Corte dei conti, sez. I, 17 marzo 2017, n. 80

Docenti a tempo definito e a tempo pieno – Incompatibilità – Nozione di consulenza

Data Documento: 2017-03-17
Area: Giurisprudenza
Massima

[X] L’art. 6, comma 10, l. 30 dicembre 2010, n. 240, in tema di attività di consulenza extra ufficio svolta docenti a tempo pieno, va letto unitamente al successivo comma 12, dedicato ai professori a tempo definito, per i quali il limite per lo svolgimento delle attività libero-professionali è costituito dall’assenza di conflitto di interesse con l’ateneo di appartenenza. Da ciò si desume che, per i professori a tempo pieno, rimane il divieto di espletamento di attività libero professionale in assoluto, se svolta con continuità, e la necessità di previa autorizzazione dell’Ateneo di appartenenza se svolta occasionalmente. La libera attività di consulenza per i professori a tempo pieno, ex art. 6, comma 10, l. 30 dicembre 2010, n. 240, non va intesa come qualcosa di diverso dalla collaborazione scientifica, di cui conserva la stessa natura e caratteristiche, e non può in ogni caso coincidere con l’attività libero-professionale con il privato o con il pubblico. Tale attività non è possibile in base al successivo il comma 9 in quanto “L’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno”.

Contenuto sentenza

SENTENZA n. 80/2017
REPUBBLICA ITALIANA                     
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
 SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
Composta dai seguenti magistrati:
[#OMISSIS#] Rotolo                                                                 Presidente
[#OMISSIS#] Loreto                                                                   Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]                                                      Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] La Cava                                          Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]                                                           Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sull’appello iscritto al n. 50927 del Ruolo Generale, proposto da Palazzo Bruno, C.F. PLZBRN47E04F839L, rappresentato e difeso, giusta procura a margine dell’appello, dall’avv. [#OMISSIS#] D'[#OMISSIS#] e dall’avv. Prof. Giovanni Leone e con gli stessi elettivamente domiciliato in Roma alla via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] n. 50,
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Campania n. 94/2016, depositata il 10 febbraio 2016 e notificata il 12 aprile 2016.
Visti gli atti e documenti tutti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del giorno 7 febbraio 2017, con l’assistenza del segretario dott. ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cerroni, il consigliere relatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], gli avvocati prof. Giovanni Leone e [#OMISSIS#] D'[#OMISSIS#] e il Pubblico Ministero, V.P.G. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].
FATTO
Il prof. Bruno Palazzo ha interposto appello avverso la sentenza in epigrafe, con la quale, in parziale accoglimento delle richieste della Procura Regionale, è stato condannato al risarcimento del danno, in favore dell’ Università degli Studi di Salerno, pari a € 64.150,71 con rivalutazione monetaria dal maggio 2011 fino al deposito della sentenza e interessi legali da tale ultima data fino al dì del soddisfo. La decisione compensava le spese di giudizio.
La notizia di danno perveniva dalla Guardia di Finanza di Salerno che, con nota dell’8 luglio 2014, aveva segnalato una serie di irregolarità emerse a seguito di indagini svolte su docenti in regime di tempo pieno presso la localeUniversità degli Studi.
La Procura attrice, che presentava anche istanza di sequestro conservativo, parzialmente accolta, evidenziava che il Palazzo, docente di Ingegneria in regime di tempo pieno dal 17.7.2000 e iscritto nell’Elenco Speciale dei docenti di cui al d.P.R. n. 382 del 1980, era titolare di partita IVA e aveva svolto una serie di attività libero professionali non autorizzate dall’Amministrazione di appartenenza, oltre a essere socio di molteplici società.
All’esito dell’istruttoria, quindi, il Requirente contestava le seguenti poste di danno:
a) € 138.921,48 quale maggiore retribuzione percepita dal prof. Palazzo dall’ottobre 2009 al dicembre 2013 – dedotto il periodo pregresso per intervenuta prescrizione – rispetto a quella che avrebbe dovuto percepire dall’ Universitàcome docente a tempo definito; in via subordinata, si chiedeva di quantificare la somma richiesta in quella, di € 47.604,73, accertata dal Giudice designato nell’ordinanza cautelare n. 490 del 2014;
b) € 166.616,56, pari al 70% della retribuzione percepita nel medesimo periodo, valutato il vantaggio derivante dalle prestazioni comunque rese, oppure, in via subordinata, la minor somma indicata nell’ordinanza cautelare, pari a € 71.407,09;
c) i compensi percepiti per lo svolgimento di attività non autorizzate, pari a € 106.898,71.
La sentenza impugnata, previa reiezione delle questioni pregiudiziali e preliminari, riteneva la totale incompatibilità dell’attività extraistituzionale con quella di professore universitario a tempo pieno, attesa la natura continuativa e non occasionale della stessa.
Peraltro, si teneva conto del fatto che il prof. Palazzo aveva contestualmente svolto l’attività di docenza presso l’ Università , con conseguente detrazione della quota contestata dalla Procura sub b), pari a € 166.616,56, percepita nel periodo 2009/2013 in costanza dello svolgimento delle cariche societarie vietate, con applicazione del principio della compensatio lucri cum damno.
Era, poi, respinta la domanda riguardante la posta contestata sub a), relativa alle differenze stipendiali tra la retribuzione a tempo pieno e a tempo definito (€ 138.921,48) avendo, il convenuto, fornito documentalmente la prova dell’impegno istituzionale contemporaneamente prestato.
In ordine, invece, al danno contestato sub c), di € 106.898,71, sottolineava la Corte territoriale che il convenuto avrebbe dovuto versare, a termini dell’art. 53, comma 7, del D. lgs. n. 165 del 2001, il compenso ricevuto nel conto entrata del bilancio dell’amministrazione, per essere destinato a incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Erano, infatti, da ritenersi vietate tutte le attività libero professionali svolte dal Palazzo, non rientranti nella nuova regolamentazione degli incarichi extraistituzionali dei docenti universitari di cui all’art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 30.12.2010; peraltro il Collegio detraeva dalla posta contestata i contributi previdenziali e le imposte versate.
Con tempestivo appello, notificato alla Procura Generale il 24 maggio 2016 e depositato nell’Ufficio del Ruolo generale il successivo 26 maggio, il prof. Palazzo deduceva l’error in iudicando per violazione dell’art. 53, comma 7°, D. lgs. n. 165 del 2001, contestando la giurisdizione di questa Corte dei conti poiché il mancato versamento del compenso era dovuto, innanzitutto, dal soggetto erogante e non dal percettore, per cui soltanto nella successiva ed eventuale fase si sarebbe potuta individuare un’ipotesi di responsabilità erariale. Sotto altro profilo, erroneamente disatteso dalla sentenza impugnata, non risultando che l’ Università avesse avviato alcun procedimento per il recupero nei confronti dei soggetti eroganti i compensi per le attività extraistituzionali prestate, trattavasi di un’obbligazione di carattere privatistico, sottratta alla cognizione del Giudice contabile e rientrante nell’ambito giuslavoristico.
La domanda risarcitoria era, altresì, inammissibile, perché l’ipotesi de qua, configurante responsabilità sanzionatoria a mente dell’art. 7 bis della legge n. 190 del 2012, doveva essere connotata da dolo o da colpa grave ai sensi della decisione delle Sezioni Riunite n. 12/Q.M. Del 27.12.2007, che non erano stati provati dalla Procura attrice, in violazione dell’art. 2967 c.c.
L’appellante riproponeva, poi, l’eccezione di prescrizione parziale dell’asserito danno patrimoniale per gli incarichi espletati in data anteriore al 30.10.2009, quinquennio antecedente la notifica dell’invito a dedurre del 30 ottobre 2014, non preceduto da ulteriori atti interruttivi. Era, pertanto, affetta da error in iudicando, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 20 del 1994 e dell’art. 3 della legge n. 639 del 1996, la tesi della Corte napoletana, che aveva individuato il dies a quo della causa estintiva nel momento dei pagamenti delle prestazioni e non in quello del loro espletamento.  Essendo l’asserito illecito di natura istantanea, non erano calzanti le richiamate decisioni nn. 5/1007/Q.M. e n. 14/2011/Q.M. delle Sezioni Riunite, che si riferivano alla diversa fattispecie di pagamenti effettuati dalle pubbliche amministrazioni. Pertanto, poiché i comportamenti illeciti erano stati posti in essere all’atto dell’accettazione degli incarichi (nel 1998 quello della Provincia di Napoli, nel 2008 per la consulenza della SE.CO. s.r.l.) l’azione per l’applicazione della sanzione di cui all’art. 53 cit. si era ormai prescritta, indipendentemente dall’effettivo pagamento dei compensi.
Si osservava, poi, che la consulenza resa in favore della Provincia di Napoli (per € 18.132,91 al netto di oneri fiscali) era stata conferita nel 1998 all’A.T.P. costituita dal prof. Palazzo e da altri due professionisti, e liquidata soltanto nel 2012 per difficoltà finanziarie dell’ente, per cui l’importo percepito avrebbe dovuto, comunque, essere decurtato della quota percepita dagli altri.
L’appellante reiterava, anche in questa sede, l’eccezione di violazione dell’art. 17, co. 30-ter, del D. lgs. n. 78 del 2009 e s.m.i., poiché il procedimento era stato iniziato dalla Procura regionale tre mesi prima che fossero richieste informazioni alla Guardia di finanza, in data 17 gennaio 2014.
Pertanto, in armonia con la sentenza n. 12/2011/Q.M. delle Sezioni Riunite di questa Corte, non integrava notizia concreta e specifica di danno un generico esposto che censurava la condotta di un soggetto, in assenza di un concreto danno per l’Erario, come nel caso del prof. Palazzo.
Lamentava, poi, l’appellante, che, ai sensi della normativa in tema di autorizzazione per gli incarichi dei professori universitari a tempo pieno (art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980, art. 1, commi 56-65 della legge n. 662 del 1996; art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001), come, da ultimo, modificata dall’art. 6, commi 9, 10 e 12 della legge n. 240 del 2010 (c.d. “legge [#OMISSIS#]”) i professori potevano svolgere liberamente, tra le altre, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, come interpretato da tutte le altre università italiane, tra cui quella di Napoli “[#OMISSIS#] II” e di Verona. In tale contesto, dunque, le attività svolte erano assolutamente legittime, essendo qualificabili come “consulenze”, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte territoriale nella sua restrittiva ed errata interpretazione. A sostegno si richiamava la nota del Rettore dell’ Università di Salerno, in risposta alla Procura regionale campana, che sottolineava la possibilità di svolgimento libero di “qualsiasi attività di consulenza”, senza alcuna autorizzazione dell’ente di appartenenza. Infatti, l’esperienza professionale concreta, in talune materie, era fonte insostituibile di arricchimento per le attività didattiche.
Dunque, dei quattro incarichi svolti dal prof. Palazzo, nessuno aveva arrecato danno erariale, tenuto conto della riconosciuta contemporanea attività di docenza svolta.
Si passavano, poi, in rassegna i suddetti incarichi consulenziali. Quello conferito dalla Provincia di Napoli nel 1998 aveva come controparte l’A.T.P., soggetto non dipendente dall’ Università di Salerno e quando il Palazzo era ancora a tempo definito; in seguito, avendo il professore optato per il regime a tempo pieno, aveva avuto cura di comunicare all’ Università che l’incarico era ancora in corso di svolgimento, e l’ente nulla aveva eccepito, lasciando presumere il rilascio di un’autorizzazione tacita ai sensi dell’art. 53, comma 10, del d. lgs. n. 165 del 2001; il compenso era, poi, a tutto concedere, addebitabile all’appellante soltanto nei limiti di 1/3, pari a € 6.044,30. 
La consulenza resa per la Società E.C. (Engineering Consultants) s.r.l. in liquidazione, nell’anno 2012, per un compenso di € 13.385,52 al netto di oneri fiscali, non era soggetta ad autorizzazione dell’Ateneo, come dichiarato dall’ente nella nota in risposta del 17.01.2012 alla domanda di autorizzazione in data 28.12.2011. Al riguardo, le date riportate nella sentenza impugnata erano errate, poiché quella della domanda di autorizzazione era del 28.12.2011 e non del 28.12.2010, in epoca successiva all’entrata in vigore della legge “[#OMISSIS#]”.
La consulenza affidata dall’ing. Petti, ai sensi della suddetta normativa, non necessitava di autorizzazione, consistendo in un parere su un innovativo tema ingegneristico richiesto da un ricercatore dell’Ateneo. Infatti, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il campo dell’art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010 non era ristretto alle consulenze scientifiche e culturali. A suffragio, si richiamava la citata nota del Rettore dell’Ateneo.
Si negava, poi, sia la sussistenza sia del dolo, che della colpa grave alla luce delle autorizzazioni tacite e scritte dell’Ateneo di appartenenza.
Inoltre, sussisteva il concorso colposo e determinante dell’ Università degli Studi di Salerno, ai sensi dell’art. 1227 c.c., poiché l’Ateneo non aveva mai attivato i servizi ispettivi previsti dall’art. 1, comma 62, della legge n. 662 del 1996.
Nel lamentare, infine, la mancata applicazione del potere riduttivo, a dispetto dell’eccellente curriculum dell’appellante e dell’assenza del dolo nella percezione dei compensi, delle carenze dell’Ateneo, della scarsa chiarezza dei testi legislativi, si chiedeva l’accoglimento delle richieste pregiudiziali, preliminari e di merito formulate.
Le argomentazioni dell’appello erano riepilogate e, ulteriormente, sostenute nella comparsa conclusionale depositata il 16 gennaio 2017, con la produzione del regolamento per l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi retribuiti esterni al personale docente e ricercatori in data 13 dicembre 2016 del Rettore dell’ Università degli Studi di Salerno, il dettaglio delle prestazioni professionali rese dai professionisti dell’A.T.P. per l’incarico Provincia di Napoli e le relative fatture dell’arch. [#OMISSIS#] Bellino.
La Procura Generale, nelle conclusioni in pari data, chiedeva, invece, la reiezione dell’appello sotto tutti i profili.
Per quanto riguardava la questione di giurisdizione, essa spettava alla Corte dei conti, come confermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 41 del 2015 e come emergeva perspicuamente dal testo della legge n. 190 del 2012, meramente ricognitivo della precedente volontà legislativa.
Dalla predetta ordinanza della Corte regolatrice si evinceva, poi, l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità o improcedibilità della domanda per omessa escussione del soggetto erogante, avendo la S.C. precisato che l’erogante poteva essere escusso soltanto se non avesse corrisposto i compensi previsti. Anche se l’obbligo di richiedere l’autorizzazione gravava principalmente sul soggetto terzo erogante, tuttavia, anche il percettore era obbligato a richiederla ed era destinatario del divieto e corresponsabile della relativa violazione.
La prescrizione, poi, non era maturata, perché l’invito a dedurre era stato notificato il 30.10.2014, interrompendone il decorso, che coincideva non già con le condotte contestate ma con l’erogazione dei compensi.
Parimenti infondata era la censura di nullità degli atti per mancanza di specificità e concretezza della notizia di danno, ai sensi dell’art. 17, comma 30 ter del d. l. n. 78 del 2009, perché essa coincideva con la segnalazione della Guardia di Finanza di Salerno, a seguito di indagini svolte sui redditi dei docenti universitari in servizio presso l’Ateneo cittadino.
Nel merito, nel sottolineare che l’illecito de quo, come precisato dalla legge n. 190 del 2012 “Anticorruzione”, era di carattere sanzionatorio, era evidente l’assenza di autorizzazione per tutti gli incarichi. Quelli conferiti dalla Provincia di Napoli e dalla Se.Co. s.r.l. avevano per oggetto attività professionale di progettazione e non di mera consulenza, sottratta, pertanto, alla riforma “[#OMISSIS#]”.
 L’appellante non aveva, poi, fornito la prova che la richiesta di autorizzazione fosse stata presentata il 28.12.2011 anziché l’anno precedente, come indicato dalla Corte territoriale; era, dunque, necessaria l’acquisizione della relativa documentazione, onde evincere la data dell’incarico, laddove l’Ateneo risultava aver negato l’autorizzazione sul presupposto dell’entrata in vigore della nuova normativa (“[#OMISSIS#]”). Infine, la consulenza per lo studio “Petti” non aveva carattere scientifico o culturale e pertanto non rientrava nelle esenzioni previste dalla suddetta legge.
Stante la chiarezza normativa sul punto, si confermava la presenza anche dell’elemento soggettivo dell’addebito, atteso l’elevato livello culturale dell’appellante, mentre non erano idonee a supportarne la dedotta buona fede le interpretazioni postume del Rettore dell’ Università di Salerno e di quello di Verona. Per lo stesso motivo, considerata la natura dolosa della condotta contestata, non poteva trovare accoglimento la richiesta di esercizio del potere riduttivo. 
All’udienza del 7 febbraio 2017 l’avv. Giovanni Leone sottolineava e ribadiva, con dovizia di argomentazioni, i motivi alla base dell’appello chiedendone l’accoglimento.
L’avv. D'[#OMISSIS#], nel ribadire l’importanza della decisione per il mondo accademico, insisteva anch’egli per l’accoglimento del gravame.
Il V.P.G. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] sottolineava la decisività della documentazione relativa alla richiesta di autorizzazione, onde evincerne la data. Per il resto, si riportava alle conclusioni scritte, insistendo per la conferma della decisione impugnata.
La causa era, quindi, posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In ordine al motivo di appello relativo al difetto di giurisdizione di questa Corte dei conti, si sostiene che l’obbligo di versamento del compenso percepito dal dipendente, in difetto di autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, sarebbe dovuto in primis da quest’ultima e soltanto in seconda battuta dal dipendente stesso, configurandosi, quindi, un’obbligazione di carattere privatistico rientrante nella cognizione del Giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.
Il motivo è infondato, alla luce della pacifica giurisprudenza della Corte regolatrice (Cass. Civ. SS.UU. n. 22688 del 2011 e 20701 del 2013), seguita da questa Corte dei conti (questa Sezione I, n. 406 del 2014 e n. 1052 del 2014) che ha sottolineato che l’art. 7 del d. lgs. n. 165 del 2001 è volto a tutelare un interesse pubblico, il dovere di esclusività tipico del pubblico impiego al di fuori delle ipotesi tipicamente ed espressamente stabilite e salvo autorizzazione, che non riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro con l’amministrazione di appartenenza. Infatti, se pure sussiste il dovere di quest’ultima di riversamento all’erario del compenso relativo a incarichi non autorizzati, nondimeno un analogo e indipendente obbligo è previsto per colui che percepisce gli emolumenti, obbligo che, certamente, non viene meno. La giurisprudenza citata al riguardo dall’appellante rimane assolutamente minoritaria e non è stata condivisa in sede di appello, come la decisione della Sezione giurisdizionale per la Lombardia n. 31 del 2012, riformata proprio da questa Sezione con la citata decisione n. 401 del 2014.  Aderendo all’interpretazione prospettata dalla Difesa, infatti, si arriverebbe alla paradossale conclusione di svuotare di contenuto la norma precettiva, poiché nel caso in cui, come nella specie, l’amministrazione non abbia agito nei confronti del terzo, l’obbligo del privato percettore sarebbe venuto meno. In completa adesione alla richiamata giurisprudenza e alla motivazione dell’impugnata decisione, il motivo deve essere respinto.
2. Ne discende la reiezione anche del secondo motivo di appello, collegato al primo da un nesso logico-giuridico, anche se presentato sub specie di eccezione di improcedibilità dell’azione della Procura contabile per la mancata, preventiva escussione, da parte dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente, del terzo erogatore dei compensi illeciti. L’eccezione, oltre a trascurare il fatto che tutti i compensi di cui si verte sono stati effettivamente versati in favore dell’appellante, per cui soltanto a quest’ultimo incombeva l’obbligo di riversare il tantundem all’Erario, in applicazione dell’art. 7 più volte citato, è infondata.
Al riguardo, ancora una volta la Corte regolatrice, nel riaffermare in subiecta materia la giurisdizione contabile, ha sancito, in armonia con la precedente giurisprudenza, che l’art. 7 bis del d. lgs n. 165 del 2011, nell’aggiungere l’inciso “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico, indebito percettore, costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti, è meramente ricognitiva del disposto precedente” (Cass. SS.UU. Civ., n. 25769/2015 e giurisprudenza in essa richiamata). In tale contesto, l’obbligo di versamento del compenso indebitamente percepito, in difetto di autorizzazione, da parte del dipendente, costituisce un rafforzamento del dovere di richiedere l’autorizzazione all’amministrazione di appartenenza, al fine di garantire, attraverso il controllo di quest’ultima sulla compatibilità dell’incarico extraistituzionale, il proficuo svolgimento di quello principale. Per cui deve ribadirsi l’assoluta autonomia tra la procedura testè richiamata (obbligo dell’Amministrazione di richiedere al terzo erogatore l’importo dei compensi percepiti) e il dovere di recupero dello stesso in capo al Procuratore contabile.
3. Anche l’eccezione di prescrizione, sollevata anche in primo grado, deve essere disattesa. Essa si fonda sull’identificazione del dies a quo della causa estintiva nella data di espletamento degli incarichi più risalenti (conferito dalla Provincia di Napoli nel 1998 il primo e dalla società Seco S.r.l. nel 2008 il secondo) e non nel pagamento dei relativi compensi, avvenuto rispettivamente con determina dell’11 Aprile 2012 per il primo e dal 2010 al 2012 per il secondo). Al riguardo, pur dandosi atto che la giurisprudenza citata nella decisione impugnata riguarda la diversa problematica del danno conseguente a indebiti esborsi della pubblica amministrazione, nondimeno in fattispecie il danno consegue al mancato riversamento del compenso indebito da parte del pubblico dipendente; con l’ovvia conseguenza che il dies a quo non poteva che coincidere con la data dei pagamenti e non certo con quella dell’espletamento dell’incarico, che di per sé non faceva nascere nessun obbligo. Del resto, la tesi emerge anche dall’atto di appello, nel quale si afferma, mutuando concetti della dottrina penalistica, che trattasi di illeciti “istantanei”, consumati nel momento nel quale si svolgono gli incarichi non autorizzati, ma che non vi è alcun danno per l’amministrazione di appartenenza nel momento in cui nessun pagamento è stato effettuato. Una diversa opinione sarebbe illogica, perché nessun obbligo di riversamento può sorgere in assenza di tale pagamento. Di conseguenza, è corretta la tesi della Corte territoriale e sul punto la decisione deve essere confermata.
4. Privo di pregio è poi il motivo riguardante l’asserita assenza, nella notitia damni, dei caratteri di specificità e concretezza per l’avvio dell’azione erariale, poiché la stessa si è fondata su una segnalazione del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Salerno dell’8 luglio 2014 sulla scorta di indagini svolte sulle dichiarazioni dei redditi dei docenti universitari. Pertanto, sussistono, come ritenuto dalla Corte territoriale, tutti gli elementi di cui all’art. 17, comma 30 ter, del d.l. n. 78 del 2009 e s.m.i., come precisati dalle Sezioni Riunite di questa Corte. 12/Q.M./2011, trattandosi di una autodichiarazione dalla quale risultavano compensi da soggetti diversi dall’ Università di Salerno, di rilevante ammontare, la cui provenienza doveva essere approfondita alla luce dei fatti in discussione.
5. Venendo, poi, al merito, l’appellante contesta l’interpretazione del primo Giudice data alla complessa materia, nella quale occorre tener conto dello speciale regime delle autorizzazioni per gli incarichi istituzionali dei professori universitari, in ragione del principio, tutelato dall’art. 33 della Costituzione, di libertà di insegnamento e del libero esercizio dell’arte e della scienza. Sotto tale aspetto, ad avviso dell’appellante, gli incarichi ricadenti sotto la vigenza temporale dell’art. 6 della legge n. 240 del 2010 (legge “[#OMISSIS#]”), e cioè quello relativo alla consulenza in favore della società Engineering Consultants (anno 2012) e per l’ing. Petti (anno 2011) rimarrebbero al di fuori dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione all’Ateneo di appartenenza, essendo qualificabili come attività di consulenza, ivi prevista.
Il Collegio, condividendo sul punto l’interpretazione della decisione di primo grado, non ritiene che i suddetti incarichi possano rientrare nel concetto di “consulenza” di cui alla riforma del 2010. Precisa, tuttavia, che per l’incarico della E.C. s.r.l. l’appellante presentò effettivamente l’istanza di autorizzazione il 28 dicembre del 2011 e non l’anno precedente, come ritenuto dalla Corte territoriale. Ciò si desume dall’allegato n. 78 al fascicolo del convenuto nel giudizio di primo grado, acquisito in sede di gravame.
In ogni caso, la conclusione, per quanto riguarda la natura degli incarichi, non cambia. Infatti, analizzando l’oggetto dei predetti, si evince chiaramente che non si trattava di consulenza in materia scientifica, ma di fornire risoluzione a problematiche concrete e, quindi, di espletamento di attività libero professionale. E, in ogni caso, come affermato da giurisprudenza anche recente (cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna, n. 37 del 2015, che ha esaminato funditus la questione delle autorizzazioni dopo l’entrata in vigore della legge “[#OMISSIS#]”), deve ritenersi che l’art. 6, comma 10, per i docenti a tempo pieno, vada letto unitamente al successivo comma 12, dedicato ai professori a tempo definito, per i quali, invece, l’unico limite per lo svolgimento delle attività libero-professionali è costituito dall’assenza di conflitto di interesse con l’ateneo di appartenenza. Da ciò si desume che, per i professori a tempo pieno, rimane il divieto di espletamento di attività libero professionale in assoluto, se svolta con continuità, e la necessità di previa autorizzazione dell’Ateneo di appartenenza se svolta occasionalmente, come nella specie. L’attività di consulenza, pertanto, non va intesa come qualcosa di diverso dalla collaborazione scientifica, di cui conserva la stessa natura e caratteristiche e non può in ogni caso coincidere, confondendosi, con l’attività libero-professionale con il privato o con il pubblico. Tale attività non è possibile per il comma 9 in quanto “L’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno”.  Diversamente, l’attività di consulenza, intesa come consulenza scientifica, diventa possibile anche per i professori a tempo pieno, così come espressamente previsto per tutte le altre attività compatibili citate nel comma 10. Diversamente opinando, infatti, il divieto sarebbe facilmente aggirabile, per i professori a tempo pieno, indicando come mere consulenze incarichi che, invece, hanno natura libero professionale, che, sicuramente, va riferita a tutti quelli oggi in contestazione.
Non è inutile ricordare, in proposito, che i nominativi dei professori a tempo pieno vengono comunicati all’ordine professionale al cui albo i professori risultano iscritti al fine della loro inclusione in un elenco speciale.
Neppure può essere accolto il rilievo che l’incarico conferito dalla Provincia di Napoli all’Associazione Temporanea di professionisti (A.T.P.) e non personalmente al prof. Palazzo non ricadrebbe nell’obbligo autorizzativo. E’ evidente, infatti, che l’A.T.P. non costituisce un soggetto giuridico diverso dai professionisti che lo compongono, trattandosi di una forma associativa interna volta ad una migliore organizzazione del lavoro da svolgere e dei correlativi obblighi.
Tanto precisato ai fini della sussistenza dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione al fine della sussistenza dell’elemento del danno ([#OMISSIS#]: dell’obbligo di versamento del compenso percepito, a titolo di sanzione, all’amministrazione di appartenenza), posto in dubbio dall’appellante, per tutti gli incarichi in discussione, alcune precisazioni si impongono.
Per quanto riguarda, infatti, l’ammontare dell’importo oggetto di riversamento, va accolto il relativo motivo di gravame relativamente all’incarico, sopra richiamato, conferito dalla Provincia di Napoli con determina dirigenziale n. 9342 del 1998. Infatti, la sentenza impugnata ha addebitato al professore l’intero compenso netto pagato dall’ente conferente, e pari a € 18.132,91, mentre è stato dimostrato, con la produzione della relativa documentazione (allegati nn. 74, 75 e 76 al fascicolo di primo grado) che l’incarico era stato affidato all’Associazione Temporanea di Professionisti (A.T.P.) composta da tre membri e non al solo prof. Palazzo, per cui il relativo compenso va diviso per tre, avuto riguardo alle fatture emesse dagli altri e prodotte in atti. Di conseguenza, concordandosi con il relativo motivo, l’importo da riversare va quantificato in 1/3 di quello totale, ossia € 6.044,30.
Non è, invece, da accogliere il rilievo, sempre riferito al suddetto incarico, per il quale il Palazzo, transitato dal regime a tempo definito a quello a tempo parziale durante il suo svolgimento, avrebbe assolto i suoi obblighi limitandosi alla comunicazione della vigenza dell’incarico, con conseguente rilascio di autorizzazione tacita da parte dell’Ateneo. Infatti, in disparte l’evidente mancanza di controllo degli organi universitari sugli incarichi extraistituzionali dei docenti (chè, altrimenti, l’odierna vertenza non avrebbe avuto ragion d’essere) la normativa vigente ratione temporis, e ampiamente ripercorsa dalla sentenza impugnata (art. 11, commi 5 e 6 del D.P.R. n. 312 del 198 e s.m.; art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001), imponeva, chiaramente, un’autorizzazione espressa per lo svolgimento degli incarichi consentiti; e di ciò era ben avvertito l’appellante, che si era, infatti, preoccupato di comunicare l’incarico de quo all’amministrazione a seguito del passaggio al regime a tempo pieno.
Non così, invece, per l’incarico ricevuto dalla società E.C. s.r.l.
Al riguardo, l’appellante ha dimostrato di aver tempestivamente presentato la domanda di autorizzazione in data 28 dicembre 2011, dopo l’entrata in vigore della legge “[#OMISSIS#]” n. 240 del 2010, ricevendo la risposta, da parte dell’Ateneo, secondo la quale l’attività non era soggetta al rilascio di espressa autorizzazione (nota del 17 gennaio 2012, in allegato n. 12 produzione appellante). Al riguardo, come si è detto, la gravata decisione, retrodatando l’istanza di un anno esatto, ha erroneamente ritenuto che la stessa fosse anteriore all’entrata in vigore della riforma. Dunque, anche se l’incarico avrebbe dovuto essere autorizzato, trattandosi dello svolgimento di attività libero professionale, per quanto sopra detto, l’appellante è stato tratto in errore dalla risposta dell’Ateneo e ha confidato, in buona fede, nella sua esattezza. Pertanto non può essergli addebitata la colpa grave (né, a maggior ragione, il dolo) nell’aver svolto l’incarico, proprio perché egli aveva richiesto, come dovuto, l’autorizzazione e, dunque, il relativo importo non ricade nell’obbligo del riversamento all’ente di appartenenza, non integrandosi l’elemento soggettivo richiesto per l’applicazione della norma sanzionatoria (C.d.C., Sezioni Runite, n. 12/2007/Q.M.).
Per gli altri due incarichi di cui si tratta, invece, non bastano a elidere, quantomeno, la grave negligenza dell’appellante le interpretazioni, postume, del Rettore dell’Ateneo, intervenuta soltanto nel 2014, e di quello dell’ Università di Verona. Come si è detto, infatti, la normativa vigente, sia prima che dopo la riforma, integrata con la sanzione dell’art. 53, comma 7, del d. lgs. n. 165 del 2001, doveva rendere i docenti particolarmente avvertiti dell’obbligo su di loro gravante, costituendo l’attività extraistituzionale una deroga all’art. 98 della Costituzione.
Tirando, dunque, i fili della complessa vicenda, l’obbligo di versamento all’Amministrazione a titolo di sanzione, non ottemperato dal professore, va dunque rideterminato in complessivi € 38.676,58 (€ 28.369,50 per l’incarico Se.Co., + € 6.044,30 per l’incarico della Provincia di Napoli + € 4.262,78 per l’incarico dell’ing. Petti), detraendo l’importo di € 13.385,52 relativo all’incarico della E.C. s.r.l. per assenza di colpa grave e l’importo di € 12.088,61 dell’incarico conferito dalla Provincia di Napoli perché mai percepito dal Palazzo, ma dagli altri professionisti componenti l’A.T.P.
In tali termini, dunque, l’impugnazione va parzialmente accolta, con conseguente riduzione del disposto sequestro conservativo entro i limiti del danno accertato.
In ragione della complessità della vicenda e delle plurime cond