretta, dal 1 settembre 2007, aveva dovuto produrre il “modello 4B”, presente in atti, nel quale veniva chiaramente comunicata la titolarità di una pensione di riversibilità.
Pertanto, parte ricorrente sostiene la sua assoluta buona fede e il suo legittimo affidamento nella correttezza dell’operato dell’amministrazione nella determinazione del quantum della pensione.
Nel ricorso veniva chiesta preliminarmente la sospensione del provvedimento di recupero.
In data 17 ottobre 2011 si costituiva in giudizio l’INPDAP che, al contrario, sosteneva l’assoluta doverosità del recupero atteso che l’indebito è stato determinato, in conseguenza del venir meno del diritto, a decorrere dal 1 novembre 2003, della quota di compartecipazione dell’orfano maggiorenne, dalla cessazione della non assoggettabilità ai limiti di reddito della pensione di riversibilità ai sensi dell’art. 1, comma 41, della L. n. 335 del 1995.
Alla camera di consiglio del 27 ottobre 2011 fissata per la discussione dell’istanza cautelare, il Giudice con ordinanza 290/2011 concedeva la sospensione del provvedimento di recupero.
In data 23 dicembre 2014, si costituiva in giudizio l’INPS, successore ex lege dell’INPDAP ai sensi dell’art. 21 del D.L. n. 201 del 2011 convertito nella L. n. 214 del 2011, che sostanzialmente riprendeva e faceva proprie le difese, domande ed eccezioni apprestate dall’INPDAP.
All’odierna udienza le parti hanno diffusamente confermato le proprie conclusioni e la causa, pertanto, è stata posta in decisione.
Motivi della decisione
Dall’esame del ricorso e della difesa di controparte, ad avviso di questo Giudice, non è riscontrabile la buona fede di parte ricorrente e, dunque, un affidamento incolpevole da tutelare.
Come si evince dagli atti, l’indebito è stato determinato dall’illegittima percezione della quota di compartecipazione della pensione di reversibilità per il figlio, L. T. G. poiché non risultato in regola con la frequenza del corso universitario sin dal 1 novembre 2003 a seguito della richiesta dell’INPDAP datata 1 dicembre 2004. La normativa applicabile al caso in esame risulta chiara ed inequivocabile.
L’art. 82 del D.P.R. n. 1092 del 1973 riconosce il diritto al trattamento pensionistico di reversibilità agli orfani minorenni del dipendente o del pensionato. Il successivo secondo comma equipara ai suddetti, gli orfani maggiorenni iscritti all’università o ad istituti superiori equiparati, per tutta la durata del corso legale degli studi e, comunque, non oltre il ventiseiesimo anno di età.
Orbene, dal quadro normativo richiamato si evince che l’orfano maggiorenne ha diritto di percepire l’emolumento per tutta la durata degli studi se al momento del decesso del genitore era in possesso dei seguenti requisiti: a) l’essere iscritto ad università o a istituti superiori equiparati; b) trovarsi in regola con l’iscrizione all’anno di corso accademico; b) non aver superato il ventiseiesimo anno di età.
Per quanto qui occupa, deve, peraltro, aggiungersi che con l’art. 1, comma 41, della L. 8 agosto 1995, n. 335, è stato stabilito che la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria è estesa a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime e che, “in caso di presenza di soli figli di minore età, studenti, ovvero inabili, l’aliquota percentuale della pensione è elevata al 70 per cento limitatamente alle pensioni ai superstiti aventi decorrenza dalla data di entrata in vigore della stessa legge”. Afferma, inoltre, che “i limiti di cumulabilità non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore età, studenti ovvero inabili, individuati secondo la disciplina di cui al primo periodo del presente comma”.
Orbene, tale normativa di favore impone ai superstiti precisi obblighi di comunicazione ed, in particolare, ai sensi dell’art. 197, settimo comma, T.U. 1092 del 1973: “E’ fatto obbligo al titolare di pensione o di assegno rinnovabile di comunicare alla competente direzione provinciale del tesoro (all’epoca all’INPDAP) il verificarsi di qualsiasi evento che comporti la cessazione del pagamento ovvero la variazione della misura della pensione o dell’assegno nonché la riduzione o la soppressione degli assegni accessori…”.
Pertanto, appare di tutta evidenza come nessun affidamento incolpevole può essere tutelato quando il superstite non ottemperi agli obblighi di comunicazione legislativamente imposti, poiché il trattamento di reversibilità si caratterizza dall’essere suscettibile di modifiche anche in peius al mutamento della situazione reddituale dell’avente diritto, come, peraltro, disciplinato dal secondo comma dell’art. 86 del T.U. citato, laddove si afferma che “qualora dette condizioni (soggettive per il conseguimento del trattamento di riversibilità) vengano meno, la pensione di riversibilità è revocata”.
Ciò poiché, come già osservato, l’art. 1, comma 41, della L. n. 335 del 1995, prevede precisi limiti al cumulo dei redditi in caso di erogazione della pensione di riversibilità ai superstiti, indicati espressamente nella tabella F allegata alla legge.
In particolare, la legge (ultimo comma dell’art. 86 citato, sostituito dall’art. 30L. n. 177 del 1976) impone al superstite lo specifico obbligo di comunicare tempestivamente il mutamento delle proprie condizioni economiche.
Le norme sopra citate non lasciano spazi a dubbi interpretativi che possano dare ingresso, nel caso di specie, alla tutela della buona fede, atteso che non appare dubitabile che parte ricorrente, omettendo di comunicare la causa di cessazione del diritto del figlio maggiorenne alla compartecipazione, non si sia comportata secondo quei canoni di correttezza, solidarietà e leale cooperazione necessari per la sussistenza del legittimo affidamento.
Orbene, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’escludere la buona fede del percipiente in tutte quelle ipotesi in cui, sussistendo un obbligo di informazione alla pubblica amministrazione da parte del beneficiario del trattamento pensionistico, questo sia stato disatteso (cfr., ex multis, Sezione I app., n. 318 e n. 573 del 2009; Sezione app. Sicilia, n. 257 del 2010).
In altri termini, al fine di evitare procedure di recupero, sarebbe stato onere dei superstiti comunicare tempestivamente il mutamento dello status quo ante per il venir meno di uno dei requisiti previsti dalla norma su richiamata.
Questo Giudice condivide pienamente quanto affermato nella sentenza n.4/2008/QM delle Sezioni Riunite di questa Corte secondo cui sui percettori di pensione, e, in particolare, di pensione di riversibilità, sussiste l’obbligo di comunicazione di qualsiasi evento che comporti la cessazione del pagamento ovvero la variazione della pensione stessa “con l’immediata conseguenza che il puntuale accertamento dell’an e del quantum riferiti ai limiti di cumulabilità in argomento richiede per sua natura la collaborazione del beneficiario, il cui mancato assolvimento degli obblighi di comunicazione normativamente imposti non può creare alcun legittimo affidamento del percettore stesso nella giustezza del trattamento percepito, e non può dunque comportare qualificata tutela in caso di percezione di indebito per superamento dei limiti di reddito in questione, tanto più laddove si consideri che, non essendo prevista una predeterminata cadenza temporale per l’assolvimento del predetto obbligo di dichiarazione, l’Amministrazione non posta a conoscenza del sopravvenire di un evento rilevante ex art. 1, comma 41, della L. n. 335 del 1995 ragionevolmente prosegue nell’immodificata erogazione del trattamento in corso, senza che possa essere attribuito a sua negligenza il progressivo accumularsi di eventuali indebiti derivanti da erronea liquidazione”.
Va dunque osservato che il mancato assolvimento degli obblighi di comunicazione posti a carico del beneficiario, legittima il recupero di eventuali indebiti da parte dell’Amministrazione in base agli ordinari criteri di ripetibilità, mancando in tal caso i presupposti per l’applicazione al riguardo di disposizioni speciali mitigatrici e derogatrici.
Da ciò ne consegue che, per quanto riguarda il diritto alla compartecipazione a favore del figlio L. T. G. la ricorrente avrebbe dovuto fare la suddetta dovuta comunicazione sin dal giorno in cui costui si era iscritto al primo anno fuori corso.
L’operato dell’Inpdap (ora INPS), pertanto, risulta legittimo poiché conforme alle norme surriferite, da cui emerge, peraltro, che è onere dei superstiti comunicare all’Istituto eventuali modifiche che incidano sull’an e sul quantum del trattamento di reversibilità.
La sospensione della quota di compartecipazione ha, conseguentemente, comportato la rideterminazione della pensione di riversibilità della ricorrente secondo le variazioni della tabella F allegata alla L. n. 335 del 1995 e la sua assoggettabilità ai limiti di reddito di cui al citato art. 1, comma 41 della L. n. 335 del 1995.
Deve essere altresì rigettata l’eccezione di prescrizione quinquennale avanzata da parte ricorrente perché, trattandosi di indebito oggettivo ex art. 2033 del c.c., il termine di prescrizione è quello ordinario decennale. Il provvedimento di recupero prot. 1522/2011 del 20 gennaio 2011, in relazione ad indebiti aventi decorrenza dal 1 novembre 2003, deve pertanto essere dichiarato tempestivamente proposto.
Per tutto quanto sopra, il presente ricorso deve essere rigettato con la conseguente dichiarazione di ripetibilità della somma di Euro 54.662,69, salvo quanto già trattenuto prima dell’ordinanza di sospensione 290/2011 di questa Sezione.
Tenuto conto della complessità e specificità della questione trattata, sussistono giustificati motivi per dichiarare la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, in funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e per l’effetto dichiara la ripetibilità della somma di Euro 54.662,69, salvo quanto già trattenuto prima dell’ordinanza di sospensione 290/2011 di questa Sezione.
Spese compensate.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015.
Depositata in Cancelleria 3 febbraio 2015.