[X] La giurisdizione penale e quella civile per risarcimento dei danni derivante da reato, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono il medesimo fatto materiale. Infatti, il processo contabile è incentrato sull’accertamento dei danni erariali, quale conseguenza della violazione degli obblighi di servizio da parte degli agenti pubblici, fra i quali si annoverano quelli in rapporto di servizio con l’amministrazione, mentre il giudizio penale attiene alla violazione dei precetti penali, con la conseguenza che la dichiarazione di prescrizione penale o di non luogo a procedere non fa venir meno la possibilità di una responsabilità contabile. Non sussiste l’inammissibilità dell’azione di responsabilità come conseguenza del fatto che l’amministrazione si sia costituita parte civile nel processo penale. Opera, infatti, il sistema del cd. doppio binario (azione civile e contabile) per il recupero del danno finanziario inferto alla pubblica amministrazione, che permette il promovimento dell’azione giuscontabile anche se ci sia stata costituzione di parte civile in sede penale da parte dell’amministrazione nei confronti dell’autore del danno erariale, trattandosi di mera interferenza tra giudizi e non sussistendo problemi di giurisdizione, ed in ogni caso potendosi in sede di esecuzione di giudicato tener conto dell’eventuale danno già risarcito. Il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dalla “verificazione” del fatto dannoso, il quale comprende non solo l’azione illecita, ma anche l’effetto lesivo della stessa, potendo tali due elementi, oltre che coincidere, essere distanziati nel tempo, e nel qual caso rileva la seconda componente (l’effetto lesivo della condotta). I detti principi generali vengono derogati nell’ipotesi di occultamento doloso del danno, in cui si è in presenza di un impedimento giuridico alla decorrenza del termine prescrizionale, e la decorrenza coincide con la data della “scoperta” del fatto da parte dell’amministrazione. Per tale occultamento doloso è necessaria una concreta attività (es. artifizi e raggiri contabili) volta a rendere non rilevabile il danno prodotto. Prive di fondamento sono le eccezioni che si fondano sostanzialmente sulla non obbligatorietà di un vincolo orario di servizio per la figura del primario ospedaliero. La ratio dell’assenza di un vincolo di orario minimo per i dirigenti di struttura complessa, infatti, non costituisce una sorta di “privilegio” per la citata dirigenza, ma rappresenta un meccanismo di maggior responsabilizzazione e di orientamento al risultato, nel senso che l’assolvimento di un debito orario “minimo” non può esaurire, per il dirigente, la prestazione lavorativa e non può quindi essere invocato a fini valutativi. Ne deriva che l’assenza dal servizio in violazione delle previsioni di legge comporta un danno erariale pari alla retribuzione corrisposta nelle giornate di assenza abusiva, conseguente alla partecipazione a congressi per cui non era stata concessa la autorizzazione e presenza in altre zone e luoghi diversi da quelli in cui il medico avrebbe dovuto svolgere il servizio. Per il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia, oltre alla condanna per responsabilità amministrativa “ordinaria”, è prevista la tipizzazione e la specificazione di una particolare tipologia di danno all’immagine.
Corte dei conti reg., Toscana, 25 settembre 2017, n. 220
Ricercatore universitario – Dirigente Azienda Ospedaliera Universitaria – Assenza dal servizio – Rapporto tra giurisdizione penale e contabile – Prescrizione – Danno all’immagine
SENTENZA N. 220/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
composta dai seguenti magistrati:
Angelo [#OMISSIS#] Presidente f.f. rel.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Primo Referendario
ha emesso la seguente:
SENTENZA
Nel giudizio di responsabilità recante il n.60610 /R del registro di segreteria, promosso dal Vice Procuratore Regionale ed instaurato con atto di citazione depositato in segreteria in data 19 settembre 2016 nei confronti del dott. [#OMISSIS#] Giovanni [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] Porcaro D’[#OMISSIS#] pec avv.porcarodambrosio@legalmail.it ed elettivamente domiciliato in Firenze, alla via Puccinotti presso l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] pec avvocato.[#OMISSIS#]@pec.studiolegalepn.it
Uditi, nella pubblica udienza del 7 giugno 2017 il consigliere relatore dott. Angelo [#OMISSIS#], il rappresentante del Pubblico Ministero nella persona della dott.ssa Letizia [#OMISSIS#] e l’avv. [#OMISSIS#] Porcaro D’ [#OMISSIS#] per il dott. [#OMISSIS#] Giovanni [#OMISSIS#].
Visto l’atto introduttivo del giudizio ed i documenti tutti del giudizio;
FATTO
Con atto introduttivo del giudizio depositato presso la Segreteria della Sezione in data 30 settembre 2016 la parte attorea conveniva in giudizio davanti a questa Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti l’odierno convenuto per il pagamento della somma complessiva di € 53.900,79 in favore dell’Erario dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana A.O.U.P., salva ogni diversa valutazione da parte del Collegio, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio.
Il presunto danno erariale deriva da più condotte contestate al dott. [#OMISSIS#] Giovanni [#OMISSIS#], dipendente dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana – A.O.U.P. – con qualifica di Dirigente – Responsabile del Laboratorio di Procreazione assistita presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’ Università degli Studi Pisa – Ricercatore universitario a tempo indeterminato.
Le poste di danno erano le seguenti:
a) un danno patrimoniale pari a € 9.048,41 correlato all’indebita percezione degli emolumenti in assenza della correlativa prestazione lavorativa con riferimento allo svolgimento di attività privata presso il centro P.M.A. di San Rossore e per i giorni in cui gli orari dell’attività di San Rossore si sovrapponevano a quelli istituzionali prestati presso l’U.O. di Ginecologia ed Ostetricia dell’ Ospedale S.Chiara (informativa di reato della Guardia di Finanza prot. 0308971/12 del 3 agosto 2012 e relativi allegati);
b) un danno patrimoniale pari a € 8.831,73 derivante dall’indebita percezione degli emolumenti in assenza della controprestazione lavorativa per asserita partecipazione a congressi per la quale non risultava alcun riscontro documentale, ovvero né la richiesta di autorizzazione né l’attestato di partecipazione (informativa di reato della Guardia di Finanza prot. n.0308971/12 e relativi allegati) con danno pari a € 8.831,73;
c) danno patrimoniale derivante dall’indebita percezione degli emolumenti in assenza della correlativa prestazione lavorativa da asserita partecipazione a congressi per la quale risulta la richiesta di autorizzazione, ma in assenza dell’attestato di partecipazione, mentre per alcuni casi risulta che il dott.[#OMISSIS#] si era recato presso altri centri PMA (Di Venere di Bari o Copertino di Lecce) o aveva presentato certificato medico mentre svolgeva attività professionale, e con danno quantificato in € 16.021,15 (informativa della Guardia di Finanza del 20 novembre 2012 e relativi allegati);
d) danno all’immagine ai sensi dell’art. 55 quinquies, comma 2, del D.Lgs. 165 del 2001 introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 150/2009 valutato, in via equitativa, nella misura pari a € 20.000,00, tenendo conto degli elementi oggettivi, soggettivi e sociali.
Il giudizio di responsabilità amministrativa ha origine dall’informativa ex art. 129 disp. att. c.p.p. di esercizio dell’azione penale svolta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa con richiesta di giudizio immediato in data 13 dicembre 2012 svolta nei confronti dell’odierno convenuto.
Il procedimento penale esitava nella sentenza del Tribunale di Pisa n.1952/2014 con cui veniva dichiarata la prescrizione per alcune ipotesi (condotte sino al 12 maggio 2007) di truffa aggravata, mentre per altre fattispecie ascrivibili alla truffa (capi B) e C) di cui all’imputazione penale il dott. [#OMISSIS#] veniva condannato alla pena di anni uno e sei mesi di reclusione ed euro ottocento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, decisione su cui pende appello.
In sede amministrativa l’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, con nota del 5 febbraio 2014 comunicava copia del decreto n. 155 del 30 gennaio 2013 del Rettore dell’ Università di Pisa con cui si disponeva la sospensione in via cautelare del dott. [#OMISSIS#].
Dagli accertamenti resi dalla Guardia di Finanza Compagnia di Pisa la Procura contabile deduceva l’esistenza degli elementi fondanti la responsabilità amministrativa, viste le condotte illecite integranti manifesta violazione degli obblighi di servizio nonché penalmente rilevanti.
Sussistevano, infatti, sia il comportamento antigiuridico, rappresentando il comportamento del dott. [#OMISSIS#] un evidente contrasto con gli elementari doveri discendenti dal rapporto di servizio con la P.A., sia l’elemento soggettivo del dolo, considerata la cosciente volontà del convenuto di violare gli obblighi di servizio, attestando falsamente la propria presenza in servizio, al fine di svolgere attività professionali private, incompatibili con gli orari di servizio.
Il danno patrimoniale diretto, siccome su indicato, veniva quantificato nella tabelle indicate a pag. 9, 10 e 11 dell’atto di citazione adottando come criterio di quantificazione l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale in materia di percezione di somme non dovute, il danno è costituito dall’ammontare degli emolumenti indebitamente riscossi a titolo di corrispettivo per prestazioni di servizio non rese in conseguenze di assenze arbitrarie dal servizio.
Il danno all’immagine, di converso, veniva quantificato tenendo conto della devianza dagli obblighi di servizio, il perseguimento di utilità personali, la reiterazione della condotta illecita, la qualifica rivestita nell’ambito della P.A. e la diffusione della vicenda anche a mezzo della stampa.
Dopo aver controdedotto alle eccezioni di [#OMISSIS#] formulate dal convenuto in sede di invito a dedurre e relative alla sospensione del giudizio contabile in attesa dell’esito del giudizio di appello penale (ex art. 337, comma 2, c.p.c.) ed alla prescrizione, la parte attorea ribadiva la sussistenza dei presupposti per la configurabilità del danno all’immagine e per il danno patrimoniale diretto contestato.
Con memoria di costituzione del 12 maggio 2017 si costituiva in giudizio il dott. [#OMISSIS#] Giovanni [#OMISSIS#] che in punto di fatto eccepiva che l’atto di citazione, pur fondandosi sulle risultanze del procedimento penale ignorava le risultanze del processo n.1952/2014 del 12 novembre 2014, e non aveva neppure esplicitato in concreto le condotte lesive del rapporto di servizio.
In punto di diritto la parte convenuta eccepiva:
a) la nullità dell’atto di citazione non avendo lo stesso specificato gli elementi essenziali della condotta contestata in difformità dagli artt. 1 e 45 del R.D. n.1038/1933 e dall’art. 86 del D.Lgs. n.174/2016;
b) la inammissibilità dell’azione di responsabilità considerato che l’Amministrazione si è costituita parte civile nel processo penale, per cui l’Amministrazione non potrebbe essere risarcita due volte, ed in ogni caso la costituzione di parte civile costituirebbe presupposto per la sospensione del processo contabile;
c) la improcedibilità dell’azione di responsabilità, visto che la pendenza del giudizio penale di appello (avverso la sentenza n.1952 del 12 novembre 2014 del Tribunale di Pisa) renderebbe il danno evocato privo dei presupposti di certezza e di attualità;
d) la sussistenza dei presupposti per la sospensione del giudizio contabile, ritenuto che i fatti dannosi erano i medesimi oggetto del giudizio penale pendente (anche al fine di evitare un potenziale conflitto tra il giudicato contabile e quello penale) e che l’impostazione accusatoria in sede contabile si fondava su prove acquisite in sede penale e, per di più, l’Amministrazione si era costituita parte civile in sede penale (cfr. anche art. 7 l.n.97/2001), ed in ogni caso la sospensione si imponeva per la posta relativa al danno all’immagine (cfr. art. 17, comma 30 ter d.l. n.78/2009 ed il suddetto articolo 7 l.n. 97/2001) che costituiva una ipotesi di pregiudizialità penale necessaria;
e) la non operatività del danno all’immagine nella fattispecie delittuosa contestata (640,comma 2 c.p.), operando tale fattispecie risarcitoria solo per i delitti previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (artt. 314 c.p. – art. 356 c.p.) siccome statuito dalle SS.RR. della Corte dei conti e ribadito dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, e costituendo la sentenza penale definitiva presupposto necessario anche per il danno all’immagine previsto dall’art. 55 quinquies , secondo comma, D.Lgs. 165/2001;
f) la prescrizione del diritto al risarcimento del danno degli anni 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011 considerata la notifica dell’ invito a dedurre (reso l’8 luglio 2016) ed in ogni caso la prescrizione delle annualità 2006 e 2007 ove il dies a quo della prescrizione si consideri la richiesta di giudizio immediato (27 dicembre 2012);
g) nel merito si eccepiva l’infondatezza dell’azione di responsabilità non sussistendo un vincolo di orario in costanza del rispetto del monte ore settimanale, e non avendo il dott. [#OMISSIS#] percepito retribuzione nei periodi di assenza dal servizio: in tal senso si richiamava il c.c.n.l. del personale della dirigenza medica del 2006 che richiamava il c.c.n.l. normativo del 2005 con l’adozione di regolamenti interni dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e la costituzione del cd. debito orario settimanale nonché con la cd. “banca ore” relativa alla contabilizzazione delle ore a “credito” ed a “debito”;
h) il plus orario lavorato dal dott. [#OMISSIS#] (che era sempre stato a credito ore verso l’azienda e quindi di retribuzione che non aveva richiesto, né percepito) evidenziava che, anche considerando la asserita partecipazione a congressi per cui non era stata reperita l’autorizzazione e quelle di asserita presenza presso San Rossore, ciò non escludeva che il dott. [#OMISSIS#] aveva comunque effettuato un orario superiore a quanto contrattualmente richiesto (a settembre 2011 “a credito” per oltre 210 ore di lavoro eccedenti rispetto all’attività richiesta contrattualmente) e non aveva mai percepito alcun pagamento, rimborso o liquidazione per le eccedenze annuali di orario, per cui l’ A.O.U.P. non aveva subito alcun danno patrimoniale, mentre si controdeduceva sulle contestazioni afferenti la presenza del dott. [#OMISSIS#] presso il centro P.M.A. di San Rossore, di cui non era stata comprovata la presenza e la assenza di autorizzazione dell’Amministrazione per la partecipazione a convegni o l’attestato di partecipazione agli stessi, per cui erano stati effettuati conteggi errati;
i) la infondatezza del danno all’immagine essendo del tutto carente la prova del clamor fori, e non avendo la parte attorea allegato alcun elemento concreto relativo alle spese di ripristino della immagine dell’Amministrazione, danno che era stato quantificato in modo sproporzionato (€ 20.000,00) rispetto al danno patrimoniale diretto contestato (€ 33.900,79);
l) la applicabilità dell’art. 1 bis l. 20/1994 secondo il quale nel giudizio di responsabilità amministrativa, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’Amministrazione, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità visto il “credito” orario vantato dal convenuto, determinava l’assorbimento del danno erariale, e l’insussistenza quindi del presupposto indispensabile per l’esercizio stesso della azione di responsabilità amministrativa.
Nella odierna udienza di discussione la parte attorea insisteva per l’accoglimento delle proprie richieste, mentre la parte convenuta ribadiva l’assenza di ogni responsabilità e si rimetteva agli atti defensionali; dopo le repliche e controrepliche la causa veniva introitata per la decisione.
DIRITTO
Occorre in via preliminare esaminare la eccezione del dott. [#OMISSIS#] Giovanni [#OMISSIS#] in ordine alla opportunità di sospendere il presente giudizio in attesa dell’esito del giudizio penale.
Osserva il Collegio che, in ordine al rapporto tra giurisdizioni evocato da parte convenuta il Giudice di Legittimità, anche di recente, ha affermato che la giurisdizione penale e quella civile per risarcimento dei danni derivante da reato, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali anche quando investono il medesimo fatto materiale: in termini C. Cass. SS.UU. 21 maggio 2014 n. 11229.
Infatti il processo contabile è incentrato sull’accertamento dei danni erariali, quale conseguenza della violazione degli obblighi di servizio da parte degli agenti pubblici, fra i quali si annoverano quelli in rapporto di servizio con l’Amministrazione, mentre il giudizio penale attiene alla violazione dei precetti penali, con la conseguenza che la dichiarazione di prescrizione penale o di non luogo a procedere (cfr. Sezione giurisdizionale Regione Liguria 31 marzo 2003 n.334 e Sezione giurisdizionale Regione Lombardia 10 aprile 1999 n.146) non fa venir meno la possibilità di una responsabilità contabile, sia pure collegata alla medesima vicenda, ma riguardata con diverse finalità, sulla base di differenti scale di riferimento parametrico per la valutazione della sussistenza degli specifici presupposti oggettivi e soggettivi: cfr. Corte conti Sez. I Centr. 12 marzo 2012 n.122.
Ancor più di recente la Corte dei conti SS.RR n. 1/2017 (ord) in data 3 gennaio 2017 ha statuito che le “consolidate affermazioni di principio formulate da queste Sezioni Riunite, coerenti altresì con le statuizioni reiteratamente rese dalla Corte di Cassazione”, sono “ nel senso della non ammissibilità di sospensioni ex art. 295 c.p.c. che siano dettate da ragioni di mera opportunità dovendosi, al di fuori dei casi previsti dalla legge, riscontrare – viceversa in modo concreto e stringente – condizioni di dipendenza tra i giudizi da definire. Condizioni che sono state individuate in termini di evidente correlazione logico – giuridica tra gli stessi, sicché la decisione della causa pregiudicata possa dirsi dipendente dall’altra, in relazione all’accertamento di fatti e comportamenti. In questo senso si è affermato che “l’ art. 295 c.p.c. , stabilendo che la sospensione necessaria deve essere ordinata se la decisione della controversia “dipenda” dalla definizione di un’altra causa, non postula un mero collegamento tra due emanande sentenze, ma richiede l’esistenza di un vincolo di consequenzialità, in virtù del quale uno dei due giudizi, oltre ad essere in concreto pendente ed a coinvolgere le stesse parti, investa una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico – giuridico, la cui soluzione pregiudichi, in tutto o in parte, l’esito del processo da sospendere, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi del conflitto di giudicati (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 2048/2003)”: Corte conti SS.RR. ord. n.9/2015 e 1/2016)”.
Venendo al caso di specie la pendenza del giudizio penale di appello (avverso la sentenza n.1952 del 12 novembre 2014 del Tribunale di Pisa), in applicazione di tali principi non realizza i suddetti connotati di “dipendenza”, sicché va rigettata la richiesta di sospensione che deduceva, nella specie, la improcedibilità della domanda di parte attorea.
Con riferimento alla eccepita nullità dell’atto di citazione non avendo la parte attorea specificato gli elementi essenziali della condotta ai sensi degli artt. 1 e 45 del R.D. n. 1038/1933 e dell’art. 86 del D.Lgs. n.174/2016, osserva il Collegio che essa appare priva di fondamento ai sensi dell’art. 86 del codice contabile, secondo cui l’atto di citazione deve contenere “lett. e) l’esposizione dei fatti, della qualità nella quale sono stati compiuti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni” nonché “lett. f) l’indicazione degli elementi di prova che supportano la domanda e l’elenco dei documenti offerti in comunicazione”.
La nullità della citazione, secondo il codice contabile (art. 86, comma 3) si configura “se è omessa o risulta assolutamente incerta l’identificazione del convenuto (ai sensi della lett. b) del comma 2) o la sottoscrizione del pubblico ministero la citazione è altresì nulla (art. 86, comma 6) se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito dal comma 2 lett.c) (l’individuazione e la quantificazione del danno o l’indicazione dei criteri per la sua determinazione), ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al comma 2 lett. e) (esposizione dei fatti, della qualità nella quale sono stati compiuti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni).
Nessuna di tale ipotesi appare realizzarsi nel caso di specie, non essendo la domanda sostanzialmente insufficiente ed inidonea a consentire il pieno realizzarsi del contraddittorio con il convenuto, il quale è stato posto in condizione di esercitare in modo adeguato il diritto di difesa.
Va, inoltre, osservato che l’asserita carenza dell’atto di citazione non ha comunque impedito al convenuto di spiegare articolate difese nel merito, e ciò esclude che lo stesso possa essere dichiarato nullo perché ha raggiunto lo scopo cui era destinato, giusto quanto previsto dall’art. 44, comma 3, del codice contabile (cfr. Corte conti, Sezione giurisdizionale Regione Puglia 26 giugno 2017 n.324).
Non coglie nel segno la ulteriore questione sollevata dal legale difensore di parte convenuta secondo cui opererebbe la inammissibilità dell’azione di responsabilità atteso che l’Amministrazione si è costituita parte civile nel processo penale, sicché l’Amministrazione non potrebbe essere risarcita due volte.
La giurisprudenza ha già avuto modo da tempo di ribadire la piena legittimità del sistema del cd. doppio binario (azione civile e contabile) per il recupero del danno finanziario inferto alla P.A., che permette il promovimento dell’azione giuscontabile anche se ci sia stata costituzione di parte civile in sede penale da parte della P.A. nei confronti dell’autore del danno erariale: cfr. ex plurimis Corte conti SS.RR. 29 ottobre 1986 n.516, Sezione giurisdizionale Regione Lazio 23 ottobre 2002 n.2876 e Cass. SS.UU. 4 gennaio 2012 n.11, trattandosi di mera interferenza tra giudizi e non sussistendo problemi di giurisdizione, ed in ogni caso potendosi in sede di esecuzione di giudicato tener conto dell’eventuale danno già risarcito.
Disattesa la questione di nullità, occorre ora esaminare l’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte convenuta che appare parzialmente fondata.
Nella specie la richiesta di giudizio immediato (27 dicembre 2012) per la condotta causativa in quanto dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione, cfr. Sez. III Centr. 213/2017, determina la prescrizione delle annualità di danno del 2006 e 2007 a fronte dell’invito a dedurre dell’8 aprile 2016 non essendo stata data dalla parte attorea prova di alcun atto interruttivo della prescrizione (es. atto di costituzione in mora).
Il termine generalizzato, con la normativa del 1994 (art. 1, comma 2, l. 20/94), è di cinque anni e la parte attorea è stata destinataria della richiesta di giudizio immediato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa (cfr. per la decorrenza del termine di prescrizione Sezione giurisdizionale Regione Liguria 30 dicembre 2014 n. 153).
Il termine quinquennale in generale decorre dalla “verificazione” del fatto dannoso, il quale comprende non solo l’azione illecita, ma anche l’effetto lesivo della stessa, potendo tali due elementi, oltre che coincidere, essere distanziati nel tempo, e nel qual caso rileva la seconda componente (l’effetto lesivo della condotta).
Ora i detti principi generali vengono derogati nell’ipotesi di occultamento doloso del danno, in cui si è in presenza di un impedimento giuridico alla decorrenza del termine prescrizionale, e la decorrenza, ai sensi dell’art. 1, comma 2, l. n.20/1994 coincide con la data della “scoperta” del fatto, frequentemente assai successiva alla verificazione, da parte dell’Amministrazione: in termini Corte conti, Sez. II Centr. 1 marzo 2012 n.119.
Per tale occultamento doloso è necessaria una concreta attività (es. artifizi e raggiri contabili) volta a rendere non rilevabile il danno prodotto, ipotesi insussistente nella specie (cfr. SS.RR. 25 ottobre 1996 n.63, Sez. I centr. nn.712 e 1115 del 2014; Sez. II centr. n.296/2007 e Sez. III Centr. n.311/2011).
Ne deriva, nella specie, l’operatività della prescrizione relativamente alle annualità del 2006 e 2007.
Prive di fondamento sono le eccezioni nel merito del dott. [#OMISSIS#] che si fondano sostanzialmente sulla non obbligatorietà di un vincolo orario di servizio per la figura professionale rivestita e sui presunti crediti dedotti nei confronti dell’Amministrazione Sanitaria.
In riferimento alle deduzioni difensive secondo cui il primario medesimo non sarebbe vincolato all’osservanza di un orario minimo di presenza fisica in servizio, osserva il Collegio che la ratio dell’assenza di un vincolo di orario minimo per i dirigenti di struttura complessa va ricercata in direzione esattamente inversa a quella prospettata dal convenuto.
Infatti la flessibilità oraria non costituisce una sorta di “privilegio” per la citata dirigenza, ma rappresenta un meccanismo di maggior responsabilizzazione e di orientamento al risultato, nel senso che l’assolvimento di un debito orario “minimo” non può esaurire, per il dirigente, la prestazione lavorativa e non può quindi essere invocato a fini valutativi.
L’ invocata previsione del contratto collettivo di riferimento relativa alla mancata previsione di un debito giornaliero minimo per i dirigenti di struttura complessa (ma solo di un monte ore annuale) non deve, a parere di questo Collegio e della giurisprudenza contabile, essere interpretato in senso riduttivo, anzi è vero esattamente il contrario, ovvero che il dirigente di struttura complessa non ha un orario minimo perché si presuppone che l’apporto lavorativo richiestogli, per sua natura, non possa essere circoscritto entro i limiti ristretti di un numero di ore prefissate.
Ove si sposasse la tesi difensiva si accetterebbero risultati logicamente paradossali per cui vi sarebbe la possibilità, per un primario, di non presentarsi quasi mai nel reparto diretto, purché il reparto consegua comunque i risultati programmati: in termini Sezione giurisdizionale Regione Abruzzo 4 febbraio 2016 n.8.
Del resto le interpretazioni rese in materia avvalorano le suddette conclusioni.
L’ARAN in data 2 novembre 2011 ha asserito che “i direttori di struttura complessa sono tenuti ai sensi dell’art.15 del CCNL 3 novembre 2005 ad assicurare la propria presenza in servizio al fine di garantire il normale funzionamento della struttura cui sono preposti. Tali dirigenti sono tenuti ad articolare e correlare il proprio tempo di lavoro all’orario degli altri dirigenti come attesta il riferimento contenuto nel comma 1 dell’art. 14 del CCNL 3 novembre 2005. A tale scopo è necessario che il direttore di struttura complessa, con modalità condivise con le aziende, documenti la pianificazione della propria attività istituzionale e delle proprie assenze nonché dei giorni ed orari dedicati alla libera professione, al fine di rendere del tutto trasparenti le modalità delle proprie prestazioni lavorative”….. “il dirigente responsabile di direzione di struttura complessa ha come finalità il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’azienda e connessi all’incarico affidato. Secondo quanto previsti dall’ art. 17 del CCNL 8 giugno 2000, egli organizza e articola in modo flessibile il proprio tempo di lavoro per correlarlo alle esigenze della struttura alla quale è preposto, ai fini dell’espletamento dell’incarico affidato. Inoltre l’art.15 del CCNL del 3 novembre del 2005, nel confermare tali principi, stabilisce altresì che i direttori di struttura complessa comunicano preventivamente e documentano – con modalità condivise con le aziende o enti – la pianificazione delle proprie attività istituzionali. È demandato ad un accordo tra la direzione generale dell’azienda ed il dirigente come debba svolgersi e con quali modalità debba essere assicurata la rilevazione della sua presenza in servizio. Tale rilevazione, che non ha un carattere fiscale, è preordinata a mantenere la distinzione tra l’attività istituzionale e quella libero professionale intramuraria”.
Ne deriva che dalle suddette indicazioni (cfr. Sezione giurisdizionale Regione Abruzzo 4 febbraio 2016 n.8) che la presenza fisica del dirigente in servizio costituisce, quindi, una condizione necessaria seppure non sufficiente all’assolvimento dei previsti obblighi istituzionali, e la parte convenuta nel caso di specie ha violato le disposizioni contrattuali di riferimento, dichiarando in più occasioni, contrariamente al vero, la propria presenza in servizio, in difformità dal vero e, quindi, indipendentemente dal risultato effettivamente conseguito, il dott. [#OMISSIS#] ha reso all’ Azienda di appartenenza un servizio diverso ed inferiore rispetto a quello contrattualmente dovuto, sotto il profilo della continuità della presenza sul posto di lavoro, assentandosi dal reparto in difformità da evidenti e chiare disposizioni contrattuali.
Conferma il suddetto approdo giurisprudenziale la sentenza della Sez. I Centr. del 4 febbraio 2015 n.105 emessa con riferimento alla condanna di un dirigente medico responsabile di unità operativa complessa, e secondo cui “l’art. 15 del C.C.N.L. stabilisce che l’orario di lavoro dei dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa è volto ad assicurare, attraverso la presenza in servizio, il normale funzionamento della struttura cui essi sono preposti” e che “i direttori di struttura complessa comunicano preventivamente e documentano – con modalità condivise con le aziende ed enti – la pianificazione delle proprie attività istituzionali, le assenze variamente motivate ed i giorni dedicati all’attività professionale intramuraria”.
Ne deriva che l’assenza dal servizio in violazione delle dette disposizioni, ed indipendentemente dall’ esito del giudizio penale che è indirizzato esclusivamente all’ accadimento dell’esistenza del reato ed alla erogazione della pena nei confronti del colpevole (Corte conti Sez. I Centr. 4 febbraio 2016 n. 105 e Sez. III Centr. 14 febbraio 2005 n. 75), ha comportato un danno erariale pari alla retribuzione corrisposta nelle giornate di assenza abusiva, siccome emerse nelle tipologie di condotta indicate in sede di atto introduttivo – partecipazione a congressi per cui non era stata concessa la autorizzazione e presenza in altre zone e luoghi diversi da quelli in cui il medico avrebbe dovuto svolgere il servizio -.
Nel comportamento è chiaramente configurante il dolo, ovvero la piena consapevolezza e volontà da parte dell’interessato di far constatare la presenza in ufficio in difformità dal vero con palese disvalore della condotta che causava un danno all’ Erario della ASL di Pistoia (e del soggetto ad esso succeduto) per un importo pari a € 22.468,63 derivante dall’importo contestato pari a € 33.900,79 cui vanno sottratte le annualità prescritte nella misura di € 11.568,16.
Né rilevano eventuali compensazioni per asserite posizioni creditorie del dott. [#OMISSIS#], non avendo ingresso in questa sede in cui al più, avrebbe ingresso la valutazione dell’utilitas percepita dalla P.A., la quale presuppone che la stessa sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito, situazione insussistente nella specie (cfr. Sezione giurisdizionale Regione Basilicata 42/2013, Sezione giurisdizionale Regione Sicilia n.421/2015 e Sezione giurisdizionale Regione Sardegna n. 22/2017).
Va pertanto accolto, nella suddetta misura, il danno patrimoniale diretto.
Va accolta la richiesta di danno all’ immagine seppure non nella misura integralmente richiesta dalla parte attorea.
La previsione del danno all’ immagine nella fattispecie oggetto della presente decisione, è dettata dall’ art. 55 quinquies, comma 2, del d. lgs. n.165/2001 il quale dispone in siffatto modo:“ nei casi in cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale , pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’ immagine subito dall’ Amministrazione”.
In altri termini per il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia (comma 1 del suddetto art. 55 quinquies), oltre alla condanna per responsabilità amministrativa “ordinaria”, è prevista la tipizzazione e la specificazione di una particolare tipologia di danno all’immagine, in chiara controtendenza rispetto alle norme dalle disposizioni contenute nel d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009 , corrette dal d.l. n. 103/2009 convertito dalla legge n. 141 del 2009.
La normativa per le ipotesi non tipizzate, ha statuito la Cassazione, non ha imposto una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione e segnatamente di quella ordinaria per la responsabilità civile, ma ha solo circoscritto oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza di lesione all’ immagine dell’
Amministrazione imputabile ad un suo dipendente: in termini Corte Cass. SS.UU. 7 giugno 2012 n. 9188.
Il legislatore nella specie ha previsto la tipizzazione di una particolare fattispecie di danno all’immagine che non richiede la esistenza di una condanna definitiva in sede penale ai sensi dell’art. 17, comma ter d.l. n.78/2009, convertito nella legge n.102/2009, corrette dal d.l. n.103/2009 convertito dalla legge n.141 del 2009, ed opera in quanto norma speciale e successiva al di fuori dello schema normativo precedente generale del danno all’immagine: in termini Sez. I Centr. 476/2015 e Sezione Giurisdizionale Regione Puglia 109/2016.
Va, pertanto accolta in parte qua, la richiesta di danno all’immagine nella misura di € 19.432,51 con consequenziale condanna della parte convenuta dott. [#OMISSIS#] Giovanni [#OMISSIS#] alla somma di € 41.901,14, oltre rivalutazione monetaria a decorrere dall’ultimo pagamento indebitamente percepito.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono altresì dovuti gli interessi nella misura del saggio legale fino all’ effettivo soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale della Regione Toscana – definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dal Vice Procuratore Generale nei confronti del signor Giovanni [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], respinta ogni contraria istanza ed eccezione, condanna lo stesso al pagamento di € 41.901,14, oltre rivalutazione monetaria a decorrere dall’ultimo pagamento indebitamente percepito.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono altresì dovuti gli interessi nella misura del saggio legale fino all’ effettivo