Gli incarichi di diritto privato in base ai quali il pubblico dipendente ha ottenuto, senza alcuna soluzione di continuità, il conferimento delle funzioni di Direttore amministrativo dell’Università, già ricoperto in base ad un rapporto di lavoro dipendente, costituiscono sostanzialmente prosecuzione di tale rapporto.L’art. 133 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 preclude la possibilità di cumulare il trattamento di quiescenza ordinario con un trattamento di attività di servizio, nel caso in cui il nuovo rapporto costituisca derivazione, continuazione o rinnovo di quello precedente che ha dato titolo all’attribuzione della pensione, con riliquidazione del trattamento spettante al termine del nuovo servizio, da computarsi unitamente a quello originario. Di qui la non debenza del trattamento di quiescenza dopo il collocamento a riposo per dimissioni volontarie e pendenza del nuovo rapporto avente ad oggetto le stesse funzioni in precedenza svolte, e, come ulteriore conseguenza, la correttezza dell’azione di ripetizione esercitata dall’INPS per quanto indebitamente corrisposto a titolo di pensione in pendenza del nuovo rapporto di lavoro.
Corte dei conti, sez. I, 2 febbraio 2017, n. 28
Direttore amministrativo università – Cumulo trattamento di quiescenza e trattamento di servizio – Prosecuzione di rapporto di lavoro con differente regime
SENTENZA n. 28/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai seguenti magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Presidente rel.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
Salvatore [#OMISSIS#] Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
[#OMISSIS#] Della [#OMISSIS#] Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 48282 del registro di segreteria proposto da Bruna [#OMISSIS#], nata a Trenta (CS) il 4 giugno 1947 e residente a Rende, in Via Benvenuto [#OMISSIS#] 31, CF DMA BRN 47H44 L375V, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Pisani, e presso il loro studio elettivamente domiciliata in Roma, Circonvallazione [#OMISSIS#] 36/A contro la sentenza del Giudice unico presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria 30 aprile 2014 n. 123
Uditi nell’udienza pubblica del 2 febbraio 2016 il relatore, dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’appellante e l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’I.N.P.S.
Visti tutti gli atti introduttivi e i documenti di causa
Ritenuto in
FATTO
Con sentenza 30 aprile 2014 n. 123 il giudice unico delle pensioni presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria ha rigettato il ricorso proposto da Bruna [#OMISSIS#], diretto ad ottenere l’annullamento delle determinazioni INPS 10 settembre 2013 n. 102 e 24 settembre 2013 n. 104 e la nota 7863U che ne fa parte integrante, nonché il rigetto implicito della domanda dell’indennità una tantum per il periodo 3 maggio 2004-31 ottobre 2011.
La [#OMISSIS#], già Direttore amministrativo dell’ Università della Calabria, collocata a riposo per dimissioni volontarie dal 1° maggio 2004 con attribuzione del trattamento pensionistico, nel 2001, collocatasi in aspettativa senza assegni, con contratto di diritto privato aveva ottenuto l’incarico di Direttore amministrativo, rinnovatole con i successivi contratti 2 gennaio 2004, 3 maggio 2004 e 8 dicembre 2007.
Con le determinazioni del 2013 l’INPS aveva provveduto a revocare il trattamento pensionistico a suo tempo concesso e a ripetere l’indebito che si era venuto a determinare, rigettando l’istanza dell’interessata diretta ad ottenere l’indennità una tantum per il periodo di servizio 2004-2011 prestato in base ai citati contratti.
In particolare, e in estrema sintesi, la sentenza ha rigettato il ricorso affermando la continuità del rapporto con l’ Università della Calabria, sia pure con mutamento del titolo (da rapporto di lavoro dipendente a contratto di diritto privato), e la ripetibilità dell’indebito, in quanto gli importi oggetto di recupero erano stati erogati a titolo di trattamento provvisorio.
Nell’appello – che risulta notificato all’Avvocatura generale dello Stato il 10 giugno 2014 ed al Ministero della difesa l’11 giugno 2014 – si deduce:
1) Violazione degli artt. 203 e segg. T.U. 1092/1973, in quanto la pensione era stata liquidata all’interessata a titolo definitivo, e quindi nella fattispecie troverebbe applicazione l’art. 204 dello stesso T.U., di cui difettano i presupposti per l’applicazione
2) Violazione dell’art. 133 del T.U. 1092/1973, non potendo trovare applicazione, per il periodo 2004-2011, il divieto di cumulo della pensione con la retribuzione erogata in base ai contratti di lavoro, in quanto il rapporto di diritto privato relativo a tale periodo non costituisce continuazione del precedente rapporto
3) Violazione dell’art. 44 T.U. 1092/1973 per omessa pronunzia (esplicita) sulla domanda dell’indennità una tantum
4) Mancata riduzione del presunto indebito, tenendo conto delle somme relative agli oneri fiscali e contributivi, mai percepite dall’interessata.
Conclusivamente l’appellante chiede:
– Accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento di revoca del trattamento pensionistico
– Accertare e dichiarare l’illegittimità del recupero del preteso indebito, con conseguente obbligo di restituire le somme trattenute
– Riconoscere il diritto dell’appellante all’indennità una tantum oltre interessi e rivalutazione
– In subordine ridurre l’indebito tenendo conto delle trattenute fiscali e previdenziali
– Ovvero rimettere il giudizio al giudice di primo grado.
Nella pubblica udienza del 22 settembre 2015, nessuno comparso per l’Istituto previdenziale, l’avv. [#OMISSIS#] ha chiesto un breve rinvio per poter depositare prova della notifica del decreto di fissazione dell’udienza, istanza accolta con rinvio all’udienza del 2 febbraio 2016.
In data 12 gennaio 2016 la difesa dell’appellante ha depositato documentazione da cui risulta che il decreto di fissazione udienza è stato notificato all’I.N.P.S. presso l’Ufficio legale di Catanzaro e la sede legale di Roma mediante spedizione con raccomandata del l’11 gennaio 2016.
Con atto depositato il 13 gennaio 2016 l’I.N.P.S. si è costituito sostenendo l’inammissibilità ed infondatezza del gravame – che si limiterebbe ad una richiesta di riesame del merito della controversia riproponendo deduzioni e prospettazioni già ampiamente esaminate dal giudice di primo grado e da questo giudicate infondate – ricordando giurisprudenza sia della Corte dei conti sia del Consiglio di Stato sulla non cumulabilità del trattamento di quiescenza con uno stipendio dovuto in base a rapporto che costituisca continuazione del primo rapporto. Inammissibile ed infondato viene ritenuto l’appello anche per la domanda subordinata di ridurre l’indebito, considerandolo al netto delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali: inammissibilità perché proposta per la prima volta in appello e infondatezza della domanda dell’indennità una tantum.
Nella pubblica udienza del 2 febbraio 2016 l’avv. [#OMISSIS#] Pisani per l’appellante, richiamandosi all’atto di gravame, ne ha chiesto l’accoglimento mentre l’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’I.N.P.S., dopo aver affermato che la costituzione in giudizio dell’Istituto sanava la tardiva notifica del decreto di fissazione di udienza, ha insistito per il rigetto dell’appello, secondo quanto esposto nella memoria di costituzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello di Bruna [#OMISSIS#] p infondato e deve pertanto essere rigettato.
Dalla ricostruzione cronologica risulta infatti evidente che gli incarichi di diritto privato in base ai quali ha ottenuto, senza alcuna soluzione di continuità, il conferimento delle funzioni di Direttore amministrativo dell’ Università , già ricoperto in base ad un rapporto di lavoro dipendente, costituiscono sostanzialmente prosecuzione di tale rapporto, al punto che al fine di ottenere il primo incarico, [#OMISSIS#] ha chiesto ed ottenuto il collocamento in aspettativa senza assegni e si è successivamente dimessa in pendenza del rapporto di diritto privato nel frattempo rinnovato.
La sentenza impugnata, dopo aver affermato che la continuità del rapporto non è esclusa dalla circostanza che la fonte del nuovo rapporto abbia natura di atto negoziale di natura privatistica, ha richiamato il contenuto dell’art. 133 del T.U. n. 1092 del 1973, che preclude la possibilità di cumulare il trattamento di quiescenza ordinario con un trattamento di attività di servizio, nel caso in cui il nuovo rapporto costituisca derivazione, continuazione o rinnovo di quello precedente che ha dato titolo all’attribuzione della pensione, con riliquidazione del trattamento spettante al termine del nuovo servizio, da computarsi unitamente a quello originario. Di qui la non debenza del trattamento di quiescenza dopo il collocamento a riposo per dimissioni volontarie e pendenza del nuovo rapporto avente ad oggetto le stesse funzioni in precedenza svolte, e, come ulteriore conseguenza, la correttezza dell’azione di ripetizione esercitata dall’I.N.P.S. per quanto indebitamente corrisposto a titolo di pensione in pendenza del nuovo rapporto di lavoro.
In effetti, la giurisprudenza di questa Corte si è più volte espressa sul dividto di cumulo tra trattamento di quiescenza e retribuzione (cfr. I Sez. n. 83/2011 sul rilievo della coincidenza della posizione professionale tra i due segmenti lavorativi e III Sez. n. 478/2011 in caso di riammissione in servizio).
Anche il Consiglio di Stato ha affermato che il divieto di cumulo previsto dal citato art. 133 opera “non soltanto se vi sia stata una riassunzione nella precedente posizione….ma anche quando sussista un particolare nesso di continuità tra servizio cessato e quello successivamente iniziato, e cioè allorquando il passaggio ad un nuovo impiego non importi interruzione del precedente rapporto, traducendosi in una continuazione, derivazione o rinnovo di quest’ultimo (sent.za n. 7922/2009).
Il Collegio condivide le affermazioni del giudice di primo grado anche per quanto attiene l’insussistenza degli elementi che, in base alla consolidata giurisprudenza delle SS.RR. e delle Sezioni centrali di questa Corte, consentono di affermare la buona fede del percipiente, in considerazione anche della elevata qualificazione professionale della dott.ssa [#OMISSIS#].
Per quanto attiene alla richiesta dell’appellante di riduzione dell’indebito tenendo conto delle somme relative agli oneri fiscali e contributivi, mai percepite dall’interessata, il Collegio ritiene di dover confermare l’orientamento prevalente affermatosi con riferimento a quanto affermato, sul punto, dalla Corte di cassazione, secondo cui nella sola ipotesi in cui il datore di lavoro-sostituto d’imposta, si sia avvalso della facoltà di richiedere il rimborso delle ritenute l’azione di ripetizione dovrebbe avere ad oggetto l’importo dell’indebito al netto delle ritenute, mentre, qualora non si sia avvalso di tale facoltà, l’azione ben può essere esercitata per l’ammontare dell’indebito al lordo delle ritenute stesse (cfr. Cass., Sez. lav., n. 239/2006).
L’appello di [#OMISSIS#] deve pertanto essere rigettato, con affermazione dell’obbligo di restituzione dell’indebito al lordo delle ritenute (cfr. I Sez,, n. 402/2015, n. 363/2015 e 250/2015; II Sez. n. 229/2015).
Al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante alle spese, che si liquidano in favore dell’I.N.P.S. in € 1.000.00 (mille//00), oltre a spse generali del 5%,
P.Q.M.
la Corte dei conti, I Sezione Giurisdizionale centrale, definitivamente pronunciando sull’appello 48383 proposto da Bruna [#OMISSIS#] lo rigetta.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’I.N.P.S. in € 1.000,00 (mille//00), oltre al 5% per spese generali.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 2 febbraio 2016 e 5 luglio 2016.
Depositata in Segreteria il 2 FEB.2017