L’art. 53, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 è volto a tutelare un interesse pubblico, il dovere di esclusività del pubblico impiegato, al di fuori delle ipotesi tipicamente ed espressamente stabilite e salvo autorizzazione, interesse che non riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro con l’amministrazione di appartenenza. Infatti, se pure sussiste il dovere del soggetto, pubblico o privato, presso il quale è stata effettuata l’attività non autorizzata, di riversare all’amministrazione di appartenenza del dipendente il compenso indebitamente erogato (per essere devoluta in conto entrata del bilancio per essere destinata ad incremento del fondo di produttività o dei fondi equivalenti), nondimeno un analogo e indipendente obbligo è previsto per colui che percepisce il compenso, dovere che, certamente, non viene meno.L’obbligo di versamento del compenso indebitamente percepito, in difetto di autorizzazione, da parte del dipendente, costituisce dunque un rafforzamento del dovere di richiedere l’autorizzazione all’amministrazione di appartenenza, al fine di garantire, attraverso il controllo di quest’ultima sulla compatibilità dell’incarico extraistituzionale, il proficuo svolgimento di quello principale. Per cui deve ribadirsi l’assoluta autonomia tra l’obbligo dell’Amministrazione di richiedere al terzo erogatore l’importo dei compensi percepiti e il dovere di recupero dello stesso in capo al procuratore contabile.Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario qualora sia direttamente l’amministrazione di appartenenza a citare in giudizio il dipendente per il mancato riversamento dei compensi indebitamente percepiti, ovvero il dipendente, al quale erano state effettuate trattenute stipendiali, a rivolgersi al giudice per tutelare l’integrità del compenso percepito. In tale contesto, infatti, nessuna azione della procura contabile è avviata e, pertanto, è evidente che non si ponga, in concreto, alcun problema di giurisdizione concorrente. Diversa è l’ipotesi di responsabilità erariale ex art. 53, comma 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, fatta valere dalla procura contabile, che ricade ex lege nella giurisdizione della Corte dei conti.Il dolo contabile riguarda la consapevole violazione del rapporto di servizio e non le eventuali conseguenze dannose, a differenza di quello penale. Quindi, in un’ipotesi di incompatibilità delle attività extraofficio di un docente universitario e direttore di struttura complessa presso un’azienda ospedaliera, è sufficiente che esso fosse consapevole della necessità di un’espressa opzione per il regime non esclusivo in ambito ospedaliero e di quello a tempo definito per l’ambito universitario al fine di ravvisare tale elemento soggettivo della responsabilità erariale.Va negata ogni valenza, non soltanto al fine del decorso del termine prescrizionale, ma anche con riguardo all’elemento soggettivo dell’addebito, della pregressa conoscenza dell’attività extraistituzionale del docente e medico ospedaliero da parte di presidi, direttori generali, personale aziendale e funzionari vari. Al riguardo, in disparte la sussistenza di tale conoscenza, meramente presunta, annettervi conseguenze tali da escludere l’elemento soggettivo dell’addebito equivarrebbe a istituzionalizzare e portare al rango di esimente un’eventuale colpevole connivenza di terzi.Il danno da disservizio consiste nel nocumento comunque collegato ad uno scadimento, in qualità o quantità, delle prestazioni lavorative rese dal pubblico dipendente. Diverso, invece, è il danno costituito dalle differenze retributive erogate al docente dall’università di appartenenza e dall’azienda ospedaliera per le indennità non spettanti ed effettivamente erogate, così come diverso è il danno conseguente al mancato riversamento del compenso aliunde percepito alle amministrazioni danneggiate.
Corte dei conti, sez. I, 1 marzo 2018, n. 97
Docenti a tempo pieno – Incompatibilità – Personale medico-universitario – Regime di esclusiva
GIUDIZIO DI CONTO
Corte dei Conti Sez. I App., Sent., (ud. 23-01-2018) 01-03-2018, n. 97
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
PRIMA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
[#OMISSIS#] Rotolo – Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere, rel.
[#OMISSIS#] Mignemi – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sull’appello iscritto al n. 52318 del Ruolo Generale, notificato il 4 maggio 2017 e depositato il 23 maggio 2017, presentato dal prof. dr. B.M.A.G., rappresentato e difeso dagli Avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Manzi e con domicilio eletto presso lo studio dei quest’ultimo sito in Roma, via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] n. 5, giusta procura in calce all’appello,
avverso la sentenza n. 14 del 2017 della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la Lombardia, depositata il 17 febbraio 2017 e notificata il 26 aprile 2017.
Visti gli atti e documenti tutti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del giorno 23 gennaio 2018, con l’assistenza del Segretario, dott.ssa [#OMISSIS#] Mancini, il consigliere relatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], gli Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Manzi per l’appellante e il V.P.G. cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].
Svolgimento del processo
Con l’appello in esame il prof. dr. B.M.A.G. impugna la sentenza in epigrafe che, in parziale accoglimento dell’atto di citazione, lo ha condannato, nella qualità di professore ordinario di clinica odontoiatrica presso l’Università Milano Bicocca dall’1.11.2000 e di direttore di struttura complessa di odontoiatria dell’Azienda O.S.G. (giusta convenzione del 18 luglio 2001 tra l’Università e l’Azienda O. successiva alla delibera aziendale del 16 luglio 2001, n. 458) al risarcimento di tre distinte poste di danno: a) Euro 236.406,08 netti, già rivalutati, in favore dell’Azienda O.S. per voci retributive non spettanti a titolo di assegno perequativo (indennità di esclusiva, retribuzione di posizione piena e retribuzione di risultato); b) Euro 185.939,78 per differenze retributive tra la retribuzione percepita a tempo pieno anziché a tempo definito e quale corrispettivo per l’incarico di Direttore di Dipartimento, in favore dell’Università di Milano – Bicocca; c) Euro 3.970.169,46 (così ridotta dalla domanda attrice di Euro 4.670.787,60) previo scomputo del 15% per l’inerzia ispettiva dei vertici datoriali, per attività professionale nel proprio studio privato, svolto dall’appellante nonostante l’opzione di tempo pieno universitario e di intra moenia aziendale. La decisione impugnata ha, infine, condannato il B. al pagamento delle spese processuali, pari a Euro 632,66.
Con l’atto di gravame si ripropone l’eccezione di prescrizione dell’azione erariale, almeno per i danni asseritamente cagionati prima del 7 marzo 2011 (poiché l’invito a dedurre è stato notificato il 7 marzo 2016).
La Corte territoriale, al riguardo, avrebbe violato la L. n. 20 del 1994, il D.P.R. n. 3 del 1957, il D.Lgs. n. 165 del 2001. Infatti, la pregressa conoscenza dello svolgimento delle attività extraistituzionali da parte del B., il quale non avrebbe realizzato condotte di occultamento doloso del danno, era ben nota sia ai vertici universitari sia a quelli dell’Azienda Ospedaliera monzese. Richiama, sul punto, sia le dichiarazioni rese dai docenti, sia quelle dei dipendenti ospedalieri, per i quali il B. avrebbe avuto in cura sia i medesimi dipendenti che loro congiunti, nonché l’esistenza di convenzioni tra lo studio odontoiatrico privato del B. e il medesimo nosocomio. Sottolinea, al riguardo, che un procedimento penale instaurato presso la Procura di Monza per il delitto di truffa aggravata è stato archiviato con decreto del G.I.P., che ha evidenziato l’assenza di artifici e raggiri da parte del B., con conseguente necessaria efficacia della pronuncia anche nel presente giudizio contabile. Deduce, infine, anche la violazione delle norme in materia di imputazione colposa del danno, l’assenza dello stesso e il vizio di ultrapetizione vietato dall’art. 112 del c.p.c.
In via gradata sostiene, comunque, l’insufficienza della valutazione dell’apporto dei vertici universitari e aziendali nella vicenda, quantificato solo nel 15% dalla Corte milanese, e la mancata applicazione di tale riduzione unicamente alla posta di danno del mancato riversamento dei profitti all’amministrazione di appartenenza; chiede, conseguentemente, che tale apporto sia valutato per tutte le voci ritenute sussistenti nella misura almeno del 50%.
Ripropone poi la richiesta di assunzione di prova testimoniale da parte di vari dipendenti sia ospedalieri che universitari, articolando i relativi capitoli di prova.
Con il motivo di gravame sub IV (punto 6 della decisione impugnata) l’appellante lamenta il difetto di giurisdizione del Giudice contabile con riferimento alla posta di danno afferente la violazione dell’art. 53, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001 (sub c) in favore del Giudice ordinario. Sulla base della giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione sottolinea che va esclusa l’applicazione della giurisdizione contabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 7 bis dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001, introdotto dalla L. n. 190 del 2012. La novella non avrebbe avuto effetti esclusivamente processuali ma anche sostanziali, e, di conseguenza, la giurisdizione, per i fatti commessi antecedentemente, sarebbe del Giudice ordinario.
Contesta, poi, la mancata applicazione dell’art. 72, comma 7, della L. n. 448 del 1998, idonea a determinare l’assorbimento di tutte le fattispecie restitutorie previste dalla legge nell’ipotesi della violazione delle regole del regime di esclusività dei professori universitari.
Con successiva memoria difensiva, in vista dell’udienza, l’appellante ripropone i motivi di gravame. Sostiene al riguardo la decorrenza del termine di prescrizione dalla realizzazione della condotta dannosa, in assenza di doloso occultamento del danno; il B. ha dichiarato tutti i redditi e i vertici aziendali e universitari erano a conoscenza dell’attività privata, documentata anche con e mails, a nulla rilevando l’inerzia degli stessi nella denuncia del danno.
In punto di giurisdizione sottolinea la natura sanzionatoria dell’obbligo di restituzione previsto dal comma 7 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001, richiamando un’ordinanza delle Sezioni Riunite della Corte di Cassazione che hanno statuito la spettanza alla cognizione del Giudice ordinario qualora la violazione del divieto di attività lavorativa senza autorizzazione non comporti ulteriori voci di danno.
Con riguardo all’apporto partecipativo dell’Azienda Ospedaliera e dell’Università Bicocca nella causazione del danno, richiama le dichiarazioni confessorie del Direttore Generale dell’Università, per il quale l’Ateneo avrebbe operato soltanto controlli a campione in merito all’opzione per il tempo pieno espresse dai docenti; è, dunque, necessario rivedere il quantum addossato ai suddetti vertici e stimato – solo per la violazione di cui all’art. 53, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001 – nel 15%. Insiste, pertanto, nell’accoglimento dell’appello e nella conseguente assoluzione con rifusione delle spese di entrambi i gradi.
La Procura generale, dopo una ricostruzione dettagliata della vicenda in fatto e in diritto, chiede, invece, la reiezione della questione di giurisdizione, spettando alla Corte dei conti la cognizione dell’omesso versamento del compenso percepito per le attività non autorizzate, come da giurisprudenza di questa Sezione di appello e di molte altre Sezioni; anche la Corte di Cassazione, nell’ipotesi citata dall’appellante, ha riaffermato la giurisdizione contabile qualora, oltre al danno in contestazione, si richieda il risarcimento anche di ulteriori poste, come nella specie.
Chiede, poi, anche la reiezione dell’eccezione preliminare di prescrizione, in piena condivisione delle argomentazioni della sentenza impugnata. Infatti, la decorrenza della causa estintiva coincide con la conoscibilità obiettiva, da parte dell’amministrazione danneggiata, del danno erariale arrecato, coincidente con la data dell’ispezione dei N.A.S. dei Carabinieri nel febbraio 2014. Il vertice aziendale, del resto, per come dichiarato dal direttore generale dr. B., era convinto che l’attività privata dell’appellante fosse in convenzione con l’azienda ospedaliera e quindi in regime di intra moenia allargata.
Nel merito, premesso che l’archiviazione della vicenda, sotto il profilo penale, non ha alcuna efficacia vincolante in questa sede, sottolinea che l’appellante ha percepito per anni le indennità aggiuntive correlate al regime di esclusiva, per il quale aveva espresso l’opzione in data 31 gennaio 2001, senza alcuna comunicazione successiva del cambio di regime e senza ricevere alcun assenso, al riguardo e nelle forme di legge, dall’amministrazione. Il prof. B., in ragione di tale opzione, è stato equiparato retributivamente al personale medico ospedaliero, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 517 del 1999, mentre dalle indagini è emerso che l’appellante ha svolto per vari anni attività extramoenia non autorizzata. Di conseguenza, sono state erogate senza titolo le tre maggiorazioni retributive spettanti al Direttore di struttura complessa (indennità di esclusiva, retribuzione di risultato e retribuzione di posizione in misura piena). La quantificazione del danno ai sensi dell’art. 72, comma 7, della L. n. 448 del 1998 si riferisce, poi, alla reintegrazione del fondo istituito per la remunerazione del personale medico in regime di esclusiva.
Ribadisce poi il Requirente, con riguardo alla voce di danno arrecata all’Università per violazione delle regole sul tempo pieno, che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n. 382 del 1980, per il personale docente universitario è possibile svolgere attività extraistituzionali retribuite esclusivamente a fronte dell’opzione per il regime a tempo definito, da formalizzare con domanda al Rettore sei mesi dell’inizio di ogni anno accademico; conseguono a tale opzione, peraltro, limitazioni nella progressione di carriera, come l’ impossibilità di essere nominato Direttore di Dipartimento.
L’appellante era, dunque, obbligato al riversamento dei ricavi discendenti dall’attività extra moenia non autorizzata ai sensi dell’art. 53, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Si chiede, poi, di respingere le generiche doglianze sulla quantificazione dell’importo dovuto, poiché i calcoli si basano sui cedolini stipendiali e sui dati contabili certificati dall’Università, mentre ritiene meritevole di accoglimento la riduzione di tutte le voci di danno di cui è condanna, tenuto conto del concorso colposo degli organi di vertice dell’Azienda sanitaria e dell’Università, rimasti inerti.
All’udienza del 23 gennaio 2018 l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con riferimento alla memoria della Procura, ha sostenuto la rilevanza delle dichiarazioni dei professori e presidi della facoltà di Medicina di essere stati curati addirittura dal 2000 nello studio di B.. La sentenza, dunque, è contraddittoria sul punto, sostenendo la mancanza di una dimostrazione della conoscenza dell’attività non autorizzata da parte dei vertici aziendali. Dalle indagini è, infatti, emersa una generale consapevolezza dello svolgimento di attività extra moenia da parte dell’appellante. Di conseguenza, il termine di decorrenza della prescrizione era molto antecedente rispetto a quello ritenuto dalla decisione impugnata che, peraltro, aveva tenuto conto di tale conoscenza, in maniera contraddittoria, soltanto per la riduzione dell’addebito. Ha insistito pertanto per l’accoglimento dell’appello. L’avv. [#OMISSIS#] Manzi ha ribadito le evidenze penali, pur dando atto della mancanza di vincolatività del decreto di archiviazione, sottolineando comunque che un penetrante controllo avrebbe potuto portare all’accertamento delle condotte del B., come peraltro riconosciuto anche dal Giudice territoriale, che però non ne aveva tratto le necessarie conseguenze.
Per il V.P.G. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] la sentenza fa riferimento alla conoscibilità obiettiva, all’esternazione di una determinata situazione, che si ha con il rapporto dei NAS. Anche a voler retrodatare tale data al 2013 (data della mail diretta al direttore generale universitario dal dott. M.) l’azione è comunque tempestiva. La lettera presentata brevi manu dal B. è del febbraio 2014, mentre la nota del 2015 e dichiarazioni del B. riguardano esclusivamente l’attività di intra moenia allargata e quindi con il rispetto del regime di esclusiva. Per la prima posta di danno, dunque, è incontrovertibile l’opzione per il regime di intra moenia da parte del B., con la conseguente erogazione dei livelli retributivi massimi. Per la seconda posta di danno all’Università “Bicocca” di Milano, il B. avrebbe dovuto optare per il regime di “tempo definito” e di ciò è conferma la nota diretta al B.. Parimenti sussiste la terza posta di danno. Nel richiedere, comunque, l’applicazione di una riduzione del 15% anche per le altre voci, ha insistito per la conferma della sentenza impugnata con la precisazione di cui sopra.
La causa è stata quindi rimessa in decisione.
Motivi della decisione
1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. II App., sentenze nn. 138 e 139 dell’11.2.2016), ai sensi dell’art. 101, n. 2 del Codice di Giustizia contabile (prima artt. 276 e 279 c.p.c.e 26 Reg. Proc.) è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice, secondo motivate ragioni di logica giuridica, di coerenza e ragionevolezza, l’ordine di trattazione delle questioni preliminari e di merito (Corte Cost., n. 272 del 13.7.2007; Cass., sent. N. 122113/2008; SS.RR. n. 727 del 2.10.1991).
2.1Pertanto, anche se risulta esposto sub motivo n. IV (pag. 42 appello), seguendo peraltro l’impostazione della sentenza impugnata, occorre trattare della questione di giurisdizione riguardante la posta di danno da omesso riversamento di cui all’art. 53, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001, vigente ratione temporis e prima della modifica intervenuta con il comma 42 dell’art. 1 della L. n. 190 del 2012, che ha espressamente statuito la natura di danno erariale dell’omesso riversamento e la spettanza della cognizione al giudice contabile.
2.2 Il motivo è infondato, alla luce della giurisprudenza della Corte regolatrice (Cass. Civ. SS.UU. n. 22688 del 2011 e 20701 del 2013 nonché, più di recente, la n. 25769 del 2015), seguita da questa Corte dei conti (questa Sezione I, n. 406 del 2014, n. 1052 del 2014, nn. 332 e 80 del 2017, ex multis). Secondo tale prospettazione, l’art. 7 del D.Lgs. n. 165 del 2001 è volto a tutelare un interesse pubblico, il dovere di esclusività del pubblico impiegato, al di fuori delle ipotesi tipicamente ed espressamente stabilite e salvo autorizzazione, interesse che non riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro con l’amministrazione di appartenenza. Infatti, se pure sussiste il dovere del soggetto, pubblico o privato, presso il quale è stata effettuata l’attività non autorizzata, di riversare all’amministrazione di appartenenza del dipendente il compenso indebitamente erogato (per essere devoluta in conto entrata del bilancio per essere destinata ad incremento del fondo di produttività o dei fondi equivalenti), nondimeno un analogo e indipendente obbligo è previsto per colui che percepisce il compenso, dovere che, certamente, non viene meno. La giurisprudenza citata è stata più di recente confermata da Cass. SS.UU., n. 25769 del 2015, che ha, tra l’altro, ribadito che l’entrata in vigore del comma 7- bis dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001, introdotto dalla L. n. 190 del 2012 ha sostanzialmente ribadito, con valore dunque di interpretazione autentica di una norma già vigente, la giurisdizione contabile in subiecta materia. Il supremo Organo regolatore del riparto, infatti, pronunciando proprio su una decisione di questa Sezione in data 13 marzo 2014, ha sottolineato che la regola affermata dal comma 7-bis, aggiunto dalla L. n. 190 del 2012 (“Disposizioni per la prevenzione e per la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) ha meramente confermato, a livello normativo, la spettanza della giurisdizione contabile, già consolidata nella giurisprudenza: l’art. 7 bis del D.Lgs. n. 165 del 2011, nell’aggiungere l’inciso “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico, indebito percettore, costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti, è meramente ricognitiva del disposto precedente”. L’obbligo di versamento del compenso indebitamente percepito, in difetto di autorizzazione, da parte del dipendente, costituisce dunque un rafforzamento del dovere di richiedere l’autorizzazione all’amministrazione di appartenenza, al fine di garantire, attraverso il controllo di quest’ultima sulla compatibilità dell’incarico extraistituzionale, il proficuo svolgimento di quello principale. Per cui deve ribadirsi l’assoluta autonomia tra la procedura testé richiamata (obbligo dell’Amministrazione di richiedere al terzo erogatore l’importo dei compensi percepiti) e il dovere di recupero dello stesso in capo al Procuratore contabile. La richiamata decisione della S.C. ha, altresì, precisato che la norma de qua si sottrae ad ogni dubbio di legittimità costituzionale, perché contribuisce ad assicurare il buon andamento degli uffici, non distoglie i dipendenti dal loro giudice naturale che è, per quanto riguarda la responsabilità amministrativa, la Corte dei conti, e non li sottopone ad alcuna irragionevole disparità di trattamento rispetto ai lavoratori privati che, in quanto estranei all’Amministrazione, non si trovano nella medesima posizione di quelli pubblici.
2.3 Non ignora il Collegio che la medesima Suprema Corte, con decisioni a Sezioni Unite n. 8688 del 2017 e, in precedenza, n. 19072/2016, sembra avere abbracciato la soluzione contraria; ma un’analisi più approfondita delle citate pronunce rileva la diversità delle fattispecie concrete alla base dell’esame di legittimità. Esse, infatti, riguardavano l’opposta ipotesi nella quale era stata l’Amministrazione di appartenenza a citare in giudizio il dipendente davanti al G.O. per il mancato riversamento dei compensi indebitamente percepiti, ovvero il dipendente, al quale erano state effettuate trattenute stipendiali, a rivolgersi al G.O. per tutelare l’integrità del compenso percepito. In tale contesto, dunque, nessuna azione della Procura contabile era stata iniziata e, pertanto, è evidente che non si poneva, in concreto, alcun problema di giurisdizione concorrente. Giova ricordare che, comunque, la questione di giurisdizione è regolata dall’oggetto della domanda e che l’indagine, sul punto, va condotta con riguardo ai fatti allegati dall’attore e che essa prescinde dalle questioni sulla proponibilità della domanda stessa, oggetto del giudizio di merito (Cass. SS.UU. n. 4805/2005; n. 1470/1994). Infine, la stessa Corte regolatrice, nelle citate pronunce, ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti in presenza di altre ipotesi di danno, come nella specie si è verificato.
2.4 In completa adesione alla richiamata giurisprudenza affermativa della giurisdizione di questa Corte anche antecedentemente alla ripetuta modifica normativa, che deve, conclusivamente, essere ritenuta meramente ricognitiva di un disposto normativo già affermato, il motivo deve essere respinto.
3.Va poi esaminato il motivo di gravame concernente la dedotta prescrizione di tutte le ipotesi di danno, articolato sub motivo II (pag. 24 appello) poiché – a dire dell’appellante – sia l’Università che l’Azienda Ospedaliera avrebbero conosciuto da tempo l’attività svolta dal prof. B. extra moenia e senza autorizzazione, tanto che sia dirigenti che dipendenti avrebbero fatto ricorso alle cure odontoiatriche prestate presso l’ambulatorio privato dell’appellante. In altre parole, non sarebbe integrato l’occultamento doloso del danno, unica ipotesi che consente lo spostamento del termine prescrizionale alla data della scoperta del nocumento.
3.1 Il motivo è infondato.
Il prof. B. optò espressamente, con dichiarazione del 31 agosto 2001, per il regime di esclusiva, il quale, più tardi, gli consentì di conseguire la nomina a Capo Dipartimento (impossibile per il personale a tempo definito). Tale contegno non è affatto neutrale, come vorrebbe l’appellante. Infatti, anche se va dato atto di un certo lassismo nei controlli sulle scelte di esclusività da parte di entrambe le amministrazioni (alle quali, per una voce di danno, è stata addebitata una quota ideale di responsabilità quantificata nel 15%), tuttavia è anche vero che i suddetti apparati erano stati certamente rassicurati dalla dichiarazione del B., mai mutata nel tempo, nonostante l’attività libero professionale fosse certamente rimarchevole (tanto da generare cospicui ricavi). In presenza di tale espressa opzione, e in assenza di ulteriori manifestazioni di volontà, rese note con le modalità di legge all’Università e all’Azienda Ospedaliera (nel caso dei docenti universitari, sei mesi prima dell’inizio di ogni anno accademico e, per gli ospedalieri, ai sensi dell’art. 15-quater, comma 4, del D.Lgs. n. 502 del 1992 e 15-quater, comma 3, del D.Lgs. n. 229 del 1999, entro il 30 novembre di ciascun anno e con effetto dal 1 gennaio dell’anno successivo), le Istituzioni hanno tratto un ragionevole affidamento nella mancanza di revoca della precedente, nei termini di legge. D’altra parte, sarebbe assurdo permettere il decorso del termine prescrizionale in assenza di una concreta possibilità, da parte dell’amministrazione danneggiata, di rendersi conto del nocumento arrecatole, in applicazione del principio, di cui all’art. 2935 c.c. “contra non valentem agere non currit praescriptio (cfr. questa Sezione, n. 432 del 2017).
4. Nel merito, l’appellante contesta le tre voci di danno ritenute sussistenti dalla Corte territoriale e, pur non negando i fatti storici alla base della condanna, tenta di escludere o, comunque, di ridimensionare la propria responsabilità dal punto di vista dell’elemento soggettivo dell’addebito, sottolineando la conoscenza diffusa della sua attività esterna da parte sia dei vertici aziendali ospedalieri (dr. B., direttore generale) che dei Presidi della facoltà di Medicina e Chirurgia, ovvero di altri soggetti (funzionari e dipendenti dei due istituti, i quali, assieme ai vertici istituzionali, e ai loro familiari, si sarebbero avvalsi delle cure del prof. B., v. pag. 17 appello). Il motivo di gravame è articolato sotto plurimi aspetti, riportati alle pagg. 11 e seguenti del gravame e nuovamente alle pagg. 24 e seguenti trattando della prescrizione.
4.1 E’ incontestato che, per il periodo di riferimento (2001/2014) il prof. B. abbia svolto, senza autorizzazione alcuna e in violazione del regime di esclusività che lo legava sia all’Azienda ospedaliera che all’Università, in presenza dell’espressa opzione sopra richiamata e mai revocata durante tutto il periodo medesimo, un’intensa attività libero professionale nel suo studio privato sito in M., via R. n. 17, conseguendone cospicui ricavi e, nel contempo, percependo le indennità varie di esclusività, risultato e della retribuzione di posizione (quest’ultima in misura intera); emolumenti tutti perspicuamente ricostruiti, nella loro esegesi storico-normativa, dal Giudice territoriale, il quale ha anche richiamato la normativa di raccordo tra la disciplina dei medici ospedalieri e quella dei medici docenti universitari (le cosiddette indennità perequative, dapprima introdotte con il D.P.R. n. 761 del 1979 e successivamente con l’art. 6 del D.P.R. n. 517 del 1999). Non è qui il caso di indugiare sulla ricostruzione sistematica compiuta dalla sentenza impugnata, assai approfondita, che ha individuato la ratio della normativa restrittiva della possibilità dei medici pubblici di svolgere attività privata, istituendo un deciso “spartiacque” tra gli esercenti l’attività in via esclusiva in favore dell’Azienda e tra coloro che la esercitano a tempo definito, i quali hanno minori sviluppi di carriera. Ciò allo scopo non soltanto di sottolineare e favorire l’utilizzo delle energie del medico-lavoratore pubblico in favore del datore di lavoro, ma anche di ridurre le liste di attesa dei pazienti, con una conseguente maggiore tutela del diritto alla salute protetto e valorizzato dall’art. 32 della Costituzione. Non è stata, tuttavia, eliminata la possibilità di svolgere anche attività di tipo libero-professionale, subordinata, peraltro, ad un’espressa opzione e con il rispetto di precisi nei limiti temporali, come sopra riportati, e con la conseguente riduzione delle prospettive di carriera (quali, ad esempio, le funzioni di Direttore di Dipartimento).
4.2 Alla luce di quanto precisato, è evidente, quindi, che l’appellante ha percepito, in tutta consapevolezza, le indennità sopra citate e non dovute per lunghi anni, nonché quella di Direttore di Dipartimento, in assenza dei presupposti di legge. E’ del tutto superfluo rilevare, come giustamente ha sottolineato la decisione impugnata, che a un professore universitario della levatura del prof. B., il quale era assurto al vertice anche nell’ambito ospedaliero, svolgendo la complessa attività di Capo Dipartimento, involgente non solo la scientia medica ma anche quella burocratico-gestionale, non poteva sfuggire l’irrilevanza delle assicurazioni fornite dai soggetti richiamati, ovvero dai dipendenti cui prestava le cure, in primis perché del tutto incompetenti (come i Presidi di facoltà) al rilascio di qualsivoglia autorizzazione in merito, poi perché meramente verbali e non estrinsecatisi in provvedimenti scritti. Era, altresì, evidente l’assoluta impossibilità di un affidamento sicuro, tale da elidere l’elemento soggettivo della colpa grave; al contrario, il comportamento tenuto dal B. evidenzia una noncuranza delle leggi di settore tale da configurare un atteggiamento, se non di protervia, il che suona eccessivo, almeno di consapevole non cale. Sul punto, pertanto, la decisione impugnata non merita censura, né è incorsa, come vorrebbe l’appellante, nel vizio di ultrapetizione di cui all’art. 112 c.p.c. Al riguardo, infatti, e a differenza di quanto ritenuto dal Giudice penale nel decreto di archiviazione che riguardava la ben diversa ipotesi della truffa aggravata (delitto che richiede, com’è noto, la prova della finalità di profitto dell’agente), lo stesso appellante, come ricordato nell’impugnazione, era tanto consapevole della necessità di un’espressa opzione per l’attività intra moenia e delle varie modalità di svolgimento da farvi riferimento nella sua richiesta del 31 agosto 2008.
4.3 Non va, nemmeno, accolta la tesi per la quale il c.d. “dolo contabile” deve abbracciare sia la condotta che l’evento di danno, analogamente al dolo penale di cui all’art. 43 c.p. Infatti, per giurisprudenza consolidata, il dolo contabile riguarda la consapevole violazione del rapporto di servizio e non le eventuali conseguenze dannose, a differenza di quello penale (II Sez. Centr. App. n. 649 del 2017 e III Sez. Centr. App. n. 516/2016, ex plurimis). Quindi, in fattispecie, è sufficiente che il B. fosse consapevole della necessità di un’espressa opzione per il regime non esclusivo in ambito ospedaliero e di quello a tempo definito per l’ambito universitario, e, per le ragioni esposte, quale pubblico dipendente, lo era o non avrebbe potuto non esserlo, per come evidenziato diffusamente dalla Corte di primo grado. Sul punto, quindi, non sono conferenti le diffuse argomentazioni circa la sovrapponibilità tra la condotta truffaldina inizialmente ipotizzata in sede penale e di cui al decreto di archiviazione e quella di cui si verte, proprio perché la sussistenza della fattispecie di reato (ipotesi tipica, in conformità al principio di legalità e tipicità del diritto penale) impone l’analitica verifica, oltre il ragionevole dubbio, di tutti gli elementi costitutivi (condotta, evento, nesso eziologico ed elemento soggettivo).
4.4 Infine, va negata ogni [#OMISSIS#], non soltanto al fine del decorso del termine prescrizionale, di cui supra, ma anche con riguardo all’elemento soggettivo dell’addebito, della “pregressa conoscenza” dell’attività extraistituzionale dell’appellante da parte di Presidi, Direttori Generali, personale aziendale e funzionari vari indicati alle pagine 16, 17 e 18 dell’appello. Al riguardo, in disparte la sussistenza di tale conoscenza, meramente presunta, annettervi conseguenze tali da escludere l’elemento soggettivo dell’addebito equivarrebbe a istituzionalizzare e portare al rango di esimente un’eventuale colpevole connivenza di terzi. Non è, al riguardo, viziata da contraddittorietà logica la decisione che ha sottolineato la conoscenza del sostrato normativo da parte dei vertici istituzionali, perché tale conoscenza, se non costituiva elemento tale da consentire la decorrenza del termine di prescrizione perché non istituzionalizzata in formali provvedimenti, poteva però dare ingresso ad una riduzione dell’addebito. Insomma, ciò che ha voluto dire la decisione è che non poteva essere addebitata ad altri la commissione di illeciti da parte di un soggetto che, per posizione rivestita sia nell’ambito ospedaliero che in quello universitario, come dimostrato dal curriculum vitae e studiorum, era o avrebbe dovuto essere edotto della legislazione di riferimento.
5. Con un ulteriore motivo di gravame l’appellante nega, in tutto o in parte, l’an e il quantum debeatur sotto tre profili. In primo luogo, ripropone l’eccezione di prescrizione del credito erariale; in secondo luogo, deduce che, comunque, l’importo dovrebbe essere determinato ai sensi dell’art. 7 della L. n. 442 del 1998 e, in terzo luogo, negando la sottrazione di energie fisiche e mentali dell’appellante a seguito della prestazione delle attività non istituzionali; al contrario, il prof. B. avrebbe raggiunto traguardi importantissimi per l’Università di Milano Bicocca.
5.1 Esaminando, per priorità logico-giuridica, la sussistenza stessa del danno, è agevole rilevare che il thema decidendum non riguarda certamente il danno da disservizio ovvero il nocumento comunque collegato ad uno scadimento, in qualità o quantità, delle prestazioni lavorative rese dall’appellante. Trattasi, invece, di due poste costituite, rispettivamente, nelle differenze retributive erogate al prof. B. dall’Università e dall’Azienda ospedaliera per le indennità non spettanti ed effettivamente erogate mentre la terza consegue al mancato riversamento del compenso aliunde percepito alle Amministrazioni danneggiate (di cui al ripetuto art. 53, comma 7 e 7 – bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001). Tanto emerge dalla semplice lettura dell’atto di citazione e della sentenza impugnata, che non ha disconosciuto i meriti scientifici e accademici dell’appellante. Le critiche di quest’ultimo sono, quindi, fuor di bersaglio, non essendo affatto in questione la necessaria prova del danno nel caso della sussistenza di una mera, astratta incompatibilità. Dalle incompatibilità sopra citate discende, ipso iure, invece, il danno derivante dall’applicazione di una retribuzione maggiore, a vario titolo, per previsione di legge e di contratto collettivo, diffusamente riportati al punto 3 e seguenti della decisione impugnata: “Il prof. B., quale professore ordinario, è stato dunque legittimamente equiparato retributivamente, sul presupposto del non espletamento di attività extramoenia come da sua scelta effettuata con nota olografa 31.8.2001