[X] Si verte in ipotesi di occultamento doloso del danno per la quale, a mente dell’art. 1, comma 2, l. 14 gennaio 1994, n. 20, la decorrenza del termine di prescrizione è differito alla scoperta del danno qualora il dirigente medico/ricercatore universitario abbia taciuto lo svolgimento della non consentita attività professionale presso una clinica privata, percependo i compensi di tale lavoro in modo da occultarne la provenienza; così facendo ha continuato a percepire le differenze retributive contestatele atte a remunerare il regime di esclusività prescelto.Dal quadro normativo di riferimento emerge con assoluta chiarezza che il rapporto di lavoro del dirigente medico in regime di intramoenia, contemporaneamente ricercatore universitario a tempo pieno, è connotato da una generale incompatibilità allo svolgimento della libera professione e che la disciplina di settore intende assicurare la totale disponibilità del medico allo svolgimento delle funzioni dirigenziali evitando possibili conflitti di interessi o forme di concorrenza sleale.Sono utilizzabili, quali fonti di prova, le intercettazioni telefoniche e ambientali e la sentenza penale di condanna (non irrevocabile), utilizzate dall’attore pubblico per delineare la fattispecie concreta da cui fare emergere la responsabilità del pubblico dipendente, in quanto vanno ritenute ammissibili nel giudizio di responsabilità le prove c.d. atipiche (tra cui si annoverano gli atti dell’istruttoria penale o amministrativa), non sussistendo nel vigente ordinamento processuale una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova.È corretta la quantificazione del danno derivante dalla violazione del regime di esclusività in misura pari alle differenze retributive corrisposte dal policlinico al sanitario per la remunerazione di tale vincolo e per l’assegno percepito dall’università per il tempo pieno.In ordine al danno da disservizio, la giurisprudenza contabile lo ritiene sussistente allorquando l’azione non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall’impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse; in tali casi vi sarebbe un pregiudizio effettivo, concreto ed attuale coincidente con il maggiore costo del servizio, nella misura in cui questo si riveli inutile per l’utenza.Nel settore dei pubblici servizi, il danno da disservizio è correlato al mancato conseguimento delle utilità che ci si prefigge di ricavare dall’investimento di una certa quantità di risorse, umane e strumentali, ovvero ai costi generali sopportati dalla pubblica amministrazione in conseguenza del mancato conseguimento della legalità, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della produttività dell’azione amministrativa. Infine, è riconosciuto sussistente un danno da disservizio in ipotesi di rottura del rapporto sinallagmatico tra prestazione lavorativa e corrispettivo ricevuto, da parte di pubblici dipendenti, laddove la funzione pubblica esercitata è stata deviata dal fine pubblico per ricevere indebite prestazioni di denaro o di altri beni.L’inosservanza dei doveri di servizio da parte del pubblico dipendente, consistito anche nello sviamento dei pazienti dell’unità oncologica verso una struttura privata, è capace di procurare una generale diminuzione di efficienza dell’amministrazione ospedaliera, che avrà diritto al risarcimento del danno da disservizio, ma non dell’amministrazione universitaria.Ai fini della quantificazione del danno da disservizio, si reputa che le attività professionali esterne svolte dal pubblico dipendente non abbiano comportato la totale inosservanza degli obblighi scaturenti dal rapporto di servizio con l’azienda ospedaliera per il periodo in contestazione. Da ciò l’impossibilità di ritenere tale danno in toto corrispondente alla base stipendiale liquidata alla convenuta.
Corte dei conti reg., Sicilia, 4 luglio 2017, n. 416
Dirigente medico – Ricercatore a tempo pieno – Danno da disservizio – Danno per violazione del rapporto di esclusività
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai seguenti magistrati:
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Presidente
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere – relatore
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Primo referendario
SENTENZA N. 416/2017
Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 63692 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale
nei confronti di
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], nata a Palermo il 17 ottobre 1968, rappresentata e difesa dall’Avv. [#OMISSIS#] Zummo ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Palermo nella via G. [#OMISSIS#] n. 7. Il difensore ha dichiarato di volere ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio all’indirizzo di posta elettronica certificata: avvocatodanielezummo@pec.it o a mezzo fax al numero 091/6707813;
Esaminati gli atti e i documenti di causa
Uditi, nella pubblica udienza del 12 aprile 2017 il relatore, dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], il pubblico ministero dott. [#OMISSIS#] Albo e l’Avv. [#OMISSIS#] Zummo per la convenuta.
Ritenuto in
FATTO
1. Con atto di citazione depositato in data 8 settembre 2016 e ritualmente notificato all’interessata, la Procura regionale conveniva in giudizio la dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] chiedendo che venisse affermata la sua responsabilità per il danno erariale cagionato all’Azienda Ospedaliera Policlinico “[#OMISSIS#] Giaccone” di Palermo e all’ Università degli studi di Palermo, ascendente complessivamente ad € 191.858,18, oltre rivalutazione ed interessi legali, di cui € 97.297,66 in favore del Policlinico ed € 94.560,52 in favore dell’ Università .
Il requirente imputava alla convenuta, dirigente medico oncologo presso il Policlinico e ricercatore presso l’ Università di Palermo, di avere illecitamente strumentalizzato il rapporto di servizio e violato il regime di esclusività che la legava ai predetti enti per avere svolto, negli anni dal 2007 al 2009, attività libero professionale presso lo studio Adile e la casa di cura privata “Latteri” di Palermo, convenzionata con il SSN, presso la quale avrebbe altresì dirottato i pazienti dell’azienda ospedaliera percependo una percentuale del fatturato della clinica.
Il pubblico ministero premetteva di avere ricevuto, in data 23.11.2011, la comunicazione ex art. 129 disp.att. c.p.p. concernente il rinvio a giudizio della [#OMISSIS#], insieme ad altri soggetti, per il delitto di concorso in truffa aggravata e continuata e di corruzione. Asseriva altresì di avere ricevuto segnalazione del dispositivo della sentenza n. 6056/2015 del 23.11.2015 con cui il Tribunale di Palermo – V Sez. penale dichiarava l’imputata colpevole di concorso in truffa aggravata e continuata e di concorso in abuso d’ufficio continuato e la condannava alla pena di cinque anni di reclusione, ad € 1.600,00 di multa nonché all’interdizione dai pubblici uffici dichiarandone lo stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena.
Le prove su cui la Procura regionale ha fondato la propria tesi accusatoria erano tratte dall’informativa dei NAS contenente diverse intercettazioni telefoniche ed ambientali di cui l’atto di citazione riporta molti brani ritenuti significativi.
Dopo l’excursus delle fonti normative disciplinanti il regime di esclusività dei dirigenti medici del SSN, il pubblico ministero individuava due autonome fattispecie di danno erariale ascrivibili alla condotta della [#OMISSIS#], ovvero un danno da disservizio e un danno per la violazione del rapporto di esclusività, quantificando il primo in misura pari alla retribuzione base corrisposta alla convenuta negli anni dal 2007 al 2009, tanto dall’Azienda Policlinico quanto dall’ Università degli studi di Palermo, ed il secondo per la differenza tra quanto percepito e quanto dovuto nell’ipotesi in cui il dirigente medico avesse operato in regime di non esclusività. Tale ultima voce di danno riguardava il triennio 2007/2009 per il Policlinico e il biennio 2008/2009 per l’ Università , in quanto nel 2008 la [#OMISSIS#] era divenuta ricercatore confermato e avrebbe potuto optare per il tempo definito, regime compatibile con l’attività libero professionale.
L’attore pubblico assumeva che il comportamento tenuto dal dirigente medico fosse connotato dal dolo o, in via subordinata, da inescusabile negligenza.
Il danno contestato ascendeva, nel suo complesso, ad € 191.858,18, cui si perveniva sommando gli importi per le singole voci di danno per come segue: € 87.163,74 per il danno da disservizio arrecato al Policlinico ed € 10.133,92 per la violazione del dovere di esclusività nei confronti della medesima Azienda ospedaliera (totale della pretesa risarcitoria € 97.297,66) nonché € 76.312,12 per il danno da disservizio cagionato all’ Università degli studi di Palermo ed € 18.248,40 per essere venuta meno al dovere di esclusività nei confronti del suddetto ateneo (complessivo risarcimento richiesto pari ad € 94.560,52).
Parte attrice riferiva che, a seguito di notifica dell’invito a dedurre la [#OMISSIS#] aveva fatto pervenire deduzioni difensive ed era anche stata ascoltata; tuttavia il requirente non riteneva tali difese idonee a superare gli addebiti contestati e la conveniva in giudizio ritenendo, in particolare, quanto all’eccezione di prescrizione prospettata dall’interessata, che il decorso del termine prescrizionale fosse da riferire alla data di ricevimento, da parte della Procura regionale, della comunicazione di esercizio dell’azione penale.
La [#OMISSIS#] si costituiva, con memoria depositata il 23.3.2017, con il patrocinio dell’Avvocato [#OMISSIS#] Zummo, eccependo, in primo luogo, la prescrizione del diritto azionato dalla Procura attrice poiché la scoperta del danno doveva farsi risalire al 2009, essendosi in tale momento concluse le indagini della Polizia giudiziaria con l’apertura del procedimento penale nei propri confronti, mentre la notificazione dell’invito a dedurre era avvenuta in data 6.6.2016, quando ormai il termine prescrizionale era ampiamente decorso.
Nel merito, affermava l’insussistenza nella propria condotta dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave nonché la mancanza del nesso causale tra la condotta tenuta e il danno contestatole.
Lamentava, inoltre, che l’azione esercitata dalla Procura regionale fosse unicamente fondata sugli stralci delle intercettazioni contenute nell’informativa dei NAS e sull’intervenuta condanna pronunciata dal Tribunale di Palermo con la sentenza n. 6056/2015 del 23.11.2015, che, nel frattempo, era stata gravata da appello.
Ancora, riteneva sfornita di prova la contestazione del pubblico ministero quanto agli elementi strutturali delle due tipologie di illecito ascrittele, posto che l’attività lavorativa da lei svolta alle dipendenze tanto dell’Azienda ospedaliera quanto dell’ Università era sempre stata esemplare e che i saltuari rapporti con la clinica Latteri, presso la quale ella aveva prestato servizio prima della formalizzazione dell’incarico presso la struttura pubblica, erano motivati dalla volontà di seguire il decorso clinico dei pazienti che aveva avuto in cura per diversi anni, con la precisazione che si era trattato di consulenza svolta a titolo gratuito. Al riguardo, riferiva che il reparto di oncologia medica del Policlinico era notoriamente inadeguato, sotto vari profili, per come attestato dai rapporti delle ispezioni svolte dai preposti organi di controllo.
Asseriva altresì di avere rispettato la disciplina all’epoca vigente che consentiva l’esercizio di attività libero-professionale in virtù delle disposizioni di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412/1999 (rectius, legge 30 dicembre 1991, n. 412).
Affermava, infine, di non avere mai dirottato i pazienti verso la clinica Latteri e di non avere percepito alcun compenso da questa se non gli arretrati per le prestazioni legittimamente svolte anteriormente al 2007. Rimarcava anche che, ove si accogliesse l’impostazione della pubblica accusa, il datore di lavoro pubblico, che si era giovato dell’attività professionale da lei svolta, si andrebbe ingiustamente ad arricchire in misura pari alle retribuzioni base corrisposte che il pubblico ministero ha ancorato a parametro di quantificazione del danno.
Infine, evidenziava che dalla richiamata sentenza penale di condanna non si evinceva alcuna imputazione con riguardo al rapporto di lavoro intrattenuto con l’ Università degli studi e che, pertanto, sotto questo profilo, l’attore pubblico avesse mosso contestazioni in alcun modo fondate sul quadro probatorio desumibile dal processo penale.
Nel chiedere, conclusivamente, la propria assoluzione da ogni addebito, la convenuta, in subordine, faceva istanza per l’esercizio del potere riduttivo.
All’udienza del 12 aprile 2017 il pubblico ministero insisteva nella propria domanda affermando, in primo luogo, la tempestività dell’azione esercitata, trattandosi di una chiarissima fattispecie di occultamento doloso del danno. Nel merito, richiamava gli arresti giurisprudenziali favorevoli alla piena utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, utili a ricostruire la vicenda da cui è scaturita l’azione della Procura contabile. Avuto riguardo al danno da disservizio, puntualizzava che l’infedeltà riscontrata nel comportamento della convenuta è stata tale da non giustificare la corresponsione della retribuzione.
L’Avvocato Zummo precisava che, pur volendo prendere a base delle odierne contestazioni la sentenza penale di condanna, non si rinvengono in tale pronuncia argomenti circa l’avvenuto dirottamento dei pazienti presso la struttura privata che, per inciso, forniva taluni servizi non disponibili presso l’Azienda ospedaliera. Rimarcava, poi, che l’impegno lavorativo della [#OMISSIS#] era sempre stato ritenuto eccellente, come si trae dalla relazione del dott. Gebbia sull’aumento di produttività registratosi nel Policlinico. In conclusione, contestava la quantificazione del danno operata dal pubblico ministero.
Considerato in
DIRITTO
1. Il presente giudizio ha ad oggetto il danno di € 97.297,66, asseritamente patito dall’Azienda Ospedaliera universitaria Policlinico “[#OMISSIS#] Giaccone” di Palermo e quello di € 94.560,52 sopportato dall’ Universitàdegli studi di Palermo, conseguenti al pagamento alla dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] dell’indennità di esclusività e della retribuzione base per il triennio 2007/2009 (a carico del Policlinico), delle differenze retributive tra il regime di tempo pieno e quello di tempo definito per il biennio 2008/2009 e delle retribuzioni corrispostele nel triennio 2007/2009 (a carico dell’ Università degli Studi di Palermo).
Il pubblico ministero imputava alla convenuta sia il danno discendente dalla violazione del generale dovere di esclusività, che la vincolava tanto all’Azienda ospedaliera quanto all’ Università , sia il danno da disservizio, per violazione integrale del rapporto sinallagmatico con le predette amministrazioni.
2. In via del tutto preliminare, appare necessario procedere all’esame dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta.
Nella memoria di costituzione si afferma che l’azione esercitata dalla Procura regionale sia intempestiva in quanto i fatti contestati risalgono al periodo 2007/2009 mentre l’invito a dedurre risulta notificato il 6.6.2016. Inoltre, sin dal 2009 le amministrazioni coinvolte, e la stessa Procura contabile, avrebbero avuto conoscenza delle indagini svolte nei confronti della dipendente, posto che l’iscrizione del suo nominativo nel registro notizie di reato risale appunto a quell’anno. Secondo la difesa, il dies a quo andrebbe, quindi, correttamente individuato in tale momento e non al 23.11.2011, data della comunicazione al pubblico ministero contabile, a mente dell’art. 129 disp. att. c.p.p., del rinvio a giudizio della [#OMISSIS#].
L’eccezione formulata non è fondata.
Nella specie si verte in ipotesi di occultamento doloso del danno per la quale, a mente dell’art. 1, secondo comma della legge n. 20 del 1994, la decorrenza del termine di prescrizione è differito alla scoperta del danno. Dalla ricostruzione dei fatti di causa si trae, infatti, che la convenuta abbia taciuto lo svolgimento della non consentita attività professionale presso la clinica privata “Latteri” di Palermo percependo i compensi di tale lavoro in modo da occultarne la provenienza; così facendo ha continuato a percepire le differenze retributive contestatele atte a remunerare il regime di esclusività prescelto.
Solo in data 23.11.2011 la Procura regionale ha ricevuto dalla Procura della Repubblica di Palermo la comunicazione della richiesta di rinvio a giudizio della convenuta per alcuni reati, tra cui anche quello di truffa ai danni della pubblica amministrazione, in riferimento alla corresponsione a suo favore degli importi contestati in questa sede. Solo, quindi, in tale momento è stato possibile rilevare la violazione dei vincoli imposti dal contratto di lavoro ed è, conseguentemente, emerso il correlato danno erariale. Peraltro, non vi è alcuna evidenza agli atti di quanto affermato dalla difesa circa l’avvenuta conoscenza del danno da parte dell’Amministrazione sin dal 2009.
3. Nel merito, occorre prima illustrare il quadro normativo di riferimento onde poi accertare la sussistenza del danno prospettato da parte attrice.
Per quanto concerne il rapporto di lavoro intrattenuto dalla [#OMISSIS#] con l’Azienda Policlinico “Giaccone”, quale dirigente medico del SSN in regime di esclusività per il triennio 2007/2009 (cfr. nota del Policlinico prot. n. 129/3f del 4.2.2016, aff. 137), occorre richiamare l’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 che, nel testo vigente ratione temporis, così disponeva: “Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso. L’accertamento delle incompatibilità compete, anche su iniziativa di chiunque vi abbia interesse, all’amministratore straordinario della unità sanitaria locale al quale compete altresì l’adozione dei conseguenti provvedimenti. Le situazioni di incompatibilità devono cessare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. A decorrere dal 1 gennaio 1993, al personale medico con rapporto di lavoro a tempo definito, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, è garantito il passaggio a domanda, anche in soprannumero, al
rapporto di lavoro a tempo pieno. In corrispondenza dei predetti passaggi si procede alla riduzione delle dotazioni organiche, sulla base del diverso rapporto orario, con progressivo riassorbimento delle posizioni soprannumerarie. L’esercizio dell’attività libero professionale
dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col
rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Le disposizioni del presente comma si applicano anche al personale di cui all’articolo 102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382. Per detto personale all’accertamento delle incompatibilità provvedono le autorità accademiche competenti. Resta valido quanto stabilito dagli articoli 78, 116 e 117 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384. In sede di definizione degli accordi convenzionali di cui all’articolo 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, è definito il campo di applicazione del principio di unicità del rapporto di lavoro a valere tra i diversi accordi convenzionali”.
L’esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti medici del SSN è stata anche ribadita dall’art. 15 – quater del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502
(recante il “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”) che demandava alla contrattazione collettiva la disciplina del “trattamento economico aggiuntivo da attribuire ai dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nei limiti delle risorse destinate alla contrattazione collettiva”. In senso analogo prevedeva il comma 4 dell’art. 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 mentre il successivo comma 5 statuiva che “In attesa della disciplina contrattuale di cui al comma 4, a decorrere dal 1 luglio 1999, nei confronti dei dirigenti che hanno optato per l’esercizio della libera attività professionale extramuraria la retribuzione variabile di posizione è comunque ridotta del 50 per cento e non si dà luogo alla retribuzione di risultato; a decorrere dalla stessa data gli incarichi dirigenziali di struttura possono essere conferiti o confermati esclusivamente ai dirigenti che abbiano optato per l’esercizio della libera attività professionale intramuraria”.
Quanto all’ulteriore ruolo rivestito dalla convenuta, di ricercatore confermato presso l’ Università di Palermo in regime di tempo pieno dall’1.1.2008 (cfr. decreto rettoriale n. 556 del 7.3.2013), la disciplina di riferimento è costituita dall’art. 11 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, recante disposizioni per il riordino della docenza universitaria, in cui si dispone che l’impegno dei professori ordinari è a tempo pieno o a tempo definito e che ciascun professore può optare tra il regime a tempo pieno ed il regime a tempo definito. Ai sensi, difatti, del successivo art. 34, il regime giuridico dei ricercatori universitari è assimilato a quello degli assistenti universitari di ruolo.
Nello specifico, il caso che ci occupa è regolamentato dal D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 che contiene la “Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università ” prevedendo che la collaborazione fra il Servizio sanitario nazionale e le università si realizzi, di norma, attraverso aziende ospedaliero-universitarie, aventi autonoma personalità’ giuridica.
L’art. 5 del citato decreto legislativo stabilisce, per quello che interessa ai fini del presente giudizio, che fino alla data di entrata in vigore della legge di riordino dello stato giuridico universitario lo svolgimento di attività libero professionale intramuraria comporta l’opzione per il tempo pieno e lo svolgimento dell’attività extramuraria comporta l’opzione per il tempo definito (comma 12). Il comma 7 del citato art. 5 stabilisce che l’attività intramuraria, definita come attività assistenziale esclusiva, è svolta, a mente dell’art. 15- quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, secondo le tipologie di cui alle lettere a ), b ), c ) e d ) del comma 2 dello stesso articolo.
Tale disposizione prevede, a sua volta, che, ferma restando la totale disponibilità del dirigente nello svolgimento delle funzioni attribuite dall’azienda, il rapporto di lavoro esclusivo possa comportare l’esercizio dell’attività professionale delle seguenti tipologie: a) il diritto all’esercizio di attività libero professionale individuale, al di fuori dell’impegno di servizio, nell’ambito delle strutture aziendali individuate dal direttore generale d’intesa con il collegio di direzione; salvo quanto disposto dal comma 11 dell’art. 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (spazi sostitutivi in strutture non accreditate reperiti dal direttore generale nonché utilizzazione di studi professionali autorizzati dal direttore generale); b) la possibilità di partecipazione ai proventi di attività a pagamento svolta in équipe, al di fuori dell’impegno di servizio, all’interno delle strutture aziendali; c) la possibilità di partecipazione ai proventi di attività, richiesta a pagamento da singoli utenti e svolta individualmente o in équipe, al di fuori dell’impegno di servizio, in strutture di altra azienda del Servizio sanitario nazionale o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione dell’azienda con le predette aziende e strutture; d) la possibilità di partecipazione ai proventi di attività professionali, richieste a pagamento da terzi all’azienda, quando le predette attività siano svolte al di fuori dell’impegno di servizio e consentano la riduzione dei tempi di attesa, secondo programmi predisposti dall’azienda stessa, sentite le équipes dei servizi interessati.
Come si è già illustrato in precedenza, l’art. 72 della legge 23.12.1998 n. 448 ha istituito un fondo per l’esclusività del rapporto dei dirigenti del ruolo sanitario che hanno optato per l’esercizio della libera professione intramuraria prevedendo altresì che la violazione degli obblighi connessi all’esclusività delle prestazioni, l’insorgenza di un conflitto di interessi o di situazioni che comunque implichino forme di concorrenza sleale, salvo che il fatto costituisca reato, comportano la risoluzione del rapporto di lavoro e la restituzione dei proventi ricevuti in misura non inferiore a una annualità e non superiore a cinque annualità.
Per ciò che concerne il rapporto di lavoro del professore universitario va ricordato che, a mente del richiamato art. 11 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, commi 4 e 5, il regime d’impegno a tempo pieno: a) è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria; sono fatte salve le perizie giudiziarie e la partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e compatibilmente con l’assolvimento dei propri compiti istituzionali; b) è compatibile con lo svolgimento di attività scientifiche e pubblicistiche, espletate al di fuori di compiti istituzionali, nonché con lo svolgimento di attività didattiche, comprese quelle di partecipazione a corsi di aggiornamento professionale, di istruzione permanente e ricorrente svolte in concorso con enti pubblici, purché tali attività non corrispondano ad alcun esercizio professionale; c) dà titolo preferenziale per la partecipazione alle attività relative alle consulenze o ricerche affidate alle Università con convenzioni o contratti da altre amministrazioni pubbliche, da enti o privati, compatibilmente con le specifiche esigenze del committente e della natura della commessa.
Dal quadro normativo di riferimento emerge con assoluta chiarezza che il rapporto di lavoro del dirigente medico in regime di intramoenia, contemporaneamente ricercatore universitario a tempo pieno, è connotato da una generale incompatibilità allo svolgimento della libera professione (salvo quella ammessa, ex art. 15-quinquies del d. lgs. n. 502/1992) e che la disciplina di settore intende assicurare la totale disponibilità del medico allo svolgimento delle funzioni dirigenziali evitando possibili [#OMISSIS#] di interessi o forme di concorrenza sleale.
4. Così delineato il quadro ordinamentale di riferimento, il Collegio reputa necessario, a questo punto, affrontare la questione, posta dalla convenuta, dell’utilizzabilità, quali fonti di prova, delle intercettazioni telefoniche e ambientali e della sentenza penale di condanna (non irrevocabile) più volte menzionata, utilizzate dall’attore pubblico per delineare la fattispecie concreta da cui fare emergere la responsabilità della [#OMISSIS#].
Sul punto, vanno ritenute ammissibili nel giudizio di responsabilità le prove c.d. atipiche (tra cui si annoverano gli atti dell’istruttoria penale o amministrativa), non sussistendo nel vigente ordinamento processuale una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova (cfr. Cass. civ. Sez. II, n. 5965 del 2004 e Corte conti, Sez. II App. n. 52 del 2014, n. 152 e n. 1101 del 2016), per come peraltro confermato dagli artt. 94 e 95 del nuovo codice di giustizia contabile.
Il complesso del patrimonio indiziario acquisito al giudizio, che descrive e connota la condotta dell’odierna convenuta, è difatti valutabile alla stregua di presunzioni semplici (art. 2729 c.c.), ricorrendone la gravità, precisione e concordanza, al fine di formare il libero convincimento del giudice ex artt. 115 e 116 c.p.c. (ex multis: Sez. Il Appello n. 295/2012; Sez. I Appello n. 18/2012 e n. 74/2017, Sez. App. Sicilia sentenze nn.149/2012 e 183/2016).
Non possono, quindi, trovare accoglimento le argomentazioni difensive volte ad escludere l’efficacia probatoria degli accertamenti e degli esiti delle indagini versati agli atti del giudizio penale; sotto questo profilo, va altresì evidenziato che le intercettazioni telefoniche sono state già vagliate dal giudice penale nel corso del dibattimento e, quindi, nella completezza del contraddittorio.
Sebbene la pronuncia più volte richiamata sia stata gravata da appello, è possibile ricavare dal complesso delle intercettazioni (riguardanti anche altri soggetti imputati nel medesimo giudizio), dalle dichiarazioni rese dai pazienti assistiti dalla convenuta presso la struttura pubblica e poi rivoltisi alla casa di cura privata “Latteri” nonché dagli atti provenienti dall’A.O. Policlinico “Giaccone” e dall’ Università degli studi di Palermo, plurimi indizi gravi, precisi e concordanti sui quali fondare la valutazione rimessa a questi giudici.
5. Quanto alla sussistenza del danno erariale, va rilevato che, secondo la prospettazione della Procura attrice, esso consiste nella violazione del generale dovere di esclusività che l’ordinamento impone ai ricercatori universitari confermati, con rapporto di lavoro a tempo pieno, che svolgano anche l’attività di dirigente medico presso una azienda ospedaliero-universitaria.
Tale tesi appare fondata.
Nella specie, infatti, le prove acquisite al giudizio, provenienti sia dall’informativa del Nas (aff. 132 e ss.) sia dall’iter processuale svoltosi in sede penale, poi convogliate nella sentenza n. 6056/15, non lasciano adito a dubbi circa la responsabilità della [#OMISSIS#].
Dalle numerose intercettazioni ambientali e telefoniche acquisite agli atti e dalle dichiarazioni rese dai pazienti seguiti dalla convenuta, risulta inequivocabilmente che la [#OMISSIS#] avesse assunto un ruolo predominante nella casa di cura “Latteri” al punto che per i due medici Scaletta e Di Lisi, dipendenti della predetta clinica, costei rappresentava l’unica referente sia per la somministrazione delle terapie ai pazienti sia quanto al profilo economico, in quanto essi percepivano una quota dei compensi erogati alla [#OMISSIS#] ed avevano più volte rivendicato la corresponsione di una percentuale calcolata sui guadagni della stessa, anziché la cifra fissa loro accordata, sino ad ottenere, ad esito di lunghe e travagliate contrattazioni, una quota percentuale della remunerazione spettante alla [#OMISSIS#].
Le risultanze investigative sono state vagliate nel corso del dibattimento penale che ha condotto alla condanna, tra gli altri, dell’odierna convenuta. I riscontri più significativi dell’attività in concreto compiuta dalla [#OMISSIS#] si trovano nella sentenza a pag. 133 e ss., a pag. 147 e ss. (per il dirottamento dei pazienti) e a pag. 193 quanto alle considerazioni conclusive (aff. 264).
In ordine al materiale probatorio a discarico prodotto dalla difesa, si osserva che la relazione afferente la riconducibilità dei pagamenti ricevuti dalla clinica “Latteri” alle prestazioni eseguite prima del 2007, in virtù del rapporto di collaborazione precedentemente in essere con la predetta struttura, appare platealmente contraddetta dal contenuto delle numerose intercettazioni telefoniche da cui risultano, invece, le richieste di denaro formulate dalla [#OMISSIS#] alla titolare della clinica e gli accordi economici che ne seguivano.
Anche le ulteriori prove a discarico prodotte, quali la relazione a firma del dott. Gebbia, le dichiarazioni di quest’ultimo e del dott. Murolo (come testi) ed i fogli firma delle presenze, non colgono nel segno perché non viene contestato alla convenuta di essersi sottratta ai propri doveri lavorativi in orario di servizio ma di avere violato il regime di incompatibilità. In particolare, le dichiarazioni rese dal La Rocca e dal Murolo sulle disfunzionalità del reparto di oncologia del Policlinico non sono conducenti in quanto l’accusa che il pubblico ministero muove alla [#OMISSIS#] è di avere indirizzato i pazienti presso una struttura privata convenzionata con il SSN al fine di lucrare su tale spostamento dei malati, dato il consistente incremento del fatturato così realizzato dalla casa di cura privata e dei conseguenti rimborsi a carico del SSN.
D’altronde, che vi fossero delle criticità presso l’U.O. di oncologia del Policlinico “Giaccone” era circostanza di cui gli inquirenti avevano già tenuto conto nella propria informativa e che non scagiona certo la [#OMISSIS#] dal momento che il pur comprensibile intento di assicurare ai propri assistiti un trattamento sanitario qualitativamente migliore non comporta necessariamente il loro dirottamento presso una clinica privata, essendovi a Palermo altre strutture pubbliche idonee allo scopo. Il fatto di avere sviato i pazienti presso un nosocomio col quale ella di fatto collaborava (traendone un cospicuo profitto) costituisce indubbiamente un comportamento illecito foriero di danno erariale.
In relazione a ciò, è lo stesso cumulo di attività svolte dalla convenuta ad essere incompatibile con la sua posizione lavorativa di ricercatore a tempo pieno e di dirigente medico in regime di esclusività, data l’esistenza, come si è illustrato nel par. 3, di una presunzione legislativa (di natura assoluta) che ritiene lo svolgimento dell’attività professionale privata del tutto incompatibile con il predetto (duplice) regime di esclusività.
6. In ordine alla condotta imputabile alla convenuta, si riscontra certamente l’esistenza di una piena intenzionalità che connota il dolo contestatole, per come si trae dai plurimi riscontri offerti dalla Procura attrice.
Altrettanto vale per il nesso di causalità in quanto è la stessa violazione delle norme di legge sul rapporto di esclusività che, in via del tutto automatica, determina il prodursi del danno erariale.
7. Il pubblico ministero ha formulato due distinte imputazioni: una per il danno derivante dalla violazione del regime di esclusività e una per il danno da disservizio, quantificando il primo, rispettivamente, in misura pari alle differenze retributive corrisposte dal Policlinico al sanitario per la remunerazione di tale vincolo (anni 2007/2009) e per l’assegno percepito dall’ Università degli studi per il tempo pieno (anni 2008 e 2009).
Quanto alla seconda voce di danno, l’attore pubblico l’ha ritenuta pari alla base stipendiale liquidata alla convenuta per la violazione integrale del rapporto sinallagmatico che la legava al datore di lavoro pubblico.
Le due tipologie vanno esaminate partitamente.
7.1. Quanto alla prima, come si è già esplicitato ai punti 5 e 6, il danno consegue alla mera violazione dell’obbligo di esclusività (appositamente remunerato) realizzato attraverso lo svolgimento di non consentite attività professionali private.
In questi termini, il danno, di natura diretta, può dirsi senz’altro realizzato e, pertanto, la convenuta va condannata al pagamento delle somme contestate nell’atto di citazione (risultanti dai conteggi trasmessi dalle due amministrazioni coinvolte), ascendenti, rispettivamente, ad € 10.133,92 in favore dell’Azienda Ospedaliera Policlinico e ad € 18.248,40 in favore dell’ Università degli studi di Palermo. Su entrambi gli importi andrà computata la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, a decorrere dalla data dei singoli pagamenti e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza,